Condominio: è valida la ripartizione di spese operata senza tabelle millesimali (Cass. n. 2237/2012)

Redazione 16/02/12
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Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 6 agosto 1999 G.A., G.P.A., nonchè la Lancaster Italia s.r.L, nella qualità di proprietari di appartamenti e locati facenti parte dell’immobile sito in (omissis), evocavano, dinanzi al Tribunale di Bari, il Condominio dello stesso stabile per sentire dichiarare la nullità della Delib. assembleare adottata il giorno 7.5.1999, con la quale era stato approvato il rendiconto della gestione relativa al precedente anno 1998 per essere stata la ripartizione delle spese operata in assenza delle tabelle millesimali di cui il condominio era sprovvisto.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del convenuto, che spiegava riconvenzionale per ottenere il pagamento delle somme risultanti dal rendiconto, il Tribunale adito, espletata istruttoria, rigettava la domanda attorea e in accoglimento di quella riconvenzionale, condannava G.A. al pagamento di Euro 425,48, G.P. alla corresponsione di Euro 1.104,53 e la Lancaster Italia alla rifusione di Euro 978,56, oltre ad interessi.

In virtù di rituale appello interposto da entrambi i G., unitamente alla Lancaster Italia s.r.L, con il quale lamentavano la nullità della decisione per mancata trascrizione delle conclusioni rassegnate dalle parti, nel merito, il travisamento dei fatti essendo comprovata la mancata approvazione delle tabelle millesimali e la non accettazione dei rendiconti che nel tempo erano stati oggetto di sconti e transazione in favore dei G., la Corte di Appello di Bari, nella resistenza dell’appellato, rigettava l’appello.

A sostegno dell’adottata sentenza, la corte territoriale evidenziava che quanto all’addebito di errores in procedendo doveva trovare applicazione il principio a mente del quale la mancata, erronea o incompleta trascrizione delle conclusioni delle parti costituiva fattore invalidante della decisione solo quando aveva comportato il mancato esame da parte del giudice delle richieste delle parti, o un travisamento delle stesse, tale da condurre alla valutazione di aspetti diversi da quelli trattati, ipotesi non ricorrente nel caso di specie ove il giudice unico aveva ampiamente apprezzato le deduzioni delle parti e le loro allegazioni, consentendo di ricavare i temi oggetto del dibattito processuale.

Quanto al secondo motivo, ancora in rito, riguardante l’ordine del giudice di produzione degli originali degli atti allegati dal Condominio a seguito di disconoscimento degli stessi da parte degli appellanti, per violazione del principio dispositivo, rilevava che lungi dal sostituirsi all’iniziativa della parte, si era avvalso del potere riconosciutogli dall’art. 210 c.p.c..

Aggiungeva, nel merito, che la contestazione circa la ripartizione delle spese adottata con la delibera de qua era priva di valido fondamento trattandosi di uso consolidato delle tabelle millesimali approntate a cura del Condominio, anche se non formalmente approvate, essendo peraltro ininfluenti la serie di difformità riferite nella individuazione dei millesimi dei condomini lungo tutto il periodo considerato (1983-1998), essendo stati nel tempo attribuiti agli appellanti sostanzialmente i medesimi valori (millesimi 311,41/312).

Avverso l’indicata sentenza della Corte di Appello di Bari hanno proposto ricorso per cassazione i condomini G. e la Lancaster Italia, che risulta articolato su due motivi, al quale ha resistito il Condominio con controricorso.

 

Motivi della decisione

Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nonchè la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto determinante. Premesso che in ipotesi di errores in procedendo la Cassazione diviene anche giudice del fatto, per cui al giudice di legittimità spetterebbe il potere-dovere di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali, i ricorrenti deducono la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ex art. 112 c.p.c. insistendo nella eccezione di nullità della decisione del giudice di prime cure per mancata o carente trascrizione delle conclusioni rassegnate dalle parti, costituendone contenuto essenziale, come contemplato dall’art. 132 c.p.c. Aggiungono i ricorrenti che detto vizio della sentenza del giudice di primo grado si sarebbe esteso anche alla decisione della corte di merito, ai sensi dell’art. 159 c.p.c. Il motivo va disatteso.

Occorre premettere che il giudice di appello ha correttamente evidenziato come la censura riguardante l’omessa trascrizione delle conclusioni nell’epigrafe della sentenza di primo grado importerebbe la nullità della sentenza solo quando le conclusioni effettivamente rassegnate non siano state esaminate, di guisa che sia mancata, in concreto, una decisione su domande ed eccezioni ritualmente proposte, mentre, quando dalla motivazione risulti che le conclusioni siano state effettivamente esaminate (come si riscontra puntualmente nei caso di specie), il vizio si risolve in una semplice imperfezione formale, irrilevante ai fini della validità della sentenza (in tal senso, Cass. Cass. 1 giugno 2010 n. 13435; Cass. SS.UU. 24 ottobre 2005 n. 20469; Cass. 22 luglio 2004 n. 13785).

Pacifico il principio che precede, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, si osserva che nella specie, è certo – oltre ogni ragionevole dubbio – che i giudici di appello hanno accertato che il giudice di prime cure ha tenuto presenti tutte le conclusioni rassegnate dai ricorrenti e da condominio resistente in occasione delle udienze dedicate alla precisazione delle conclusioni in primo grado, ancorchè non tutte siano state trascritte nella intestazione della sentenza. E’ sufficiente, al riguardo, tenere presente che la Corte di appello di Bari ha iniziato l’esame delle censure mosse dai G. – Lancaster Italia alla pronuncia del primo giudice (cfr. pagg. 5 – 6 della sentenza) proprio da detta doglianza per dedurne la genericità, tanto da non avere indicato gli appellanti quale “delle domande formulate siano state dalla sentenza travisate od omesse”.

Una volta accertato che, almeno sostanzialmente, la decisione di primo grado aveva tutti i requisiti richiesti dalla legge, non può imputarsi al giudice di appello la mancata osservanza dell’obbligo di accertamento della validità della medesima pronuncia, neanche quanto alla corrispondenza fra chiesto e pronunciato.

Ed invero, tale obbligo sarebbe in concreto sorto soltanto se il giudice di primo grado avesse omesso di esaminare una questione sottoposta al suo vaglio dalle parti, per cui essendo errato lo stesso presupposto illustrato dai ricorrenti, quanto alla mancata trascrizione della conclusioni, viene meno anche l’ulteriore deduzione.

Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 1123 c.c. e dell’art. 210 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per noti avere il giudice del gravame attribuito alcun pregio alla circostanza rilevata dagli appellanti per cui il giudice di prime cure, disconosciuti i documenti prodotti dal Condominio in copia, rimetteva la causa sul ruolo per consentire al convenuto la produzione degli originali, con patente violazione del principio dispositivo, invocato impropriamente in quella sede l’art. 210 c.p.c..

Insistono i ricorrenti che tutto ciò inciderebbe, quanto ai merito, sulla valutazione circa la inesistenza di tabelle millesimali regolarmente approvate per la ripartizione delle spese. Anche questa censura va disattesa.

Il provvedimento di cui all’art. 210 c.p.c. è espressione di una facoltà discrezionale rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, che pertanto non è tenuto a indicare le ragioni per le quali ritiene di avvalersi o non del relativo potere ed i cui esercizio non può quindi formare oggetto di ricorso per cassazione, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione (v., tra le altre, Cass. 2 febbraio 2006 n. 2262), motivazione di cui peraltro la sentenza impugnata non è priva, avendo la Corte d’appello esposto in maniera esauriente le ragioni della propria decisione sul punto, spiegando che l’attività istruttoria svolta dal giudice di prime cure trovava conferma nell’esigenza di acquisire documenti sufficientemente individuati ed indispensabili in quanto diretti a riconoscere l’esistenza di un fatto decisivo, non altrimenti determinabile. Prosegue il giudice del gravame che “eventualmente dell’ordine avrebbe dovuto dolersi il condominio, per le conseguenze negative che gliene potevano derivare dall’impossibilità (o anche solo difficoltà) di produzione”.

Appare opportuno aggiungere, quanto alla doglianza relativa alla mancata valutazione dai giudici di merito dell’avere i ricorrenti disconosciuto i documenti prodotti in copia dal condominio, che il disconoscimento della conformità di una copia fotostatica all’originale di una scrittura – secondo il consolidato insegnamento di questa corte – non ha gli stessi effetti dei disconoscimento previsto dall’art. 215 c.p.c., comma 2, perchè mentre quest’ultimo, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo di questa, preclude l’utilizzazione della scrittura, il primo non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni. Ne consegue che l’avvenuta produzione in giudizio della copia fotostatica di un documento, se impegna la parte contro la quale il documento è prodotto a prendere posizione sulla conformità della copia all’originale, tuttavia, non vincola il giudice all’avvenuto disconoscimento della riproduzione, potendo egli apprezzarne l’efficacia rappresentativa (cfr Cass. 3 febbraio 2006 n. 2419; Cass. 15 giugno 2004 n. 11269; Cass. 4 marzo 2004 n. 4395; Cass. 26 gennaio 2000 n. 866).

Per ciò che attiene, infine, alla determinazione circa la non necessità di valide tabelle millesimali per la ripartizione delle spese inerenti le cose comuni, la censura, in primis inammissibile in quanto del tutto generica, non merita comunque accoglimento.

La ripartizione di una spesa condominiale può, infatti, essere deliberata anche in mancanza di appropriata tabella millesimale purchè nel rispetto della proporzione tra la quota di essa posta a carico di ciascun condomino e la quota di proprietà esclusiva a questi appartenente, dato che il criterio per determinare le singole quote preesiste ed è indipendente dalla formazione della tabella derivando dal rapportala il valore della proprietà singolare quello dell’intero edificio. Ne consegue che il condomino, il quale ritenga che la ripartizione della spesa abbia avuto luogo in contrasto con tale criterio, è tenuto ad impugnare la deliberazione indicando in quali esatti termini la violazione di esso abbia avuto luogo e quale pregiudizio concreto ed attuale gliene derivi. Nella specie, la corte di merito ha evidenziato come i ricorrenti non avessero indicato per quali concreti motivi, con riferimento a violazione di specifici parametri tecnici, la ripartizione di spesa approvata dall’assemblea fosse lesiva dei loro diritti, per cui la domanda, presentandosi generica per indeterminatezza della questione già posta in sede di merito, riprodotta negli stessi termini nel ricorso, rappresenta motivo di inammissibilità della doglianza, in quanto in contrasto con il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non è formulata in guisa da consentire al giudice di legittimità la valutazione, sia pure in astratto, della questione ai fini di una pronuncia della controversia in senso difforme da quella cui è pervenuto il giudice del merito (v. Cass. 3 dicembre 1999 n. 13505 e di recente, Cass. 10 febbraio 2009 n. 3245).

Il ricorso viene pertanto rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti a rimborsare al resistente le spese del giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori, come per legge.

Redazione