Condominio: chi realizza una sopraelevazione non può appropriarsi di una porzione di tetto comune (Cass. n. 2500/2013)

Redazione 04/02/13
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ritenuto che ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., il relatore nominato per l’esame del ricorso ha depositato la seguente relazione:

“Letti gli atti depositati:

Osserva in fatto.

G.G. con atto di citazione notificato in data 25/3/2003 conveniva in giudizio G.M.R. e G.F. e, assumendo che le stesse aveva realizzato illegittimi interventi su parti comuni di immobili, ne chiedeva la condanna alla rimessione in pristino e al risarcimento dei danni.

Le convenute si costituivano, chiedevano il rigetto della domanda e in via riconvenzionale, chiedevano la condanna dell’attore a realizzare le opere indicate in un atto di divisione e a rimuovere alcune opere e della mobilia posta nelle parti comuni, nonchè una aiuola piantumata realizzata nel cortile.

Con sentenza del 20/10/2008 il Tribunale di Novara:

– condannava le convenute a ripristinare l’originaria altezza di un muro perimetrale e della falda del tetto e inibiva loro di installare nel cortile qualsiasi manufatto;

– condannava il G. ad eliminare un terrazzo ripristinando la copertura del tetto dell’edificio, considerato parte comune e a rimuovere dal posto auto assegnato alle convenute nell’atto di divisione, l’aiuola piantumata.

Il G. proponeva appello al fine di ottenere l’eliminazione di una porta basculante realizzata dalle convenute nel muro comune e il rigetto della domanda avente ad oggetto il ripristino del tetto e l’eliminazione dell’aiuola.

Le appellate si costituivano per chiedere il rigetto dell’appello.

La Corte di Appello di Torino con sentenza del 29/12/2010 ha rigettato l’appello rilevando:

– che il motivo di appello con il quale si sosteneva che l’apertura chiusa da porta basculante alterava la natura e la destinazione del muro perimetrale, è inammissibile perchè privo di qualsivoglia riferimento alla motivazione della sentenza di primo grado e alla sua ratio decidendi e, quindi, privo del requisito di specificità;

– che il motivo è inoltre infondato perchè la porta non si aggiunge a precedenti aperture, ma sostituisce la preesistente porta e finestra ed è stata realizzata in corrispondenza della proprietà esclusiva delle G.;

– che il motivo di appello relativo alla condanna al ripristino del tetto è infondato in quanto il comproprietario non può sostituire al tetto, pacificamente parte comune dell’edificio, un terrazzo da destinare al proprio uso esclusivo; l’opera non può considerarsi sopraelevazione legittima perchè ha determinato non già una sopraelevazione, ma un abbassamento della copertura e perchè ha sottratto all’uso comune il, tetto, demolito e sostituito con una terrazza di uso esclusivo; la censura riguardante un preteso assenso delle comproprietarie è inammissibile in quanto non attinge la ratio decidendi della sentenza appellata per la quale il consenso avrebbe dovuto essere espresso in forma scritta ad substantiam;

– che il motivo di appello sulla statuizione che l’eliminazione dell’aiuola piantumata è infondato perchè nell’atto di divisione è stato assegnato alle sorelle G. il posto auto di specificate dimensioni senza alcun riferimento alla possibilità di mantenere l’aiuola piantumata, neppure riprodotta nella, planimetria allegata all’atto di divisione che individua il posto auto e pertanto è irrilevante che l’aiuola potesse essere preesistente o che il posto auto sia di dimensioni maggiori rispetto a quello assegnato all’appellante.

G.G. propone ricorso affidato a 4 motivi.

Resistono con controricorso G.M.R. e G. F..

Osserva in diritto.

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1102 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e sostiene che, pur essendo astrattamente consentite modifiche del muro perimetrale da parte del comproprietario, rimane fermo di divieto di alterarne la destinazione e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso e, nella specie, l’opera avrebbe compromesso la possibilità di eguale godimento di esso ricorrente quale comproprietario e avrebbe comportato la creazione di un locale averne uso diverso (box auto) da quello al quale era destinato.

1.1 Il motivo, nel quale si riproducono le censure sviluppate con il primo motivo di appello, è inammissibile in quanto non attinge la prima ratio decidendi della Corte di Appello che ha ritenuto l’inammissibilità del motivo di appello (oggi riproposto come motivo di ricorso) concernente la statuizione sulla legittimità dell’apertura di tipo carraio chiusa da porta basculante, in sostituzione di precedente apertura; la Cotte territoriale ha.

infatti ritenuto che il motivo è inammissibile per difetto di specificità non essendo correlato con la motivazione della sentenza appellata.

La statuizione di inammissibilità (che comporta un giudizio sull’inidonea impugnazione della statuizione di legittimità dell’apertura attrezzata con porta basculante) non ha formato morivo di ricorso per cassazione e ciò preclude l’esame del merito.

Ove si dovesse superare questa assorbente ragione di inammissibilità, il motivo risulta manifestamente infondato nel merito in quanto la Corte territoriale ha rilevato che la porta basculante non si è aggiunta a precedenti aperture, ma ha sostituito la preesistente porta e la preesistente finestra ed è stata realizzata in corrispondenza della proprietà esclusiva delle G. con la conseguenza che non poteva affermarsi che l’intervento precludeva l’eguale utilizzo del muro da parte del comproprietario in quanto egli non ne avrebbe potuto fare un eguale utilizzo, non potendo aprire varchi nell’altrui proprietà; la decisione è coerente con il principio affermato da questa Corte secondo il quale l’uso paritetico della cosa comune che va tutelato deve essere compatibile con la ragionevole previsione dell’utilizzazione che in concreto faranno gli altri condomini e non anche della identica e contemporanea utilizzazione che in via meramente ipotetica e astratta nel potrebbero fare (Cass. 27/2/2007 n. 4617).

In ogni caso, la Corte territoriale ha ritenuto, con valutazione di merito non attinta da una censura di vizio di motivazione, che l’opera non pregiudicasse le concrete possibilità di eguale godimento e tanto basta per escludere la violazione dell’art. 1102 c.c..

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1102 e 1127 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e sostiene:

a) che la Corte di appello non ha precisato e motivato sulla ritenuta irrilevanza della proprietà del sottotetto da parte di esso ricorrente;

b) che invece la proprietà del sottotetto è rilevante per attribuirgli 1 diritti previsti dagli artt. 1102 e 1127 c.c., di apportare modifiche parziali al tetto;

c) che la trasformazione del sottotetto in terrazzo non ha alterato l’originaria destinazione della cosa comune sottraendola all’utilizzazione delle comproprietarie;

d) che esso ricorrente si è limitato a sostituire una copertura spiovente con una copertura piana, rientrante nella tipologia dei tetti;

e) che anche le sorelle G. avevano modificato il tetto innalzandolo per ricavarne una mansarda;

f) che non era necessaria la prova scritta del reciproco consenso in quanto le modifiche erano nell’interesse comune;

g) che la funzione di copertura espletata dal letto non ha subito alcun pregiudizio;

h) che sul tetto sono realizzabili anche interventi edilizi diversi dalla sopraelevazione considerata dall’art. 1127 c.c..

2.1 Il motivo è manifestamente infondato in ogni sua parte e la decisione della Corte di Appello è conforme alla giurisprudenza consolidata di questa Corte che invece il ricorrente mostra di non tenere in alcun conto.

Infatti, quanto alle possibilità edificatorie da parte del proprietario dell’ultimo piano, l’art. 1127 c.c., consente solo le sopraelevazioni e non le demolizioni con abbassamento delle quote, come nella fattispecie; questa Corte ha ripetutamente affermato che la sopraelevazione ex art. 1127 c.c., è ravvisabile “solo in presenta di un intervento edificatorio che comporti lo spostamento in alto della copertura del fabbricato, tetto o lastrico solare che sia, in modo da interessare la colonna d’aria sovrastante lo stabile” (Cass. 1498/98 e, da ultimo, Cass. 7/9/2009 n. 19281); questa Corte ha inoltre rilevato che, come, si evince dall’art. 1127 c.c., la sopraelevazione presuppone, comunque, che chi la realizza ricostruisca “il lastrico solare di ari tutti o parte dei condomini aveva il diritto di usare”; in sostanza nell’ipotesi di sopraelevazione si sostituisce il diritto dei condomini sulla superficie terminale – sia essa tetto o lastrico solare – su un identico bene, posto ad una quota superiore (Cass.5/6/2008 n. 14950;

Cass. 12/3/2007 n. 5753). Nel caso in esame, invece, tale condizione non risulta sussistere, perchè il ricorrente, per realizzare la proprio terrazzo, si è appropriato di una porzione di tetto comune sostituendola con una superficie in suo godimento esclusivo.

Con riferimento alle possibilità accordate al condomino dall’art. 1102 c.c., il ricorrente non coglie la portata della norma e la assoluta estraneità della fattispecie in esame all’ambito normativo indicato e, come detto non considera neppure la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale qualora il proprietario dell’ultimo piano di un edificio condominiale provveda a modificare una parte del tetro condominiale trasformandola in terrazza a proprio uso esclusivo, tale modifica è da ritenere illecita non potendo essere invocato l’art. 1102 c.c., poichè non si è in presenza di una modifica finalizzata al migliore, godimento della cosa comune, bensì all’appropriazione di una parte di questa che viene definitivamente sottratta ad ogni possibilità di futuro godimento da parte degli altri; nè assume rilievo il fatto che la parte di tetto sostituita continui a svolgere una funzione di copertura dell’immobile (Cass. 5/6/2008 n. 14950); tale orientamento è consolidato da oltre un ventennio essendosi sempre escluso che un condomino potesse trasformare il tetto in terrazza ad uso esclusivo, essendo in tal modo alterata la originaria destinazione della cosa comune, che viene sottratta all’utilizzazione da parte degli altri condomini (sent. 19 gennaio 2006 n. 972; 28 marzo 2001 n. 3369; 7 gennaio 1984 n. 101), anche quando tale trasformazione riguarda solo una parte del tetto (sent. 9 maggio 1983 n. 3199).

Nel caso di specie il tetto demolito ha cessato di rimanere nel godimento comune e di essere suscettibile, potenzialmente, di un uso per gli altri comproprietari; questa Corte ha inoltre già avuto modo di rilevare che è del tutto ininfluente la considerazione che non sia variata la finzione di “copertura” cui assolverebbe anche la parte di tetto sostituita con la terrazza, perchè detta utilizzazione non e l’unica possibile, non potendosi escludere in ipotesi utilizzazioni future, quali l’appoggio di antenne, o di pannelli solari, o altre possibili e oggi inimmaginabile utilità (Cass. 5/6/2008 n. 14950).

Infine, quanto al preteso consenso delle comproprietarie, il ricorrente lamenta che non era necessario il consenso scritto trattandosi di opere nell’interesse comune e per le quali era stato dato reciproco consenso. 11 motivo in questa parte è inammissibile:

la Corte di Appello ha ritenuto, che il motivo con il quale si sosteneva la legittimità dell’intervento in quanto concordato era inammissibile perchè non era censurata la statuizione secondo la quale occorreva il consenso scritto e pertanto ha ritenuto che la relativa censura non potesse neppure essere esaminata nel merito;

questa decisione non ha formato oggetto di ricorso il che preclude l’esame del merito della censura. Ove si ritenesse superabile il rilievo di. inammissibilità, si osserva che la censura è manifestamente infondata non risultando dagli atti l’esistenza di un reciproco consenso, meramente affermato dal ricorrente e, al contrario, le controricorrenti hanno rilevato che nell’atto di citazione del primo grado G.G. dichiarava che le sorelle G. avevano realizzato le opere su parti comuni senza avere preventivamente acquisito il suo assenso, con ciò contraddicendo l’assunto dell’indimostrato ma soltanto affermato reciproco consenso.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1102 c.c., e il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione sostenendo che la Corte di Appello ha contraddittoriamente ritenute consentite le modifiche apportate dalle sorelle G. alla cosa comune, nella specie al muro perimetrale, realizzate con la sua parziale demolizione per ricavare una porta carraia e, invece, non ha ritenuto legittima la demolizione di una parte del tetto per ricavarne un terrazzino.

3.1 Il motivo, nella parte in cui riafferma la legittimità dell’intervento demolitorio di parte del tetto è manifestamente infondato per le ragioni già espresse al precedente punto 2.1; è parimenti infondata la censura di contraddittorietà della motivazione in quanto le due situazioni esaminate dalla Corte territoriale non sono comparabili e non v’è contraddittorietà della motivazione perchè l’intervento sul muro perimetrale è stato meramente sostitutivo di apertura già esistenti, senza pregiudizio delle concrete possibilità di godimento della parte di muro che già era riservata all’uso delle sorelle G., mentre la demolizione del tetto ha radicalmente modificato la situazione esistente impedendo l’uso della cosa comune che di fatto poteva essere esercitato.

4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1102 c.c., in relazione alla ritenuta illegittimità dell’aiuola piantumata in corrispondenza del posto auto assegnato alle sorelle G..

Il ricorrente sostiene:

– che l’aiuola piantumata aveva lo scopo di abbellire il muro di confine e preesisteva alla divisione con assegnazione dei posti auto;

– che non intralciava l’utilizzo del posto macchina ed era opera funzionale al più gradevole uso della cosa comune;

– che non si trovava all’interno della superficie assegnata alle sorelle G., ma nel cortile comune e che quindi era stata collocata nel rispetto del disposto dell’art. 1102 c.c., che consente interventi sulla cosa comune senza pregiudizio per il pari godimento degli altri comproprietari.

4.1 Il motivo è inammissibile in quanto non attinge la ratio decidendi della sentenza impugnata secondo la quale l’aiuola deve essere rimossa in quanto si trova in corrispondenza del posto auto assegnato alle sorelle G. e ne riduce la superficie loro assegnata nell’atto di divisione, essendo pertanto irrilevante la sua eventuale preesistenza. La Corte distrettuale ha, quindi, considerato decisivo per l’illegittimità del mantenimento dell’aiuola il fatto che la sua presenza pregiudica la piena disponibilità del posto auto garantita con l’atto di divisione e questa ratio non è stata censurata se non con l’affermazione del tutto apodittica e irrilevante per la quale “tale modesto spazio…non è comunque di intralcio all’utilizzo del posto macchina assegnato alle sorelle G.” senza neppure dedurre un vizio di motivazione della sentenza nella parte in cui ravvisava intralcio.

L’ulteriore affermazione in ricorso secondo la quale “contrariamente quanto ritenuto dalla Corte l’aiuola piantumata non è all’interno della superficie assegnata alle signore G…. bensì sul cortile comune e quindi nella disponibilità di entrambi, i condomini” è fondata solo sul richiamo a rilevamenti grafici del CTU che non si comprende come possano costituire sostegno a tale apodittica affermazione contraddicendo quanto ritenuto dalla Corte di appello secondo la quale l’area piantumata invade la superficie assegnata alle G.; in ogni caso, l’errore di fatto nella valutazione delle risultanze grafiche non sarebbe deducibile come violazione dell’art. 1102 c.c., ma, eventualmente come errore revocato rio, ciò costituendo ulteriore motivo di inammissibilità del motivo in questa parte.

5. In conclusione, il ricorso può essere trattato m camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376. 380 bis e 375 c.p.c., per essere dichiarato manifestamente infondato”.

Considerato che il ricorso è stato fissato per l’esame in camera di consiglio, che sono state effettuate le comunicazioni alle parti costituite e la comunicazione al P.G..

Considerato che la memoria del ricorrente non apporta elementi atti a inficiare le valutazioni e le conclusioni della relazione: nella memoria sono richiamate le sentenze del 3/8/2012 n. 14107 e 14109 di questa Corte, nelle quali è affermato il principio di diritto secondo il quale “Il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune, può effettuare la trasformazione di ima parte del tetto dell’edificio in terrazza ad uso esclusivo proprio, a condizione che sia salvaguardata, mediante opere adeguate, la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, restando così complessivamente mantenuta, per la non significativa portata della modifica, la destinazione principale del bene”; sulla base di questi due precedenti, sostiene che troverebbe conferma la dedotta violazione, da parte del giudice di appello, dell’art. 1102 c.c., che, alla luce della richiamata giurisprudenza e diversamente da quanto ritenuto dal giudice di appello, consentirebbe al comproprietario del piano sottostante, la trasformazione di una parte del tetto in terrazzo ad uso esclusivo proprio.

Tuttavia, gli stessi recenti precedenti teste richiamati non hanno affermato l’indiscriminata possibilità di trasformazione dei tetti, ma hanno affermato che il giudizio sul punto andrà formulato caso per caso, in relazione alle circostanze peculiari e si risolve in un giudizio di fatto sindacabile in sede di legittimità solo avendo riguardo alla motivazione, dovendosi verificare in concreto, se l’uso privato possa tagliere reali possibilità di uso della cosa comune agli altri potenziali condomini – utenti e se la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture non ne resti compromessa, ma queste “condizioni” introducono questioni di fatto che non risultano trattate dalle parti nel giudizio di appello, così che non possono essere esaminate per la prima volta in questa sede di legittimità.

Considerato che pertanto il collegio, con le precisazioni di cui sopra, condivide e fa proprie le argomentazioni e la proposta del relatore.

Che le spese di questo giudizio di Cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza di G.G..

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna G. G. al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione che liquida in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi.

Redazione