Configura estorsione prospettare al dipendente trattamenti retributivi deteriori sotto minaccia di licenziamento (Cass. pen. n. 42352/2012)

Redazione 30/10/12
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Svolgimento del processo

1. Z.C., Z.E., L.G. e Z.M. G. sono stati condanni in entrambi i gradi di giudizio, dal Tribunale di Agrigento il 15.7.2008 e dalla Corte d’appello di Palermo, il 13.10.2011, per talune ipotesi di estorsione continuata in danno di alcuni dipendenti della ditta commerciale ***** di San Giovanni Gemini. Sono stati assolti dalla Corte di appello per altre ipotesi dello stesso reato.

1.1 L’accusa traeva origine dalla denuncia di alcuni dipendenti della ditta ***** che affermavano di essere stati costretti dagli imputati, a vario titolo occupati nella gestione dell’impresa commerciale, ad accentare compensi per l’attività lavorativa svolta inferiori ai limiti di legge.

1.2 Ricorrono, ora, per cassazione i quattro imputati, a mezzo dei loro legali, chiedendo l’annullamento della sentenza e deducendo a motivo:

a) La violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) in relazione agli artt. 516, 521 e 522 cod. proc. pen.. Deducono i ricorrenti che erroneamente la Corte di merito non ha ravvisato la violazione della correlazione tra accusa e sentenza, non ravvisando una sostanziale immutazione del fatto .originariamente contestato in termini di illecita decurtazione delle spettanze, secondo i contratti collettivi (parte del salario, i3 e 140 mensilità), sotto minaccia di illegittimo licenziamento e quanto ritenuto nella sentenza di condanna, in termini di prospettazione della necessità di dimettersi ove il trattamento economico corrisposto non fosse stato ritenuto adeguato. In particolare l’errore della Corte si era sostanziato nel ritenere equiparabili le due situazioni, sul fallace presupposto che entrambe le situazioni riguardavano la cessazione del rapporto di lavoro.

b) La violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) in relazione agli artt. 518, 521 e 522 cod. proc. pen.. Deducono i ricorrenti l’omessa valutazione del motivo d’appello relativo alla violazione dell’art. 518 cod. proc. pen..

c) La violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b ed e) in relazione agli artt. 110, 629 e 43 cod. pen.; art. 530 cod. proc. pen.; artt. 110, 640 e 157 cod. pen.. Posto che le dimissioni postulano una libera valutazione del dipendente sull’opportunità di accettare un diverso trattamento retribuivo, non poteva affermarsi la natura di minaccia a tale alternativa lasciata alla libera scelta del lavoratore: in particolare la Corte territoriale non ha preso in considerazione le critiche formulate dagli appellanti alla valutazione delle prove dichiarative. Inoltre va censurata la valutazione espressa dalla Corte in relazione al concorso di delle tre donne nel reato, posto che manca la prova di qualsiasi comportamento minaccioso da parte di L.G.; anche con riferimento a Z.M.G. e Z.E. manca la prova di un loro coinvolgimento nella condotta illecita. Infine la Corte è incorsa nel travisamento della prova, con riguardo alla condotta di Z.C., non essendo costui intervenuto , se non a posteriore, nell’episodio che riguarda P. sicchè la condotta di quest’ultimo non è in alcun modo riconducibile al paradigma dell’estorsione trattandosi piuttosto di una controversia di natura privata. Tenuto conto di quanto emerso dal dibattimento l’accusa a carico di Z.C. doveva essere riqualificata come truffa e dichiarata, comunque, prescritta.

 

Motivi della decisione

2. Il ricorso è manifestamente infondato.

2.1 Con i motivi sub a) e b), relativi alla pretesa diversità del fatto ritenuto in sentenza, i ricorrenti si sono limitati a riprodurre, in modo pedissequo, le medesime censure avanzate con l’appello , già scrutinate compiutamente e respinte dalla Corte di merito, con una motivazione priva di vizi , che trae fondamento dalla giurisprudenza di questa Corte.

La Corte territoriale .infatti, con una motivazione condivisibile in punto di fatto e di diritto ha ritenuto che: “… deve essere rilevato come la nozione di fatto diverso rispetto a quello oggetto di contestazione postula un mutamento essenziale della condotta posta in essere dall’imputato e richiede quindi che l’oggetto del primo giudizio sia stato differente rispetto a quello contestato senza che l’imputato abbia avuto la possibilità di difendersi. Ritiene al proposito la giurisprudenza della Suprema Corte che l’imputato non può essere giudicato e condannato per fatti relativamente ai quali non sia stato in condizioni di difendersi, fermo restando che la contestazione del fatto non deve essere ricercata soltanto nel capo di imputazione ma deve essere vista con riferimento ad ogni altra integrazione dell’addebito che venga fatta nel corso del giudizio e sulla quale l’imputato sia stato posto in grado di opporre le proprie deduzioni (Cass. Sex. 6, Sentenza n 21094 del 25/02/2004 Ud. (dep. 05/05/2004) Rv. 229021). Nel caso in esame deve essere esclusa la ricorrenza di una simile ipotesi; posto infatti che agli imputati è stato contestato di avere prospettato ai dipendenti che non accettavano le deteriori condizioni economiche la possibilità di un illegittimo licenziamento, la circostanza emersa a seguito del dibattimento di primo grado secondo cui l’evento futuro era invece costituito dalle dimissioni, non può ritenersi avere mutato radicalmente l’oggetto del giudizio trattandosi di eventi comunque riguardanti l’interruzione del rapporto di lavoro per effetto una condotta illecita del datore di lavoro. Tale era infatti la corresponsione n somme diverse rispetto a quelle indicate nelle buste paga a fronte delle quali le parti offese, ed anche altri lavoratori, vennero posti dinanzi l’alternativa di accettare ovvero interrompere il rapporto di lavoro. E tale essendo la realtà emersa all’esito del dibattimento di primo grado non può dirsi che si verta in un fatto essenzialmente differente poichè a parte la considerazione della accertata possibilità per tutti gli imputati di difendersi sul punto, comunque l’evento ingiusto va rappresentato nell’interruzione del rapporto di lavoro essendo indifferente la causa del licenziamento o delle dimissioni essendo queste ultime un fatto solo apparentemente volontario ma, in effetti, sempre imposto dalla abusiva condotta altrui …”.

2.2 A fronte della motivazione ampia e pertinente della Corte di merito, il motivo di ricorso manca di ogni correlazione con le argomentazioni della decisione impugnata e si riduce ad affermazioni assertive e reiterative di argomenti già prospettati con l’appello.

I motivi di ricorso non rispettano i requisiti di cui all’art. 581 c.p.p., lett. e), secondo il quale devono essere enunciati nell’atto di impugnazione “i motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”.

Non sono stati individuati, in altri termini, i capi e i punti dell’atto impugnato che si intendono censurare nè sono stati articolate argomentate censure alla decisione dei giudici della Corte al fine di dimostrare che il ragionamento è carente o errato sicchè il motivo di ricorso, Affetto da aspecificità, deve essere dichiarato inammissibile.(Sentenza n. 34270 del 2007 Rv. 236945: N. 39598 del 2004 Rv. 230634, N. 4521 del 2005 Rv. 230751).

2.3 Anche il terzo motivo, che postula il travisamento della prova dichiarativa, è inammissibile.

Si tratta di censure inammissibili perchè, pur affermando di prospettare violazioni della legge processuale e vizio di motivazione, si limitano a postulare un giudizio di merito ed una nuova valutazione delle prove raccolte, giudizio non consentito in sede di legittimità neppure a seguito della modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e) introdotta con L. n. 46 del 2006. Se ora è consentito portare all’attenzione della Corte di legittimità specifici atti contenenti il travisamento della prova, per verificare la correttezza della motivazione, nel caso di doppia decisione conforme il vizio di travisamento della prova è ipotizzabile, atteso il limite del devoluto, solo nell’ipotesi in cui il giudice d’appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, e non ,come nel caso in esame, ove ci si limiti a prospettare una diversa lettura delle stesse prove già scrutinate nel provvedimento impugnato, non essendo possibile da parte della Corte di cassazione una rivalutazione complessiva delle prove che sconfinerebbe nel merito. Nel caso in esame il ricorrente non denuncia un caso di travisamento della prova, ma propugna una ricostruzione dei fatti sulla base di una diversa interpretazione delle dichiarazioni delle parti lese che non può essere esaminata in sede di legittimità.

2.4 Per completezza va aggiunto che il motivo relativo alla pretesa prescrizione del reato ascritto a Z.C. è generico al pari di quello relativo alla diversa qualificazione del reato che è semplicemente enunciato, con un improprio rinvio a “quanto emerso dal dibattimento”.

3. Il ricorso, deve pertanto, essere dichiarato inammissibile: ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma di Euro 1000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

Redazione