Condominio e uso esclusivo del cortile (Cass. n. 10198/2012)

Redazione 20/06/12
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Svolgimento del processo

G.F., proprietario in Milano di un appartamento nello stabile condominiale di via (omissis), acquistato nel 1991 da C.A., B.M.V. e P.M. T. (cd. “eredi B.”), con citazione notificata il 12/7- 5/9/96 convenne al giudizio del tribunale in sede i condomini L. V.W. e Z.P., proprietari, per successivi rispettivi acquisti, di due appartamenti provenienti dai suddetti medesimi danti causa, al fine di sentir dichiarare insussistente, con conseguente condanna al rilascio, il diritto di uso esclusivo su due rispettive porzioni del cortile condominiale, dagli stessi vantato ed esercitato sulla base di clausole contenute nei titoli di acquisto, perchè in contrasto con il regolamento contrattuale condominiale, prevedente la proprietà comune di tutto il cortile. Nella resistenza dei convenuti, che avevano chiamato in garanzia i rispettivi danti causa, la L.V. i sopra nominati eredi B., il Sa.Au.Bo., che aveva a sua volta chiamato Z.P., e dei terzi chiamati, che avevano chiesto il rigetto delle domande o, in subordine, delle rispettive chiamate, con sentenza n. 5003 del 7.3.01 il Tribunale di Milano respinse le domande attrici, nonchè la riconvenzionale del Sa. per la cancellazione della trascrizione e responsabilità ex art. 96 c.p.c., condannando l’attore alle spese del giudizio.

Adita in appello dal soccombente, la Corte di Milano con sentenza del 19/1-1/3/05, ne rigettò il gravame ed in accoglimento parziale di quello incidentale del Sa., dispose la cancellazione della trascrizione della relativa domanda, con condanna del G. alle spese del grado in favore di ciascuno degli appellati, nonchè della società M2M s.r.l., intervenuta in causa quale acquirente dell’immobile L.V..

La corte territoriale confermava la reiezione della domanda attrice, sulla scorta dell’interpretazione coordinata degli artt. 2 e 3 del regolamento di condominio ed in base all’essenziale considerazione della compatibilità dell’uso esclusivo su alcune parti del cortile, riservatosi dagli originari proprietari e poi trasferito ai convenuti, con la previsione di condominialità dell’area, la cui naturale funzione di fornire aria e luce alle unità immobiliari prospettanti, non risultava, a termini dell’art. 1120 c.c., in concreto pregiudicata dall’esercizio dell’anzidetto diritto reale.

Avverso tale sentenza il G. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati con successiva memoria.

Hanno resistito con comune controricorso la C., la P. e la S., nonchè, a mezzo di difensore che ha partecipato alla discussione in pubblica udienza, il Sa.. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1366, 1367, 1369, 1370 e 1371 c.c., criticando l’interpretazione degli artt. 2 e 3 del regolamento condominiale fornita dalle corte territoriale, secondo cui tali disposizioni avrebbero operato una scissione tra il diritto di proprietà e quello di uso del cortile, attribuendo alla parte venditrice la facoltà di modificare successivamente il secondo su parti del bene comune, mentre invece le stesse avrebbero soltanto consentito di apportare eventuali modifiche alla consistenza ad all’uso delle parti comuni, nel solo interesse collettivo, nell’ambito dei lavori in via di completamento. Tali censure vengono riassunte nel quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c., formulato nei seguenti termini – “Vero che in mancanza d’inequivocabili risultanze contrarie, l’eventuale clausola di un regolamento contrattuale condominiale intesa ad attribuire ai frazionatori, genericamente e per una serie indeterminata di beni comuni, facoltà potestative generalizzate di modificarne la consistenza e usi, deve ritenersi essenzialmente riferita a modifiche materiali, ovvero a semplici variazioni di modalità d’uso, da realizzarsi nell’interesse comune, e non può ritenersi comprensiva della facoltà di sottrarre e/o limitare i diritti dei condomini sui beni che lo stesso regolamento, in una diversa clausola, ha specificamente indicato come beni comuni e “indivisibili”, a meno che tale intenzione non risulti inequivocabilmente dichiarata nella clausola medesima, e sempre che essa consenta di comprendere agevolmente, ex ante, di quali sottrazioni e/o limitazioni precisamente si tratti”.

Con il secondo motivo vengono dedotte, formulando corrispondente quesito ex art. 366 bis c.p.c. violazione e falsa applicazione dell’art. 1355 c.c. e nullità della clausola regolamentare n. 3, in quanto meramente potestativa, siccome conferente al frazionatore la facoltà di imporre oneri reali o limitazioni dei diritti di uso dei condomini su un genus indistinto di beni non identificati, dichiarati comuni dall’art. 1117 c.c. o dal regolamento. Con il terzo motivo si deduce, formulando analogo quesito, “violazione e omessa/falsa applicazione … degli artt. 1119, 1120 e 1138 c.c., u.c., anche in relazione agli artt. 1346, 1350, 2643 e 1366 c.c.: nullità dell’art. 3 del regolamento come interpretato dalla sentenza impugnata, in quanto clausola potestativa ed indeterminata”. Con il quarto motivo, infine, si deduce “irrilevanza di tutte le deduzioni, produzioni ed istanze istruttorie avversarie, in quanto finalizzate a rappresentare limitazioni ai diritti immobiliari dei condomini e/o pattuizioni verbali non direttamente desumibili dal testo scritto del regolamento condominiale, ed anzi contrarie all’art. 2 dello stesso, nella parte in cui dichiara integralmente comuni “i cortili” del complesso condominiale “formulando le conseguenti conclusioni della cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, con pronunzia nel merito, di accoglimento delle proprie domande, in quanto ingiustamente disattesa dal giudice di merito sulla base della “improbabile interpretazione estensiva della clausola n. 3” proposta dalle controparti.

Tanto premesso, ritiene la Corte che, mentre il secondo motivo, nella parte deducente la violazione dell’art. 1335 c.c., non meriti accoglimento, ancor prima che per l’inconferenza del richiamo normativo (non venendo in considerazione, nel caso di specie, una condizione sospensiva, subordinante l’alienazione di un diritto o l’assunzione di un obbligo alla mera volontà dell’alienante, costituendo invece la clausola una riserva di futura limitazione del contenuto di un diritto già oggetto di trasferimento), per radicale inammissibilità, non essendosi la Corte pronunziata sull’anzidetto, questione, omissione che (ove formulato un apposito motivo di appello) avrebbe dovuto essere correttamente denunciata ex art. 360, n. 4 in rel. art. 112 c.p.c. e non invece sotto il profilo della violazione di norma di diritto, fondate invece debbano ritenersi, per quanto di seguito espostole rimanenti censure contenute nella restante parte di tale motivo, nonchè nel primo e terzo, da esaminarsi congiuntamente per la stretta connessione.

Va premesso che il regolamento condominiale predisposto dall’originario proprietario dell’edificio, per la sua natura contrattuale, laddove contenga clausole limitatrici dei diritti dei condomini, anche sulle parti comuni, ovvero attributive ad alcuni di diritti maggiori rispetto a quelli degli altri, è soggetto alle generali norme disciplinanti la validità dei contratti, da cui quella della determinatezza o determinabilità dell’oggetto dell’obbligazione di cui all’art. 1436 c.c., che “esprime la fondamentale esigenza di concretezza dell’atto contrattuale, avendo le parti la necessità di sapere l’impegno assunto ovvero i criteri per la sua concreta determinazione, il che può essere pregiudicato dalla possibilità che la misura della prestazione sia discrezionalmente determinata, sia pure in presenza di precise condizioni legittimanti, da una soltanto delle parti”. (v. Cass. n. 5513/08).

Nel caso di specie deve ritenersi che l’interpretazione fornita dai giudici di merito della poco chiara clausola contenuta nell’art. 3 del regolamento in questione (secondo cui “la parte venditrice, fino a che non avrà terminato la vendita dell’intero fabbricato, si riserva la facoltà di modificare la consistenza e l’uso di quelle parti comuni che non pregiudichino il godimento delle singole porzioni immobiliari vendute e di apportare alla casa ed alle parti comuni tutte le modifiche che si rendessero necessarie in dipendenza dei lavori in corso..”), riconoscendo al venditore – frazionatore la facoltà di intervenire ex post unilateralmente su qualsiasi parte del complesso condominiale, riservandone a sè, o attribuendolo a singoli successivi acquirenti, il parziale uso esclusivo, sia pur con la riserva di compatibilità con la primaria destinazione collettiva, senza alcuna preventiva specificazione di tali parti, con conseguente indeterminatezza ed indeterminabilità ex ante delle limitazioni imposte agli acquirenti e futuri condomini, propone un’accezione palesemente nulla, per violazione dell’art. 1426 c.c. citato, della disposizione negoziale de qua, inficiata pertanto da palese violazione del sussidiario principio ermeneutico della conservazione del contratto dettato dall’art. 1367 c.c..

Resta assorbito il quinto “motivo”, peraltro risolventesi nella mera esternazione di argomentazioni difensive.

La sentenza impugnata va, conclusivamente, cassata, in relazione alle censure accolte, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte di provenienza, cui si demanda anche il regolamento delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

 

La Corte accoglierei sensi di cui in motivazione, il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano.

Redazione