Condanna al pagamento delle spese processuali e restituzione del contributo unificato (Cons. Stato n. 2388/2013)

Redazione 02/05/13
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FATTO

1. La ditta *******, che aveva partecipato alla gara a trattativa privata indetta dal Comune di Visso (giusta lettera d’invito prot. n. 7581 del 27 dicembre 2007) per l’appalto dei lavori concernenti “Programma di recupero del nucleo storico di Mevale (L. 61/98): interventi infrastrutturali – 1° stralcio funzionale”, per un importo a base d’asta di €. 1.043.365,50, comprensivi di €. 35.772,24 per oneri di sicurezza, non soggetti a ribasso, con ricorso giurisdizionale notificato a mezzo del servizio postale il 20 febbraio 2008 chiedeva al Tribunale amministrativo regionale per le Marche l’annullamento del verbale di gara del 30 gennaio 2008, essendo stata disposta l’apertura delle buste contenenti le offerte, senza osservare l’orario stabilito nella lettera d’invito, nonché il risarcimento dei danni conseguenti alla illegittima aggiudicazione della gara e di quelli derivanti dalla sua mancata convocazione a precedenti gare d’appalto a trattativa privata bandite dalla stessa amministrazione comunale, nell’ipotesi che fossero stati confermati i dubbi di legittimità in ordine al loro svolgimento.

A sostegno dell’impugnativa venivano dedotti “Violazione dell’art. 97 Cost. e del principio generale di pubblicità delle gare d’appalto bandite da enti pubblici” e “Incompetenza sotto più profili dello sviamento di potere e dalla causa tipica”, rilevandosi, per un verso, che la pubblicità delle sedute di gara costituisce un principio fondamentale a tutela dell’imparzialità e della trasparenza dell’operato della pubblica amministrazione, quanto meno per ciò che concerne la verifica dell’integrità dei plichi contenenti la documentazione amministrativa e l’offerta economica e la relativa apertura, e, per altro verso, che inammissibilmente nella procedura in questione il sindaco aveva cumulato le funzioni di capo dell’amministrazione, responsabile del servizio e presidente della commissione di gara.

Sotto altro profilo la ditta ricorrente, sottolineando di avere la propria sede nel Comune di Visso, deduceva di aver appreso informalmente che l’amministrazione comunale negli ultimi anni aveva bandito numerose gare di appalto a trattativa privata, lamentando di non essere mai stata invitata a partecipare, il che costituiva un comportamento palesemente illegittimo ed arbitrario che, se confermato (attraverso apposita attività istruttoria che veniva chiesta al giudice adito), comportava l’illegittimità delle relative procedure e delle conseguenti aggiudicazioni, con diritto al risarcimento di tutti i danni subiti.

Con successivi motivi aggiunti notificati il 27 febbraio 2008 venivano impugnati la determina n. 57 del 20 febbraio 2008, con cui il sindaco aveva aggiudicato la gara alla SO.GE.L. s.r.l. (lamentandosi “Illegittimità derivata – Violazione dell’art. 97 Cost. e del principio generale di pubblicità delle gare di appalto bandite da enti pubblici”) ed il decreto sindacale n. 2/2007 del 1° ottobre 2007, con cui lo stesso sindaco si era autonominato Responsabile del Servizio Lavori Pubblici (deducendosi “Violazione degli artt. 107 e segg. del T.U.E.L. 267/2000. Incompetenza sotto più profili. Eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento di potere e della causa tipica”).

2. L’adito tribunale, sez. I, nella resistenza dell’intimato Comune di Visso, con la sentenza n. 225 del 9 aprile 2008, ha ritenuto fondata ed assorbente la dedotta censura di incompetenza, atteso che, violando il fondamentale principio di separazione della funzione di indirizzo e controllo politico da quella di gestione, il sindaco aveva svolto contemporaneamente anche la funzione di presidente della commissione incaricata di esaminare e valutare le offerte pervenute.

E’ stato pertanto annullato il verbale di gara del 20 febbraio 2008 ed il successivo provvedimento di aggiudicazione (determina n. 27 del 20 febbraio 2008), mentre è stata dichiarata infondata la domanda di risarcimento del danno, ritenendosi sufficiente ed adeguato a garantire le ragioni della ricorrente l’annullamento tempestivo degli atti di gara (il cui effetto era stato anticipato grazie all’ordinanza cautelare di sospensione degli atti impugnati), che consentiva la partecipazione alla nuova procedura selettiva emendata dei vizi sollevati col ricorso; ciò tanto più che l’offerta presentata dalla società ricorrente non era di per sé idonea a determinare automaticamente l’aggiudicazione in suo favore.

3. La ditta *******, con rituale e tempestivo atto di appello, ha chiesto la parziale riforma di tale sentenza sia nella parte in cui ha, a suo avviso, omesso di pronunciarsi sulla domanda riguardante la asserita illegittimità delle procedure di gara a trattativa privata bandite dal Comune di Visso negli ultimi anni, senza consentirle di partecipare, e sulla conseguente richiesta di risarcimento del danno, disattendendo anche la puntuale richiesta istruttoria, sia in relazione al capo concernente la condanna alle spese del giudizio, liquidate, a suo avviso, in misura assolutamente inadeguata ed insoddisfacente (€. 1.500,00), inferiore anche all’ammontare del contributo unificato (pari a €. 2.000,00).

Nessuna delle parti appellate si è costituita in giudizio.

4. All’udienza pubblica del 22 marzo 2013, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

 

DIRITTO

5. L’appello non è meritevole di favorevole considerazione, alla stregua delle osservazioni che seguono.

5.1. Sebbene infatti debba convenirsi, per un verso, che effettivamente nel giudizio di primo grado la ditta Ezio T. aveva proposto anche una domanda di annullamento di tutte le gare che sarebbero state indette dall’intimata amministrazione comunale di Visso, alle quali non era stata mai invitata e che pertanto erano, a suo avviso, palesemente illegittime e fonte di risarcimento del danno, e per altro verso, che su tale domanda i primi giudici non si sono pronunciati, neppure implicitamente, non rinvenendosi in tal senso alcun elemento o accenno motivazionale, non può tuttavia sottacersi che tale domanda era inammissibile, ancor prima che infondata.

Anche nel giudizio amministrativo, invero, spetta al ricorrente, che assume di aver subito un danno dall’adozione di un provvedimento illegittimo o anche da un comportamento della pubblica amministrazione, l’onere della prova, secondo il principio generale fissato dall’art. 2697 c.c. (ex multis, C.d.S., sez. V, 13 giugno 2008, n. 2967; 18 gennaio 2006, n. 112; sez. VI, 14 novembre 2012, n. 5747; 22 agosto 2006, n. 4932; 27 febbraio 2006, n. 835), non potendo a tanto supplire il soccorso istruttorio del giudice, trattandosi di prove che sono nella piena disponibilità della parte.

E’ stato ripetutamente sottolineato, in tema di responsabilità della pubblica amministrazione, che l’ingiustizia del danno non può considerarsi in re ipsa nella sola illegittimità dell’esercizio della funzione amministrativa o pubblica in generale, dovendo in realtà il giudice procedere ad accertare che sussista un evento dannoso; che il danno sia qualificabile come ingiusto (in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l’ordinamento); che l’evento dannoso sia riferibile, sotto il profilo causale, ad una condotta della pubblica amministrazione; che l’evento dannoso sia imputabile a responsabilità della pubblica amministrazione anche sotto il profilo soggettivo del dolo o della colpa (ex pluribus, Cass. Civ., sez. III, 28 ottobre 2011, n. 22508; 23 febbraio 2010, n. 4326).

5.2. Nel caso in esame la parte ricorrente non ha fornito alcun elemento probatorio, neppure a livello indiziario, da cui potesse ricavarsi la stessa esistenza di atti o fatti, riferibili all’intimata amministrazione comunale, astrattamente dannosi in relazione alla celebrazione di illegittime gare di appalto a trattativa privata, essendo stata formulata, peraltro in termini assolutamente generici e dubitativi, una mera ipotesi circa l’avvenuta indizione, in un periodo di tempo anch’esso assolutamente indeterminato, di gare di appalto a trattativa privata alle quali non sarebbe stata invitata a partecipare.

Del resto non sono stati neppure indicati ostacoli che l’amministrazione comunale avrebbe frapposto a richieste di accesso agli atti per ottenere notizie sulle predette procedure, solo in presenza delle quali il giudice avrebbe potuto valutare l’ammissibilità e la fondatezza della richiesta di esercizio del potere ufficioso di istruttoria.

Ciò senza contare che nessun elemento probatorio è stato fornito, neppure sotto il profilo di una ragionevole probabilità, in relazione ai presunti danni che sarebbero derivati dalle asserite illegittime gare che sarebbero state espletate.

La domanda formulata in primo grado era ed è pertanto inammissibile.

5.3. Infondato è poi il motivo di gravame concernente la dedotta illegittimità ed ingiustizia del capo della sentenza relativo alla liquidazione delle spese di giudizio.

E’ sufficiente al riguardo rammentare che, come più volte rilevato dalla unanime giurisprudenza, la condanna alle spese del giudizio è espressione di un ampio potere valutativo del giudice di primo grado, che è sostanzialmente sottratto al sindacato del giudice d’appello, salva l’ipotesi di statuizioni macroscopicamente irragionevoli o illogiche, ravvisabili nel caso della condanna alle spese della parte vittoriosa (C.d.S, sez. V, 30 novembre 2012, n. 6113; sez. IV, 19 novembre 2012, n. 5854; 16 aprile 2012, n. 2161).

Nelle spese di giudizio liquidate dal giudice non può essere ricompresa anche la restituzione del contributo unificato, nel caso di accoglimento della domanda o del ricorso, atteso che detto contributo, ai sensi del comma 6 bis dell’art. 13 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, è oggetto di una obbligazione ex lege sottratta alla potestà del giudice, sia quanto alla possibilità di disporne la compensazione, sia quanto alla determinazione del suo ammontare.

6. In conclusione l’appello deve essere respinto e la sentenza impugnata deve essere confermata con parziale diversa motivazione, dovendo dichiararsi in parte inammissibile ed in parte infondato il ricorso di primo grado relativamente alla domanda risarcitoria.

Non vi è luogo a pronunciare sulle spese del presente grado di giudizio, stante la mancata costituzione delle parti appellate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dalla ditta Ezio T. avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale delle Marche, sez. I., n. 225 del 9 aprile 2008, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata, dichiarando in parte inammissibile ed in parte infondato il ricorso proposto in primo grado relativamente alla domanda risarcitoria.

Nulla per le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2013

Redazione