Conferenza di servizi (Cons. Stato, n. 5084/2013)

Redazione 21/10/13
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FATTO

1.- Il sig. S. Paolo ha presentato alla Regione Veneto domanda volta ad ottenere il rilascio dell’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio di un impianto fotovoltaico per la produzione di energia elettrica con potenza nominale di produzione di 999,80 Kw, da realizzarsi su fondo di sua proprietà sito in Porto Tolle.
Nel corso della conferenza di servizi, indetta dalla Regione, soltanto la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le Province di Verona, Rovigo e Vicenza (d’ora innanzi solo Soprintendenza) ha espresso parere negativo per contrasto dell’intervento con il paesaggio (il contenuto del parere è riportato per esteso nel considerato in diritto).
L’interessato ha impugnato tale parere innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, Sezione seconda, rilevando: i) la violazione dell’art. 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241; i) l’ illegittimità sostanziale del parere stesso.
Il Tribunale amministrativo, con sentenza 7 novembre 2012, n. 1349, ha rigettato il ricorso, affermando che: i) il parere, benché idoneo a essere oggetto di immediata impugnazione, non essendo l’atto conclusivo del procedimento, non doveva essere preceduto dal preavviso di cui al citato art. 10-bis; ii) l’asserita illegittimità sostanziale riguarda “il merito della valutazione di natura tecnico-discrezionale riservata all’amministrazione”.
2.- Il ricorrente in primo grado ha proposto appello per le ragioni indicate nel considerato in diritto.
2.1.- Si è costituta in giudizio l’amministrazione intimata, chiedendo il rigetto dell’appello.
3.- La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica di discussione del 2 luglio 2013.

DIRITTO

1.- La questione posta all’esame della Sezione attiene all’asserita illegittimità del parere negativo (o per meglio dire, del dissenso) espresso in conferenza di servizi dalla Soprintendenza in ordine alla domanda di autorizzazione unica avente ad oggetto la costruzione e l’esercizio di un impianto fotovoltaico per la produzione di energia elettrica.
2.- L’appello, per come concretamente articolato, appare infondato per le ragioni di seguito indicate.
2.1.- Con un primo motivo si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha rilevato l’illegittimità dell’atto impugnato per omessa comunicazione del preavviso di rigetto.
Il motivo non è fondato.
Il parere della Soprintendenza, inserito nell’ambito della conferenza di servizi, ha valenza endoprocedimentale, con la conseguenza che lo stesso non deve essere preceduto da alcun atto finalizzato ad assicurare una interlocuzione con la parte privata. Il contraddittorio deve, infatti, essere garantito prima dell’adozione dell’autonomo provvedimento finale successivo alla conclusione dei lavori della conferenza (cfr. Cons. Stato, VI, 18 aprile 2011, n. 2378; v. infra).
4.1.- Con un secondo motivo si deduce l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha rilevato l’illegittimità del parere per non avere la Soprintendenza valutato, unitamente alla tutela del paesaggio, anche la tutela della salute, dell’ambiente e le esigenze imprenditoriali connesse all’esigenza di garantire la libera iniziativa economica.
Il motivo non è fondato.
Il modulo della conferenza di servizi è finalizzato, come qui si evidenzierà, ad assicurare la concentrazione dell’espressione delle diverse competenze in un unico contesto. La Soprintendenza è intervenuta nel procedimento esercitando la sua, volta alla tutela degli interessi paesaggistici che la legge le attribuisce. Gli interessi indicati dall’appellante possono in ipotesi esser fatti valere da altre autorità partecipanti alla conferenza. In definitiva, impregiudicata la questione della rilevanza e dell’incidenza dei detti valori a fronte di un giudizio della Soprintendenza così stringente nei contenuti, la sede della conferenza è istituzionalmente preordinata ad assicurare il confronto degli interessi potenzialmente confliggenti, con assegnazione all’autorità competente del compito di adottare la determinazione finale che di quel confronto è espressione.
3.2.- Con gli altri motivi – che, per la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente – si assume che la valutazione espressa dalla Soprintendenza “è illogica, insufficiente e superficiale”, in quanto non terrebbe conto del fatto che: si tratta di un impianto di modeste dimensioni; di natura reversibile (durando 20-25 anni); collocato in un ambito in cui è già presente una centrale dell’Enel; è presente una siepe in grado di occultarlo; non esiste un impatto paesaggistico come attestato dalla relazione dell’architetto *********** (di cui si chiede, in ragione della sua indispensabilità ai fini della decisione, l’acquisizione). Si aggiunge che la Soprintendenza, da un lato, con la nota del 30 novembre 2011, n. 32973, aveva affermato che non esistevano procedimenti di tutela del paesaggio perfezionati o in itinere; dall’altro, non aveva indicato le modifiche progettuali necessarie ai fini dell’assenso, come previsto dall’art. 14-quater della legge n. 241 del 1990.
I motivi non sono fondati.
Le valutazioni espresse dalla Soprintendenza hanno natura tecnica e, in quanto tali, sono sindacabili esclusivamente se, riscontrata l’esistenza di una figura sintomatica dell’eccesso di potere, si dimostra la violazione del principio di ragionevolezza tecnica. Non è, pertanto, sufficiente la mera opinabilità delle scelte effettuate (cfr. Cons. Stato, VI, 14 agosto 2013, n. 4174).
Nella fattispecie in esame, la Soprintendenza, dopo la descrizione puntuale dell’intervento e del contesto paesaggistico in ci si colloca, ha affermato che,” pur in presenza di alcuni elementi che hanno alterato l’assetto e la qualità paesaggistica, quale l’esistente centrale Enel e l’elettrodotto che attraversa l’isola, l’inserimento dell’impianto fotovoltaico in tale ameno paesaggio, comporta un’alterazione sostanziale dello stato dei luoghi tale da incidere negativamente sull’equilibrio generale del paesaggio consolidato e sull’armonia del contesto sottoposto a tutela. Gli intrinseci aspetti geometrici, formali, cromatici, tipologici, la connotazione fortemente tecnicistica del parco fotovoltaico e la copertura estensiva dell’area agricola, costituiscono elementi di forte disturbo della continuità fisico spaziale della pianura deltizia: le stringhe di pannelli, di considerevole altezza risultano (…) visibili e non facilmente mitigabili, in quanto collocati in un’area vasta pianeggiante, ponendosi come elementi dissonanti rispetto al contesto; l’inserimento del parco fotovoltaico provoca la frammentazione dell’area, alterando la originaria e diffusa organizzazione planimetrica del campi coltivati, ponendosi come elementi di disturbo nell’ordinato sistema agrario caratterizzato dal reticolo idrografico di canali e scoline; inoltre l’introduzione dell’alta siepe sul perimetri dell’impianto, non solo altera la percezione dei luoghi, ma evidenzia oltremodo il perimetro dell’ampia distesa dei pannelli previsti, sortendo l’effetto contrario rispetto a quello desiderato, cioè quello della mitigazione”.
Dalla lettura del riportato parere emerge con chiarezza come la Soprintendenza abbia adottato una motivazione puntuale e articolata che ha preso in esame, confutandole, le questioni che sono state oggetto dei motivi di appello. Ne consegue che le censure prospettate non fanno emergere alcun vizio di eccesso di potere con violazione del principio di ragionevolezza tecnica ma la semplice non condivisione del contenuto del parere reso. Né sussiste il contrasto con la precedente nota n. 32973 del 2011, con cui la Soprintendenza si era limitata genericamente ad affermare che non esistevano procedimenti amministrativi volti all’imposizione nell’area di specifici vincoli. Né ancora era necessario indicare le modifiche progettuali, atteso a tutto concedere (giacché nulla le impone di indicare un tale facere) che la Soprintendenza ha ritenuto che l’impianto, nella sua interezza, contrasta con la tutela del paesaggio.
5.- Le motivazioni sin qui riportate conducono a ritenere non fondati tutti i motivi di ricorso e, conseguentemente, a confermare quanto statuito dal primo giudice.
6.- Quanto sopra è sufficiente per ritenere l’appello infondato e respingerlo.
Nondimeno, il Collegio non reputa fuor d’opera rilevare, altresì, quanto segue.
L’art. 12 (Razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative) del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità) dispone che l’attività che viene in rilievo in questa sede è soggetta ad “una autorizzazione unica” rilasciata dalla Regione “nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico”. E’ previsto, inoltre, che l’autorità procedente convochi una conferenza dei servizi “entro trenta giorni dal ricevimento della domanda di autorizzazione”.
La conferenza, cui fa riferimento tale disposizione, è disciplinata dal comma 2 dell’art. 14 (Conferenza di servizi) della stessa legge n. 241 del 1990, che prevede che la conferenza deve essere “sempre indetta quando l’amministrazione procedente deve acquisire intese, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati di altre amministrazioni pubbliche e non li ottenga, entro trenta giorni dalla ricezione, da parte dell’amministrazione competente, della relativa richiesta (…)”. Essa rappresenta, in questo settore, il modulo procedimentale essenziale alla formazione del successivo titolo abilitativo funzionale alla costruzione e all’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili e realizza la sede di concentrazione procedimentale del confronto necessario per l’approvvigionamento energetico mediante tecnologie che non immettano in atmosfera sostanze nocive. La sua utilità poggia sia in questa stessa concentrazione, sia nel valore aggiunto intrinseco allo stesso confronto dialettico delle amministrazioni interessate (cfr. Cons. Stato, VI, 23 maggio 2012, n. 3039).
Le singole amministrazioni che partecipano ai lavori lo fanno invero in quanto titolari di specifiche e autonome competenze, le cui inerenti valutazioni vengono manifestate contestualmente, per ragioni sia di semplificazione procedimentale che di utilità del confronto dialettico. La conferenza di servizi è dunque la sede esclusiva dove le amministrazioni interessate e convocate manifestano – con le forme necessarie – l’assenso o il dissenso rispetto al rilascio del domandato titolo abilitativo regionale alla realizzazione dell’impianto. In quella conferenza di servizi esse hanno l’onere di esprimere l’eventuale motivato dissenso, ciascuna riguardo all’interesse alla cui cura è preposta, rispetto all’oggetto dell’iniziativa procedimentale. Il modulo si caratterizza, pertanto, per la presenza di più figure dotate di vari poteri di giudizio, che partecipano contestualmente alla formazione del giudizio finale cui dovrà far riferimento il vero e proprio provvedimento che ne seguirà.
In questa prospettiva, va infatti rammentato che questo Consiglio di Stato (es. Cons. Stato. VI, 11 dicembre 2008, n. 5620; 9 novembre 2010, n. 7981; 31 gennaio 2011, n. 712; 18 aprile 2011, n. 2378) ha ripetutamente rilevato come, secondo l’ormai prevalente orientamento – da cui non v’è motivo di discostarsi – l’istituto della conferenza di servizi c.d. decisoria disciplinato dagli artt. 14 ss. legge 7 agosto 1990, n. 241, in esito alle riforme apportate dalle leggi 24 novembre 2000, n. 340, e 11 febbraio 2005, n. 15, è caratterizzato da una struttura dicotomica, articolata in una fase che si conclude con la determinazione della conferenza (anche se di tipo c.d. decisorio), che ha valenza endoprocedimentale, e in una successiva fase che si conclude con l’adozione del provvedimento finale, che ha valenza esoprocedimentale ed esterna, effettivamente determinativa della fattispecie e incidente sulle situazioni degli interessati.
L’art. 14, comma 6-bis, della l. n. 241 del 1990 prevede, infatti, che al termine dei lavori -“valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede” – viene adottata “la determinazione motivata di conclusione del procedimento”.
Ne consegue che “sussiste ancora uno iato sistematico fra la determinazione conclusiva della conferenza di tipo decisorio (nonché -a fortiori – fra le posizioni espresse in sede di conferenza dalla singola amministrazione) e il successivo provvedimento finale”, il che conferma che “solo al secondo di tali atti possa essere riconosciuta una valenza effettivamente determinativa della fattispecie (con conseguente sorgere dell’onere di immediata impugnativa), mentre alla determinazione conclusiva deve essere riconosciuto un carattere meramente endoprocedimentale” (Cons. Stato, VI, 6 maggio 2013, n. 2417).
Se poi, come qui, viene espresso il dissenso – tra l’altro – da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico, l’eventuale superamento del dissenso deve seguire le specifiche norme procedimentali appositamente stabilite dallo stesso art. 14-quater e dà luogo alla devoluzione della decisione ad un altro e superiore livello di governo e con altre modalità procedimentali (cfr. Cons. giust. amm. sic., 11 aprile 2008, n. 295; Cons. Stato, VI, 22 febbraio 2010, n. 1020; VI, 23 maggio 2012, n. 3039).
Quanto alla conferenza, l’esercizio delle funzioni pubbliche è, pertanto, svolto dalle competenti figure nell’ambito di un contesto che si conclude con l’adozione di un provvedimento (rispetto al quale la conferenza rappresenta solo un passaggio prodromico) avente la veste di atto adottato, in via ordinaria, da un organo dell’amministrazione procedente, “tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede” di conferenza di servizi (art. 14-ter,comma 6-bis): regola quest’ultima dal contenuto flessibile che, rispetto alla rigidità del metodo maggioritario, consente di valutare in concreto, in ragione della natura degli interessi coinvolti, l’importanza dell’apporto della singola autorità e la tipologia del loro eventuale dissenso.
Ne consegue che – a parte quanto sopra ricordato – il dissenso espresso da un’amministrazione interessata e convocata in sede di conferenza di servizi non manifesta una volontà provvedimentale dell’amministrazione, ma è solo un atto espressivo di un giudizio in vista di un confronto dialettico e che concorre, per la parte di competenza di quella stessa amministrazione, a formare il giudizio complessivo che, eventualmente, viene posto a base del provvedimento che segue la conferenza stessa e sempre che il dissenso di tipologia sensibile non venga condiviso e dunque, non potendo essere superato nella stessa sede conferenziale, non causi la ricordata devoluzione ad altra e superiore sede.
6.1.- Quanto sin qui esposto dovrebbe condurre senz’altro a ritenere che il ricorso di primo grado è inammissibile, perché avente ad oggetto un atto endoprocedimentale, qual è appunto il dissenso espresso in sede di conferenza di servizi, che come tale non è autonomamente impugnabile ed ha effetti comunque interni al procedimento.
In questa sede, a questa dirimente conclusione il Collegio non è pervenuto (essendo, per le ragioni sopra indicate l’appello comunque infondato) in quanto questo aspetto non ha costituito oggetto di un’eccezione ritualmente sollevata dall’Amministrazione resistente.
7.- Alla luce di quanto sin qui esposto, ne consegue anche l’infondatezza della domanda di risarcimento dei danni. Come è noto, infatti, l’illegittimità dell’atto rappresenta un elemento costitutivo indefettibile ai fini del perfezionamento del fatto lesivo, ai sensi dell’art. 2043 Cod. civ. La sua mancanza impedisce, pertanto, di potere configurare la responsabilità civile della pubblica amministrazione.
8.- La natura della controversia giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:
a) rigetta l’appello proposto con il ricorso n. 2073 del 2013, indicato in epigrafe;
b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2013

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