Confisca: nessuna estinzione del preesistente diritto di pegno (Cass. pen. n. 36990/2012)

Redazione 26/09/12
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con decreto 18/1/11 il Tribunale di Napoli, sezione per l’applicazione delle misure di prevenzione, rigettava l’opposizione ex art. 667 c.p.p., comma 4 (così qualificato con sentenza 1/4/09 della S.C. il ricorso per cassazione originariamente proposto), con la quale la ******à Intesa-San Paolo Spa aveva impugnato il provvedimento 23/5/08 con cui il Tribunale di Napoli aveva respinto il ricorso del detto Istituto che chiedeva la revoca della confisca in prevenzione, definitiva nei confronti di tale D.R.A., degli immobili sui quali il Banco di Napoli (dante causa dell’opponente, non intervenuto nè posto in grado di intervenire nel relativo processo) aveva trascritto alcune ipoteche, prima del sequestro degli immobili stessi e comunque in buona fede (stato soggettivo che in subordine chiedeva venisse riconosciuto ai fini degli ulteriori rimedi civilistici esperibili a garanzia del credito).

Si trattava di mutui per 600, 250 e 400 milioni di lire concessi il 29/5/91, il 12/2/92 e il 3/2/94 a vecchi clienti come il D.R. e suoi congiunti (i primi mutui datavano al 1982), garantiti con ipoteche iscritte su distinti immobili il 31/5/91, il 14/2/92 e il 4/2/94. Solo in seguito essi erano stati sequestrati e poi confiscati con provvedimento di prevenzione divenuto definitivo il 26/1/98.

Rilevava per contro il Tribunale (confermando in opposizione il decreto del primo giudice pur in esito alle disposte integrazioni istruttorie) che l’Istituto di credito terzo non poteva far valere la propria buona fede a fronte di un soggetto come il D.R., che dal 1989 al 1993 aveva sempre dichiarato redditi inferiori a 40 milioni di lire e che in un solo anno, nel 1985, era stato protagonista di un accumulo di beni immobili stimati nel 1988 tre miliardi di lire:

acquistate da C.M.A., moglie del D.R. (ella stessa impiegata presso la dipendenza di Gragnano della Banca), la (così denominata) (omissis) il 28/1/85 e, il 15/3/85, le metà di un appartamento a Sorrento e di un terreno a (omissis). Dai mutui anche l’Istituto aveva oggettivamente tratto benefici economici, non potendo perciò considerarsi estraneo a quanto addebitato al D.R..

Ricorreva per cassazione la difesa dell’opponente Intesa-San Paolo, deducendo con unico e articolato motivo violazione di legge e vizio di motivazione per le mancate conseguenze, di diritto e di prova, tratte dalla documentazione prodotta sia in sede di incidente di esecuzione che successivamente (sulla effettiva titolarità del diritto reale di garanzia e sulla sua antecedenza rispetto alle misure di prevenzione patrimoniale; sulla estraneità o terzietà dell’Istituto rispetto alla attività illecita del prevenuto, che non poteva negarsi per la mera presenza di un utile bancario, l’opposta situazione dovendo identificarsi in un profilo soggettivo di colpa che nella specie mancava; sulla sussistenza, nell’Istituto di credito, della buona fede o dell’affidamento incolpevole: ancora nel 1991 il D.R. era del tutto incensurato nè risultava a suo carico alcuna pendenza di prevenzione o fallimentare; come riferito anche dalla teste B., che aveva curato l’istruttoria per l’erogazione dei mutui, già il primo di essi accordato era ampiamente garantito dai soli canoni di locazione corrisposti per l’immobile dal comune di (omissis); del pari garantiti il secondo e il terzo mutuo, del quali erano state pure recuperate le relazioni mancanti ed era stata esposta dalla teste l’utilità economica; peraltro le aperture di credito, dopo il protesto di alcuni effetti del D.R., erano state revocate il 22/11/95 e alla revoca erano seguite tutte le iniziative giudiziarie per il recupero del credito stesso). Chiedeva l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.

Nel suo parere scritto il PG presso la S.C., premessi gli estremi della controversia e lo stato della giurisprudenza e rilevato come l’ordinanza impugnata avesse ben valutato i profili di imprudenza e negligenza ascrivibili all’Istituto bancario e correttamente applicati i principi di diritto regolanti la materia, chiedeva dichiararsi inammissibile il ricorso.

Il ricorso è infondato e va respinto.

Per autorevole e consolidata giurisprudenza di legittimità sul tema, peraltro citata nel provvedimento impugnato e negli atti di entrambe le parti (Cass., S.U., sent. n. 9 del 28/4/99, rv. 213511, ric. **********), “l’applicazione della confisca non determina l’estinzione del preesistente diritto di pegno costituito a favore di terzi sulle cose che ne sono oggetto quando costoro, avendo tratto oggettivamente vantaggio dall’altrui attività criminosa, riescano a provare di trovarsi in una situazione di buonafede e di affidamento incolpevole. In siffatta ipotesi la custodia, l’amministrazione e la vendita delle cose pignorate devono essere compiute dall’ufficio giudiziario e il giudice dell’esecuzione deve assicurare che il creditore pignoratizio possa esercitare il diritto di prelazione sulle somme ricavate dalla vendita”. (Nell’affermare detto principio la Corte, giudicando in fattispecie di usura, ha altresì precisato che la tutela del diritto di pegno e la sua resistenza agli effetti della confisca non comporta l’estinzione delle obbligazioni facenti capo al condannato, che in tal modo trarrebbe comunque un vantaggio dall’attività criminosa, bensì determina la sola sostituzione del soggetto attivo del rapporto obbligatorio in virtù delle disposizioni sulla surrogazione legale di cui all’art. 1203 c.c., dato che al creditore garantito subentra lo Stato, il quale può esercitare la pretesa contro il debitore-reo per conseguire le somme che non ha potuto acquistare perchè destinate al creditore munito di prelazione pignoratizia).

Condizione, pertanto, della salvezza del diritto di pegno (o più in generale del diritto di garanzia reale) dei terzi è che costoro, avendo tratto oggettivo vantaggio (è dato di fatto economico) dall’altrui attività criminosa, provino di trovarsi in una situazione di (soggettiva) buona fede e affidamento incolpevole. E’ quindi questione di prova, che incombe sul terzo creditore.

Oggi la normativa in materia è particolarmente precisa (D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 52, comma 1, lett. b) e in evidente continuità con la precorrente giurisprudenza: “La confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultino da atti aventi data certa anteriore al sequestro, nonchè i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro, ove ricorrano le seguenti condizioni: (omissis): b) che il credito non sia strumentale all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, a meno che il creditore dimostri di avere ignorato in buona fede il nesso di strumentalità”.

La norma consacra dunque la condizione di soggettiva buona fede che il terzo deve provare per far prevalere sul pubblico interesse il proprio diritto di credito, di fatto inquinato dal (remunerato) vantaggio che esso arreca all’attività illecita del debitore.

Nel caso in esame il giudice della prevenzione, con motivazione logica e corretta, ha ritenuto che tale prova non sia venuta, le emergenze processuali deponendo, anzi, per la consapevolezza del creditore. Non va infatti trascurato che per l’Istituto di credito il D.R. era un cliente in sede locale, dove massima è la conoscenza degli addetti in ordine alle realtà economiche del posto (nella specie la filiale era di (omissis)). Ebbene, se il D.R. era un vecchio cliente della banca che fin dal 1982 aveva cominciato a contrarre mutui con l’Istituto, non poteva sfuggire a quest’ultimo l’improvvisa importanza dei mutui successivamente contratti (600, 250 e 400 milioni di lire nel 1991, 1992 e 1994). Non poteva sfuggire, prima ancora (senza pretendere speciali attitudini cognitive diverse da quelle abituali d’istituto), l’inusitato accumulo immobiliare registratosi in capo alla moglie ( C.M.A.) nel 1985, laddove il D.R. era soggetto che negli anni a seguire, dal 1989 al 1993, avrebbe dichiarato redditi inferiori a 40 milioni di lire (dovendosi presumere redditi ancora inferiori negli anni precedenti).

Se così è, l’apertura delle rilevanti linee di credito ipotecarie degli anni 1991, 1992 e 1994 in favore del D.R. non sfugge alla ragionata presunzione di un’operazione bancaria certamente vantaggiosa e garantita per l’istituto sotto il profilo economico (e resa in esito alle procedure per questo previste), ma effettuata nella consapevolezza della personalità opaca del contraente e, in definitiva, dell’alto rischio di collisione del privato interesse della banca con il prevalente interesse pubblico alla prevenzione criminale e mafiosa. Sotto questo profilo, quand’anche fino al 1991 il D.R. fosse stato incensurato, le operazioni bancarie effettuate in suo favore in quello e negli anni successivi (revocate solo nel 1995) nonostante i contrari segni di pubblico interesse, scontavano il rischio in questione.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del processo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione