Confisca per equivalente: non può essere disposta sul profitto di un reato che si è prescritto (Cass. pen. n. 18799/2013)

Redazione 29/04/13
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Ritenuto in fatto

1. Con decisione del 17 gennaio 2011 la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza emessa il 18 gennaio 2010 dal G.u.p. del Tribunale di Milano in sede di giudizio abbreviato ed appellata da M.A., M.E.F., F.M. e S.F., dichiarava non doversi procedere nei loro confronti per i reati di corruzione e truffa contestati ai capi 5) e 7) per intervenuta prescrizione limitatamente ai fatti commessi entro il (omissis) – per le altre condotte i giudici ritenevano che le spontanee dichiarazioni rese dal coindagato D..V. in data 19.11.2005 avessero determinato l’interruzione della prescrizione – e, conseguentemente, riducevano le pene inflitte agli imputati sopra menzionati con riferimento al reato associativo di cui al capo 1) e per gli altri residui reati, confermando le confische disposte e la condanna al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite.
2. Con sentenza del 12 settembre 2011 la Corte di cassazione dichiarava inammissibili i ricorsi presentati dagli stessi imputati sopra indicati avverso la decisione di secondo grado.
3. Contro la sentenza della Corte di cassazione A.M., M.E.F., M.F. e F.S. proponevano ricorso straordinario ai sensi dell’art. 625-bis c.p.p., assumendo che il giudice di legittimità fosse incorso in un errore di fatto avente ad oggetto la decisione di secondo grado sul punto riguardante la confisca.
4. Con decisione del 21 giugno 2012 la Corte di Cassazione ha dichiarato ammissibile il ricorso per errore di fatto, annullando la decisione impugnata e rinviando per la trattazione del ricorso straordinario.
In particolare, è stato ritenuto che la precedente sentenza del 12 settembre 2011 abbia basato la sua decisione su un presupposto inesistente, frutto di un errore di fatto, per avere considerato che i giudici d’appello avessero riferito la confisca anche al reato di associazione per delinquere, laddove la misura di sicurezza risultava applicata solo in relazione ai reati di truffa e di corruzione, entrambi dichiarati estinti per prescrizione, richiamando quell’orientamento giurisprudenziale che consente di mantenere la misura di sicurezza patrimoniale anche in relazione alle fattispecie dichiarate estinte a seguito di prescrizione.
Tale errata percezione ha determinato la Corte di legittimità a considerare che la confisca non fosse stata oggetto di impugnazione, dichiarando inammissibili i ricorsi.
Pertanto, in questa sede devono essere esaminati gli originari motivi proposti nei ricorsi da M.E.F., F.M., S.F. e M..A. con riferimento alle confische disposte per i reati di truffa e corruzione dichiarati prescritti.

Considerato in diritto

5. I ricorsi sono fondati.
5.1. Il primo giudice, con riferimento ai reati di corruzione e truffa contestati ai capi 5) e 7), aveva disposto ai sensi degli artt. 322 ter e 640 quater c.p. la confisca di beni mobili, immobili e crediti fino all’ammontare di Euro 670.701 per F.M.E. , di Euro 191.641 per F.M. e F.S. ed Euro 666.824 per M.A. .
La Corte d’appello ha confermato la sentenza su questo punto, nonostante l’intervenuta prescrizione del reato, richiamando l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, in caso di estinzione del reato, il giudice dispone di poteri di accertamento sul fatto-reato, sicché può ordinare la confisca non solo delle cose oggetti va mente criminose per loro intrinseca natura, ma anche di quelle che sono considerate tali dal legislatore per il loro collegamento con uno specifico fatto-reato.
Tuttavia, sul punto la motivazione della sentenza è piuttosto ellittica sia sul tipo di confisca – potendo solo indirettamente desumersi che si tratti di confisca di valore -, sia sulla quantificazione, in quanto non sembra prendere in considerazione quanto dedotto da alcuni ricorrenti circa parziali restituzioni di somme.
Ma, soprattutto, la decisione impugnata segue acriticamente l’orientamento che ammette la confiscabilità di beni anche in presenza di reati estinti per dichiarata prescrizione, senza considerare che nella specie si è trattato di una confisca per equivalente.
Le decisioni citate dai giudici d’appello (Sez. II, 25 maggio 2010, n. 32273, ******* e Sez. I, 4 dicembre 2008, n. 2453, **********, cui può aggiungersi anche Sez. II, 5 ottobre 2011, n. 39756, **********) hanno ad oggetto la confisca obbligatoria prevista dall’art. 240 c.p., cioè una misura di sicurezza patrimoniale ed è proprio con riferimento a tale natura che la confisca è stata ritenuta applicabile anche in caso di estinzione del reato per prescrizione.
Si tratta di un indirizzo interpretativo che riconosce la possibilità di applicazione della confisca obbligatoria a norma dell’art. 240 comma 2 n. 1) c.p. (alcune pronunce si riferiscono anche all’art. 12-sexies d.l. n. 306 del 1992) nell’ipotesi di estinzione del reato facendo leva sul combinato disposto degli artt. 210 e 236 c.p., cioè su norme specificamente dedicate alle misure di sicurezza e che, in relazione alla confisca, prevedono una deroga al principio stabilito dal citato art. 210 c.p. secondo cui l’estinzione del reato impedisce l’applicazione delle misure di sicurezza. Invero, le ragioni in base alle quali le decisioni citate giustificano il ricorso alla confisca nonostante l’intervenuta estinzione del reato sono più articolate, insistendo, da un lato, sul fatto che la misura di sicurezza della confisca obbligatoria risponde ad una duplice finalità, cioè “colpire il soggetto che ha acquisito i beni illecitamente” ed “eliminare in maniera definitiva dal mondo giuridico e dai traffici commerciali valori patrimoniali la cui origine risale all’attività criminale posta in essere, essendo il provvedimento ablativo correlato ad una precisa connotazione obiettiva di illiceità che investe la res determinandone la pericolosità in sé”; dall’altro, sulla circostanza che anche la dichiarazione di estinzione del reato può essere preceduta da una pronuncia di condanna che riconosca la sussistenza del reato cui la confisca è collegata.
Occorre sottolineare come le decisioni citate si pongano in contrasto con altro e contrario orientamento della giurisprudenza di questa Corte, espresso anche dalle Sezioni unite (Sez. un., 10 luglio 2008, n. 38834, *******; Sez. II, 4 marzo 2010, n. 12325, *******; Sez. VI, 9 febbraio 2011, n. 8382, ******), secondo cui l’estinzione del reato preclude la confisca delle cose che ne costituiscono il prezzo, prevista come obbligatoria dall’art. 240 comma 2, n. 1 c.p., orientamento che mette in evidenza come la misura di sicurezza patrimoniale presupponga necessariamente la condanna. In altri termini, l’estinzione del reato per prescrizione impedisce la confisca, anche se obbligatoria, delle cose che ne costituiscono il prezzo, perché la misura ablativa è prevista non in ragione dell’intrinseca illiceità delle stesse, bensì in forza del loro peculiare collegamento con il reato, “il cui positivo accertamento è necessario presupposto” (in questi termini, Sez. VI, 9 febbraio 2011, n. 8382, ******).
5.2. Tuttavia, non si ritiene di dover entrare ulteriormente nello specifico di queste sentenze, perché la fattispecie in esame presenta delle radicali differenze dovute al fatto, già sottolineato, che la confisca applicata dalla decisione impugnata è quella per equivalente (o di valore) prevista dagli artt. 322-ter e 640-ter c.p..
Come è noto quella per equivalente è una forma di confisca che si inserisce nel percorso evolutivo di questo complesso istituto che si presenta sotto specie diverse, in quanto strumento che si è rivelato particolarmente duttile nel perseguire lo scopo politico-criminale di sottrarre gli utili derivanti dalle attività criminose. Si tratta di un provvedimento ablativo che può avere ad oggetto denaro, beni o altre utilità di cui l’imputato abbia la disponibilità per un valore corrispondente al prezzo, al prodotto o al profitto del reato previsto per alcune fattispecie di reato – tra cui i delitti in materia di corruzione e le truffe, come nel caso in questione – per cui sia intervenuta una sentenza di condanna o di “patteggiamento” e sia impossibile identificare fisicamente le cose che di tali reati costituiscono effettivamente il prezzo o il profitto.
Pertanto, la confisca per equivalente trova il suo fondamento e limite nel vantaggio tratto dal reato e prescinde dalla pericolosità derivante dalla res, in quanto non è commisurata né alla colpevolezza dell’autore del reato, né alla gravità della condotta, avendo come obiettivo quello di impedire al colpevole di garantirsi le utilità ottenute attraverso la sua condotta criminosa.
Ne consegue che nonostante la definizione codicistica dell’istituto come misura di sicurezza patrimoniale, l’effettiva ratio di questo tipo di confisca consista in un ampliamento oggettivo delle cose confiscabili per finalità prevalentemente sanzionatore. Proprio l’inadeguatezza del modello tradizionale di confisca – che deve riguardare necessariamente gli stessi beni su cui ha avuto incidenza il reato e che richiede, quindi, la sussistenza del nesso di pertinenzialità tra bene e reato – ha determinato il legislatore ad introdurre l’ipotesi della confisca c.d. di valore, che può essere disposta solo quando non è possibile procedere alla confisca “ordinaria”. Scopo di questo istituto è quello di superare le angustie della confisca “tradizionale”, rispetto alla quale si pone in un rapporto di alter natività – sussidiarietà, per la sua attitudine a costituire un rimedio alle difficoltà di apprensione dei beni coinvolti nella vicenda criminale, cioè a supplire agli ostacoli connessi alla individuazione del bene in cui si incorpora il profitto e di consentire la confisca anche nel caso in cui l’apprensione del prezzo o del profitto derivante dal reato non sia più possibile in conseguenza dell’avvenuta cessione a terzi oppure a causa di forme di occultamento o, semplicemente, perché i beni sono stati consumati.
In questi casi la confisca per equivalente consente di aggredire ugualmente il profitto illecito perché si riferisce al valore illecitamente acquisito. È evidente, quindi, come il nesso eziologico tra i beni oggetto di confisca e il fatto-reato dimostri una tendenza ad allentarsi fino a scomparire, in quanto il provvedimento ablatorio colpisce i beni indipendentemente dal loro collegamento, diretto o mediato, con il reato. Allora, la provenienza dei beni da reato non rappresenta più oggetto di prova, dal momento che scompare ogni relazione di tipo causale.
Ed è proprio in base a queste caratteristiche della confisca per equivalente che la giurisprudenza – sostenuta dalla dottrina – ne valorizza la natura sanzionatoria.
D’altra parte, a mettere in crisi l’inquadramento tradizionale della confisca in quanto tale è stata anche la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, che in più occasioni ha riconosciuto alla confisca natura di “pena” ai sensi dell’art. 7 della C.e.d.u., rilevando come tale misura non tenda alla riparazione pecuniaria di un danno, ma si ponga obiettivi preventivi e repressivi, funzioni queste che appartengono alle sanzioni penali (cfr., Corte eur. dir. uomo, 20 gennaio 2009, Fondi Sud s.r.l. e. Italia, nonché 1 marzo 2007, Geerings c. Paesi *****).
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 97 del 2009, relativa ad una ipotesi di confisca per equivalente, richiamandosi ad un’altra pronuncia della Corte Europea dei diritti dell’uomo (sentenza n. 307A/1995, ***** c. Regno Unito), ha ritenuto che non abbia natura di misura di sicurezza, negando che questo tipo di confisca potesse essere applicata in via retroattiva ai sensi dell’art. 200 c.p. e facendo, invece, espresso riferimento agli artt. 25 Cost. e 2 c.p.
Nello stesso senso si è espressa anche la giurisprudenza della Corte di cassazione, che ha negato l’applicazione retroattiva della confisca di valore invocando anche l’art. 7 della C.e.d.u. (Sez. II, 29 gennaio 2009, n. 11912, *******) e sottolineando la natura afflittiva e sanzionatoria di questo tipo di confisca (Sez. III, 24 settembre 2008, n. 39172, Canisto; Sez. III, 24 settembre 2008, n. 39173, **********; Sez. VI, 18 febbraio 2009, n. 13098, *****; Sez. V, 26 ottobre 2010, n. 11288, ******, tutte riferite all’art. 322 ter c.p. in materia tributaria; v., inoltre, Sez. I, 28 febbraio 2012, n. 11768, ********; Sez. II, 13 maggio 2010, n. 21027, ********).
D’altra parte, le Sezioni unite hanno sottolineato come con il termine confisca il legislatore identifica misure ablative di diversa natura, in base al contesto normativo cui si riferisce, riconoscendo la natura di sanzione principale, autonoma e obbligatoria alla confisca prevista dall’art. 19 d.lgs. 231 del 2001 (Sez. un., 27 marzo 2008, n. 26654, ******************): è vero che la confisca a carico degli enti è espressamente qualificata come sanzione principale dal citato art. 19, ma è interessante notare che questa decisione valorizza la natura afflittiva della misura – in tutto simile, quanto a struttura, all’art. 322-ter c.p., contemplando anche la forma per equivalente – e la sua funzione di deterrenza, in vista di prevenzione generale e speciale.
Ebbene, secondo le decisioni citate la natura sanzionatoria è desumibile dalla confiscabilità di beni che, oltre a non avere alcun rapporto con la pericolosità individuale del reo, non hanno un collegamento diretto neppure con il singolo reato e la cui ratio è quella di privare il reo di un qualunque beneficio economico dell’attività criminosa, anche di fronte all’impossibilità di aggredire l’oggetto principale, nella convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale strumento.
5.3. Da quanto precede deriva che proprio la natura sanzionatoria impedisce che la confisca per equivalente possa trovare applicazione anche in relazione al prezzo o al profitto derivante da un reato estinto per prescrizione: una volta che questo tipo di confisca viene accostata ad una sanzione di natura penale è indispensabile che sia preceduta da una pronuncia di condanna, dovendo escludersi che possa trovare applicazione il regime sulle misure di sicurezza patrimoniale, come gli artt. 200, 210 e 236 c.p. che, come si è visto, derogano ai principi penalistici della irrevocabilità e della inapplicabilità della sanzione penale in caso di estinzione del reato. Del resto appare difficile offrire una diversa lettura delle specifiche disposizioni contenute nell’art. 322-ter c.p. che, appunto, subordina la confisca, anche quella di valore, alla condanna o all’applicazione della pena su richiesta delle parti: la confisca per equivalente può essere applicata, al pari delle sanzioni penali, solo a seguito dell’accertamento della responsabilità dell’autore del reato.
In conclusione, deve affermarsi il principio che l’estinzione del reato preclude la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo (e il profitto), prevista come obbligatoria dall’art. 322-ter c.p., richiamato anche dall’art. 640-quater c.p..
6. Ne consegue, che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano che nel nuovo giudizio, limitato alla confisca disposta in relazione ai reati di truffa e di corruzione dichiarati prescritti, dovrà attenersi al principio di diritto sopra enunciato.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle confische disposte per reati già prescritti e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.

Redazione