Conciliazione non perfezionata (Sent. N° 322/03/12)

Redazione 25/01/12
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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE

DI ENNA SEZIONE TERZA

SENTENZA

N° 322/03/12

PRONUNCIATA

Riunita con l’intervento dei Signori: il 25-1-12

Dott. ************à Presidente relatore

Dott. *****************************************

Dott. *********************************************

DEPOSITATA

IN SEGRETERIA OGGI

ha emesso la seguente 28-6-2012

SENTENZA

Il Segretario

M.C. ****

sul ricorso n. 117/10 R.G.R. introdotto da

***

Contro***

Avverso l’avviso di accertamento n. RJC03T100142/2009 per IVA, IRPEG ed IRAP, anno d’imposta 2001, notificato in data 12 giugno 2009.

DIRITTO E OSSERVAZIONI

Il ricorso contro l’avviso di accertamento, ritenuto legittimo e non del tutto fondato, non essendosi perfezionata la conciliazione nei modi e termini di cui all’art. 48 del D.Lgs. 546/92, va accolto parzialmente perché le riprese fiscali, ritenute per attività illecite e per le fatture relative ad operazioni inesistenti, sono riconducibili, al reddito di impresa accertato.

La Commissione, preliminarmente, osserva che la conciliazione di cui alla proposta dell’Agenzia delle Entrate portante il n. 800032/2010 del 2 dicembre 2010 e al verbale di convalida del 13 dicembre 2010, redatto su richiesta delle parti, pur costituendo titolo ai fini del credito erariale, non si è perfezionata e, pur avendo la parte ricorrente versato delle rate, non produce effetti estintivi per omessa prestazione di idonea garanzia mediante polizza fideiussoria o fideiussione bancaria e neanche può essere ordinata l’iscrizione a ruolo delle imposte ed accessori quantificati per omessa previsione della norma in materia di conciliazione giudiziale con pagamento rateale non osservato nei modi e termini tassativi previsti dall’art. 48 del D.Lgs. 546/92. Nel caso in esame, non possono essere applicate le disposizioni di cui all’art. 23, 17° co., del D.L. 6 luglio 2011 n. 98 – convertito in legge n. 111 del 2011- sul mancato versamento delle somme conciliate senza idonea garanzia fideiussoria perché le norme in materia, senza effetti retroattivi, sono state emanate in epoca successiva alla conciliazione n. 800032/2010 del 2 dicembre 2010 convalidata il 13 dicembre 2010.

Per l’omesso perfezionamento della citata conciliazione, questo Collegio giudicante deve necessariamente decidere il ricorso sul merito della controversia tenendo conto delle legittime aspettative, ragioni e diritti delle parti. La Suprema Corte di Cassazione con varie sentenze ha disposto che, nel caso di omesso versamento integrale delle somme conciliate e/o nel caso di omessa produzione della garanzia, la conciliazione non produce effetti perché “non ha natura negoziale, e in particolare non ha natura novativa, ma costituisce una fattispecie a formazione progressiva caratterizzata dall’identità temporale della sua perfezione e della sua efficacia e che solo nel momento in cui la conciliazione raggiunge la perfezione/ efficacia si estingue il rapporto giuridico tributario sostanziale e, pendente una controversia giudiziale, si produce la cessazione della materia del contendere (v. Cass. n. 3560 del 2009)”.

Sempre la S.C. di Cassazione con sentenza n. 24931 del 2011 ha stabilito il seguente principio di diritto: “la conciliazione giudiziale rateale, prevista dal D. Lgs. n. 546 del 1992, art. 48, si perfeziona solo con il versamento, entro il termine di venti giorni dalla data di redazione del processo verbale, dell’imposto della prima rata concordata, e con la prestazione della garanzia prevista sull’importo delle rate successive; in caso di mancato adempimento degli obblighi suindicati, non può, di conseguenza, verificarsi l’estinzione del processo tributario per cessazione della materia del contendere, ai sensi del D. Lgs. n. 546 del 1992, art. 46, e la causa dovrà, pertanto, essere decisa nel merito”.

Ne consegue che questa Commissione , previo riesame degli atti, decide il ricorso sul merito considerando che il procedimento penale e il procedimento tributario per il principio del “doppio binario” non influiscono l’uno sull’altro poiché il contenzioso fiscale è disciplinato da “presunzioni tributarie”, mentre il processo penale dal “ libero convincimento del giudice”; tutto ciò perché l’art. 20 del D. Lgs. 10 marzo 2000 n. 74 stabilisce che l’accertamento fiscale ed il contenzioso avanti le Commissioni tributarie non possono essere sospesi per la contemporanea pendenza di un processo penale, mentre l’art. 654 del c.p.p. – secondo l’attuale giurisprudenza della S.C. di Cassazione- dispone che le sentenze penali di condanna o di accertamento non vincolano il giudice fiscale. Infatti le finalità dei due procedimenti sono diverse perchè lo Stato, penalmente, reprime o previene determinati comportamenti umani considerati contrari ai fini che esso Stato si è prefissato; mentre, fiscalmente, lo Stato chiama le persone fisiche e giuridiche a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva (art. 53 Cost.).

La Commissione, pertanto, non tiene conto della sentenza penale del Tribunale di Nicosia del 4 maggio 2011 che, ai sensi dell’art. 530 del C.P.P., assolve ***, titolari e/o legali rappresentanti di rispette imprese, dal reato loro in concorso ascritto perché il fatto non sussiste, ma dei fatti e gli atti accertati e documentati ai fini della sussistenza o meno della truffa e della veridicità delle operazioni ritenute inesistenti e/o fittizie per le quali sono state emesse le fatture.

Bisogna considerare che in materia di acquisti e / di costi che il presupposto oggettivo non è la fattura – che ha mera funzione documentale – ma l’effettivo compimento di una operazione imponibile consistente in una cessione di beni o in una prestazione di servizi nel territorio dello Stato, eseguita nell’esercizio di imprese o di arti o professioni nel suo giusto valore sia ai fini civili ex art. 2426 del C.C. e sia ai fini tributari ex artt. 109 e 110 del T.U.I.R.

La presunzione sulla sussistenza del valore delle operazioni non può essere convalidata solo quando la parte prova il contrario, poichè la verifica va eseguita sull’oggettività del dato in relazione all’atto ed al fatto e non sussiste solo quando la parte prova l’insussistenza della fittizietà mettendo in evidenza dati economici in determinati momenti.

Nel caso in esame, il giudice penale ha accertato l’insussistenza della truffa e/o l’indebito arricchimento con atti illeciti per cui il contributo percepito dalla società ** s.r.l. risulta legittimo e fondato, anche perché le opere, che hanno dato origine all’intervento ex legge 488/92,sono state effettivamente realizzate, verificate e collaudate. La sussistenza oggettiva e soggettiva delle opere realizzate in base al progetto, predisposto con i benefici della legge n. 488//92, è stata rilevata dai verificatori, dagli organi di polizia giudiziaria e dal giudice penale, mentre l’Ente impositore ha solo fatto un controllo degli atti senza ulteriori accertamenti e verifiche di riscontro con la situazione contabile per poi convalidare e sindacare con presunzioni gli aspetti patrimoniali, economici e finanziari. L’indagine dei verificatori risulta frettolosa e del tutto presuntiva perché la Guardia di Finanza in una ditta rileva la “doppia fatturazione” soggettiva senza alcuna verifica oggettiva sulla descrizione delle fatture esaminate e nell’altra ditta, pur rilevando la regolare assunzione di quattro lavoratori ( pag. 4 di 16 dell’avviso di accertamento) conclude la verifica, eseguita dopo ben sette anni, dichiarando che “la ditta è sprovvista di operai”.

Tale assunto, illogico e basato solo sulla fantasia della presunzione, secondo questo Collegio giudicante non tiene conto della personalità giuridica e fisica dei soggetti, dell’autonomia dei soggetti, delle libere scelte operative – non condizionate da alcuna norma giuridica e legislativa e/o da vincoli contrattuali – delle libere scelte finanziarie, delle libere scelte economiche, quest’ultime diverse da quelle finanziarie e/o primarie e/o numerarie perché sono sempre operazioni derivate da un fatto, che può non esistere dando origine alle insussistenze attive e/o passive, oppure nei casi imprevedibili e non alle sopravvenienze attive e/o passive.

Oltre a quanto esposto, nonostante il rappresentante dell’Agenzia delle Entrate in udienza abbia affermato l’ininfluenza del processo penale in quello tributario, questa Commissione rileva che l’accertamento è stato posto in essere sul libero convincimento della truffa e/o dell’indebito arricchimento, oggetto dell’aspetto penale tanto da dichiarare (pagina 5 di 16 dell’avviso)

  • l’art. 14 – comma 4- della legge 24 dicembre 1993 n. 537 ha disposto che nelle categorie di reddito di cui all’art. 6 –comma 1- del TUIR, approvato con D.P.R. n. 917/86, devono intendersi ricompresi, se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività quantificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale. I relativi redditi sono determinati secondo le disposizioni riguardanti ciascuna categoria;

  • L’imponibilità di proventi in questione, peraltro prevista solo se detti introiti non siano già stati sottoposti a sequestro o confisca penale, non è limitata alle sole imposte dirette, ma si estende, ricorrendone i presupposti soggettivi ed oggettivi, anche altre imposte.

Inoltre, pur di tassare con tutte le imposte dirette, indirette e locali, in ogni modo, la quota di contributo -ex legge 488/92- pari a € 247.656,58 l’Agenzia delle Entrate considera le sentenze della S.C. di Cassazione n. 12918 del 1° giugno 2007, n. 8990 del 16 aprile 2007, n. 24471/2006, n. 3550/2002 ed il D.L. 223 del 4 luglio 2006 in relazione alla denuncia presentata ai sensi dell’art. 331 del codice di procedura penale, non spiega (pag. 8 Irpeg – 9 irap – 10 iva di 16 dell’avviso) con cognizioni di causa e con logicità la determinazione dei componenti positivi di reddito di €479.531,00 e dei costi a fronte di operazioni insistenti di €201.866,00 perché a pagina 6 e 7 di 16 dell’avviso dichiara di accertare quanto segue:

  1. ai sensi degli artt. 40 e 41 bis del D.P.R. 600/73 un maggior reddito d’impresa di cui all’ar. 55, co.1 del D.P.R. 917/86 pari a € 247.656,58 a titolo di componente positivo di reddito derivante da attività illecita, e di € 104.255,44 a titolo di componenti negativi di reddito riconducibili a operazioni inesistenti (somme diverse per sommatoria da quelle tassate di € 479.531,00 e di € 201.866,00);

  2. ai sensi dell’art. 19,21,23 e 25 del D.P.R. 633/72, a carico della società “** s.r.l.” per l’anno d’imposta 2001, una maggiore iva a debito pari a € 49.531,32 ( 20% su 247.656,58) e una indebita detrazione d’imposta pari a € 20.851,59 ( 20% su € 104.255,44);

  3. ai sensi dell’art. 1 del D. Lgs. n. 446/97 istitutivo dell’imposta regionale sulle attività produttive …………… un valore della produzione netta di cui all’art. 8 del D. Lgs. 446/97 pari a € 351.912,02;

Quanto accertato risulta errato ed incompleto perché l’accertamento riprende a tassazione per irpeg, iva e irap la quota di contributo di € 247.656,58 classificandolo derivante da attività illecita, poi rivelatasi insussistente, e l’ammontare delle fatture emesse da ** e ** di € 104.255,44 classificandolo reddito riconducibile a operazioni inesistenti a fronte di opere realizzate, mentre in effetti si tratta di costi incerti, senza minimamente spiegare l’ammontare dei componenti positivi di reddito di €479.531,00 e dei costi a fronte di operazioni insistenti di €201.866,00 indicati a pagina 6 e 7 di 16 dell’avviso.

Ne consegue che , indipendentemente dalle conclusioni del processo penale, non sussiste né la truffa a fronte di un’opera realizzata e né un illecito arricchimento, ma contributi in conto capitale e/o misti tassabili ai soli fini irpeg ( ex art. 55 del TUIR 917/86 nel testo ante 31 dicembre 2003) ed incertezza di costi supportati da fatture non regolari riconducibili alla irregolare emissione, alla inesistente annotazione nei libri contabili ai fini dell’efficacia probatoria ex artt. 2709 e 2710 del codice civile e principalmente alla omessa indicazione nelle dichiarazione fiscali annuali, atti e fatti non approfonditi dall’Ente impositore.

Il contributo non può essere tassato ai fini IVA sia per l’insussistente truffa e/illecito arricchimento da atti illeciti e sia perché sui contributi in conto capitale e/o misti non é applicabile l’IVA in quanto, tecnicamente, il valore aggiunto è in effetti la differenza tra le vendite e gli acquisti aventi i requisiti della certezza e della precisione.

Inoltre sulle quote di contributo percepite e incassate nel periodo di imposta, previste dall’art. 55 del TUIR D.P.R. 917/86 (nel testo ante 31 dicembre 2003), non é applicabile l’IVA, non potendosi neanche applicare il principio di detrazione di “imposta da imposta” poiché gli stessi contributi in conto capitale non sono vendite e/o prestazioni certe e di acquisti certi, ma sopravvenienze attive derivanti da agevolazioni finanziarie previste dalla legge 488/92.

In conclusione, tutte le altre eccezioni sono assorbite e la ripresa fiscale di € 247.656,58 quale componente positivo di reddito derivante da sopravvenienza attiva (quota contributo legge 488/92), va tassata solo ai fini IRPEG e IRAP, escludendo l’IVA, mentre va confermata la ripresa di € 104,55,04 riconducibile ad incertezza di costi, ma non a operazioni inesistenti e/o fittizie. Ne consegue che

1) ai fini IRPEG il reddito di impresa tassabile risulta € 324.014,02

Omissis

2) ai fini IVA vanno esclusi dagli acquisti per incertezza, e quindi confermati per ripresa fiscale, i costi di € 104.255,44 e l’IVA di € 20851,59;

3) ai fini IRAP nel valore della produzione lorda dichiarata va aggiunta la somma di € 351.912,02;

Ne consegue che, considerando il comportamento irregolare della società ** s.r.l., il ricorso va parzialmente accolto e l’Agenzia delle Entrate dovrà riliquidare le imposte applicando le sanzioni al minimo e sul residuo della somme dovute risultanti al netto di quelle versate per la conciliazione non perfezionata.

Per la peculiarità degli atti e fatti inerenti l’accertamento il cui ricorso è accolto in parte, le spese di giudizio vanno compensate tra le parti.

PER QUESTI MOTIVI

La Commissione, in parziale accoglimento del ricorso, dichiara tassabile ai soli fini IRPEG il reddito di impresa determinato di € 324.014,02 con esclusione dell’IVA; conferma la ripresa fiscale per costi incerti di € 104.255,14 e l’IVA di € 20.851,59 e dichiara tassabile ai fini IRAP, unitamente al valore della produzione dichiarato, la somma di € 351.912,02; manda all’Agenzia delle Entrate la riliquidazione delle imposte applicando le sanzioni al minimo sulle somme residue risultanti al netto di quelle versate per la conciliazione non perfezionata.

Compensa le spese di giudizio tra le parti.

Così deciso in camera di consiglio in Enna il 25 gennaio 2012

IL PRESIDENTE      RELATORE

Redazione