Concessione edilizia: ritardo nel rilascio e risarcimento (Cons. Stato, n. 4968/2013)

Redazione 09/10/13
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FATTO

1. Il Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia – Romagna, sezione staccata di Parma, con la sentenza n. 61 del 26 febbraio 2004, nella resistenza dell’intimato Comune di Parma, respingeva il ricorso proposto dal sig. ************* per la condanna di quell’amministrazione comunale al risarcimento del danno causato dal ritardo con cui gli era stata assentita, solo in data 11 ottobre 1996, la concessione edilizia, richiesta il 23 febbraio 1989, per la costruzione di un magazzino per la stagionatura del formaggio grana, in Malandriano di San Lazzaro Parmense.

Ad avviso del predetto tribunale, la domanda risarcitoria, pur astrattamente ammissibile, era in concreto infondata, in quanto: a) innanzitutto dal 12 dicembre 1989 fino al 25 giugno 1992 l’intervenuta adozione di una variante all’allora vigente piano regolatore generale e la doverosa applicazione delle misure di salvaguardia aveva impedito il rilascio del titolo richiesto; b) il ritardo nel rilascio del titolo non era dovuto ad inerzia dell’amministrazione, quanto piuttosto a quella dell’interessato che, per un verso, aveva genericamente ed occasionalmente sollecitato il riscontro della propria richiesta solo due volte, in particolare nel febbraio del 1992 e nel giugno del 1996, e che, per altro verso, aveva tenuto pertanto un comportamento acquiescente, non avendo impugnato il silenzio – rifiuto su di essa formatosi ex art. 31, comma 6, della legge 17 agosto 1942, n. 1150; c) difettava in ogni caso l’elemento psicologico della colpa nella pretesa inerzia dell’amministrazione, non essendo mai stata ritualmente diffidata e messa in mora.

2. Con atto di appello ritualmente notificato il 6/7 aprile 2005 l’interessato ha impugnato tale sentenza, chiedendone la riforma alla stregua di quattro articolati motivi di censura, rubricati, rispettivamente, “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 31, comma 6°, della L. 17 agosto 1942, n. 1150, come modificato dalla l. 6 agosto 1967, n. 765”, “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ. con riferimento all’accertamento dell’elemento soggettivo dell’illecito commesso dall’Amministrazione Comunale”, “Contraddittorietà, erroneità, manifesta illogicità di motivazione” e “Difetto di pronuncia su punti decisivi della controversia”.

E’ stata così riproposta la domanda risarcitoria formulata in primo grado, di cui sono stati minuziosamente illustrati tutti i presupposti di fatto e di diritto (suffragati anche dalle conclusioni contenute nella relazione di consulenza svolta nel corso del procedimento penale per gli stessi fatti avviato presso la Procura della Repubblica di Parma), sottolineando le macroscopiche illegittimità compiute dagli uffici dell’amministrazione comunale, integranti, secondo l’appellante, la fattispecie dell’illecito aquiliano, inopinatamente sottovalutate e negate dai primi giudici con motivazione approssimativa e superficiale, conseguenza di un insufficiente apprezzamento dei fatti e della documentazione probatoria in atti, oltre che di una falsa applicazione ed interpretazione dell’art. 2043 c.c..

Con altro specifico motivo l’appellante ha poi quantificato i danni subiti a causa del dedotto ritardo in €. 2.236.120,88 (di cui €. 197.479,58 per maggiori oneri e costi sopportati in conseguenza del ritardato rilascio della concessione edilizia; €. 1.780.412.85, per mancati ricavi dalla attività di stagionatura di formaggi nel periodo settennale di attesa del rilascio della concessione edilizia; €. 258.228,45 per perdita di clientela e danno all’immagine), chiedendo l’ammissione di consulenza tecnica d’ufficio, se ritenuta necessaria, in ordine al quantum, ed anche di prove testimoniali, in relazione all’an, con particolare riguardo a specifici fatti che avevano causato il ritardato rilascio del titolo edilizio, come emersi dalle dichiarazioni testimoniali rese da funzionari e dipendenti del Comune di Parma nel corso del procedimento penale avviato dalla locale Procura della Repubblica.

Il Comune di Parma, sottolineata la correttezza della sentenza impugnata, ha chiesto il rigetto del gravame, deducendo la pretestuosità e la manifesta infondatezza dei motivi di appello oltre alla macroscopica abnormità della somma chiesta a titolo di risarcimento del danno, priva – a suo avviso – di qualsiasi adeguato riscontro probatorio.

3. Nell’imminenza dell’udienza di trattazione, le parti hanno puntualmente illustrato con apposite memorie le proprie rispettive tesi, richieste e conclusioni, replicando a quelle avverse; in particolare il Comune di Parma ha eccepito l’inammissibilità della nuova produzione documentale depositata dall’appellante il 7 maggio 2013.

All’udienza pubblica del 23 luglio 2013, dopo la rituale discussione, la causa è stata introitata per la decisione.

DIRITTO

4. L’appello è fondato, atteso che, diversamente da quanto ritenuto dai primi giudici, la domanda risarcitoria proposta dal sig. *************, di cui non è dubbia l’appartenenza alla cognizione del giudice amministrativo, è meritevole di favorevole considerazione alla stregua delle osservazioni che seguono.

4.1. In punto di fatto occorre premettere quanto segue.

4.1.1. Il ****************** in data 23 febbraio 1989 chiedeva al Comune di Parma (prot. n. 390) il rilascio di una concessione edilizia per la costruzione di un magazzino per la stagionatura dei formaggi (da eseguirsi in Parma, Malandriano, via Traversetolo, foglio catastale n. 61, mappale n. 65, del Comune di S. Lazzaro).

Su tale richiesta intervenivano i pareri favorevoli dei competenti uffici comunali, in particolare: nulla osta dell’ufficio istruttoria delle richieste di concessione edilizia in data 2 marzo 1989, salvo assegno di linea prima dell’inizio dei lavori e a condizione che il capannone abbia un’altezza esterna non superiore a metri 10; parere favorevole in data 6 maggio 1989 degli uffici “strade – fognature – verde pubblico”, a seguito dell’integrazione documentale richiesta il 31 marzo 1989; parere favorevole del Servizio Medicina Preventiva ed igiene del lavoro in data 11 marzo 1989.

Esprimeva invece parere sfavorevole (di cui peraltro non è noto il contenuto) in data 8 maggio 1989 la 6^ circoscrizione cittadina.

La Commissione Edilizia Integrata nell’adunanza del 12 luglio 1989 rinviava l’esame della richiesta del sig. T. “per supplemento di indagini”, senza ulteriori precisazioni.

Tale decisione non è mai stata comunicata all’interessato, né vi è traccia di ulteriore attività istruttoria d’ufficio svolta al riguardo.

4.1.2. Con delibere consiliari n. 1544 e n. 1545 del 12 dicembre 1989 il Comune di Parma adottava una variante al piano regolatore generale e nuove norme tecniche d’attuazione, per effetto delle quali (art. 35 ter) le concessioni edilizie per i magazzini di stagionatura potevano essere assentite solo se i magazzini fossero annessi ai caseifici.

Anche del verificarsi di tale nuova situazione, ostativa al rilascio del titolo edilizio richiesto, l’interessato non è stato mai informato (e del resto dalla documentazione versata in atti risulta che essa fu meramente annotata sul fascicolo d’ufficio in data 29 maggio 1990).

Solo con la nota del 9 aprile 1992 (prot. gen. n. 18809, prot. spec. n. 3784) l’amministrazione, peraltro riscontrando l’apposito sollecito del 25 febbraio 1992 dell’interessato, gli comunicava l’impossibilità di assentire l’intervento richiesto a causa dell’adottata variante al piano regolare generale ed alle norme tecniche di attuazione, aggiungendo che “…l’iter burocratico percorso dalla pratica in questione è tuttora sospeso e pertanto la stessa deve considerarsi in regime di salvaguardia”.

4.1.3. Con delibera della Giunta regionale dell’Emilia – Romagna n. 1184 del 31 marzo 1992 la predetta variante veniva approvata (peraltro, come risulta pacificamente dalla documentazione in atti ed in particolare dalla relazione della consulenza disposta dalla Procura della Repubblica di Parma, con un’ulteriore modifica dell’art. 35 ter delle Norme Tecniche di Attuazione che, pur consentendo la realizzazione di magazzini per la stagionatura dei formaggi solo se annessi ai caseifici, salvaguardava tuttavia le attività esistenti e prevedeva la possibilità di rilasciare, previa approvazione del Consiglio comunale, nuove concessioni per la realizzazione dei predetti magazzini, anche non annessi ai caseifici, qualora la relativa domanda fosse stata presentata prima del 12 dicembre 1989, qual’era proprio la condizione dell’istanza presentata il 23 febbraio 1989 dal sig. T.).

La ricordata delibera della giunta regionale, superato positivamente il vaglio dell’organo di controllo, espletate le pubblicazioni di legge, diveniva efficace il 25 giugno 1992.

Neppure di tale circostanza l’interessato è stato reso edotto; né, venuta meno la causa di sospensione del procedimento, l’amministrazione ha proceduto alla relativa riattivazione d’ufficio.

4.1.4. Con nota del 25 giugno 1996 il sig. T., richiamando la precedente risposta dell’amministrazione del 9 aprile 1992, insisteva per l’immediato rilascio della concessione richiesta il 23 febbraio 1989, rilevando di aver più volte fatto presente all’ufficio di essere titolare di caseificio.

Infine, in data 11 ottobre 1996 veniva rilasciata la concessione edilizia n. 390/89, essendo tra l’altro intervenuti i pareri favorevoli dell’ufficio urbanistica in data 20 settembre 1996 (“Viste le integrazioni prodotte si è verificato che l’intervento richiesto è conforme al dettato dell’art. 35 ter delle norme vigenti in quanto presentata prima della adozione alla variante al PRG 1989 avvenuta il 12.12.1989 e all’art. 35 ter delle norme adottate il 11.10.1995 che consente la stagionatura dei prodotti lattiero – caseari. Prima dell’inizio dei lavori dovrà essere richiesto l’assegno di linea”) e della Commissione Edilizia Integrata nell’adunanza del 30 settembre 1996 (“a condizione che venga presentata perizia geologico – tecnica”).

4.2. Così delineato il (peraltro pacifico) substrato fattuale della controversia, la Sezione è dell’avviso che sussistano effettivamente gli elementi costitutivi della fattispecie dell’illecito aquiliano, sia sotto il profilo oggettivo, sia sotto quello soggettivo, sussistendo effettivamente il ritardo con cui è stato assentito (l’11 ottobre 1996) al sig. ************* il titolo edilizio (richiesto il 23 febbraio 1989), quale evento dannoso conseguenza diretta ed immediata dei comportamenti, commissivi ed omissivi, non conformi alla normativa vigente, posti in essere sia dall’amministrazione comunale di Parma che dallo stesso richiedente, come emerge con sufficiente chiarezza e precisione dalla documentazione versata in atti, il che esclude la necessità di accogliere la richiesta di ammissione di prove testimoniali formulata dall’appellante.

4.2.1. Quanto all’attività posta in essere dall’amministrazione si osserva quanto segue.

4.2.1.1. Occorre preliminarmente rammentare che – anche prima che con la legge 7 agosto 1990, n. 241 fosse espressamente precisato: che l’attività amministrativa deve essere ispirata a criteri di economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza; che l’amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dalla doverosa attività istruttoria; che tutti i procedimenti amministrativi devono concludersi con un provvedimento espresso e che tutti i provvedimenti amministrativi devono essere motivati – i principi di legalità, imparzialità e buon andamento, predicati dall’articolo 97 della Costituzione, sono stati sempre ritenuti immediatamente cogenti e direttamente applicabili all’azione della pubblica amministrazione.

Sono stati ritenuti illegittimi gli atti e/o provvedimenti (sfavorevoli agli interessi dei privati) privi di adeguata motivazione e/o non supportati da adeguata motivazione (ex pluribus, C.d.S., sez. V, 20 febbraio 1990, n. 158; 11 gennaio 1989, n. 1; 20 ottobre 1988, n. 580), quelli che hanno determinato un ingiustificato arresto procedimentale, rinviando sine die il doveroso esercizio della funzione amministrativa; è stata altresì affermata la violazione dei principi di imparzialità e buon andamento allorquando l’amministrazione avesse interposto un ingiustificato ritardo nell’espletamento delle attività svolte a provvedere sull’istanza legittimamente proposta dal privato, arrecandogli un pregiudizio (C.d.S., sez. VI, 2 luglio 1987).

4.2.1.2. Ciò precisato, deve innanzitutto rilevarsi che, come eccepito dall’interessato, sussiste la ingiustificata violazione dell’art. 31, comma 5, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, secondo cui “le determinazioni del sindaco sulle domande di licenza di costruzione devono essere notificate all’interessato non oltre 60 giorni dalla data di ricevimento delle domande stesse o da quella di presentazione di documenti aggiuntivi richiesti dal sindaco”.

Infatti, risultando presentata l’istanza di concessione di cui si discute il 23 febbraio 1989, l’amministrazione avrebbe dovuto notificare le proprie determinazioni, ancorché negative, entro il 24 aprile 1989, il che non è avvenuto senza alcuna plausibile giustificazione, dando luogo ad una immotivata ed irragionevole inerzia dell’amministrazione (tanto più che, come si avrà modo anche di sottolineare in seguito, non esisteva – né è stato mai indicato – alcun elemento ostativo al rilascio del titolo richiesto, almeno fino all’11 dicembre 1989).

E’ appena il caso di aggiungere al riguardo, per un verso, che non si è in presenza di un mero ritardo nell’esercizio dell’attività amministrativa, giacché con l’avvenuto rilascio del titolo è stato inconfutabilmente ritenuto spettante all’interessato il bene della vita effettivamente perseguito, e, per altro verso, che è irrilevante ai fini della configurabilità dell’illecito aquiliano (e dell’ammissibilità della domanda risarcitoria) la circostanza, enfatizzata dall’amministrazione comunale ed inopinatamente considerata rilevante dai primi giudici, del mancato esercizio da parte dell’interessato del diritto di impugnazione del silenzio – rifiuto formatosi, ai sensi del comma 6 del citato articolo 31 della legge n. 1150 del 1942.

E’ sufficiente ricordare che il decorso del suddetto termine di sessanta giorni dalla presentazione della richiesta di concessione edilizia non consuma il potere – dovere dell’amministrazione di provvedere sulla domanda del privato (C.d.S., sez. V, 28 novembre 2005, n. 6623; sez. IV, 1° ottobre 1993, n. 818), costituendo piuttosto il silenzio – rifiuto un provvedimento fittizio (C.d.S., sez. V, 23 agosto 2000, n. 4564) con finalità acceleratorie del procedimento di rilascio del titolo concessorio e di semplificazione, in particolare attribuendo al privato la facoltà di liberarsi dell’inerzia dell’amministrazione e dell’onere della diffida e messa in mora di quest’ultima indispensabile per adire il giudice amministrativo (C.d.S., sez. V, 25 settembre 1998, n. 1326; sez. IV, 1° ottobre 1993, n. 818); così che la mancata impugnazione del silenzio rifiuto rileva sotto il diverso profilo della sua eventuale efficacia causale alla produzione del danno (concausa) e della concreta determinazione del danno risarcibile (ex artt. 1227 c.c. e 30, comma 3, c.p.a.).

4.2.1.3. Non sfugge ad un giudizio di illegittimità la decisione del 12 luglio 1989 della Commissione Edilizia Integrata di rinviare l’esame della richiesta di concessione edilizia presentata dal sig. ************* per “supplemento di indagini”.

E’ decisivo al riguardo rilevare che non solo non sono state esternate le ragioni che imponevano l’approfondimento istruttorio, per quanto non è stato neppure indicato in che cosa dovessero consistere le pretese ulteriori indagini e su chi ricadesse (uffici comunali o privato) l’onere dei relativi adempimenti: la natura sostanziale (e non meramente formale) di tale palese difetto assoluto di motivazione è ancor meglio apprezzabile se si tiene conto che, come emerge dalla documentazione in atti, gli uffici comunali non svolsero alcuna ulteriore attività istruttoria (nessun ordine o direttiva essendo stato in tal senso diramati dalla predetta commissione consiliare o da altri organi del comune) e neppure integrazioni documentali o chiarimenti (sulla documentazione già prodotta) furono richiesti all’interessato.

Ciò induce a ritenere del tutto ragionevolmente che in realtà alcun motivo ostativo al rilascio del titolo edilizio esistesse effettivamente, tant’è che di esso non solo non vi è alcuna traccia (né in tal senso vi è alcuna osservazione o indicazione da parte dell’amministrazione comunale neppure successivamente alla decisione in questione); per quanto, come si evince dalla lettura del parere favorevole espresso dall’Ufficio Urbanistica il 20 settembre 1996, nell’ambito del procedimento conclusosi con il rilascio del titolo edilizio l’11 ottobre 1996, l’intervento richiesto era “…conforme al dettato dell’art. 35 ter delle norme vigenti in quanto presentata prima dell’adozione della variante al PRG 1989 avvenuta il 12.12.1989 e all’art. 35 ter delle norme adottate il 11.10.1995 che consente la stagionatura dei prodotti lattiero – caseari”.

Quella decisione ha in definitiva, per un verso, introdotto un illogico, irragionevole ed arbitrario aggravamento del procedimento di rilascio della concessione edilizia, peraltro senza alcun vantaggio ed utilità per l’interesse pubblico, e, per altro verso, ha di fatto impedito il rilascio del titolo stesso, determinando peraltro anche l’arresto del procedimento per effetto della sopravvenuta adozione, in data 12 dicembre 1989, della variante al vigente piano regolatore generale e della conseguente doverosa applicazione delle misure di salvaguardia di cui all’art. 1 della legge 3 novembre 1952, n. 1902.

Sono pertanto prive di qualsiasi fondamento le, peraltro timide, difese dell’amministrazione sulla natura non provvedimentale del parere della predetta commissione, tanto più che tale parere non risulta emesso e che, per contro, la immotivata decisione interlocutoria ha causalmente contributo al ritardato rilascio del titolo.

Deve ancora sottolinearsi che nemmeno la decisione in questione è stata comunicata, così che sono stati anche macroscopicamente violati i principi di pubblicità e trasparenza (insiti nell’art. 97 della Costituzione, sub specie della violazione dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrata), impedendosi all’interessato di rappresentare tempestivamente le proprie eventuali osservazioni e controdeduzioni ovvero di attivarsi per fornire i necessari chiarimenti sulla propria domanda e fugare i dubbi della commissione e di evitare così la successiva sottoposizione della sua domanda alle misure di salvaguardia, per effetto della variante al piano regolatore generale adottata il successivo 12 dicembre 1989 (a distanza di circa nove mesi dalla presentazione della domanda e di circa cinque mesi dalla decisione interlocutoria).

4.2.1.4. Anche nell’ambito del segmento procedimentale concernente l’applicazione delle misure di salvaguardia, l’attività degli uffici comunali risulta caratterizzata da comportamenti non conformi alle previsioni normative.

Infatti, seppure, per un verso, non possa dubitarsi che, per effetto dell’adozione delle delibere consiliari n. 1444 e 1445 del 12 dicembre 1989, di variante al piano regolatore generale ed alle norme di attuazione, la richiesta di concessione edilizia, presentata dal sig. ************* il 23 febbraio 1989, non fosse più conforme alle sopravvenute previsioni urbanistiche e dovesse pertanto essere sottoposta doverosamente all’applicazione delle misure di salvaguardia, per altro verso deve rilevarsi che l’articolo unico della legge 3 novembre 1952, n. 1902 (“Misure di salvaguardia in pendenza dell’approvazione dei piani regolatori”) prescrive inequivocabilmente che, a decorrere dalla data della deliberazione comunale di adozione dei piani regolatori generali (ed ovviamente delle loro varianti), il sindaco possa “…con provvedimento motivato da notificare al richiedente, sospendere ogni determinazione sulle domande di licenza di costruzione, di cui all’art. 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, quando riconosca che tali domande siano in contrasto con il piano adottato”.

La norma introduce a carico dell’amministrazione degli obblighi di motivazione, pubblicità e di trasparenza per la legittimità dell’applicazione delle misure di salvaguardia (particolarmente lesive dello jus aedificandi spettante al privato), onde assicurare il giusto contemperamento degli interessi, pubblici e privati, in gioco [facultando, per un verso, l’amministrazione a sospendere l’esame delle richieste di concessione edilizia quando queste ultime siano in contrasto con le nuove scelte di tutela e gestione del territorio contenute nello strumento urbanistico adottato (e sino alla sua approvazione), ma consentendo, per altro verso, all’interessato di verificare l’asserito contrasto della sua richiesta con la nuova previsione urbanistica attraverso la comunicazione del provvedimento di sospensione e le relative motivazioni], obblighi – anch’essi di natura evidentemente non meramente formale – che nel caso di specie sono stati macroscopicamente violati.

L’amministrazione, infatti, non solo non ha emanato alcun provvedimento di sospensione dell’esame della richiesta di concessione edilizia avanzata dal sig. T. per l’intervenuta adozione della variante al piano regolatore generale, per quanto non ha neppure informato della conseguente sospensione del procedimento di rilascio.

Sono circostanze sintomatiche del comportamento negligente e superficiale tenuto dagli uffici, in dispregio dei canoni di legalità, imparzialità e buon andamento, sia la mera apposizione sul fascicolo d’ufficio della pratica edilizia in questione, solo il 29 maggio 1990 (a distanza di circa 6 mesi dall’avvenuta adozione della variante ed a circa 10 mesi dal rinvio della decisione della Commissione Edilizia Integrata), della seguente annotazione: “Con l’adozione della variante al PRG e alle NTA l’intervento richiesto non può essere autorizzato in quanto i magazzini di stagionatura che non siano annessi a caseifici non sono ammessi dal nuovo art. 35 ter”, sia la conoscenza, del tutto estemporanea ed occasionale, di tale situazione da parte dell’interessato il 9 aprile 1992, all’atto del ricevimento della nota dell’amministrazione prot. gen. n. 18809 – prot. spec. n. 3784, di riscontro del suo sollecito inoltrato il 25 febbraio 1992.

4.2.1.5. Sotto altro profilo, deve ricordarsi che le misure di salvaguardia, che per loro intrinseca natura hanno carattere eccezionale e temporaneo, secondo la espressa previsione dell’articolo unico, comma 3, della legge n. 1902 del 1952 (come sostituito dall’art. 1 della legge 5 luglio 1966, n. 517), “…non potranno essere protratte oltre tre anni dalla data di deliberazione” del piano.

Da ciò deriva che, intervenuta l’approvazione dello strumento urbanistico (o della sua variante) ovvero scaduto il termine massimo di durata, l’amministrazione ha l’obbligo – e non già una mera facoltà – di procedere all’esame delle richieste di concessione edilizia sospese, proprio per la doverosa applicazione della stessa legge n. 1902 del 1952 e dei più volte citati fondamentali principi sanciti nell’articolo 97 della Costituzione.

Nel caso di specie, tuttavia, intervenuta l’approvazione della variante e divenuta la stessa efficace dal 25 giugno 1992 (prima della scadenza del termine massimo triennale di validità delle misure di salvaguardia, scadente il 12 dicembre 1992), gli uffici dell’amministrazione sono rimasti ingiustificatamente inerti, invocando a giustificazione (come si ricava dalle dichiarazioni testimonianze rese dai funzionari nel corso del procedimento penale instaurato dalla Procura della Repubblica di Parma) una non meglio precisata prassi amministrativa, in ossequio alla quale in tali casi si attendeva che fosse autonomamente l’interessato a sollecitare il riesame della pratica sospesa ovvero a presentare una nuova richiesta di concessione edilizia.

Sennonché tale prassi è palesemente inammissibile e contra legem, macroscopico essendo l’ingiustificato ed insanabile contrasto con le ricordate disposizioni della legge n. 1902 del 1952 (e con la sua ratio), oltre che con i principi di buona fede e tutela dell’affidamento, cui devono essere improntati i rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione, tanto più che nella ricordata nota del 9 aprile 1992, la stessa amministrazione, informando (tardivamente) l’interessato dello stato di sospensione del procedimento, non aveva fatto alcuna menzione di quella prassi e quindi della necessità, dopo la cessazione delle misure di salvaguardia, di sollecitare l’esame della richiesta sospesa ovvero dell’opportunità di presentare una nuova richiesta di concessione edilizia.

Anche sotto tale profilo risulta autonomamente apprezzabile l’illegittimità del ritardo nel rilascio del titolo edilizio, avvenuto solo l’11 ottobre 1996, a seguito della nuova ulteriore sollecitazione dell’interessato del 25 giugno 1996.

4.2.1.6. Per completezza, richiamando quanto già esposto al par. 4.2.1.2., la Sezione osserva che le riscontrate illegittimità non possano considerarsi assorbite o rese irrilevanti, come sostanzialmente ritenuto dai primi giudici, per il solo fatto che l’interessato non abbia impugnato il silenzio – rifiuto che si sarebbe formato sull’istanza del 23 febbraio 1989 per l’inutile decorso del termine di sessanta giorni, come previsto dal combinato disposto dei commi 5 e 6 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, ciò influendo soltanto, come già evidenziato, sulla eventuale sussistenza del danno e sulla sua concreta determinazione.

4.2.1.7. Diversamente da quanto ritenuto dai primi giudici, l’attività (commissiva ed omissiva, così come fin qui rilevata dal punto di vista materiale) posta in essere dall’amministrazione comunale appellata è ad essa imputabile anche sotto il profilo soggettivo (del dolo o della colpa).

Se è vero, infatti, che ai fini dell’ammissibilità dell’azione risarcitoria non è sufficiente il solo annullamento del provvedimento lesivo ovvero la sola riscontrata ingiustificata o illegittima inerzia dell’amministrazione o il ritardato esercizio della funzione amministrativa, dovendo anche accertarsi se l’adozione o la mancata o ritardata adozione del provvedimento amministrativo lesivo sia conseguenza della grave violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede, alle quali deve essere costantemente ispirato l’esercizio della funzione, e si sia verificata in un contesto di fatto ed in un quadro di riferimento normativo tale da palesare la negligenza e l’imperizia degli uffici o degli organi dell’amministrazione ovvero se per converso la predetta violazione sia ascrivibile all’ipotesi dell’errore scusabile, per la ricorrenza di contrasti giurisprudenziali, per l’incertezza del quadro normativo o per la complessità della situazione di fatto (tra le più recenti, C.d.S., sez. V, 7 giugno 2013, n. 3133; sez. VI, 6 maggio 2013, n. 2419; sez. IV, 7 marzo 2013, n. 1406), nel caso di specie, ad avviso della Sezione, non può negarsi la ricorrenza dell’elemento psicologico della fattispecie risarcitoria, sub specie della colpa.

Le ripetute violazioni di legge (art. 31 della legge n. 1150 del 1942, art. 1 della legge n. 1902 del 1952) e dei fondamentali principi cui deve essere conformata l’attività amministrativa ex art. 97 Cost. (sub specie dell’imparzialità e del buon andamento e dei corollari di economicità, speditezza, efficienza, buona fede e della tutela dell’affidamento a causa del riscontrato difetto assoluto di motivazione degli atti emanati ovvero per la mancata adozione di atti doverosi, oltre che l’ingiustificato, illogico ed arbitrario aggravamento e conseguente arresto del procedimento) che, come rilevato, hanno caratterizzato il procedimento in esame, non possono che ascriversi quanto meno a grave negligenza o imperizia degli uffici dell’amministrazione comunale complessivamente considerati (non essendo necessario provare la sussistenza dell’elemento psicologico in capo ad ogni singolo agente, dipendente, responsabile o dirigente degli uffici comunali di volta in volta interessati che hanno contribuito causalmente ai singoli atti e/o comportamenti commissivi od omissivi, ciò costituendo una irragionevole ed inammissibile limitazione del diritto di difesa consacrato nell’art. 24 della Costituzione).

D’altra parte non sono emersi nella fattispecie in esame quelle peculiari circostanze di complessità dei fatti, di contrasti giurisprudenziali ovvero di incertezza normativa, che integrano la fattispecie dell’errore scusabile e che escludono l’elemento psicologico della responsabilità, ciò senza contare che l’onere di provare l’esistenza di tali circostanze (che costituiscono delle eccezioni di merito, in quanto modificative, impeditive o estintive dei fatti adotti in giudizio dalla controparte) incombeva proprio sull’amministrazione appellata (e non è stato minimamente adempiuto); né, come già accennato, possono essere invocate, a scusante delle illegittimità verificatesi, pretese prassi o comportamenti reiterati e consolidati degli uffici, atteso che essi non possono essere considerati neppure rilevanti allorquando, come nel caso in esame, siano contra legem e manifestamente lesivi degli interessi dei cittadini, impedendo loro l’esercizio delle facoltà di tutela riconosciute dalla legge.

4.2.2. Quanto al comportamento tenuto nel procedimento in questione dal richiedente, sig. *************, anch’esso, ad avviso della Sezione, ha concorso al verificarsi dell’evento dannoso, consistito nel ritardato rilascio del titolo edilizio.

4.2.2.1. Occorre al riguardo ricordare che l’art. 1227 c.c. al comma 1 dispone che se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate, aggiungendo, al successivo comma 2, che il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.

E’ stato ritenuto sussistente il comportamento omissivo colposo del danneggiato, comma 1, ogni qualvolta tale inerzia, contraria a diligenza, anche a prescindere dalla violazione di un obbligo giuridico di attivarsi, abbia concorso a produrre l’evento lesivo in suo danno, precisandosi che la regola contenuta nell’art. 1227, comma 1., c.c. non è espressione del principio di auto responsabilità, quanto piuttosto un corollario del principio di causalità, per cui al danneggiante non può far carico quella parte di danno che non è a lui causalmente imputabile; con la conseguenza che la colpa ex art. 1227, comma 1, c.c. deve essere intesa non nel senso di criterio di imputazione del fatto, ma come requisito legale della rilevanza causale del fatto del danneggiato (Cass. civ., SS.UU., 21 novembre 2011, n. 24406).

La giurisprudenza amministrativa ha d’altra parte sottolineato che la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, sancita dall’articolo 30, comma 3, c.p.a., è ricognitiva dei principi già contenuti nell’art. 1227, comma 2, c.c., così che l’omessa attivazione degli strumenti di tutela costituisce, nel quadro complessivo delle parti, valutabile alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell’esclusione o della mitigazione del danno evitabile con la ordinaria diligenza, non più come preclusione di rito, ma come fatto da considerare in sede di merito ai fini del giudizio sulla sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile (C.d.S., sez. IV, 26 marzo 2012, n. 1750; così sostanzialmente anche C.d.S., sez. V, 31 ottobre 2012, n. 5556, con riferimento alla specifica scelta del cittadino di non avvalersi della tutela impugnatoria che, anche in virtù delle misure cautelari previste dall’ordinamento processuale, avrebbe probabilmente evitato in tutto o in parte il danno).

4.2.2.2. Nel caso in esame non può ragionevolmente escludersi che la tempestiva impugnazione da parte dell’interessato del silenzio – rifiuto, formatosi ex art. 31, comma 6, della legge n. 1150 del 1942, sulla richiesta di concessione edilizia presentata il 23 febbraio 1989, avrebbe potuto impedire il danno, costringendo, eventualmente, anche attraverso un non implausibile provvedimento cautelare sollecitatorio o propulsivo, l’amministrazione a rilasciare il titolo edilizio ovvero costringendola a riesaminare la decisione della Commissione Edilizia Integrata e/o ad indicare le eventuali ragioni ostative a tale rilascio, il tutto prima del 12 dicembre 1989, allorquando, essendo stata adottata una variante al piano regolatore generale vigente e alle relative norme tecniche di attuazione, è sopravvenuta la doverosa applicazione delle misure di salvaguardia.

Sotto altro profilo poi, seppure, come è stato evidenziato in precedenza, l’amministrazione comunale ha ingiustificatamente ed immotivatamente omesso di comunicare all’interessato non solo la decisione della Commissione Edilizia Integrata del 12 luglio 1989, ma anche lo stato di sospensione del procedimento a causa dell’adottata variante allo strumento regolatore e alle norme tecniche di attuazione e la successiva cessazione di tale stato, non risulta altrimenti ragionevole e giustificato, secondo l’ordinaria diligenza e secondo l’id quod plerumque accidit, che l’interessato abbia atteso circa tre anni per sollecitare una prima volta (con la nota del 9 febbraio 1992, riscontrata il successivo 25 febbraio 1992) la sua originaria domanda e altri quattro anni (dalla prima volta), il 25 giugno 1996, per insistere nella richiesta di rilascio della concessione edilizia; d’altra parte, anche ad ammettere astrattamente che non fosse agevole conoscere l’effettiva data di efficacia della delibera regionale di approvazione del piano regolatore generale (25 giugno 1992), l’interessato, proprio per effetto delle informazioni ottenute dall’amministrazione con la nota del 25 febbraio 1992, ben poteva conoscere la data della scadenza triennale di validità delle misure di salvaguardia (12 dicembre 1992) ovvero informarsi sull’effettiva scadenza delle stesse usando l’ordinaria diligenza, così che non trova alcuna adeguata giustificazione la sua inerzia protrattasi fino al 25 giugno 1996.

Pertanto, anche sotto l’esaminato profilo è più che ragionevole ritenere che un diverso, e sicuramente esigibile, comportamento dell’appellante, improntato ai fondamentali principi di solidarietà e buona fede e a salvaguardare anche gli altrui interessi, senza alcun diretto pregiudizio per i propri, avrebbe limitato considerevolmente il ritardo del rilascio del titolo edilizio.

Precisato poi che non vi è alcun elemento idoneo a far dubitare della riferibilità di tali comportamenti omissivi all’interessato anche sotto il profilo psicologico, quanto alla loro effettiva incidenza causale nella verificazione dell’evento dannoso di cui si discute (ritardato rilascio del titolo edilizio), la Sezione è dell’avviso che, sulla scorta di tutti gli elementi di fatto esaminati, esso possa equitativamente e ragionevolmente fissarsi nella misura del 50%.

4.3. Per completezza la Sezione deve rilevare che dagli atti di causa (ed in particolare dal verbale di sommarie informazioni rese dallo stesso sig. ************* al Nucleo di Polizia Tributaria di Parma in data 19 marzo 1996) risulta che il caseificio, per la cui costruzione quegli aveva ottenuto la concessione edilizia n. 1269/1984, non era attivo, in quanto sin dal 5 ottobre 1989 ne era stata chiesta la trasformazione in magazzino (concessione edilizia n. 2219/1989 rilasciata il 14 agosto 1990): ciò esclude l’assentibilità della concessione richiesta il 23 febbraio 1989 per la realizzazione del magazzino di stagionatura, anche dopo l’intervenuta adozione della variante al piano regolatore, attesa la pacifica inesistenza del caseificio e l’impossibilità di considerare il primo (magazzino) annesso al secondo (caseificio).

4.4. Passando all’esame del danno, la Sezione osserva quanto segue.

4.4.1. Occorre ribadire che, sulla scorta della documentazione esaminata e delle osservazioni fin qui svolte, non può dubitarsi dell’effettiva verificazione dell’evento danno (ricollegabile causalmente ai comportamenti dell’amministrazione comunale di Parma e dello stesso interessato), consistito nel ritardato rilascio del titolo edilizio e nella conseguente tardiva realizzazione del magazzino per la stagionatura del formaggio.

Ciò posto, è priva di fondamento la apodittica eccezione della amministrazione appellata, secondo cui nel caso di specie non si sarebbe verificato alcun danno perché non sarebbe fornita dall’interessato la prova dell’effettiva realizzazione del magazzino di stagionatura assentito, tanto più che sarebbe inammissibile, ai sensi dell’art. 104, secondo comma, c.p.a., l’avvenuto deposito in data 7 maggio 2013 del certificato di collaudo del 9 dicembre 1999, della domanda di autorizzazione allo scarico dei reflui del 7 agosto 1997, della dichiarazione di versamento degli oneri del 9 ottobre 1996 e del certificato di prevenzione incendi del 3 maggio 1997.

E’ sufficiente rilevare sul punto che l’appellante ha depositato una voluminosa documentazione (fatture per acquisto di materiale vario e per compensi a professionisti) sui costi sopportati per la costruzione del predetto magazzino e che tale documentazione non è stata adeguatamente contestata dall’amministrazione appellante, che, in particolare, non ha fornito alcun elemento, anche solo indiziario, idoneo a far dubitare dell’effettiva costruzione del magazzino assentito.

Quanto ai documenti di cui è stata contestata la produzione da parte dell’appellante, la Sezione è dell’avviso che essi siano comunque del tutto irrilevanti quanto alla prova dell’effettiva costruzione del magazzino, attenendo piuttosto alla concreta utilizzabilità del magazzino (circostanza questa che potrebbe eventualmente influire solo sulla concreta determinazione del danno risarcibile).

4.4.2. In ordine alla quantificazione del danno subito, l’appellante ha chiesto a tale titolo complessivamente €. 2.236.120,88 (di cui €. 197.479,58 per maggiori oneri e costi sopportati in conseguenza del ritardato rilascio della concessione edilizia [esattamente €. 24.468,18, a titolo di oneri urbanistici, ed €. 173.011,40, per maggiori costi di realizzazione delle attrezzature e degli impianti]; €. 1.780.412.85, per mancati ricavi dalla attività di stagionatura di formaggi nel periodo settennale di attesa del rilascio della concessione edilizia; €. 258.228,45 per perdita di clientela e danno all’immagine), allegando a tal fine, come già osservato, copiosa documentazione, costituita soprattutto da fatture e da relazioni tecnico – contabili.

4.4.2.1. Al riguardo la Sezione osserva che può essere innanzitutto riconosciuta a titolo di danni la somma di €. 24.468,18 per oneri urbanistici corrisposti all’amministrazione comunale (circostanza che peraltro da quest’ultima non è stata minimamente contestata) in virtù del titolo edilizio rilasciato l’11 ottobre 1996.

Invero, anche per la mancanza di alcuna specifica osservazione e controdeduzione sul punto da parte della difesa dell’amministrazione comunale di Parma, non può che ritenersi plausibile la tesi dell’appellante secondo cui, qualora la concessione edilizia fosse stata regolarmente rilasciata prima della variante urbanistica adottata il 12 dicembre 1989, allorquando cioè i magazzini per la stagionatura erano assentibili anche se non annessi ai caseifici, gli oneri urbanistici non sarebbero stati dovuti per la sua qualità di imprenditore agricolo a titolo principale (né può essere sottaciuto che, come già sottolineato, l’appellante aveva ottenuto effettivamente una concessione edilizia per la realizzazione del caseificio e che solo dal 5 ottobre 1989 – dopo la presentazione della domanda di concessione edilizia di cui si discute e prima che il titolo non fosse più assentibile per effetto della adottata variante urbanistica – egli chiese la trasformazione di quella concessione per la realizzazione di magazzini di stagionatura).

4.4.2.2. E’ del tutto ragionevole ammettere poi che il ritardato rilascio del titolo edilizio abbia inciso sui costi di costruzione del magazzino, essendo intercorsi oltre sette anni dalla sua richiesta.

Sul punto l’appellante, dopo aver provato i costi sostenuti per la costruzione del magazzino con apposite fatture (che, si ripete, non sono state contestate dall’amministrazione appellata) e con un elaborato riassuntivo, debitamente firmato da un tecnico, per un importo complessivo di £. 1.492.819.353, ha prodotto altro elaborato contabile da cui emerge che, se fossero stati eseguiti nel 1989, i lavori di costruzione del magazzino sarebbe costati £. 1.157.822.562 (essendo stato in particolare indicato un non irragionevole aumento del 20% dei costi delle opere edili, del 30% di quelli delle opere di lattonerie, del 30% di quelli delle strutture prefabbricate, del 20% di quelli di coibentazione, del 25% di quelli di impianti elettrici, del 30% di quelli di impianti idrici e di raffreddamento, del 25% di quelli delle serramenti e del 15% di quelli delle attrezzatura).

Il ritardato rilascio del titolo edilizio e la conseguente ritardata realizzazione del magazzino ha comportato per l’aumento dei costi di costruzione un danno pari a £. 334.996.791, corrispondenti ad €. 173.011,040.

Anche tale importo è riconoscibile a titolo di risarcimento del danno, essendo ragionevole e sufficientemente provato nelle sue singole componenti, oltre a non essere stato minimamente contestato dall’amministrazione appellata.

4.4.2.3. L’appellante ha altresì assunto di aver subito un danno pari a €. 1.780.412,85 per mancati ricavi dalla attività di stagionatura di formaggi a causa del ritardo di oltre sette anni con il quale gli è stato assentito il titolo edilizio per la realizzazione del magazzino di stagionatura, quantificando tale danno in base ad una relazione di un dottore commercialista.

Al riguardo la Sezione rileva che se, per un verso, non può negarsi che il ritardato rilascio del titolo edilizio ed il consequenziale ritardo nella costruzione del magazzino abbia influito effettivamente anche sulla concreta attività commerciale (di vendita del prodotto), d’altra parte la somma indicata dall’appellante, ancorché non contestata dall’amministrazione appellata, non può essere interamente riconosciuta.

Innanzitutto il periodo che può essere preso in considerazione ai fini della determinazione della voce di danno in esame deve essere ragionevolmente ridotto almeno di un anno, da sette a sei anni, atteso che per la realizzazione del magazzino e per la sua effettiva utilizzabilità (compresa l’acquisizione del certificato di collaudo, permessi e nulla – osta sanitari, antincendi, etc.), oltre che per il pieno avvio dell’attività commerciale, può prudentemente ritenersi necessario un arco temporale oscillante tra i 18 ed i 24 mesi (del resto le stesse fatture prodotte dall’appellante a dimostrazione soltanto dei costi di costruzione del magazzino si collocano tra il novembre 1996 e il gennaio 1998).

Può pertanto verosimilmente ritenersi che, anche a considerare che il titolo edilizio fosse stato rilasciato nei sessanta giorni dalla sua richiesta e cioè per la fine del mese di aprile 1989, l’attività commerciale legata al realizzando magazzino di stagionatura non si sarebbe pienamente avviata prima dell’inizio dell’anno 1991, così che il periodo temporale da prendere a riferimento per il danno da mancata attività commerciale è di circa sei anni ed il relativo importo, così come risultante dalla documentazione prodotta dall’interessato, deve essere ridotto a £. 2.954.880.000, corrispondenti a €. 1.562.068.

Sennonché tale importo, come si evince dalla ricordata documentazione prodotta dall’appellante, attiene ai ricavi che si sarebbero realizzati dalla vendita del formaggio, ma non tiene in minima considerazione i costi di conservazione del prodotto e quelli più generali di gestione dell’intero impianto; né è plausibile ritenere che tutto il ricavo costituisse l’utile dell’attività di impresa, che solo può essere effettivamente considerato quale danno effettivamente subito.

Sotto tale profilo deve ritenersi equo che il mancato utile conseguito per effetto della attività di impresa che sarebbe stata esercitata corrisponde al 25% dei ricavi indicati e dunque al 25% di €. 1.562.068 e cioè a €. 390.517.

4.4.2.4. –Nulla può essere invece riconosciuto all’appellante, che ne ha fatto solo mera richiesta, a titolo di danno per la perdita di clientela e per danno all’immagine, perché nessuna prova è stata fornita di presunte voci di danno.

Infatti il danno per perdita della clientela presuppone necessariamente una precedente attività di vendita del formaggio ed il conseguente sviamento della clientela ad altri punti vendita, a causa del ritardato rilascio del titolo edilizio in discussione, circostanze di cui nel caso di specie non vi è traccia, tanto più che l’appellante era titolare soltanto di concessione edilizia per la costruzione di un caseificio e che l’attività casearia non è necessariamente collegata a quella di stagionatura e vendita del formaggio prodotto.

Né il ritardato rilascio del titolo edilizio, in mancanza di qualsiasi adeguato elemento anche solo indiziario in tal senso, può influire per ciò solo sulla reputazione e sull’immagine di un imprenditore (con particolare riferimento alla sua capacità, professionalità e moralità).

4.4.2.5. Posto che le voci di danno riconoscibili ammontano complessivamente ad €. 587.996,58 (e cioè €. 24.468,18 per oneri urbanistici; €. 173.011,40 per maggiori costi di costruzione; €. 390.517,00 per gli utili derivati dalla mancata vendita del formaggio prodotto), il danno effettivamente riconoscibile all’appellante a causa del ritardato rilascio del titolo edilizio di cui si tratta ascende complessivamente ad €. 293.998,29 (duecentonovantatremilanovecentonovantotto euro e ventinove centesimi), per effetto del concorso causale alla determinazione del danno dello stesso appellante, secondo quanto esposto nel paragrafo 4.2.2.2.

Su tale importo, quale credito di valore, devono essere riconosciuti la rivalutazione monetaria e gli interessi legali, da ritenersi comunque compresi nell’originaria domanda risarcitoria (Cass. civ., sez. III, 30 settembre 2009, n. 20943), dal giorno in cui si è verificato l’evento dannoso (Cass. civ., sez. III, 3 marzo 2009, n. 5054 luglio 2009, n. 15928).

Il predetto importo deve essere in particolare rivalutato dalla data del fatto generatore del danno (coincidente con l’11 ottobre 1996, data di rilascio del titolo edilizio) all’attualità (data di deposito della presente sentenza), secondo gli annuali indici ISTAT; spettano inoltre gli interessi legali sulla somma rivalutata dalla data della presente sentenza sino al soddisfo; spettano altresì gli interessi legali, da calcolarsi anno per anno sulla somma originaria (€. 293.998,29) anch’essa annualmente rivalutata dalla data del fatto sino all’effettivo soddisfo.

5. In conclusione, alla stregua delle osservazioni svolte, l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, deve essere accolto il ricorso proposto in primo grado dal sig. *************, con conseguente condanna del Comune di Parma al risarcimento del danno, così come indicato in motivazione.

Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello proposto dal sig. ************* avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia – Romagna, sezione staccata di Parma, n. 61 del 26 febbraio 2004, così provvede:

– accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso proposto in primo grado dal sig. *************;

– conseguentemente condanna il Comune di Parma a risarcire a quest’ultimo il danno subito per il ritardato rilascio della concessione edilizia, liquidato in €. 293.998,29 (duecentonovantatremilanovecentonovantotto euro e ventinove centesimi), oltre rivalutazione monetaria ed interessi, come da motivazione.

– condanna altresì il Comune di Parma al pagamento in favore del sig. ************* delle spese del doppio grado di giudizio, oltre I.V.A. e CPA, se dovuti, che si liquidano in complessivi €. 8.000,00 (ottomila), nonché alla restituzione del contributo unificato, se versato, per la proposizione del ricorso di primo grado e per quello di appello.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Redazione