Consiglio di Stato 10/5/2011 n. 2755

Redazione 10/05/11
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FATTO

1. Il consiglio regionale della Puglia ha approvato il “piano faunistico venatorio regionale 2009-2014”, con la delibera n. 217 del 21 luglio 2009.

Con il ricorso n. 1683 del 2009 (proposto al TAR per la Puglia, sede di Bari, e integrato con motivi aggiunti), l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF) Onlus – legittimata ad impugnare gli atti negativamente incidenti sull’ambiente – ai sensi dell’art. 18 della legge n. 349 del 1986 – ha impugnato il piano faunistico venatorio, nonché gli atti intermedi del procedimento, lamentando in particolare che non è stato attivato il procedimento sulla ‘valutazione ambientale strategica’, previsto dalla legislazione statale, e che dunque sono state disposte inadeguate misure protettive per la fauna, rispetto a quelle che si sarebbero ragionevolmente disposte, ove fosse stato seguito il prescritto procedimento.

Con la sentenza appellata, il TAR ha respinto il ricorso principale, ritenendolo infondato, ed ha dichiarato inammissibili i motivi aggiunti, poiché rivolti nei confronti dei piani faunistico-venatori provinciali, approvati con atti emanati prima della proposizione del ricorso principale.

1.1. Il TAR ha respinto la censura di incompetenza (secondo cui la delibera doveva essere emanata dalla giunta in applicazione dell’art. 44 della legge regionale n. 7 del 2004, di approvazione dello Statuto regionale), richiamando l’art. 9, comma 13, della legge regionale n. 27 del 1998 (sul “Piano faunistico venatorio regionale – Programma annuale di intervento”), facendone discendere la conseguenza che rientra nella competenza del consiglio regionale l’approvazione del piano venatorio.

1.2. Il TAR ha inoltre respinto tutte le dedotte censure di eccesso di potere (con riferimento al mancato esame da parte della giunta del parere della seconda commissione consiliare permanente, n. 82 del 14 luglio 2009, e del parere del 20 luglio 2009 del Dirigente dell’Ufficio parchi e riserve naturali regionali sulla ‘valutazione di incidenza’), poiché in applicazione dell’art. 9, comma 13 della stessa legge regionale n. 27 del 1998 la giunta regionale aveva acquisito i piani provinciali ed il parere del Comitato tecnico faunistico regionale.

1.3. Il TAR ha escluso la dedotta violazione dell’art. 42, comma 2, lett. c) dello Statuto regionale, rilevando che il regolamento di attuazione del piano n. 17 del 30 luglio 2009 è stato legittimamente emanato dal presidente della giunta regionale (anziché dalla giunta).

1.4. Il TAR ha respinto la censura (centrale, nella impostazione del ricorso) di violazione dell’art. 35, comma 2 ter, del d.lgs. n. 4 del 2008 (recante modifiche del d.lg. n. 152 del 2006), e cioè di mancata preventiva acquisizione della valutazione ambientale strategica (VAS), di violazione degli artt. 6 e ss. del d.lgs n. 152 del 2006 e della circolare n. 1 del 2008 dell’Assessorato all’Ecologia della Regione Puglia, rilevando che:

– la Regione ha attivato il procedimento previsto dall’art. 9, comma 13 della legge regionale n. 27 del 1998, sulla ‘valutazione di incidenza’;

– non occorreva altresì l’attivazione del procedimento sulla ‘valutazione ambientale strategica’, sia perché si sarebbe rivelata una inutile duplicazione rispetto alla ‘valutazione di incidenza’, sia perché le disposizioni regionali vigenti (anche la legge n. 11 del 2001 in tema di valutazione di impatto ambientale) disporrebbero regole procedimentali e sugli standard di tutela compatibili con quanto previsto dal d.lg. n. 152 del 2006.

1.5. In relazione alla censura di difetto parziale – in concreto – anche della ‘valutazione di incidenza ambientale’ con riferimento ai piani faunistici venatori delle Provincie di Bari e Foggia (perché sarebbe mancata la seconda fase della procedura costituente la vera e propria ‘valutazione di incidenza’), il TAR ha ritenuto che tale valutazione era meramente eventuale ai sensi dell’art. 4, comma 4, della legge Regione Puglia n. 11 del 2001, perché doveva essere effettuata unicamente con riferimento a quei piani che potevano avere “incidenze significative” sui siti della rete “Natura 2000” (incidenze da non considerare sussistenti in concreto nei territori di Bari e Foggia).

La sentenza impugnata ha osservato che la carente motivazione delle ‘valutazioni di incidenza’ con riferimento ai piani faunistici venatori delle Provincie di Bari e Foggia (rilevate dalla stessa Regione, avendo questa constatato la genericità dei medesimi piani provinciali) poteva essere sopperita dalla complessiva ‘valutazione di incidenza’, espressa in senso positivo sull’intero piano faunistico dalla stessa Regione con il parere n. 8884 del 20 luglio 2009.

Inoltre, quanto ad alcune modalità di formulazione dei piani, il TAR ha rilevato che:

– ai sensi dell’art. 5, comma 2, del d.P.R. n. 357 del 1997, soltanto le amministrazioni proponenti sarebbero state tenute ad elaborare uno studio di valutazione di incidenza, e non anche i singoli istituti a gestione privatistica, dal momento che questi, essendo inclusi nei piani provinciali, rientravano nell’ambito della procedura di valutazione prevista per l’intero piano;

– l’art. 17 del piano ha legittimamente disciplinato i siti di importanza comunitaria – (SIC) e le zone di protezione speciale (ZPS), col rinvio ai “criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relativi a ZPS e ZCS”, disposti dal Ministero dell’Ambiente con un decreto del 17 ottobre 2007 e dai regolamenti n. 15 del 18 luglio 2008 e n. 28 del 29 dicembre 2008 con cui la Regione ha recepito il decreto statale.

1.6. Anche il quinto motivo è stato respinto dal TAR, per il quale la legge n. 157 del 1992 e la legge regionale n. 27 del 1998 non hanno stabilito che dovesse acquisirsi anche il parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica, prima dell’approvazione del piano.

1.7. Quanto al sesto motivo sulla dedotta illegittimità del mancato inserimento nel piano di una serie di aree nell’ambito delle zone di protezione per le rotte migratorie (in particolare perché tra le Oasi di protezione da revocare sarebbe stata inclusa anche l’Oasi di Capo d’Otranto), il TAR ha osservato che la revoca della stessa **** sarebbe stata dovuta unicamente alla diversa destinazione del territorio interessato, ricompreso nel “Parco Naturale Regionale Costa d’Otranto – Santa ***** di Leuca e Bosco Tricase” istituito con la legge regionale n. 30 del 2006 e quindi passato alla gestione dell’Ente Parco e non più gestito dalla Provincia di Lecce (con misure di conservazione maggiori e più rigide rispetto a quelle previste per le Oasi di protezione).

Per analoghe considerazioni, il TAR ha respinto le censure riguardanti il mancato inserimento nel piano delle aree protette della rotta di Margherita – Manfredonia nella Provincia di Foggia (risultando esse incluse nel Parco Nazionale del Gargano, con l’istituzione di SIC e ZPS su tutta l’area costiera).

1.8. Il TAR ha inoltre respinto il settimo motivo, constatando che – contrariamente a quanto dedotto in fatto dalla ricorrente – i dati riportati nei piani provinciali erano stati aggiornati all’ultima rilevazione ISTAT.

1.9. Il TAR ha infine respinto le censure sulla illegittimità derivata del regolamento di attuazione del piano faunistico venatorio n. 17 del 30 luglio 2009, emanato dal Presidente della Giunta regionale, nonché della deliberazione della giunta del 4 agosto 2009, n. 1433, con cui era stato approvato il calendario venatorio regionale (annata 2009/2010), ed ha dichiarato inammissibili i motivi aggiunti proposti contro i piani provinciali, in quanto emanati prima della proposizione del ricorso principale..

2. Con l’appello in esame, l‘associazione ambientalista ha censurato la sentenza del TAR ed ha chiesto che, in sua riforma, sia accolto il ricorso di primo grado, riproponendo tutte le censure contenute nel ricorso di primo grado e nei motivi aggiunti.

L’Associazione Nazionale Libera Caccia ha depositato una memoria chiedendo la reiezione del ricorso in appello, perché infondato.

La Regione Puglia ha depositato una analitica memoria di replica, chiedendo la reiezione dell’appello e rilevando che:

– quanto al primo motivo, esso meritava la reiezione, in quanto il piano faunistico venatorio non apparteneva ad alcuna delle tipologie regolamentari (pertinenti alla competenza giuntale) individuate dall’art. 44 comma I dello Statuto regionale della Puglia di cui alla legge regionale n. 7 del 12 maggio 2004;

– sotto altro profilo, è stato rispettato l’art. 9, comma 13, della legge regionale della Puglia n. 27 del 1998, poiché la giunta regionale ha provveduto nel complesso il procedimento di formazione e di approvazione del piano faunistico venatorio (delibera n. 1045 del 23 giugno 2009);

– quanto alla seconda doglianza, le procedure valutative erano state avviate antecedentemente alla entrata in vigore del d.lg. n. 4 del 2008, dovendo così trovare applicazione le disposizioni regionali vigenti;

– le Province hanno predisposto le proprie valutazioni di incidenza sui piani faunistici venatori provinciali secondo le indicazioni di cui alla deliberazione giuntale n. 304 del 14 marzo 2006 (e sulla base di tali atti il 21 luglio 2009 era stato trasmesso il parere del Dirigente del servizio caccia e pesca di valutazione di incidenza in cui si rilevava, tra l’altro, che il piano venatorio, non determinando realizzazione di opere, non produceva trasformazioni o degrado);

– il terzo motivo di censura (omessa valutazione della incidenza ambientale da parte dei piani provinciali delle Province di Bari e Foggia) a tutto concedere, avrebbe potuto comportare soltanto la parziale caducazione del piano, ma anche tale limitata conseguenza va esclusa, sia perché le Province citate avevano escluso che il piano producesse “incidenze significative”, sia perché v’era stata una complessiva valutazione di incidenza espressa sull’intero piano dalla Regione Puglia con atto n. 8884 del 20 luglio 2009, di guisa che nessuna carenza invalidante poteva riscontrarsi;

– anche la seconda parte del terzo motivo di censura è infondata, in quanto è stata rispettato l’art. 10, comma V, della legge n. 157 del 1992;

– il quarto motivo di censura non tiene conto della circostanza che il parere favorevole sulla valutazione di incidenza ambientale del 20 luglio 2009 faceva corpo con il piano, ed ivi sono stati riportati i divieti di cui all’art. 5 (punti da A a K) del regolamento regionale n. 28 del 2008 relativo all’esercizio dell’attività venatoria nelle ZPS;

– quanto alla quinta censura, nessuna disposizione di legge prescriveva che dovesse acquisirsi obbligatoriamente il parere dell’INFS per l’approvazione del piano faunistico venatorio;

– la sostanza della sesta censura – relativa alla circostanza che l’Oasi di Capo d’Otranto non era stato individuato dalla Provincia di Lecce quale “zona di protezione delle rotte migratorie”- obliava la circostanza che ciò era ascrivibile alla inserzione della predetta area nel parco regionale “Costa d’Otranto, Santa Maria di Leuca e Bosco di Tricase” ai sensi della legge regionale n. 30 del 2006, con una ancor più rigida protezione dell’area rispetto a quella ipotizzata dall’appellante;

– identica deduzione valeva per le aree (ubicate nella Provincia di Foggia) della rotta “Margherita-Manfredonia”, incluse nel Parco Nazionale del Gargano;

– è infondato il settimo motivo di appello, perché nessun difetto di istruttoria poteva discendere dalla circostanza che il piano impugnato ha recepito le indicazioni dei singoli piani provinciali (e, peraltro, a motivo della complessità dell’atto, qualche modesta sfasatura temporale era inevitabile);

– le rilevazioni Istat relative al territorio agro-silvio-pastorale avevano costituito la base delle elaborazioni provinciali, mentre la metodologia di calcolo “per differenza” assunta dalla Provincia di Taranto non aveva prodotto significativi scostamenti, e comunque, trattandosi di pianificazione complessa, le modeste inesattezze eventualmente riscontrate non potrebbero produrre effetto invalidante;

– anche l’ultima censura dedotta in via derivata, avverso la deliberazione n. 17 del 30 luglio 2009 del presidente della giunta regionale e la deliberazione della giunta del 4 agosto 2009 n. 1433, con cui era stato approvato il calendario venatorio regionale per l’annata 2009/2010, andrebbe respinta per l’infondatezza delle censure proposte avverso gli atti presupposti.

Quanto ai motivi aggiunti proposti in primo grado avverso i piani venatori provinciali, la stessa appellante associazione ha rilevato che l’impugnazione è stata ‘tuzioristica’, in quanto l’iter di approvazione del piano faunistico venatorio si concludeva unicamente con l’adozione di quest’ultimo (peraltro tutte le censure contenute nei motivi aggiunti erano confluite nell’atto volto ad avversare il provvedimento conclusivo del procedimento).

L’appellante ha depositato una memoria di replica, chiedendo che sia dichiarata la tardività della memoria difensiva depositata dalla Regione Puglia, ed ha ribadito la non equiparabilità della prescritta Vas alla dichiarazione di incidenza ambientale.

La Regione Puglia ha replicato facendo presente che si erano verificati impedimenti al tempestivo deposito della memoria e chiedendo comunque la reiezione dell’eccezione.

3. Alla pubblica udienza del 22 marzo 2010 la causa è stata posta in decisione e la difesa dell’appellante ha prestato il consenso al deposito di una memoria d’udienza da parte della Regione.

DIRITTO

1. 1. L’appello è fondato e deve essere accolto nei limiti che seguono.

1.2. Preliminarmente, va rilevata la carenza di interesse dell’appellante a gravare la statuizione di inammissibilità dei motivi aggiunti di primo grado, proposti contro i singoli piani provinciali confluiti nel piano faunistico venatorio regionale.

Infatti, tali piani provinciali sono privi di effettiva lesività, in quanto atti interni del procedimento che si è concluso con l’approvazione del piano regionale.

2. Per il suo carattere preliminare, va esaminata con priorità la censura sulla dedotta incompetenza del consiglio regionale della Puglia ad approvare il piano faunistico venatorio per gli anni 2009-2014.

Ad avviso dell’appellante associazione ambientalista, la competenza sarebbe spettata alla giunta, poiché per l’art. 55 dello Statuto, approvato con la legge regionale 12 maggio 2004, n. 7, “alla giunta regionale spetta la potestà regolamentare nella forma dei regolamenti esecutivi, di attuazione, d’integrazione nonché dei regolamenti delegati”.

Il TAR ha respinto la censura, ritenendo applicabile l’art. 9, comma 13, della legge regionale della Puglia 12 agosto 1998, n. 27, per il quale “il piano ha durata quinquennale; sei mesi prima della scadenza, il consiglio regionale, su proposta della giunta regionale, previa acquisizione dei piani provinciali e del parere del Comitato tecnico regionale, approva il piano valevole per il quinquennio successivo”.

2.1. Osserva al riguardo il collegio che nell’atto di appello non vi sono specifiche censure sulla perdurante applicabilità del richiamato art. 9, comma 13, in relazione alla sopravvenuta entrata in vigore dello statuto del 2004 (e quindi sui rapporti tra la antecedente legge regionale e il successivo Statuto.

Peraltro, anche qualora l’atto di appello vada inteso nel senso che lo Statuto sopravvenuto avrebbe inciso sul regime di competenze determinato dalla precedente legge regionale n. 27 del 1998, ritiene la Sezione che la relativa censura vada comunque respinta.

Infatti, lo Statuto regionale costituisce il parametro di valutazione delle leggi regionali successive, ma non ha inciso sull’ambito di applicazione delle leggi regionali emanate in precedenza (in coerenza con lo Statuto approvato con la legge statale n. 349 del 22 maggio 1971) e sull’articolato assetto delle competenze della giunta e del consiglio regionale, anche nei loro reciproci rapporti, determinate dalle normative di settore.

2.2.Anche le ulteriori articolazioni della prima doglianza non sono fondate.

La giunta ha infatti espresso le proprie determinazioni nel corso del procedimento e le ha trasmesse al consiglio: la giunta ha emesso la delibera n. 1347 del 28 luglio 2009 sull’approvazione del Regolamento attuativo n. 17 del 30 luglio 2009 (poi emanato dal presidente della giunta).

Inoltre, proprio avuto riguardo all’art. 9 della legge regionale n.. 27 del 1998 (il quale richiama la “proposta della giunta regionale, previa acquisizione dei piani provinciali e del parere del Comitato tecnico regionale”), va respinta la doglianza incentrata sulla dedotta carenza istruttoria con riguardo all’attività della giunta.

La sua delibera n. 1045 del 23 giugno 2009 ha fatto seguito al parere del Comitato tecnico faunistico venatorio regionale del 22 maggio 2009, successivo alla acquisizione dei piani provinciali.

Il procedimento seguito – sotto tale profilo – ha dunque rispettato la scansione fissata dalla legge, mentre il parere della commissione consiliare permanente non poteva che essere espresso in rapporto alle successive determinazioni del consiglio regionale.

3. Con il secondo motivo (che ha una rilevanza centrale nel giudizio), l’appellante lamenta la violazione del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, per l’omessa acquisizione della valutazione ambientale strategica, antecedentemente alla approvazione del piano venatorio.

3.1. Appare utile in via preliminare riassumere quali siano state le contrapposte tesi sostenute in primo grado e riproposte in appello, nonché la conclusione cui è giunto il TAR.

Ad avviso dell’appellante, rilevano:

– l’art. 6, commi 1 e 2, del testo vigente del citato decreto, per il quale “La valutazione ambientale strategica riguarda i piani e i programmi che possono avere impatti significativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale. Fatto salvo quanto disposto al comma 3, viene effettuata una valutazione per tutti i piani e i programmi:a) che sono elaborati per la valutazione e gestione della qualità dell’aria ambiente, per i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, e che definiscono il quadro di riferimento per l’approvazione, l’autorizzazione, l’area di localizzazione o comunque la realizzazione dei progetti elencati negli allegati II, III e IV del presente decreto; b) per i quali, in considerazione dei possibili impatti sulle finalita’ di conservazione dei siti designati come zone di protezione speciale per la conservazione degli uccelli selvatici e quelli classificati come siti di importanza comunitaria per la protezione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatica, si ritiene necessaria una valutazione d’incidenza ai sensi dell’articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e successive modificazioni”;

– l’art. 11, comma 5, per il quale “La VAS costituisce, per i piani e programmi a cui si applicano le disposizioni del presente decreto, parte integrante del procedimento di adozione ed approvazione. I provvedimenti amministrativi di approvazione adottati senza la previa valutazione ambientale strategica, ove prescritta, sono annullabili per violazione di legge”.

L’appellata sentenza ha respinto la censura, sulla base dell’art. 35, comma 2 ter, del d.lgs n. 152 del 2006 (introdotto dall’art. 1, comma 2, del d. lgs n. 4 del 2008), per il quale “Le procedure di VAS e di VIA avviate precedentemente all’entrata in vigore del presente decreto sono concluse ai sensi delle norme vigenti al momento dell’avvio del procedimento”.

Ad avviso del TAR, nel caso di specie:

– le procedure, in quanto avviate prima dell’entrata in vigore del d.lgs n. 4 del 2008, risultano disciplinate dalle norme vigenti al momento dell’avvio del procedimento, come affermato dal citato comma 2 ter;

– non avrebbe fondamento la censura sulla carenza della preventiva acquisizione della VAS ai sensi degli artt. 6 e ss. d.lgs n. 152 del 2006, essendo tali norme inapplicabili al caso di specie per effetto dell’art. 35 comma 2 ter e dovendo trovare viceversa applicazione le norme regionali precedentemente vigenti;

– non rileverebbe l’asserita violazione della circolare n. 1 del 2008 dell’Assessorato all’Ecologia, poiché essa è meramente interpretativa di una norma di legge, cui non può evidentemente derogare;

– le preesistenti leggi della Regione Puglia, vigenti sulla valutazione di impatto ambientale e sulla ‘valutazione di incidenza’, risulterebbero perfettamente compatibili con quanto previsto dal d.lg. n. 152 del 2006, pur non imponendo la ‘valutazione ambientale strategica’, con la conseguente mancata necessità del procedimento riguardante tale VAS, come previsto dal d.lgs. n. 152 del 2006;

– l’eventuale assoggettamento del piano faunistico venatorio regionale alla VAS si rivelerebbe pertanto una inutile duplicazione, in contrasto con il principio del divieto di aggravamento del procedimento amministrativo di cui all’art. 1 legge n. 241 del 1990.

3.2. Al riguardo, l’appellante ha dedotto che la reiezione della censura di primo grado si fonda su un errore interpretativo, poiché l’art. 35, comma 2 ter, del decreto n. 152 del 2006, introdotto dall’art. 1, comma 2, del d. lgs n. 4 del 2008, non poteva trovare applicazione nel caso di specie.

Ad avviso dell’appellante, la disposizione transitoria in oggetto poteva operare unicamente laddove vi fossero state disposizioni della legislazione regionale sullo svolgimento della procedura finalizzata alla valutazione ambientale strategica, e laddove questa fosse stata effettivamente resa.

Invece, nella Regione Puglia la legge regionale n. 11 del 12 aprile 2001 (art. 4) nulla ha previsto in materia di VAS e la stessa circolare regionale n. 1 del 2008, successiva alla entrata in vigore del decreto legislativo n. 4 del 16 gennaio 2008, farebbe emergere l’illegittimità della lamentata omissione.

L’appellante ha conseguentemente dedotto che si sarebbero dovuti applicare i primi due commi del citato art. 35 del decreto n. 152 del 2006, nel testo novellato dal d.lgs n. 1 del 2008, per i quali:

“1. Le regioni,ove necessario, adeguano il proprio ordinamento alle disposizioni del presente decreto, entro dodici mesi dall’entrata in vigore. In mancanza di norme vigenti regionali trovano diretta applicazione le norme di cui al presente decreto”.

“2. Trascorso il termine di cui al comma 1, trovano diretta applicazione le disposizioni del presente decreto, ovvero le disposizioni regionali vigenti in quanto compatibili”.

Sotto altro profilo, assume l’appellante che le differenze tra vas, via e valutazione di incidenza sarebbero indubitabili (quanto al procedimento da seguire ed alle relative essenziali determinazioni), sicché l’affermazione di equipollenza di cui al terzo capoverso della pag 7 della impugnata decisione non sarebbe condivisibile.

4. Osserva la Sezione che l’esame delle articolate deduzioni dell’appellante presuppone l’excursus delle modifiche intervenute sul testo originario del d.lg. n. 152 del 2006, emanato in attuazione della delega contenuta nella legge n. 308 del 2004 e che ha introdotto nel sistema nazionale la valutazione ambientale strategica (VAS).

4.1. Infatti, ad un primo esame, la tesi difensiva centrale della Regione Puglia (sulla non applicabilità, ratione temporis, del d.lg. n. 152 del 2006 per il procedimento in esame) potrebbe sembrare corroborata proprio dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 4 del 2008, che ha introdotto nel testo originario l’art. 35 (recante ‘Disposizioni transitorie e finali’), il quale ha previsto che

“1. Le regioni adeguano il proprio ordinamento alle disposizioni del presente decreto, entro dodici mesi dall’entrata in vigore. In mancanza di norme vigenti regionali trovano diretta applicazione le norme di cui al presente decreto”.

“2. Trascorso il termine di cui al comma 1, trovano diretta applicazione le disposizioni del presente decreto, ovvero le disposizioni regionali vigenti in quanto compatibili”.

“2 bis. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano provvedono alle finalita’ del presente decreto ai sensi dei relativi statuti”.

“2-ter. Le procedure di VAS e di VIA avviate precedentemente all’entrata in vigore del presente decreto sono concluse ai sensi delle norme vigenti al momento dell’avvio del procedimento”.

Ove non si tenga conto dello specifico e originario contenuto precettivo delle disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006, si potrebbe sostenere, al riguardo, che – similmente a quanto avviene di regola nei rapporti tra le direttive comunitarie e la legislazione nazionale di recepimento – la legislazione nazionale in materia di valutazione ambientale strategica, innovata con il richiamato decreto legislativo n. 4 del 2008, sia entrata in vigore (anche nel territorio della Regione Puglia) unicamente alla scadenza del termine di dodici mesi, fissato dal richiamato comma 1 dell’art. 35 per l’adeguamento della normativa regionale a quella statale.

4.2. Ad un esame più approfondito, basato sulla peculiarità del susseguirsi della normativa statale in materia, ritiene però la Sezione che il significato del riportato art. 35, comma 1, vada individuato tenendo conto delle disposizioni statali contenute nel decreto legislativo n. 152 del 2006.

4.3. Per determinare l’evoluzione normativa del settore, anche di quella antecedente all’entrata in vigore del decreto legislativo n. 3 del 2008, risulta decisiva – per la sua chiarezza e la sua sinteticità- la sentenza della Corte Costituzionale 22 luglio 2009, n. 225, la quale ha osservato che:

– l’entrata in vigore della seconda parte del d.lgs. n. 152 del 2006, recante tra l’altro la disciplina della VAS (e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14 aprile 2006), è stata inizialmente fissata (art. 52) in centoventi giorni dalla sua pubblicazione;

– tale termine è stato differito, prima dall’art. 1 septies del decreto-legge 12 maggio 2006, n. 173, alla data del 31 gennaio 2007 e, successivamente, dall’art. 5, comma 2, del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300, alla data del 31 luglio 2007;

– il d.lgs. n. 152 del 2006 è stato oggetto di ampie modificazioni da parte del decreto legislativo 8 novembre 2006, n. 284, le quali non hanno, tuttavia, riguardato le disposizioni in materia di VAS;

– l’intera parte seconda del d.lg. n. 152 del 2006 è stata, invece, abrogata dall’art. 4, comma 2, del decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4, ed è stata sostituita dagli artt. 1, comma 2, e 4, comma 3, del medesimo decreto correttivo, che hanno introdotto, in materia di VAS, una disciplina (v. gli artt. da 4 a 18 e da 30 a 36, nonché gli allegati da I a V della parte seconda) largamente differente.

Le disposizioni in materia di VAS contenute nel citato decreto, nella versione antecedente alla entrata in vigore del d.lg n. 4 del 2008 hanno, pertanto, avuto vigenza dal 31 luglio 2007 al 13 febbraio 2008, data di entrata in vigore della nuova disciplina introdotta dal decreto legislativo ‘correttivo’ n. 4 del 2008.

4.4. L’appellata Regione non ha contestato tale ricostruzione – sinteticamente richiamata a pag 10 del ricorso in appello – e non ha contestato che alla data del 31 luglio 2007 fosse rimasto in vigore, per quanto riguarda la VAS, il decreto legislativo n. 152 del 2006.

La Regione non ha contestato neppure che, entrato in vigore il testo originario del decreto legislativo n. 152 del 2006, il piano faunistico venatorio dovesse essere soggetto a VAS, in ragione della portata generale dei commi 2 e 3 dell’art. 4, dell’art. 5 comma 1 lett. a) e d) (e del richiamo ai “piani e programmi”, da intendere come “tutti gli atti e provvedimenti di pianificazione e di programmazione comunque denominati previsti da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative adottati o approvati da autorità statali, regionali o locali, compresi quelli cofinanziati dalla Comunità europea, nonché le loro modifiche”) e dell’art. 7 commi 1 e 2:.

Parimenti, la Regione nulla ha dedotto in contrario, avverso il presupposto della tesi sostenuta nell’atto di appello, secondo cui anche in applicazione dell’art. 7, commi 1 e 2, e dell’art. 6 del decreto legislativo n. 152 del 2006 nel testo novellato dal d.lg n. 4 del 2008, il piano dovesse essere previamente sottoposto a VAS

Alle medesime disposizioni statali la Regione Puglia si è per di più inizialmente adeguata, tanto che la sua circolare n. 1 del 2008, pubblicata il 22 luglio 2008, seppur esplicativa della legge nazionale, ha rilevato che, “nelle more che si provveda all’adeguamento della normativa regionale al dettato nazionale” l’autorità preposta alla VAS nella stessa Regione (punto 4 della circolare).

Quanto al piano faunistico venatorio in esame, però, la Regione sostiene che essa si sarebbe conformata alle disposizioni vigenti e all’art. 35 – sopra riportato – del novellato testo del decreto legislativo n. 152 del 2006 (in ultimo, pag 11 della memoria conclusiva depositata in appello).

La tesi prospettata dall’appellata (che si discosta parzialmente da quanto ritenuto dalla sentenza dal TAR) è quella per cui:

a) non era decorso il termine annuale di cui al comma 1 del citato art. 35;

b) la predisposizione dei piani faunistici venatori provinciali destinati a confluire nel piano era cominciata prima della entrata in vigore del d.lg n. 4 del 2008;

c) il piano è soggetto soltanto alla ‘valutazione di incidenza ambientale’, ex art. 5 del d.P.R. n. 357 del 1997;

d) nella specie, tale ‘valutazione di incidenza’ era stata resa, sicché potrebbe essere condivisa l’affermazione del TAR, sul rispetto dell’art. 35 del novellato d.lg. n. 152 del 2006.

5. Ritiene la Sezione che non risultano condivisibili le conclusioni cui è giunta la sentenza gravata, né le deduzioni difensive della Regione Puglia, e che sono fondate le deduzioni dell’appellante, sulla necessità di attivare lo specifico procedimento sulla ‘valutazione ambientale strategica’.

5.1. E’ decisivo considerare che:

– il comma 2 ter dell’art. 35, sopra riportato, ha disposto che le procedure di VAS avviate prima della entrata in vigore del decreto n. 4 del 2008 andavano concluse ai sensi delle norme vigenti al momento dell’avvio del procedimento;

– il decreto legislativo n. 152 del 2006 già nel suo testo originario era entrato in vigore, a seguito delle relative proroghe, come chiarito dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 225 del 2009, sopra richiamata al § 4.3.

Alla ricostruzione del quadro normativo operata dalla Corte Costituzionale, ritiene la Sezione che – per quanto rileva nel giudizio – vada aggiunta una precisazione, per chiarire lo specifico significato delle ‘disposizioni transitorie e finali’, disposte con l’art. 35 del d.lg. n. 152 del 2006 (nel testo introdotto dal d.lg. n. 4 del 2008):

– alla data di entrata in vigore del d.lg. n. 4 del 2008, erano già entrate in vigore le disposizioni statali sulla VAS, contenute nel decreto legislativo n. 152 del 2006 (come testualmente rilevato dalla Corte Costituzione);

– le disposizioni sulla VAS, introdotte nel d.lg. del 2006 in via sostitutiva dal d.lg. n. 4 del 2008, hanno introdotto regole ancora più stringenti (sia sul piano procedimentale che su quello sostanziale);

– come si evince dall’art. 35 (novellato con lo stesso d.lg. n. 4 del 2008), fino alla scadenza del termine di dodici mesi fissato dal suo comma 1, continuavano ad applicarsi le disposizioni vincolanti ed originarie sulla VAS di cui al d.lg. n. 152 del 2006, ormai entrato in vigore, come rimarcato dalla Corte Costituzionale (in tal senso va interpretato il comma 1 dell’art. 35);

– per le procedure regionali sulla VAS, che dovevano essere avviate (in base alla legge statale) prima dell’entrata in vigore del d.lg. n. 4 del 2008, continuavano ad applicarsi le medesime disposizioni del d.lg. n. 152 del 2006.

Ecco perché gli atti impugnati in primo grado risultano illegittimi: la Regione ha erroneamente ritenuto che non erano applicabili le disposizioni contenute nel d.lg. n. 152 del 2006 sulla VAS (pur legittimamente rilevando la mancata applicabilità delle più stringenti e sopravvenute disposizioni del d.lg. n. 4 del 2008), ma in realtà avrebbe dovuto seguire il procedimento previsto dall’originario d.lg. n. 152 del 2006, nel frattempo entrate in vigore.

5.2. Non è invece condivisibile la tesi della Regione, secondo cui l’intera parte II del decreto 152 del 2006, come sostituita dal d.lg n. 4 del 2008, sarebbe entrata in vigore soltanto nel 2009 (tenuto conto del termine di adeguamento annuale concesso alle Regioni), con la conseguente assenza della necessità della VAS e la sussistenza unicamente dell’obbligo preesistente di effettuare le valutazioni di incidenza ai sensi del dPR n. 357 del 1997.

Infatti, come ha rilevato la già richiamata sentenza della Corte Cost.n. 225 del 2009, la disciplina di cui all’originario testo del decreto legislativo n. 152 del 2006 era entrata in vigore il 31 luglio del 2007 (per poi essere sostituita nel gennaio 2008 dal più volte citato decreto legislativo n. 4 del 2008).

Inoltre, non si può affermare che l’espressione “in mancanza di norme vigenti regionali trovano diretta applicazione le norme di cui al presente decreto” possa essere intesa nel senso di esonerare la Regione Puglia, in quanto priva di specifica disciplina sulla VAS, ad omettere per un anno tale procedura valutativa sui piani e sui programmi, pur se in corso di approvazione.

Al contrario, proprio il comma 2 ter, avendo consentito che le procedure di VAS già avviate si concludessero secondo le norme vigenti, all’evidenza ha ribadito la necessità della medesima procedura, pur diversa da quella introdotta con la riforma del 2008.

5.3. Contrariamente a quanto ha rilevato il TAR, ritiene dunque la Sezione che :

a) la Regione avrebbe dovuto avviare la procedura VAS relativamente al piano in esame, con riferimento alla normativa statale entrata in vigore già prima dell’emanazione del d.lg. n. 4 del 2008;

b) il procedimento sulla ‘valutazione di incidenza’ non può essere considerato ‘equipollente’ (né una duplicazione), tenuto conto della diversità delle regole procedimentali e sostanziali che caratterizzano tale ‘valutazione di incidenza’.

5.4. Sotto tale ultimo profilo, la Regione aveva avviato le ‘valutazioni di incidenza’ di cui al d.P.R. n. 357 del 1997 in relazione ai singoli piani provinciali destinati a confluire nel piano regionale (con ciò rifacendosi a quanto disposto dalla legge regionale n. 17 del 2007, nella parte in cui aveva modificato la legge regionale n. 11 del 2001, richiamando all’art. 4, comma 1, e all’art. 6, comma , anche i piani faunistico-venatori).

Contrariamente a quanto ha osservato la sentenza gravata, l’effettuazione delle valutazioni di incidenza non ha reso irrilevanti le disposizioni sulla VAS, che la Regione avrebbe dovuto doverosamente avviare.

Infatti, il richiamo contenuto nell’art. 35, comma 2 ter, “alle procedure di VAS avviate antecedentemente” ha significato che queste potessero proseguire sulla base della normativa statale preesistente sulla stessa VAS (meno stringente di quella introdotta dal d.lg. del 2008), e non anche che le ‘valutazioni di incidenza’ si sarebbero potute considerare equipollenti a quelle già previste dal d.lg n. 152 del 2006 e da applicare doverosamente.

Sotto tale aspetto, va sottolineata la diversità della VAS rispetto alla ‘valutazione di incidenza’ ambientale sottesa ai piani provinciali resa dalla Regione, ai sensi dell’art. 5 del d.P.R. n. 357 del 1997 (recante il regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE, sulla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche)

Infatti, la “valutazione di incidenza”, già prevista nel sistema antecedente alla differita entrata in vigore del d.lg. n. 152 del 2006, ha un rilievo settoriale, destinato alla particolare protezione di siti di importanza comunitaria (e da tenere in considerazione anche in sede di VAS, anch’essa divenuta necessaria in base alla normativa sopravvenuta del 2006).

5.5. Concludendo sul punto, gli atti impugnati in primo grado, nel ritenere non necessaria la VAS prescritta dalla normativa statale del 2006, e nel ritenere sufficienti le ‘valutazioni di incidenza’, si è posta in contrasto con le disposizioni statali emanate nel 2006 nel frattempo entrate in vigore, nonché in contrasto col principio (enunciato in via ricognitiva dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 225 del 2009), per il quale, poiché la disciplina della VAS rientra nella materia della tutela dell’ambiente di competenza dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., la Regione non può ridurre la tutela ambientale, i cui standard minimi siano stati fissati dalla legge statale.

Va pertanto accolta la censura di violazione dell’originario art. 4, comma 3, del d.lg. n 152 del 2006, con le conseguenze che saranno di seguito esposte.

6. Un’altra ragione sostanziale comporta l’accoglimento del ricorso in appello, per le parti concernenti i piani provinciali di Bari e di Foggia.

Essa, sebbene rubricata in un distinto motivo di gravame (il terzo), appare peraltro strettamente connessa, sotto il profilo logico, a quella prima esaminata.

Con la nota n. 8884 del 20 luglio 2009, la Regione Puglia –Servizio Caccia- ha reso il parere sulla valutazione di incidenza ai sensi del d.P.R. n. 357 del 1997 e dell’art. 10 della legge regionale n. 27 del 1998.

Per quanto rileva nel giudizio, l’art. 10 ha previsto:

– al comma 1, che, “Al fine della pianificazione generale del territorio agro-silvo-pastorale, le Amministrazioni provinciali predispongono piani faunistico-venatori articolandoli per comprensori omogenei, comprendenti altresì programmi di valorizzazione ambientale finalizzati alla riproduzione naturale nonché all’immissione della fauna selvatica”;

– al comma 2, che “I piani di cui al comma 1 sono approvati dal consiglio provinciale su proposta della giunta provinciale, previo parere del Comitato tecnico provinciale”;

– al comma 7, che “Nel caso di mancato adempimento da parte delle Amministrazioni provinciali, la giunta regionale esercita i poteri sostitutivi previsti dalla legge”.

Risulta dalla documentazione acquisita che nella nota n. 8884 del 20 luglio 2009 la stessa Regione ha fatto presente la “non totale aderenza della documentazione inviata rispetto a quanto previsto dalla normativa vigente”: constatando che la valutazione espressa dalle Province di Foggia e Bari si era sostanziata in una “sintetica scheda della valutazione di incidenza” nella quale esse avevano affermato che non “era necessario procedere al livello successivo della valutazione”, in quanto i rispettivi piani 2007/2011 erano strettamente connessi con la gestione e conservazione del sito e non sussistevano incidenze significative sui ‘Siti Natura 2000’.

E’ significativo considerare che le conclusioni cui erano giunte le due Province (si veda pag 2 del parere n. 8884) erano state specificamente contestate dalla Regione che, nel proprio parere (dopo avere rilevato il diverso modus procedendi adottato dalle altre Province), ha fatto presente di avere esposto la propria contrarietà alle indicazioni pervenute dalle medesime Province e di avere chiesto loro, inoltre, alcune indicazioni di carattere cartografico.

Tuttavia, il parere n. 8884 richiamato, pur rilevando che non era stata ricevuta risposta alcuna dalle due Province di Bari e Foggia, ha ritenuto “ di potere procedere allo stato degli atti, stante l’urgenza relativa all’approvazione del piano, essendo lo stesso già adottato in giunta regionale con la deliberazione n. 1045 del 23 giugno 2009 ed avendo ottenuto in data 14 luglio 2009 il parere favorevole nella seduta del 14 luglio 2009”.

Il richiamato parere n. 8884 del 20 luglio 2009 ha concluso esprimendo una valutazione favorevole “ai soli fini della valutazione di incidenza”.

Ad avviso della appellata Regione, il vizio riscontrato nel parere da essa stessa reso, con riferimento alla valutazione di incidenza operata dalle Province di Bari e Foggia, sarebbe “superato” dalla valutazione complessiva di incidenza favorevole resa nello stesso atto n. 8884.

Il Collegio, tuttavia, non condivide tale lettura

Valutando tale carenza sotto il profilo intrinseco, ed isolatamente considerandola, infatti, il giudizio che si può trarre è che la valutazione di incidenza, nei termini prescritti dal d.P.R. n. 357 del 1997, art.5, per le Province di Bari e Foggia sia sostanzialmente mancata.

Le medesime Province hanno fornito una sintetica scheda e richiamato le valutazioni espresse in passato per il periodo 2007/2011: esse non hanno così fornito gli apporti previsti dalla legge regionale, al di la della circostanza che la scheda trasmessa faceva riferimento al nomen “valutazione di incidenza ambientale”.

Di ciò si è resa conto la stessa Regione, come risulta dal tenore letterale del richiamato parere n. 8884.

Rileva dunque l’art. 10 della stessa legge regionale n. 27 del 1998, che al settimo comma ha previsto che “nel caso di mancato adempimento da parte delle Amministrazioni provinciali, la giunta regionale esercita i poteri sostitutivi previsti dalla legge”.

Il potere sostitutivo non risulta essere stato attivato da parte della Regione: purtuttavia, si è ugualmente proceduto alla valutazione complessiva di incidenza ed alla approvazione del piano pur nella sostanziale assenza di valutazione di incidenza ambientale resa da parte delle due Province.

Il Collegio ben comprende la complessità sottesa all’approvazione di un atto di pianificazione coinvolgente molteplici e qualificati interessi, nonché le difficoltà per le amministrazioni di coordinare il tempestivo espletamento da parte degli Enti destinatari dei singoli adempimenti.

Va però constatato che il procedimento descritto dalla legge regionale imponeva senza eccezioni un preciso incombente (l’attivazione dei poteri sostitutivi), sia nel caso (di residuale verificazione) in cui un’amministrazione provinciale si fosse limitata ad omettere del tutto l’inoltro della valutazione di incidenza, sia nel caso in cui l’incombente – secondo il convincimento della stessa Regione – fosse stato “sostanzialmente” omesso, sebbene fosse stata inviata una sintetica scheda ad esso facente riferimento.

E ciò tanto più laddove si consideri che la lacuna sostanziale era stata tempestivamente rilevata dalla Regione che, infatti, l’aveva legittimamente contestata alle Province.

La carenza riscontrata vizia irrimediabilmente la procedura nella parte riguardante le due Province di Bari e Foggia, senza che sia possibile, come ipotizzato dalla difesa dell’appellata Regione, che ad essa si supplisca facendo riferimento alla valutazione complessiva espressa dalla Regione con il parere n. 8884/2009 (che appare mancante degli elementi valutativi riferibili alle due medesime Province).

7. Per orientare la successiva attività dell’amministrazione in sede di riedizione del potere, la Sezione ritiene necessario di seguito esaminare le ulteriori doglianze, talune di natura sostanziale, prospettate dall’appellante associazione.

Esse risultano infondate.

8. Va respinta la seconda parte della terza censura di primo grado riproposta a p. 25 segg. dell’appello, che si impernia sulla omessa valutazione di incidenza riferibile alla istituzione di alcune aziende faunistico-venatorie ed agrituristiche venatorie.

Essa, quale argomento volto a rimarcare l’assenza di valutazione di incidenza nelle due province di Bari e Foggia, va dichiarata priva di autonomia e rientrante nel complesso degli elementi militanti per la fondatezza del motivo di doglianza prima esaminato.

Essa invece è infondata, se intesa in via astratta come postulante singole ed autonome valutazioni di incidenza non rientranti nella valutazione complessiva svolta in sede provinciale.

Per l’art. 9 della legge regionale 13 agosto 1998 n. 27, commi 8 e 9, “Il piano faunistico-venatorio regionale determina i criteri per la individuazione dei territori da destinare alla costituzione di aziende faunistico-venatorie, di aziende agro-turistico-venatorie e di centri privati di produzione della fauna selvatica allo stato naturale. Sulla base della individuazione dei piani faunistici venatori provinciali, la Regione istituisce con il piano faunistico venatorio regionale le oasi di protezione, le zone di ripopolamento e cattura, i centri pubblici e privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale, le zone di addestramento cani, nonché gli ATC”.

La resistente amministrazione ha evidenziato che è stato rispettato l’art. 10, comma 5, della legge 11 febbraio 1992, n. 157, per il quale “Il territorio agro-silvo-pastorale regionale può essere destinato nella percentuale massima globale del 15 per cento a caccia riservata a gestione privata ai sensi dell’articolo 16, comma 1, e a centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale. Il territorio agro-silvo-pastorale regionale può essere destinato nella percentuale massima globale del 15 per cento a caccia riservata a gestione privata ai sensi dell’articolo 16, comma 1, e a centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale”.

Esso risulta riprodotto nell’art. 9 della legge regionale n. 27 del 1998, (“6. Il territorio agro-silvo-pastorale regionale può essere destinato, nella percentuale massima globale del 15 per cento, a caccia riservata a gestione privata ai sensi dell’art.17, a centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale ai sensi dell’art.15 e a zone di addestramento cani ai sensi dell’art.18”)

Ad avviso del Collegio, il contestato atto regionale ha legittimamente tenuto conto del medesimo art. 10, comma 5, in quanto applicabile ratione materiae, sicché ha ben potuto valutare le aziende faunistico venatorie e le aziende agrituristico venatorie istituite, rientrando nel plafond del 15 % del territorio agro-silvio-pastorale destinato alla gestione privata rientravano nella complessa valutazione di incidenza espletata a livello provinciale (come esattamente rilevato dal primo giudice, infatti, soltanto i proponenti del piano sono tenuti ad allegare la valutazione di incidenza e la stessa include gli istituti a gestione privatistica).

Analoga indicazione può trarsi dal richiamato art. 9 della legge regionale n. 27 del 1998, laddove, al comma 7, è stabilito unicamente che “il piano faunistico-venatorio regionale determina i criteri per la individuazione dei territori da destinare alla costituzione di aziende faunistico-venatorie, di aziende agro-turistico-venatorie e di centri privati di produzione della fauna selvatica allo stato naturale”

9. Con il quarto motivo, si reitera l’argomento involgente la omissione in cui sarebbe incorso il piano impugnato, allorché non avrebbe riportato le indicazioni contenute nella nota n. 8884 del 20 luglio 2009 del Dirigente dell’Ufficio Parchi, secondo cui l’attività venatoria nelle ZPS della Regione Puglia doveva essere svolta nel rispetto dei divieti elencati alle pagg. 4 e 5 del parere predetto (elencazione dalla lettera A alla lettera K, a propria volta mutuata dal Regolamento regionale n. 28 del 22 dicembre 2008, art. 4 comma IV) .

Senonché – come puntualmente osservato dalla difesa regionale – il parere di valutazione di incidenza n. 8884 del 20 luglio 2009 ha richiamato la elencazione dei divieti dalla lettera A alla lettera K, contenuta nel regolamento regionale n. 28 del 22 dicembre 2008, art. 4 comma IV.

E tale valutazione di incidenza, in quanto facente corpo con il piano faunistico venatorio di cui alla impugnata delibera n. 217 del 2009, consente di affermare che la circostanza che l’elencazione non sia stata ripetuta nella delibera n. 217 è indifferente e neutra, in quanto contenuta in un atto presupposto, inscindibilmente legato al piano, e che di esso – quanto alle prescrizioni contenute- fa parte integrante.

La mancata ripetizione di tale elencazione nel piano non può essere interpretata nel senso della obliterazione da parte dell’amministrazione regionale degli indicati divieti, dal che consegue la reiezione della doglianza.

10. Il quinto motivo dell’appello (come il quanto motivo di primo grado) invoca l’art. 7 della legge n. 152 del 1992, per affermare l’illegittimità dell’omessa acquisizione del parere dell’INFS.

Ritiene la Sezione che la censura vada respinta.

A tale Istituto sono affidati i compiti di (art. 7, comma 3) “censire il patrimonio ambientale costituito dalla fauna selvatica, di studiarne lo stato, l’evoluzione ed i rapporti con le altre componenti ambientali, di elaborare progetti di intervento ricostitutivo o migliorativo sia delle comunità animali sia degli ambienti al fine della riqualificazione faunistica del territorio nazionale, di effettuare e di coordinare l’attività di inanellamento a scopo scientifico sull’intero territorio italiano, di collaborare con gli organismi stranieri ed in particolare con quelli dei Paesi della Comunità economica europea aventi analoghi compiti e finalità, di collaborare con le università e gli altri organismi di ricerca nazionali, di controllare e valutare gli interventi faunistici operati dalle regioni e dalle province autonome, di esprimere i pareri tecnico-scientifici richiesti dallo Stato, dalle regioni e dalle province autonome”.

Il parere dell’Istituto ai sensi dell’art. 33, comma 2, della legge regionale n. 27 del 1998 è previsto in sede di predisposizione del calendario venatorio (“Il calendario venatorio regionale, predisposto sulla base delle proposte formulate dalle Provincie e dal Comitato tecnico faunistico regionale di cui all’art.5, è deliberato dalla Giunta regionale, sentiti l’INFS e la Commissione consiliare permanente competente ed è pubblicato sul BURP”) e per la istituzione delle aziende faunistico-venatorie ed agrituristiche venatorie.

Né la legge regionale, né le disposizioni nazionali hanno prescritto il parere dell’Istituto per la predisposizione del piano faunistico venatorio (v. in particolare l’art. 18 della legge nazionale 11 febbraio 1992, n.157).

11. Quanto al sesto motivo del ricorso in appello (laddove ci si duole della omessa introduzione del divieto di caccia nell’area di Capo d’Otranto e sulla rotta Margherita-Manfredonia –aree, queste ultime, connotate da notevole flusso di rapaci), la doglianza è infondata.

La censura ha riproposto l’intera gamma degli argomenti critici prospettati in primo grado, senza considerare che il TAR ha motivatamente respinto tutte le censure perché infondate, rilevando che sia l’area di Capo d’Otranto che quella riconducibile alla rotta Margherita-Manfredonia erano state ricomprese in due parchi naturali (rispettivamente la prima nel “Parco Naturale Regionale Costa d’Otranto – Santa ***** di Leuca e Bosco Tricase” e la seconda nel Parco Nazionale del Gargano).

In entrambi i casi, ha rilevato il TAR che erano state stabilite misure di conservazione maggiori e più rigide rispetto a quelle previste per le Oasi di protezione, e che, quanto alle aree protette della rotta di Margherita – Manfredonia nella Provincia di Foggia, erano stati istituiti SIC e ZPS su tutta l’area costiera interessata.

La critica dell’appellante non contesta tali affermazioni (neppure nella parte in cui fanno espresso riferimento alla esistenza di misure di salvaguardia su dette aree maggiori di quelle previste dal pregresso piano risalente al 1999 e maggiori di quelle riservate alle oasi di protezione) e si limita a rilevare che da detta perimetrazione sarebbero rimaste escluse talune porzioni di territorio, senza però fornire specifiche prove né delle incidenza di tale esclusione né, soprattutto, della incidenza favorevole dell’incontestato incremento di protezione ascrivibile alla inclusione delle aree predette nei parchi.

12. Va anche respinto il settimo motivo del ricorso in appello.

Incontestata rimanendo anche da parte dell’appellante associazione (pag. 43 dell’appello) l’affermazione contenuta nell’appellata sentenza che l’amministrazione si era rifatta a dati forniti dall’Istat, e rilevata l’assenza di prova circa la circostanza che tali dati non fossero aggiornati (espressamente il contrario è affermato all’ultimo capoverso di pag. I del piano), essa si fonda su una non condivisibile interpretazione dell’art. 10, comma 10, della legge n. 157 del 1992 (per la quale “le regioni attuano la pianificazione faunistico-venatoria mediante il coordinamento dei piani provinciali di cui al comma 7 secondo criteri dei quali l’Istituto nazionale per la fauna selvatica garantisce la omogeneità e la congruenza a norma del comma 11, nonché con l’esercizio di poteri sostitutivi nel caso di mancato adempimento da parte delle province dopo dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge”).

Il medesimo art. 10, comma 10, non prescrive affatto, come già in precedenza rilevato, che dovesse acquisirsi il parere dell’INFS, ma unicamente che quest’ultimo fosse chiamato a dettare criteri omogenei.

Il successivo comma 11, infatti, è esplicito nel rilevare che si trattava di criteri orientativi e aggiornabili, non relativi ad un singolo piano faunistico venatorio predisposto da una singola Regione (“entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, l’Istituto nazionale per la fauna selvatica trasmette al Ministro dell’agricoltura e delle foreste e al Ministro dell’ambiente il primo documento orientativo circa i criteri di omogeneità e congruenza che orienteranno la pianificazione faunistico-venatoria. I Ministri, d’intesa, trasmettono alle regioni con proprie osservazioni i criteri della programmazione, che deve essere basata anche sulla conoscenza delle risorse e della consistenza faunistica, da conseguirsi anche mediante modalità omogenee di rilevazione e di censimento”).

Le ulteriori articolazioni della censura hanno ad oggetto singole modeste discrasie temporali, non rivestenti portata viziante, avuto riguardo alla imponenza del territorio regolamentato dal piano di coordinamento impugnato e, soprattutto, in quanto prive di valenza sostanziale.

Quanto infine alla circostanza relativa alla lamentata inattualità dei dati forniti dal Corpo Forestale con riferimento alle superfici percorse dal fuoco, da un canto risulta che l’amministrazione procedente ha preso atto dei dati oggettivi alla stessa forniti.

Peraltro, risulta condivisibile la precisazione del primo giudice secondo cui, “seppur ulteriori superfici non censite fossero state percorse dal fuoco, dette superfici sarebbero comunque precluse all’attività venatoria per dieci anni ai sensi della legge n. 353/2000.”

13. Per le ragioni che precedono, l’appello va in parte accolto, in ragione delle rilevate illegittimità del piano faunistico venatorio, approvato con la delibera n. 217 del 2009.

Quanto alle conseguenze del disposto accoglimento, ritiene il Collegio di dovere puntualizzare quanto segue.

14. Circa la portata conformativa della presente sentenza (che si può senz’altro precisare, ai sensi dell’art. 34, comma 1, lettera e), prima frase, del Codice del processo amministrativo), ritiene innanzitutto la Sezione che, in sede di emanazione degli atti ulteriori, la Regione debba dare applicazione alle disposizioni nazionali sulla VAS, contenute nel decreto legislativo n 4 del 2008.

Tali disposizioni più stringenti potevano non essere applicate nell’originario procedimento, in quanto la Regione avrebbe dovuto applicare unicamente le disposizioni sulla VAS di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006 (come consentito dall’art. 35, comma 2 ter, introdotto con il d.lg. n. 4 del 2008).

In sede di rinnovazione del procedimento, essendo scaduto il termine previsto dal richiamato art. 35, al comma 1, si deve ritenere applicabile il principio tempus regit actum.

15. Inoltre, considerate le circostanze, ritiene la Sezione che la presente sentenza debba avere unicamente effetti conformativi del successivo esercizio della funzione pubblica, e non anche i consueti effetti ex tunc di annullamento, demolitori degli effetti degli atti impugnati, né quelli ex nunc

15.1. Di regola, in base ai principi fondanti la giustizia amministrativa, l’accoglimento della azione di annullamento comporta l’annullamento con effetti ex tunc del provvedimento risultato illegittimo, con salvezza degli ulteriori provvedimenti della autorità amministrativa, che può anche retroattivamente disporre con un atto avente effetti ‘ora per allora’.

Tale regola fondamentale è stata affermata ab antiquo et antiquissimo tempore da questo Consiglio (come ineluttabile corollario del principio di effettività della tutela), poiché la misura tipica dello Stato di diritto – come affermatosi con la legge fondamentale del 1889, istitutiva della Quarta Sezione del Consiglio di Stato – non può che essere quella della eliminazione integrale degli effetti dell’atto lesivo per il ricorrente, risultato difforme dal principio di legalità.

15.2. Tuttavia, quando la sua applicazione risulterebbe incongrua e manifestamente ingiusta, ovvero in contrasto col principio di effettività della tutela giurisdizionale, ad avviso del Collegio la regola dell’annullamento con effetti ex tunc dell’atto impugnato a seconda delle circostanze deve trovare una deroga, o con la limitazione parziale della retroattività degli effetti (Sez. VI, 9 marzo 2011, n. 1488), o con la loro decorrenza ex nunc ovvero escludendo del tutto gli effetti dell’annullamento e disponendo esclusivamente gli effetti conformativi.

La legislazione ordinaria non preclude al giudice amministrativo l’esercizio del potere di determinare gli effetti delle proprie sentenze di accoglimento.

Da un lato, la normativa sostanziale e quella processuale non dispongono l’inevitabilità della retroattività degli effetti dell’annullamento di un atto in sede amministrativa o giurisdizionale (cfr. l’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 e l’art. 34, comma 1, lettera a), del Codice del processo amministrativo).

D’altro lato, dagli articoli 121 e 122 del Codice emerge che la rilevata fondatezza di un ricorso d’annullamento può comportare l’esercizio di un potere valutativo del giudice, sulla determinazione dei concreti effetti della propria pronuncia.

Tale potere valutativo, attribuito per determinare la perduranza o meno degli effetti di un contratto, per le ragioni di seguito esposte, va riconosciuto al giudice amministrativo in termini generali, quando si tratti di determinare la perduranza o meno degli effetti di un provvedimento.

16. Il giudice amministrativo, nel determinare gli effetti delle proprie statuizioni, deve ispirarsi al criterio per cui esse, anche le più innovative, devono produrre conseguenze coerenti con il sistema (e cioè armoniche con i principi generali dell’ordinamento, e in particolare con quello di effettività della tutela) e congruenti (in quanto basate sui medesimi principi generali, da cui possa desumersi in via interpretativa la regula iuris in concreto enunciata).

17. Nel caso di specie (e con riferimento al criterio della coerenza col sistema e col principio di effettività della tutela da attuare nei confronti dell’appellante, vincitrice nel giudizio), si deve tenere conto di due decisive considerazioni:

a) il ricorso di primo grado è stato proposto da una associazione ambientalista, non a tutela della sua specifica sfera giuridica, bensì nella qualità di soggetto legittimato ex lege ad impugnare i provvedimenti di portata generale che in qualsiasi modo abbiano una negativa incidenza sull’ambiente e sulle sue singole componenti, ovvero non lo abbiano adeguatamente tutelato (v. l’art. 18 della legge n. 349 del 1986);

b) il medesimo ricorso di primo grado non ha mirato a far rimuovere in quanto tali gli atti generali impugnati, bensì a farne rilevare l’illegittimità per l’inadeguatezza della tutela prevista dal piano faunistico approvato dalla Regione Puglia, inadeguatezza da considerare in re ipsa per il fatto che non sia stato posto in essere il prescritto procedimento di valutazione ambientale strategica (così mancando le più compiute valutazioni di merito), la cui conclusione avrebbe potuto ragionevolmente indurre l’Autorità regionale ad emanare prescrizioni più restrittive, limitative dei comportamenti potenzialmente incidenti sull’ambiente e su alcune delle sue componenti.

Ove il Collegio annullasse ex tunc ovvero anche ex nunc il piano in ragione della mancata attivazione della VAS, sarebbero travolte tutte le prescrizioni del piano, e ciò sia in contrasto con la pretesa azionata col ricorso di primo grado, sia con la gravissima e paradossale conseguenza di privare il territorio pugliese di qualsiasi regolamentazione e di tutte le prescrizioni di tutela sostanziali contenute nel piano già approvato (retrospettivamente o a decorrere dalla pubblicazione della presente sentenza, nei casi rispettivamente di annullamento ex tunc o ex nunc).

In altri termini, l’annullamento ex tunc e anche quello ex nunc degli atti impugnati risulterebbero in palese contrasto sia con l’interesse posto a base dell’impugnazione, sia con le esigenze di tutela prese in considerazione dalla normativa di settore, e si ritorcerebbe a carico degli interessi pubblici di cui è portatrice ex lege l’associazione appellante.

18. Ritiene la Sezione che tali conclusioni paradossali possano essere agevolmente evitate, facendo applicazione dei principi nazionali sulla effettività della tutela giurisdizionale, nonché dei pacifici principi enunciati dalla Corte di Giustizia, e applicabili anche nel sistema nazionale, nei casi di constatata invalidità di un atto di portata generale.

18.1. Quanto al principio di effettività della tutela giurisdizionale, desumibile dagli articoli 6 e 13 della CEDU, dagli artt. 24, 111 e 113 della Costituzione e dal Codice del processo amministrativo, si deve ritenere che la funzione primaria ed essenziale del giudizio è quella di attribuire alla parte che risulti vittoriosa l’utilità che le compete in base all’ordinamento sostanziale.

La fondatezza delle censure della associazione appellante – legittimata ad impugnare gli atti generali comunque viziati e lesivi per l’ambiente – non può indurre il giudice amministrativo ad emettere statuizioni che vanifichino l’effettività della tutela o, addirittura, che si pongano in palese contrasto con le finalità poste a base della iniziativa processuale.

In applicazione del principio sancito dall’art. 1 del Codice del processo amministravo (sulla ‘tutela piena ed effettiva’), il giudice può emettere le statuizioni che risultino in concreto satisfattive dell’interesse fatto valere e deve interpretare coerentemente ogni disposizione processuale.

18.2. Quanto alla rilevanza nel sistema nazionale dei principi europei (anch’essi richiamati dall’art. 1 del Codice), va premesso che – per l’articolo 264 del Trattato sul funzionamento della Unione Europea – la Corte di Giustizia, ove lo reputi necessario, può precisare ‘gli effetti dell’atto annullato che devono essere considerati definitivi’.

La giurisprudenza comunitaria ha da tempo affermato che il principio dell’efficacia ex tunc dell’annullamento, seppur costituente la regola, non ha portata assoluta e che la Corte può dichiarare che l’annullamento di un atto (sia esso parziale o totale) abbia effetto ex nunc o che, addirittura, l’atto medesimo conservi i propri effetti sino a che l’istituzione comunitaria modifichi o sostituisca l’atto impugnato (Corte di Giustizia, 5 giugno 1973, Commissione c. Consiglio, in C-81/72; Corte di Giustizia, 25 febbraio 1999, Parlamento c. Consiglio, in C-164/97 e 165/97).

Tale potere valutativo prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona era previsto espressamente nel caso di riscontrata invalidità di un regolamento comunitario (v. l’art. 231 del Trattato istitutivo della Comunità Europea), ma era esercitabile – ad avviso della Corte – anche nei casi di impugnazione delle decisioni (Corte di Giustizia, 12 maggio 1998, Regno Unito c Commissione, in C-106/96), delle direttive e di ogni altro atto generale (Corte di Giustizia, 7 luglio 1992, Parlamento c. Consiglio, in C-295/90; 5 luglio 1995, Parlamento c Consiglio, in C-21-94).

La Corte di Giustizia è dunque titolare anche del potere di statuire la perduranza, in tutto o in parte, degli effetti dell’atto risultato illegittimo, per un periodo di tempo che può tenere conto non solo del principio di certezza del diritto e della posizione di chi ha vittoriosamente agito in giudizio, ma anche di ogni altra circostanza da considerare rilevante (Corte di Giustizia, 10 gennaio 2006, in C-178/03; 3 settembre 2008, in C-402/05 e 415/05; 22 dicembre 2008, in C-333/07).

Tale giurisprudenza, come sopra segnalato, ha ormai trovato un fondamento testuale nel secondo comma dell’art. 264 (ex 231) del Trattato di Lisbona sul funzionamento della Unione Europea, che non contiene più il riferimento delimitativo alla categoria dei regolamenti (“Se il ricorso è fondato, la Corte di giustizia dell’Unione europea dichiara nullo e non avvenuto l’atto impugnato. Tuttavia la Corte, ove lo reputi necessario, precisa gli effetti dell’atto annullato che devono essere considerati definitivi”).

18.3. Ciò posto, ritiene la Sezione che – nel rispetto del principio di congruenza, per il quale la propria statuizione deve fondarsi quanto meno su regole disciplinanti un caso analogo – anche il giudice amministrativo nazionale possa differire gli effetti di annullamento degli atti impugnati, risultati illegittimi, ovvero non disporli affatto, statuendo solo gli effetti conformativi, volti a far sostituire il provvedimento risultato illegittimo.

Da un lato il sopra richiamato principio di effettività della tutela impone di emettere una sentenza che sia del tutto coerente con le istanze di tutela e di giustizia.

Dall’altro, non può disconoscersi che – in una materia quale quella ambientale, per la quale vi è la competenza concorrente dell’Unione e degli Stati – gli standard della tutela giurisdizionale non possano essere diversi, a seconda che gli atti regolatori siano emessi in sede comunitaria o nazionale (e, dunque, che la controversia vada decisa o meno dal giudice dell’Unione).

Il giudice nazionale ove occorra può applicare le collaudate regole applicate dal giudice dell’Unione, spesso basate sul semplice buon senso, così come lo stesso giudice dell’Unione, nell’esercizio delle sue altissime funzioni, assicura “il rispetto dei principi generali comuni ai diritti degli Stati membri” (per l’art. 340 del medesimo Trattato sul funzionamento dell’Unione).

18.4. Tenuto conto di questo continuo processo di osmosi tra i principi applicabili dal giudice dell’Unione e quelli desumibili dagli ordinamenti degli Stati membri, nella fattispecie in esame la Sezione ritiene dunque che sia necessario:

– non statuire gli effetti di annullamento degli atti impugnati in primo grado e di disporre unicamente gli effetti conformativi delle statuizioni della presente sentenza;

– disporre che i medesimi atti conservino i propri effetti sino a che la Regione Puglia li modifichi o li sostituisca.

Sarebbe infatti contrario al buon senso, oltre che in contrasto con l’interesse fatto valere in giudizio, disporre l’annullamento ex tunc o ex nunc delle misure di tutela già introdotte, sol perché esse siano risultate insufficienti (non essendovi, né essendo stata prospettata, una normativa suppletiva di salvaguardia).

Per di più, nel caso di specie, lo strumento generale programmatorio e di regolamentazione è risultato privo di specifici vizi sostanziali (pur se – per il procedimento seguito – è ragionevole supporre che la mancanza della VAS abbia inciso sul suo contenuto, per l’assenza di valutazioni degli ulteriori profili di tutela prescritti dalla normativa di settore).

19. In conclusione, il Collegio ritiene dunque di statuire che l’accoglimento dell’appello in epigrafe, e del corrispondente ricorso di primo grado, comporta unicamente la produzione di effetti conformativi, in assenza di effetti caducatori e d’annullamento, in quanto la Regione Puglia deve emanare ulteriori provvedimenti, sostitutivi ex nunc di quelli risultati illegittimi e che tengano conto dei medesimi effetti conformativi e della sopravvenuta entrata in vigore del decreto legislativo n. 4 del 2008.

Inoltre, la Sezione ritiene di statuire che la Regione Puglia proceda alla approvazione dell’ulteriore piano faunistico venatorio, rilevante fino all’anno 2014, entro il termine di dieci mesi, decorrente dalla notificazione o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, nel rispetto delle precedenti considerazioni e anche esercitando i poteri sostitutivi che le spettano, nei tempi da essa determinati, nel caso di inadeguata collaborazione di altre pubbliche amministrazioni.

Qualora il termine di dieci mesi decorra in assenza di determinazioni regionali, nel caso di proposizione del giudizio di ottemperanza la Sezione potrà valutare tutte le circostanze ed esercitare i poteri previsti dal Codice del processo amministrativo, anche quelli riguardanti le misure dissuasorie della eventuale inottemperanza.

Resta comunque inteso che, in attesa della rinnovata emanazione (con effetti di per sé non retroattivi) del piano faunistico regionale, nel rispetto dei procedimenti previsti dalle leggi, rimangono ferme tutte le prescrizioni contenute nella deliberazione n. 217 del 21 luglio 2009 del consiglio regionale della Puglia, così come resta inteso che la presente sentenza non produce ulteriori conseguenze, sulla legittimità e sulla efficacia di qualsiasi atto o provvedimento che sia stato emesso in applicazione o a seguito della medesima deliberazione, ovvero che sia emesso fino a quando sia approvato il nuovo piano faunistico venatorio regionale efficace sino all’anno 2014.

20. Per le ragioni che precedono, l’appello in esame va accolto nei limiti sopra precisati e con le conseguenze conformative sopra determinate.

In ragione della reciproca soccombenza, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese dei due gradi del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello n. 1846 del 2010, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente nei termini di cui alla motivazione e, per l’effetto, in riforma dell’appellata sentenza:

– accoglie il ricorso di primo grado n. 1683 del 2009 e rileva che la delibera n. 217 del 2009 del Consiglio Regionale della Puglia è stata emanata in assenza dell’attivazione del procedimento sulla valutazione ambientale strategica, prescritto dalla legislazione di settore;

– mantiene fermi, come precisato in motivazione, tutti gli effetti dei provvedimenti impugnati in primo grado e, in particolare, della medesima delibera n. 217 del 21 luglio 2009, anche per la verifica della legittimità e della efficacia degli atti conseguenti;

– dichiara il dovere della Regione Puglia di procedere alla rinnovata emanazione – con effetti ex nunc – del piano faunistico venatorio regionale efficace fino all’anno 2014 e di concludere il relativo procedimento entro il termine di dieci mesi, decorrente dalla notificazione o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza;

– compensa tra le parti le spese e gli onorari dei due gradi del giudizio;

– dispone che copia della presente sentenza sia comunicata, a cura della Segreteria, anche al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2011

Redazione