All’Adunanza plenaria l’interpretazione dell’art. 38, T.U. n. 380 del 2001 sulla possibilità di sanatoria di un permesso di costruire annullato in sede giurisdizionale

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Il Consiglio di Stato, Sez. IV, con l’ordinanza 11 marzo 2020, n. 1735 rimette all’Adunanza plenaria la corretta interpretazione dell’art. 38, T.U. 6 giugno 2001, n. 380, chiedendo di stabilire, nel caso di intervento edilizio eseguito in base a permesso di costruire annullato in sede giurisdizionale, in quali casi è consentita la sanatoria che la norma prevede.

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L’articolo 38 T.U. 6 giugno 2001, n. 380

L’articolo 38 del T.U. 380/2001 dispone che ”In caso di annullamento del permesso, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest’ultima e l’amministrazione comunale. La valutazione dell’agenzia è notificata all’interessato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa (comma 1). L’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo 36 (comma 2)”. Quest’ultimo articolo, com’è noto, disciplina l’accertamento di conformità, ovvero la sanatoria degli interventi abusivi perché realizzati senza titolo, ma conformi alle norme urbanistico edilizie.

Tale norma (l’articolo 38 del T.U. 380/2001) è stata oggetto di differenti interpretazioni.

L’orientamento a favore del privato

Un primo orientamento, che si è affermato nella più recente giurisprudenza della Sesta Sezione del Consiglio di Stato, ammette un’interpretazione ampia e di maggior favore per il privato autore dell’abuso.

Ritiene, infatti, che la fiscalizzazione dell’abuso sia possibile per ogni tipologia di abuso, ovvero a prescindere dal tipo, formale ovvero sostanziale, dei vizi che hanno portato all’annullamento dell’originario titolo.

Più nel dettaglio, anche in presenza di vizi sostanziali non emendabili del titolo annullato, il Comune prima di ordinare la rimessione in pristino dovrebbe verificare l’impossibilità a demolire, e ove la ritenesse, dovrebbe limitarsi ad applicare la sanzione pecuniaria; nel far ciò dovrebbe poi considerare rilevante non solo il caso di vera e propria impossibilità o grave difficoltà tecnica, ma anche quello in cui riconoscesse ragioni di equità o al limite anche di opportunità.

In tal senso la pronuncia del Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 19 luglio 2019, n.5089, secondo la quale l’applicabilità dell’articolo 38 è ammessa sia nel caso di vizi formali che sostanziali e, pertanto, non è preclusa a seconda del diverso tipo di vizio riscontrato.

Tale orientamento considera, quindi, l’istituto come un caso particolare di condono di una costruzione nella sostanza abusive.

L’orientamento più restrittivo

Vi è poi un orientamento più restrittivo, secondo il quale la fiscalizzazione dell’abuso sarebbe possibile soltanto nel caso di vizi formali o procedurali non emendabili, mentre in ogni altro caso l’amministrazione dovrebbe senz’altro procedere a ordinare la rimessione in pristino; in altre parole, secondo tale orientamento, lo strumento in esame consente di superare i soli vizi non sostanziali della costruzione, e quindi non può operare con gli effetti di un condono.

L’orientamento intermedio consente la fiscalizzazione anche nei casi di vizio sostanziale

Vi è infine un orientamento intermedio, che si discosta da quello restrittivo per ritenere possibile la fiscalizzazione, oltre che nei casi di vizio formale, anche nei casi di vizio sostanziale, però emendabile: anche in tal caso, non vi sarebbe la sanatoria di un abuso, perché esso verrebbe in concreto eliminato con le opportune modifiche del progetto prima del rilascio della sanatoria stessa, la quale si distinguerebbe dall’accertamento di conformità di cui all’art. 36 dello stesso T.U. 380/2001 per il fatto che qui non sarebbe richiesta la “doppia conformità”, ovvero non si richiederebbe il rispetto delle norme edilizie e urbanistiche vigenti sia al momento dell’abuso sia a quello successivo della sanatoria.

In tale senso Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 10 settembre 2015, n. 4818, secondo la quale: non va condiviso l’assunto per cui la rimozione dei vizi ex art. 38 è consentita solo qualora essi abbiano natura formale o procedurale; l’art. 38 è applicabile anche nel caso di annullamento per vizi sostanziali, purché emendabili. La “sanatoria” è preclusa solo quando si tratti di vizi inemendabili; nell’ipotesi di cui all’art. 38 la demolizione dell’opera realizzata in base a un permesso annullato costituisce l’extrema ratio; in seguito all’annullamento di un titolo edilizio l’Amministrazione non è certo vincolata ad adottare misure ripristinatorie dovendo, anzi, privilegiare, ogni volta che ciò sia possibile, la riedizione del potere emendato dai vizi riscontrati, ancorchè aventi carattere sostanziale. La riemanazione del permesso di costruire è ammessa, tranne che nei casi di divieto assoluto di edificazione; l‘adozione di un provvedimento sanzionatorio presuppone l’annullamento (anche in sede giudiziale) di un “assenso edilizio” “per il riscontrato e insanabile conflitto con il regime costruttivo di riferimento”.

La posizione della sezione rimettente

La Sezione rimettente (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, con l’ordinanza 11 marzo 2020, n. 1735) ritiene di evidenziare che tutti e tre gli orientamenti sinteticamente illustrati muovono da premesse teoriche comuni, e se ne discostano nelle conseguenze.

Le premesse teoriche comuni sono quelle riassunte dalla Adunanza Plenaria nella sentenza 23 aprile 2009, n.4, nonché nella sentenza 4355/2014.

Secondo l’indirizzo teorico comune, l’art. 38 rappresenta, dal punto di vista del legislatore, la creazione di un “potere nuovo” rispetto a quello che consente di emettere il titolo edilizio, che contempera l’esigenza di rispettare il giudicato con quella di realizzare “un assetto della fattispecie diversificato” rispetto a quello scaturente dal giudicato stesso, “ma non in contrasto con quest’ultimo”: così la sentenza 4355 del 2014, da cui le citazioni.

A fronte di ciò, l’orientamento di maggior favore privilegia al massimo le ragioni del privato titolare del permesso annullato, recuperando in tal modo la tutela della buona fede che di regola può vantare chi eserciti una qualsiasi attività sulla base di un titolo rilasciato dall’amministrazione competente. Le ragioni di questo soggetto quindi, nei risultati, andrebbero a prevalere nella maggioranza dei casi, portando come esito normale la sanatoria dell’abuso mediante la sua fiscalizzazione.

Invece, l’orientamento restrittivo e quello intermedio privilegiano le ragioni del terzo il quale ha impugnato nell’originario giudizio il titolo illegittimo, nonché il rispetto del giudicato. In primo luogo, si sostiene che consentire la sanatoria senza limiti andrebbe a ledere l’affidamento di costui nella stabilità della disciplina giuridica delle fattispecie, e si renderebbe in sostanza inutile e privo di effettività il suo diritto di cittadino di adire il giudice per ottenere la tutela delle proprie situazioni giuridiche soggettive. Si osserva poi che l’interpretazione ampia potrebbe essere anche in contrasto con l’art. 102 Cost., perché andrebbe in sostanza a travolgere gli effetti del giudicato di annullamento attribuendo all’amministrazione il potere di invadere il campo riservato all’Autorità giudiziaria.

Secondo la sezione rimettente, pertanto, appare preferibile l’orientamento intermedio, in quanto consente da un lato di ampliare la sanabilità dell’abuso, proteggendo quindi l’affidamento di chi ha ottenuto il rilascio del titolo poi annullato, e dall’altro consente di tutelare il terzo.

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Dott.ssa Laura Facondini

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