Conferimento di incarico dirigenziale in una azienda ospedaliera: il direttore generale dell’Azienda ha il dovere di astenersi perché uno dei candidati è suo figlio (Cass. n. 20029/2012)

Redazione 15/11/12
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Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 17,12,07 il Tribunale di Milano dichiarava il diritto del dr. M.A. al conferimento dell’incarico di direttore della struttura complessa di odontoiatria presso la convenuta Azienda Ospedaliera “****************” di (omissis), che condannava a costituire il rapporto di lavoro e a corrispondere le conseguenti differenze retributive.
Tale sentenza era emessa in contraddittorio anche del dr. R.S., controinteressato del dr. M. perché destinatario, all’esito di apposita procedura selettiva, della nomina da quest’ultimo rivendicata.
Con sentenza depositata il 27.1.2010 la Corte d’appello di Milano, in riforma della pronuncia di prime cure, dichiarava l’illegittimità del conferimento al dr. R.S., avvenuto il 29.9.06, dell’incarico quinquennale di direttore della predetta struttura ospedaliera, condannando l’Azienda predetta solo a pagare al M., a titolo di risarcimento del danno, una somma pari al 70% della differenza tra la retribuzione prevista per l’incarico non conferitogli e le retribuzioni da lui normalmente percepite come dirigente medico.
All’origine della controversia vi era la delibera n. 482/2006 con cui la succitata Azienda Ospedaliera aveva indetto una procedura selettiva per il conferimento dell’incarico quinquennale di direttore responsabile della struttura complessa di odontoiatria, procedura al cui esito erano stati dichiarati idonei solo il dr. M.A. e il dr. R.S.; su quest’ultimo, figlio di G., direttore generale dell’Azienda medesima, era infine caduta la scelta operata dal direttore amministrativo dell’Azienda, a sua volta gerarchicamente dipendente dal suddetto direttore generale. Di qui la reazione in sede giudiziaria del dr. M., che aveva lamentato la violazione dell’obbligo di astensione.
Per la cassazione della sentenza della Corte territoriale ricorre il dr. M. affidandosi a quattro motivi.
Resiste con controricorso l’Azienda Ospedaliera “****************” di (omissis), che a sua volta spiega ricorso incidentale basato su nove motivi.
Il dr. R.S. è rimasto intimato.

 

Motivi della decisione

1. Preliminarmente ex art. 335 c.p.c. si riuniscono i ricorsi perché aventi ad oggetto la medesima sentenza.
Il ricorso principale.
1.1. Con il primo motivo il ricorso principale lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 435 co. 2 c.p.c. per non avere l’impugnata sentenza dichiarato improcedibile l’appello proposto dall’Azienda Ospedaliera in quanto notificato, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza innanzi alla Corte territoriale, dopo la scadenza del termine di 10 giorni previsto dalla norma citata; afferma il ricorrente principale che, alla stregua di Cass. S.U. 30.7.08 n. 20604, i termini ordinatori si distinguono da quelli perentori perché prorogabili, sicché la scadenza di un termine ordinatorio (come quello in discorso) senza richiesta di proroga importa conseguenze analoghe a quelle ricollegabili alla scadenza di un termine perentorio.
Il motivo è infondato.
Invero, come questa S.C. ha già avuto modo di puntualizzare più volte (da ultimo v. Cass. 12.4.2011 n. 8411; Cass. 30.12.2010 n. 26489; Cass. 15.10.2010 n. 21358), nel rito del lavoro il termine di dieci giorni, entro il quale l’appellante deve, ex art. 435 co. 2 c.p.c, notificare all’appellato il ricorso (tempestivamente depositato in cancelleria nel termine previsto per l’impugnazione) e il conseguente decreto di fissazione dell’udienza di discussione, non ha carattere perentorio (e, dunque, la sua inosservanza non produce conseguenze pregiudizievoli per l’appellante), non incidendo su alcun interesse di ordine pubblico processuale o su di un interesse dell’appellato. Ciò che importa è che risulti integro (come nel caso di specie) il termine che, ai sensi dei commi 3 e 4 dello stesso art. 435 c.p.c, deve intercorrere tra il giorno della notifica e quello dell’udienza di discussione.
Il contrario assunto del ricorrente principale si base sull’erronea interpretazione d’un obiter dictum della cit. sentenza 30.7.08 n. 20604 delle S.U. di questa S.C. e trascura che proprio il riferimento all’art. 111 Cost. e al relativo principio della ragionevole durata del processo, che aveva costituito l’asse portante della motivazione di tale arrét, non viene in rilievo riguardo al termine di 10 giorni di cui al comma 2 dell’art. 435 c.p.c, giacché il suo mancato rispetto, di per sé, non determina prolungamento dei tempi di causa o violazione del termine a comparire previsto in favore dell’appellato dal successivo comma 3.
1.2. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 11 d.P.R. 9.5.94 n. 487, 84 co. 7 c.p.c, 78 co. 2 d.lgs. 12.4.06 n. 163, del t.u. sugli enti locali, dell’art. 323 c.p. e dell’art. 97 Cost., nella parte in cui i giudici di merito hanno annullato in toto la procedura selettiva per cui è causa nonostante che essa fosse stata legittimamente bandita e si fosse svolta regolarmente eccezione fatta che per la partecipazione del candidato dr. R.S., che invece doveva essere escluso in quanto figlio del direttore generale; in altre parole, doveva ravvisarsi soltanto una nullità parziale ex art. 1419 c.c., così come correttamente ritenuto dal Tribunale, della procedura selettiva riguardante la partecipazione del figlio del direttore R. .
Il motivo è infondato, non essendo ravvisabile una nullità parziale ex art. 1419 c.c. limitata al conferimento dell’incarico.
Si premetta che si versa in tema di procedure selettive di diritto privato perché, ai sensi dell’art. 5 co. 2 d.lgs. n. 165/2001, le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro.
Si tenga, altresì, presente che gli atti di tali procedure selettive, avendo natura negoziale, ex art. 1324 c.c. sono assoggettati al regime dei contratti.
Orbene, poiché tra gli atti della procedura selettiva de quo e la nomina del dr. R.S. i giudici di merito hanno fatto emergere un evidente collegamento negoziale di tipo teleologico-funzionale (nel senso che i primi erano finalizzati alla successiva individuazione del destinatario dell’incarico, discrezionalmente scelto fra i candidati ritenuti idonei all’esito della procedura selettiva medesima), vige il principio per cui le vicende degli uni si ripercuotono su validità ed efficacia dell’altra (cfr., in generale, Cass. 27.3.07 n. 7524; Cass. 11.6.2001 n. 7852; Cass. 5.7.91 n. 7415).
E dunque, proprio l’accertata nullità della nomina dei componenti la commissione per violazione del dovere di astensione da parte non già del figlio del direttore generale dell’Azienda (legittimamente candidatosi, poiché nessuna norma gli impediva di farlo), bensì del padre (v. meglio infra), importa la caducazione dell’intera procedura selettiva, non potendo essa sopravvivere in assenza di una legittima nomina dei componenti la commissione medesima.
1.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 63 d.lgs. 30.3.2001 n. 165, per quanto concerne il diritto all’assunzione del dr. M. (unico candidato risultato idoneo, a parte il dr. R.S.), anche alla luce dei principi di correttezza e buona fede e del fatto che l’Azienda ha deciso di occupare il posto (tanto da averlo attribuito all’intimato) e non ha revocato il bando.
Il motivo è infondato.
Alla stregua delle considerazioni che precedono sul collegamento negoziale di tipo teleologico-funzionale tra procedura selettiva e scelta di uno dei candidati ritenuti idonei, proprio la mancanza di una valida nomina dei membri della commissione esaminatrice non può che travolgere tutti gli atti da essa posti in essere e, quindi, l’intera procedura selettiva in base ai cui esiti sono stati individuati i due candidati (dr. M.A. e dr. R.S. ) potenzialmente idonei a ricoprire l’incarico.
In altre parole, anche l’individuazione dell’odierno ricorrente principale come candidato potenzialmente idoneo all’incarico è travolta dall’illegittimità della nomina della commissione, sicché manca il titolo per poter fare luogo – ex art. 63 co. 2 d.lgs. n. 165/2001 – all’invocata pronuncia costitutiva del rapporto od anche soltanto all’accertamento del diritto all’incarico in capo al dr. M.A., poiché tale diritto poteva nascere solo all’esito di regolare procedura selettiva che, nel caso di specie, non vi è stata e non può essere sostituita dall’operato del giudice.
1.4. Con il quarto motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. nella parte in cui l’impugnata sentenza ha liquidato il danno da perdita di chance in favore del dr. M. nella misura del 70% della differenza tra la retribuzione prevista per l’incarico non conferitogli e le retribuzioni da lui normalmente percepite come dirigente medico, mentre si sarebbe dovuta liquidare la maggior somma del 100% della differenza per la durata di dieci anni, pari al quinquennio di durata dell’incarico e ai previsti altri cinque anni di proroga dello stesso; inoltre – prosegue il ricorrente principale – non è stato liquidato il danno morale da reato sebbene quest’ultimo (sub specie art. 323 c.p.) fosse evidente, anche in ordine all’elemento soggettivo erroneamente ritenuto non provato dai giudici d’appello nonostante che nella procedura selettiva il dr. R.G. avesse già in precedenza assunto senza concorso né avvisi di selezione il figlio S. , con lui convivente, nell’ospedale da lui diretto, con determina n. 861 del 2.9.04, provvedendo – poi – a bandire la selezione non appena il figlio aveva maturato 7 anni di servizio (requisito di anzianità minimo per ricoprire il posto di direttore di struttura complessa).
Il motivo è infondato.
La liquidazione del danno da perdita di chance in caso di illegittimo svolgimento di una procedura selettiva per accedere ad un incarico di lavoro è pur sempre equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. e deve tenere presente, ai fini del giudizio probabilistico e comparativo necessario, gli elementi di prova ritualmente introdotti nel processo (cfr., ex aliis, Cass. 5.3.2012 n. 3415), se del caso anche presuntivi (cfr. Cass. 25.5.07 n. 12243).
Si tratta di delibazione devoluta al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata (cfr. Cass. 17.4.08 n. 10111).
In proposito la Corte territoriale ha, con accertamento in fatto correttamente argomentato, ritenuto probabile un esito favorevole al ricorrente della procedura selettiva (e della conseguente scelta, pur sempre discrezionale, da effettuarsi nel novero dei candidati idonei) analiticamente confrontando tra loro i titoli del dr. M. e del dr. R. e considerando che degli altri due concorrenti – la dott.ssa G. e il dr. S. – l’una non era in possesso dei requisiti di ammissione, l’altro si era ritirato.
Per tali ragioni l’impugnata sentenza ha riconosciuto al dr. M. un risarcimento pari al 70% della differenza tra la retribuzione prevista per l’incarico non conferitogli e le retribuzioni da lui normalmente percepite come dirigente medico.
Pretendere, come invece fa l’odierno ricorrente principale, il 100% della differenza per dieci anni, pari al quinquennio di durata dell’incarico e ai previsti altri cinque anni di proroga dello stesso, significa mutare la natura (meramente probabilistica) del danno da perdita di chance identificandolo con tutte le retribuzioni che sarebbero spettate al dr. M. se gli fosse stato conferito l’incarico di direttore della struttura complessa di odontoiatria, conferimento che, per quanto verosimile, ad ogni modo non è mai avvenuto.
In ordine alla domanda di liquidazione anche del danno morale ed esistenziale, basti ricordare che essa è stata già respinta in prime cure (come emerge dalla pronuncia della Corte territoriale) senza che sul punto il dr. M. abbia interposto appello, sicché in proposito si è già verificato il giudicato progressivo, rilevabile anche d’ufficio da questa Corte Suprema.
Il ricorso incidentale.
2.1. Con il primo motivo del ricorso incidentale si lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c. per ultrapetizione, avendo l’impugnata sentenza, pur in difetto di specifica domanda del dr. M. , rilevato l’illegittimità della delibera di nomina della commissione giudicatrice per omessa indicazione delle ragioni per cui ad adottarla era stato il direttore amministrativo anziché il direttore generale.
Il motivo è infondato.
L’illegittimità della delibera di nomina della commissione giudicatrice costituiva il presupposto stesso della domanda formulata dal dr. M. con l’atto introduttivo del giudizio, laddove si era evidenziata una violazione del dovere di astensione e la conseguente non correttezza dello svolgimento della procedura selettiva, tanto che il Tribunale ne aveva dichiarato la nullità parziale con statuizione che – per altro – non è stata investita da appello per ultrapetizione da parte della suddetta Azienda.
Dunque, ove pure ultrapetizione vi fosse stata, si sarebbe verificata già in prime cure, di guisa che la si sarebbe dovuta impugnare con l’appello (il che non è avvenuto).
2.2. Con il secondo motivo ci si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 3 co. 6 d.lgs. n. 502/92, atteso che il potere vicario del direttore amministrativo e del direttore sanitario è espressamente previsto dalla legge in caso di assenza od impedimento del direttore generale, senza necessità di esplicitare ulteriori spiegazioni a riguardo.
Il motivo è infondato.
Recita l’art. 3 co. 6 d.lgs. n. 502/92: “In caso di vacanza dell’ufficio o nei casi di assenza o di impedimento del direttore generale, le relative funzioni sono svolte dal direttore amministrativo o dal direttore sanitario su delega del direttore generale o, in mancanza di delega, dal direttore più anziano per età. Ove l’assenza o l’impedimento si protragga oltre sei mesi si procede alla sostituzione.”.
Il tenore letterale della norma, dunque, è chiaro nel riferirsi ai soli casi di vacanza dell’ufficio del direttore generale o di sua assenza od impedimento; anche la competenza del più anziano fra il direttore amministrativo e quello sanitario è prevista soltanto in tali evenienze e sempre che non vi sia stata una previa delega all’uno o all’altro.
Ma si tratta di ipotesi diverse da quella verificatasi nella vicenda in esame.
Infatti, escluso che al momento della procedura selettiva fosse vacante il posto di direttore generale (anzi, entrambe le parti hanno sempre allegato il contrario), si deve condividere l’affermazione della Corte territoriale secondo cui assenza e impedimento non possono confondersi con il dovere di astensione e la conseguente incompatibilità.
Invero, sia il concetto di assenza che quello di impedimento evocano un ostacolo fisico (nel primo caso per temporanea lontananza dall’ufficio, nel secondo per ragioni di salute od altre difficoltà di ordine pratico) al compimento dell’atto, mentre il dovere di astensione comporta un divieto giuridico di provvedervi.
2.3. Con il terzo motivo si denuncia vizio di motivazione laddove la gravata pronuncia ha erroneamente interpretato la delibera n. 771 del 23.8.06 con cui era stata nominata la commissione esaminatrice per la procedura selettiva in discorso, delibera che non dimostrava affatto, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, che il dr. R.G. non si fosse astenuto dalla procedura in discorso perché aveva nominato il dr. B. come titolare in commissione, designazione in concreto ascrivibile, invece, al direttore generale facente funzioni (vale a dire al dr. Ru.).
Il motivo è inammissibile perché non autosufficiente, non avendo la ricorrente incidentale trascritto od allegato in copia il testo della delibera n. 771/06, il che impedisce di verificare ipotetici vizi di motivazione o travisamenti della prova.
2.4. Con il quarto motivo del ricorso incidentale ci si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 51 c.p.c. nella parte in cui l’impugnata sentenza ha individuato una sorta di incompatibilità indiretta (del dr. R.G.) quale designatore dei commissari d’esame (e, segnatamente, del dr. B.), che non erano in stato di personale incompatibilità; né l’art. 51 c.p.c., poteva essere esteso analogicamente.
Il motivo è infondato.
Come si legge nella sentenza impugnata, gli artt. 51 e 52 c.p.c. sono stati espressamente richiamati proprio nel verbale dei lavori della commissione esaminatrice per l’attribuzione dell’incarico per cui è causa, sicché tali fonti devono ritenersi recepite nella disciplina negoziale della procedura de quo, noto essendo che un’amministrazione può disporre che si applichi una data normativa o perché è tenuta a farlo o perché ritiene di arricchire il contenuto precettivo delle proprie delibere facendo proprie fonti ulteriori, magari diversamente non applicabili.
Ciò assorbe la questione relativa all’estensione analogica al caso di specie dell’art. 84 co. 7 d.lgs. n. 163/06 (per i membri delle commissioni assegnatarie di appalti pubblici) e dell’art. 11 d.P.R. n. 487/94 (per i commissari di concorsi pubblici) – entrambi menzionati dalla gravata pronuncia – nella parte in cui espressamente rinviano all’art. 51 c.p.c..
Né quella ritenuta dai giudici meneghini è una sorta di incompatibilità indiretta dei commissari o del dr. R.G. : questi era direttamente coinvolto quale padre di uno dei concorrenti e, in quanto tale, incompatibile rispetto a qualsiasi atto della procedura selettiva e, segnatamente, alle nomine dei commissari d’esame. E poiché il dr. B. è stato designato dal direttore generale (come accertato in sede di merito), la sua nomina è invalida non per una sua incompatibilità, ma per l’incompatibilità di chi lo aveva indicato.
2.5. Con il quinto motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 3 co. 6 d.lgs. n. 502/92 e dell’art. 51 c.p.c. nella parte in cui l’impugnata sentenza ha affermato che il direttore amministrativo aveva agito, nell’ambito della procedura selettiva, come delegato del direttore R. , mentre in realtà aveva agito nell’esercizio delle normali funzioni vicarie previste in caso di assenza od impedimento del direttore generale.
Anche tale motivo è infondato.
La Corte territoriale ha specificato che nella delibera n. 771/2006 il direttore amministrativo dr. Ru. ha nominato i componenti la commissione agendo in sostituzione del direttore generale dr. R.G. senza che ne venisse indicata l’assenza o l’impedimento e che nella propria memoria di costituzione di primo grado la stessa Azienda Ospedaliera aveva parlato espressamente di atto compiuto su delega del direttore generale.
Si tratta di accertamento in fatto, non suscettibile di rivisitazione in questa sede.
Dunque, richiamate le considerazioni sopra svolte sulla portata dell’art. 3 co. 6 d.lgs. n. 502/92, deve rimarcarsi che i giudici del merito hanno in concreto accertato che la nomina del dr. R.S. è avvenuta in base ad una scelta discrezionale effettuata dal direttore amministrativo che agiva come delegato del direttore generale, sicché l’atto del delegato è, in quanto tale, imputabile direttamente al delegante.
Si ricordi in proposito che nel caso di specie la delega va intesa in senso privatistico (essendo il quadro di riferimento costituito dal summenzionato art. 5 co. 2 d.lgs. n. 165/2001) e non come delegazione amministrativa.
Sostiene la ricorrente incidentale che nel caso di specie il dr. R.G. non avrebbe conferito delega alcuna al direttore amministrativo dr. Ru., che avrebbe agito solo perché più anziano del direttore sanitario dr. F.J. e ciò desume da un attestato del responsabile dell’U.O. Amministrazione Personale dell’Azienda Ospedaliera.
Ma in tal modo non fa che invocare un approccio diretto agli atti di causa e una nuova loro lettura, tralasciando che, per costante giurisprudenza di questa Corte Suprema, il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 n. 5 c.p.c., sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o carente esame di un punto (dopo la novella di cui al d.lgs. n. 40/2006, di un “fatto”) decisivo della controversia, potendosi in sede di legittimità controllare unicamente sotto il profilo logico – formale la valutazione operata dal giudice del merito, soltanto al quale spetta individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr., ex aliis, Cass. S.U. 11.6.98 n. 5802 e innumerevoli successive pronunce conformi).
2.6. Con il sesto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 51 ult. co. c.p.c, che prevede le “gravi ragioni di convenienza” come causa di mera astensione facoltativa, mentre l’impugnata sentenza ha ritenuto che il dr. R.G. fosse obbligato ad astenersi.
Il motivo è infondato.
In realtà, una volta inserito l’art. 51 c.p.c. nella disciplina della procedura selettiva per cui è causa, è innegabile che la posizione del dr. R.G., in quanto parente in primo grado di uno dei concorrenti (vale a dire del figlio), rientrasse nell’ipotesi di astensione obbligatoria (e non già meramente facoltativa) prevista dal co. 1 n. 2 dello stesso articolo.
Di conseguenza, egli non poteva nominare alcuno dei membri della commissione. Invece, sempre secondo quanto accertato in punto di fatto dai giudici del merito, aveva designato come componente della commissione medesima il dr. B. (dell’ASL di Torino …) e aveva delegato in propria vece il direttore amministrativo dr. Ru.
2.7. Con il settimo motivo ci si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per essere la Corte territoriale incorsa in extrapetizione nella parte in cui ha liquidato in favore del dr. M. un risarcimento da perdita di chance, mentre la sua domanda aveva ad oggetto solo danni morali ed esistenziali.
Il motivo è infondato, dovendosi dare continuità alla giurisprudenza di questa S.C. (cfr. Cass. 19.2.92 n. 2074) che ha escluso il vizio di extrapetizione – in un caso analogo a quello oggi in esame – per avere la sentenza di merito determinato l’entità del danno risarcibile avendo riguardo alla perdita non dell’esito favorevole della procedura concorsuale, ma della possibilità di conseguirla.
2.8. Con l’ottavo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 1226 c.c. per aver la gravata pronuncia liquidato il risarcimento da perdita di chance nella misura del 70% della differenza tra la retribuzione prevista per l’incarico non conferitogli e le retribuzioni da lui normalmente percepite come dirigente medico, sulla scorta di un arbitrario giudizio probabilistico circa la possibilità del dr. M. di essere nominato responsabile della struttura in base ai suoi titoli.
Il motivo è infondato per le stesse ragioni sopra esposte riguardo al quarto motivo del ricorso principale.
2.9. Con il nono ed ultimo motivo l’Azienda ricorrente prospetta un vizio di motivazione nella parte in cui i giudici d’appello, nel valutare le probabilità di successo del dr. M. nella procedura selettiva, ne hanno sovrastimato i titoli, nel contempo sottostimando l’esito del colloquio dei due candidati (il dr. M., appunto, e il dr. R.S.) nonostante l’adeguata motivazione sul punto resa dalla commissione esaminatrice.
Anche quest’ultimo motivo è da disattendersi perché in sostanza propone un riesame dell’apprezzamento in fatto – correttamente motivato, come si è già detto in relazione al quarto motivo del ricorso principale – operato dalla sentenza impugnata circa le probabilità di successo del dr. M. all’esito d’una procedura selettiva non viziata.
Né in contrario ha alcun senso il richiamare la motivazione resa dalla commissione esaminatrice nel confrontare tra loro i titoli dei candidati, vuoi perché anch’essa travolta dalla nullità della nomina dei relativi componenti vuoi perché scopo della motivazione della Corte milanese non è sostituire il proprio giudizio a quello (invalido, giova ribadire) della commissione, ma valutare quali sarebbero state le probabilità del dr. M. di prevalere nella scelta del destinatario dell’incarico di direttore della struttura complessa di odontoiatria presso la convenuta Azienda Ospedaliera “****************” di (omissis).
3. In conclusione, entrambi i ricorsi sono da rigettarsi, il che importa totale compensazione fra ricorrente principale ed incidentale delle spese del giudizio di legittimità.
Non è, invece, dovuta pronuncia sulle spese in ordine all’intimato dr. R.S. , che non ha svolto attività difensiva.

 

P.Q.M.

La Corte, riunisce i ricorsi, li rigetta e compensa per intero le spese del giudizio di legittimità. Nulla spese in ordine a R.S.

Redazione