Concorsi pubblici: legittimo il giudizio espresso in termini numerici (Cons. Stato n. 1124/2013)

Redazione 25/02/13
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FATTO e DIRITTO

Il Ministero dell’istruzione chiede la riforma della sentenza con la quale il Tribunale amministrativo del Lazio ha accolto il ricorso n. 9751 del 2006 proposto dalla professoressa **********, insegnante di ruolo nella scuola secondaria di secondo grado, avverso l’esclusione dal corso concorso indetto il 22 novembre 2006 per il reclutamento di dirigenti scolastici. L’esclusione è stata disposta in ragione del mancato superamento della prova orale, nella quale la ricorrente in primo grado ha riportato la votazione di 18/30, non sufficiente all’ammissione secondo l’art. 11 comma 15 del relativo bando che richiedeva, per tale prova, una votazione di almeno 21/30.

I) Il Tribunale amministrativo ha accolto il ricorso sul presupposto della carenza di motivazione nella valutazione della prova orale, non essendo sufficiente, ad avviso del primo giudice, l’espressione di un voto numerico, poiché, pur essendo stati prestabiliti astratti e generici criteri di valutazione, non erano stati forniti dalla commissione d’esame precisi elementi di riferimento ai quali rapportare il punteggio assegnato. In particolare, essendo la prova orale strutturata in due fasi, la prima consistente in un colloquio di gruppo e la seconda in un colloquio individuale, da valutarsi con un unico voto, la mancanza di qualsiasi riferimento all’esito della prima fase renderebbe, secondo la sentenza impugnata, la votazione complessiva inidonea a ricostruire l’iter valutativo seguito dall’Amministrazione per giungere al giudizio complessivo.

II) L’appello proposto dal Ministero è fondato e va accolto.

Secondo le disposizioni del bando, sopra ricordate, la prova orale è unica, pur articolandosi in due fasi, e deve essere unitariamente valutata, come espressamente dispone l’art. 11: correttamente, quindi, la commissione ha espresso un solo voto all’esito dell’unica prova, voto che, evidentemente, ha tenuto conto delle risposte anche comportamentali fornite dalla candidata in entrambe le fasi.

Come ha puntualmente osservato il commissario ad acta nominato dal Tar del Lazio per l’esecuzione della sentenza oggi in esame, l’articolazione nelle predette fasi tendeva all’osservazione, la prima, del comportamento sociale del candidato all’interno del gruppo, e la seconda all’accertamento nel singolo di capacità in ordine a diverse competenze e cognizioni.

La prova complessiva del singolo esaminato è stata poi valutata alla luce dei criteri predeterminati dalla commissione nelle riunioni del 3 maggio e del 14 giugno 2006; dell’esito della prova della professoressa Z. è stato dato conto nel verbale dell’8 luglio successivo, che ha preso in esame per il colloquio di gruppo i seguenti parametri: padronanza dei temi affrontati; competenza a comunicare e a negoziare; competenza a organizzare e a coordinare; competenza a promuovere idee innovative; flessibilità, e, per il colloquio individuale, la competenza sui processi formativi, la competenza gestionale, la competenza ad innovare e la competenza relazionale, giungendo alla votazione non sufficiente.

Ed è del tutto legittimo che, all’esito della valutazione complessivamente condotta sul singolo candidato, il giudizio sia stato espresso in termini numerici, giacché l’espressione in numeri costituisce l’applicazione di un particolare codice, che reca in sé la propria motivazione, riassunta secondo una precisa scala di valori.

Il voto numerico, per consolidata e condivisa giurisprudenza, esprime, infatti, e sintetizza, il giudizio tecnico discrezionale della commissione, e non abbisogna di ulteriori spiegazioni o chiarimenti; e ciò in quanto la motivazione espressa numericamente, oltre a rispondere ad un evidente principio di economicità amministrativa di valutazione, assicura la necessaria chiarezza e graduazione delle valutazioni compiute dalla Commissione nell’ambito del punteggio disponibile e del potere amministrativo da essa esercitato (per tutte, Cons. Stato, sez. IV, 2 novembre 2012, n. 5581).

III) In conclusione, la sentenza impugnata merita la riforma chiesta con l’appello.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo per i due gradi del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe indicato n. 5120 del 2010, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado n. 9751 del 2006.

Condanna la resistente a rifondere all’Amministrazione appellante le spese del doppio grado del giudizio, nella misura complessiva di 1.000 (mille) euro.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2013

Redazione