Concessione edilizia per realizzazione fabbricato commerciale e residenziale: altezza massima degli edifici di nuova costruzione (Cons. Stato n. 3184/2013)

Redazione 10/06/13
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FATTO

Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione di Napoli, i signori ************** e *********************, agivano per l’annullamento di varie concessioni edilizie rilasciate ai coniugi F. Vincenzo e F. Rosa e cioè: la n.162/AU/931 del 19.1.1999 per la realizzazione in via Matese di un fabbricato ad uso commerciale e residenziale; la n.1991/AU/10943 del 9.6.2003 in favore del solo F. Luigi, avente ad oggetto la variante in corso d’opera della precedente; la n.74/AU/912 del 16.1.2002, a favore di entrambi i coniugi, per la realizzazione, nella stessa via, di fabbricato ad uso commerciale e residenziale.

I ricorrenti, comproprietari di fabbricato con annesso giardino sito in via Elci n.54, confinante da un lato con via Matese e dall’altro lato con traversa interna di via Matese, deducevano i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili: 1) in particolare sostenendo la falsa rappresentazione dello stato dei luoghi contenuta nei progetti, in quanto, al fine di costruire sul confine della traversa interna, la stessa veniva riportata come strada privata invece che comunale; 2) sostenevano la violazione dell’altezza, perché l’altezza media dei fabbricati limitrofi è di mt.7,50 come riportato nei grafici allegati alla prima richiesta di concessione e non 10,37 come risulta dai grafici della domanda di variante; 3) inoltre, la variante non poteva essere concessa essendo la prima concessione scaduta in data 19 gennaio 2002, trattandosi di modifiche strutturali, inammissibili in corso d’opera; 4) sostenevano la difformità delle opere realizzate rispetto a quanto assentito.

In data 27 ottobre 2003 e 3 dicembre 2003 si costituivano in giudizio F. Luigi e il Comune intimato, chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso e comunque il rigetto per infondatezza.

In data 24 settembre 2003 a seguito di presentazione di esposti presentati dai ricorrenti, il Sindaco emanava una direttiva per accertare la correttezza del calcolo della altezza dei fabbricati di contorno nonché in generale della correttezza dei procedimenti assentiti a favore dei coniugi F.; il Responsabile del procedimento dapprima sospendeva i lavori e successivamente revocava tale sospensione, archiviando la direttiva del Sindaco; tale atto (del 20 ottobre 2003) del responsabile del procedimento veniva impugnato con motivi aggiunti, nei quali si rappresentava che la concessione n.74/AU/912 non aveva nulla a che vedere con quella n.1991/AU/10943, sicchè se ne lamentava la confusione rispetto agli accertamenti chiesti dal Sindaco; si contestava anche che l’altezza dei fabbricati andava accertata rispetto alle norme urbanistiche e non con un giudizio estetico di “sintonia” con l’ambiente circostante, come tale non pertinente; sostenevano che, a prescindere dalla natura privata o pubblica della strada, trattandosi di zona sismica, il fabbricato doveva rispettare le distanze di cinque metri dalla strada; riguardo alla decadenza della concessione del 1999, deducevano che il responsabile si era limitato ad affermare la tempestività della richiesta di variante, senza ulteriori approfondimenti; evidenziavano la illegittima esclusione del sottotetto abitabile dal calcolo volumetrico.

In data 13 gennaio 2004 i ricorrenti depositavano altra sospensione adottata dal Sindaco ed una relazione del CTU nominato nella causa civile dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere; con ordinanza cautelare n.2577 del 14 gennaio 2004 veniva rigettata la chiesta sospensione degli atti impugnati.

Il giudice di primo grado formulava richiesta istruttoria per chiarimenti e documenti al Comune.

Con sentenza, qui appellata, il primo giudice provvedeva infine, dichiarando il ricorso in parte inammissibile e in parte fondato. Il ricorso veniva dichiarato inammissibile nella parte in cui impugnava concessioni sostituite o annullate, non tempestivamente impugnate o impugnate senza adeguata notifica ad ogni controinteressato; la sentenza invece rigettava l’eccezione di inammissibilità con riguardo alla concessione in variante (richiamata come 1991/UU/10943) del 9 giugno 2003, che veniva annullata perché ritenute fondate le censure con cui si deduceva che si trattava di fabbricato diverso (tre piani fuori terra invece di due piani fuori terra) con assorbimento delle altre censure; il ricorso per motivi aggiunti, rigettate le relative eccezioni di inammissibilità, veniva accolto perché fondato in ordine alla censura di violazione delle altezze, in quanto l’amministrazione avrebbe dovuto tener conto solo dell’altezza media dei cinque edifici situati al contorno del fabbricato di proprietà (del controinteressato), come già avvenuto in occasione del rilascio della concessione originaria.

Con atto di appello impugna la sentenza di primo grado il signor F. Luigi, affidandosi ai seguenti motivi: 1) erroneità della sentenza per inammissibilità del ricorso di primo grado, per mancanza della impugnativa del parere della commissione edilizia comunale, del parere favorevole del Ministero Beni e attività culturali e per mancata notifica alle autorità ministeriali; 2) erroneità della sentenza per mancata declaratoria di inammissibilità del ricorso avverso la variante, essendo stato dichiarato inammissibile il ricorso avverso la concessione originaria; 3) erroneità della sentenza appellata per inammissibilità del ricorso originario, per l’errato rigetto delle eccezioni di difetto di prova circa legittimazione e interesse ad agire in giudizio dei ricorrenti originari (punto 4 della sentenza); 4) erroneità della sentenza (punto 5) laddove ha ritenuto che la direttiva sindacale del 24.09.2003 comportava il riesame del calcolo delle altezze e nel considerare la revoca della sospensione dei lavori del 20.10.2003 come atto confermativo in senso proprio; 5) l’erroneità della sentenza appellata nei punti 6,7,8 e 9, nella parte in cui ha accolto le censure per violazione dei limiti di altezza; 6) erroneità della sentenza nei punti 11,12, e 13 laddove recepisce il parere espresso nel giudizio civile redatto dall’ing. ********** in ordine ala questione delle altezze del fabbricato.

Si è costituito il Comune di Piedimonte Matese, che ha proposto appello incidentale, deducendo i seguenti motivi: 1) erroneità della sentenza per inammissibilità del ricorso di primo grado, per mancanza della impugnativa del parere della commissione edilizia comunale, del parere favorevole del Ministero Beni e attività culturali e per mancata notifica alle autorità ministeriali; 2) erroneità della sentenza inammissibilità del ricorso avverso la variante, essendo stato dichiarato inammissibile il ricorso avverso la concessione originaria; 3) erroneità della sentenza appellata per inammissibilità del ricorso originario, per l’errato rigetto delle eccezioni di difetto di prova circa legittimazione e interesse ad agire in giudizio dei ricorrenti originari (punto 4 della sentenza); 4) erroneità della sentenza (punto 5) laddove ha ritenuto che la direttiva sindacale del 24.09.2003 comportava il riesame del calcolo delle altezze e nel considerare la revoca della sospensione dei lavori del 20.10.2003 come atto confermativo in senso proprio; 5) l’erroneità della sentenza appellata nei punti 6,7,8 e 9, nella parte in cui ha accolto le censure per violazione dei limiti di altezza; 6) erroneità della sentenza nei punti 11,12, e 13 laddove recepisce il parere espresso nel giudizio civile redatto dall’ing. **********, tra l’altro non utilizzabile, in ordine alla questione delle altezze del fabbricato.

Si è costituito l’appellato **************, il quale richiama i motivi già proposti (in particolare riporta i motivi aggiunti) chiedendo il rigetto dell’appello e riproponendo i motivi assorbiti in prime cure.

L’avv. ******** in prossimità dell’udienza del 22 gennaio 2013 ha depositato certificato di morte del signor **************, deceduto in data 13 dicembre 2010, datato 8 gennaio 2013, del Comune di Piedimonte Matese.

Alla udienza pubblica del 22 gennaio 2013 la causa è stata rinviata su richiesta di parte.

La parte appellante ha depositato in data 18 aprile 2013 atto di rinotifica dell’appello, agli eredi della parte deceduta **************, **************** e ***************.

La difesa degli appellati ha depositato altresì certificato di morte di *********************, deceduta in data 2 settembre 2004 e quindi prima della instaurazione dell’appello; ha depositato anche massima di sentenza della Corte di Cassazione n.26279 del 2009 dalla quale si evince che l’appello deve essere notificato agli eredi se la parte è già deceduta, indipendentemente dal momento in cui è avvenuto il decesso e dalla eventuale ignoranza dell’evento, anche se incolpevole; per cui si dedurrebbe la inammissibilità, deve ritenersi, dell’appello svolto direttamente nei confronti della parte già deceduta.

Alla udienza del 23 aprile 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Innanzitutto il Collegio osserva che l’evento interruttivo del giudizio si avvera nei riguardi della parte costituita a mezzo di procuratore se questi lo dichiara in udienza o lo notifica alle altre parti; in mancanza, il processo prosegue.

Il semplice deposito del certificato di morte della parte costituita avvenuto da parte del procuratore dell’appellante senza altra dichiarazione non è stato ritenuto idoneo a determinare l’evento interruttivo (così Cons. Stato, VI, 10 aprile 2003, n.196).

In relazione all’evento del decesso della parte ************** parte appellante ha provveduto a rinotificare l’appello, evitando quindi la interruzione del giudizio.

In relazione al decesso della signora *********************, che si sarebbe verificato in tempo anteriore rispetto alla proposizione dell’appello, l’appello, secondo la tesi che deve attribuirsi alla parte appellata dalle difese depositate, sarebbe inammissibile.

Il Collegio osserva che può prescindersi dall’esame della ammissibilità o meno dell’appello ed eventualmente dell’appello incidentale proposto dal Comune, in quanto entrambi sono infondati nel merito e quindi da rigettare.

2. Con il primo motivo l’appello principale e l’appello incidentale deducono l’ erroneità della sentenza per inammissibilità del ricorso di primo grado, per mancanza della impugnativa del parere della commissione edilizia comunale, del parere favorevole del Ministero Beni e attività culturali e per mancata notifica alle autorità ministeriali.

In sostanza, viene asserito che il ricorso originario avrebbe dovuto farsi carico della impugnativa anche dei pareri positivi (della commissione edilizia integrata e dell’autorità ministeriale), che avrebbero una autonoma valenza provvedimentale, e quindi in mancanza il primo giudice avrebbe dovuto concludere per l’inammissibilità del ricorso.

Il motivo è infondato.

E’ noto che i pareri sono da ritenersi atti endoprocedimentali, mentre la valenza lesiva deve attribuirsi soltanto al provvedimento, inteso come atto che costituisce, modifica o estingue posizioni soggettive.

Nel caso di impugnativa di titolo edilizio a favore di altri, la valenza lesiva deve essere attribuita soltanto alla concessione, non sussistendo l’onere (ma solo eventualmente la facoltà) di abbracciare nell’impugnativa (che peraltro implicitamente li comprende quali atti presupposti) i pareri di tenore positivo.

I pareri sono atti non provvedimentali, come tali valutativi e strumentali alla emanazione di un determinato provvedimento.

Gli atti non provvedimentali non sono direttamente impugnabili, perché come tali insuscettibili di produrre effetti lesivi nelle situazioni giuridiche facenti capo a terzi. Fanno eccezione, caso che non rientra nella specie, gli atti endoprocedimentali allorquando assumono carattere di immediata lesività, come nel caso di pareri vincolanti negativi, che non lasciano all’interessato alcun dubbio sul contenuto e sull’esito della decisione finale (Cons. Stato, IV, 28 marzo 2012, n.1829; Consiglio Stato, sez. V, 2 aprile 2001, n. 1902). Nella specie, come visto, non si è in presenza di tale ipotesi.

3. Con il secondo motivo gli appelli deducono l’ erroneità della statuizione di ammissibilità del ricorso avverso la variante, essendo stato dichiarato inammissibile il ricorso avverso la concessione originaria.

Gli appelli cioè rinvengono una contraddittorietà nella sentenza, in quanto da un lato ha concluso per l’inammissibilità del ricorso proposto avverso la concessione originaria, mentre dall’altro lato non ne ha tratto le dovute conclusioni quanto alla conseguente inammissibilità della impugnativa avverso la variante.

Secondo la prospettazione di entrambi gli appelli, il ricorso è mosso avverso l’intervento edilizio nel suo complesso, sicchè non è ammissibile l’impugnativa avverso la sola variante, essendosi dichiarata inammissibile l’impugnativa avverso la concessione originaria.

Il mezzo è infondato.

Come ha correttamente osservato il primo giudice, è evidente che vale il principio secondo cui in presenza di una variante di concessione edilizia originaria e recante modifiche di non rilevante consistenza, è inammissibile il ricorso avverso la concessione in variante in mancanza di tempestiva impugnativa della originaria concessione, se la incisione (la lesione) è avvenuta con il primo provvedimento; è altresì evidentemente condivisibile il principio secondo cui l’impugnativa della concessione in variante non può certo comportare una rimessione in termini in caso di decadenza per l’impugnativa avverso l’atto originario.

Nella specie, tuttavia, la vicenda si pone in modo diverso, in quanto dalla relazione tecnica risulta evidente che la concessione in variante apporta un pregiudizio in sé autonomo e diverso rispetto a quanto assentito dalla concessione originaria, perché è essa variante (sul punto è chiara la sentenza appellata) e non già il precedente titolo abilitativo, a consentire la costruzione di un edificio di tre piani fuori terra, in luogo di un edificio di soli due piani fuori terra e cioè comporta la realizzazione di un fabbricato edilizio di maggiore entità sia sotto il profilo volumetrico che di superficie coperta.

A prescindere quindi dall’interesse a contestare da subito in modo ammissibile anche i titoli precedenti, non vi è dubbio che la variante assuma una autonoma valenza lesiva, non potendosi ritenere che l’interesse a ricorrere sussista soltanto per la contestazione in sé dell’intervento – in tal caso sì sarebbe stata condivisibile la prospettazione degli appellanti – in quanto investe anche le modalità, ritenute illegittime (per esempio, per distanze o altezza, certamente mutate con la variante).

4. Con il terzo motivo gli appelli deducono l’erroneità della sentenza appellata per inammissibilità del ricorso originario, per l’errato rigetto delle eccezioni di difetto di prova circa legittimazione e interesse ad agire in giudizio dei ricorrenti originari (punto 4 della sentenza) e per genericità dei motivi.

Alla luce del consolidato orientamento in tema di condizioni dell’azione dei vicini, non si vede come possano essere degne di positiva valutazione le sopra riportate motivazioni di appello: i ricorrenti originari sono comproprietari di fabbricato con annesso giardino che confina per un lato con via Matese e per un altro con una traversa interna di via Matese, mentre il fabbricato oggetto della concessione in variante sorge proprio al confine con la suddetta traversa interna di via Matese.

E’ evidente l’interesse dei ricorrenti originari a contrastare la costruzione di un fabbricato di tre piani fuori terra, sostenendo essi che gli strumenti urbanistici consentano soltanto la costruzione di un fabbricato di due piani.

Al di là della considerazione che è evidente nella specie il danno temuto dai ricorrenti rispetto al fabbricato di loro proprietà, la giurisprudenza di questo Consesso, in ordine alla impugnativa di titoli edilizi, ha da tempo affermato che il possesso del titolo di legittimazione alla proposizione del ricorso per l’annullamento di una concessione edilizia, che discende dalla c.d. vicinitas , cioè da una situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell’intervento costruttivo autorizzato – confinante che contesta la violazione di distanze e altezze – può addirittura esimere da qualsiasi indagine al fine di accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall’atto impugnato comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l’impugnazione (da ultimo, Consiglio di Stato sez. IV, 29 agosto 2012, n. 4643).

Anche il rilievo secondo cui il primo giudice ha ritenuto generiche alcune censure e in particolare quelle con cui i ricorrenti lamentavano una certa difformità tra quanto assentito e quanto in realtà realizzato, in realtà nulla aggiungono alla ammissibilità e fondatezza delle altre numerose e puntuali censure, sulle quali il primo giudice si è pronunciato (si ripete, per violazione di altezze o di distanze), attesa la autonomia ed autosufficienza di queste ultime censure.

5. Con altro motivo gli appelli lamentano l’ erroneità della sentenza (punto 5) laddove ha ritenuto che la direttiva sindacale del 24.09.2003 comportava il riesame del calcolo delle altezze e nel considerare la revoca della sospensione dei lavori del 20.10.2003 come atto confermativo in senso proprio.

Con tale motivo, in sostanza, gli appelli ritengono di censurare la sentenza, perché erroneamente aveva ritenuto che la direttiva sindacale del 24 settembre 2003 avrebbe comportato il riesame del calcolo delle altezze dei fabbricati circostanti ed erroneamente avrebbe considerato il provvedimento di revoca della sospensione dei lavori come atto confermativo in senso proprio. Secondo il motivo, la pratica non ha seguito tutte le fasi del procedimento di primo grado (pareri e determinazioni finali), sicchè sarebbe inammissibile il ricorso originario (per motivi aggiunti).

Anche tale motivo è infondato, essendo evidente come in realtà il provvedimento successivo abbia comportato non il riesame complessivo della concessione originaria, ma soltanto del calcolo delle altezze, su impulso della direttiva sindacale intervenuta medio tempore proprio ad approfondire (rectius, reiterare) l’istruttoria sotto tale profilo; tanto ciò è vero, che, al contrario (a pagina 13 della appellata sentenza), il primo giudice ha invece ritenuto inammissibile il motivo aggiunto incentrato sulla violazione delle distanze in zona sismica, proprio perché esso riguardava il progetto originario.

Se vi è stata, sia pure sotto un determinato profilo (calcolo delle altezze), nuova istruttoria, non può non ritenersi sussistente una conferma in senso proprio.

Allo scopo di stabilire se un atto amministrativo è meramente confermativo, e perciò non impugnabile, o di conferma in senso proprio e, quindi, autonomamente lesivo e da impugnarsi nei termini, occorre verificare se l’atto successivo sia stato adottato o meno senza una nuova istruttoria e una nuova ponderazione di interessi.

In particolare, non può considerarsi meramente confermativo rispetto a un atto precedente l’atto la cui adozione sia stata preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al precedente provvedimento, giacché solo l’esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, come nella specie, sia pure mediante la rivalutazione degli interessi in gioco e un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fattispecie considerata, può dare luogo a un atto propriamente confermativo in grado, come tale, di dare vita a un provvedimento diverso dal precedente e quindi suscettibile di autonoma impugnazione.

Ricorre, invece, l’atto meramente confermativo (di c.d. conferma impropria) quando l’Amministrazione, a fronte di un’istanza di riesame, si limita a dichiarare l’esistenza di un suo precedente provvedimento senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione.

Al fine di stabilire se un atto sia meramente confermativo (e perciò non impugnabile) o di conferma in senso proprio, occorre verificare se sia stato adottato (o non) senza nuova istruttoria e nuova ponderazione di interessi (Consiglio di Stato sez. V, 3 ottobre 2012, n. 5196; Consiglio di Stato sez. VI, 31 marzo 2011, n. 1983).

6.Con altro motivo di appello gli appelli deducono l’erroneità della sentenza appellata nei punti 6,7,8 e 9, nella parte in cui ha accolto le censure per violazione dei limiti di altezza.

Nell’appello si sostiene che l’art. 18 del P.T.P., laddove prevede che “l’altezza dei nuovi volumi non potrà eccedere rispetto a quella degli edifici al contorno” con conseguente necessità di tener conto della media degli edifici del contorno edificato, sia un limite elastico, che consente una valutazione discrezionale, sussistendo l’altro limite, di tipo invalicabile perché espresso in termini numerici, di dodici metri.

L’assunto non è fondato.

Gli appellanti (per esempio l’appello principale a pagina 20) sostengono che, mentre il secondo limite di dodici metri è chiaramente invalicabile, il primo limite degli edifici di contorno consentirebbe una valutazione squisitamente discrezionale.

Il Collegio osserva che, sulla base della norma urbanistica come sopra riportata tale lettura è insostenibile, secondo una normale interpretazione letterale del testo.

Oggetto della valutazione, rectius, della misurazione, è chiaramente “l’altezza” e non già altro parametro di giudizio.

Come risulta dalla perizia del consulente tecnico di ufficio nominato dinanzi al tribunale di Santa Maria Capua Vetere (ing. **********) l’altezza media degli edifici al contorno è pari a metri 7,87, mentre l’altezza media del fabbricato in costruzione misura metri 9,63 e quindi chiaramente eccedente.

Inoltre, tale eccedenza, anche rispetto alla misurazione effettuata in occasione del rilascio della concessione originaria, è stata ammessa dalla medesima amministrazione comunale nel giudizio di primo grado, come riporta la sentenza appellata, anche tenendo conto della circostanza che nel corso dei tre anni il contesto edilizio circostante, da prendersi a parametro per l’altezza di contorno, può essere in parte leggermente mutato.

Né, evidentemente, può leggersi il doppio limite nel senso che soltanto il limite di dodici metri sarebbe insuperabile.

Esiste quindi un doppio limite di altezza: quello delle altezze degli edifici di contorno e quello dei dodici metri assoluti.

Non può neanche essere sostenuto che non sia evincibile che per il calcolo degli edifici di contorno debba ragionevolmente farsi riferimento alla “media” delle altezze degli edifici esistenti, avendo preso in considerazione i cinque fabbricati più prossimi e non essendo contestato, né invero contestabile, tale metodo di giudizio.

E’ evidente che se la norma urbanistica impone di tener conto degli edifici limitrofi al fine di calcolare le altezze, perché essa non sia svuotata di contenuto non può estendersi la considerazione ad edifici più lontani, senza alcuna delimitazione.

Questo Consesso ha già avuto modo di affermare al riguardo che, laddove lo strumento urbanistico comunale prescriva che, in una certa zona di piano, l’altezza massima degli edifici di nuova costruzione non possa superare la media dell’altezza di quelli preesistenti circostanti, tale media non può che limitarsi ai soli edifici limitrofi a quello costruendo, a rischio altrimenti di svuotare la norma urbanistica di qualunque significato, mentre essa è appunto preordinata ad evitare che fabbricati contigui o vicini presentino altezze marcatamente differenti, considerato, peraltro, che l’assetto edilizio mira a rendere omogenei gli assetti costruttivi rientranti in zone di limitata estensione (così Consiglio Stato sez. V, 21 ottobre 1995, n. 1448).

7.Con altro motivo gli appelli lamentano l’erroneità della sentenza nei punti 11,12, e 13 laddove recepisce il parere espresso nel giudizio civile redatto dall’ing. **********, tra l’altro non utilizzabile perché redatta in causa nella quale il Comune non era stato parte del giudizio (e in cui il giudice ordinario affermava che della controversia sulla concessione doveva occuparsi il giudice amministrativo), in ordine alla questione delle altezze del fabbricato.

La doglianza è infondata.

Il primo giudice ha dato chiaramente ad intendere che la consulenza tecnica di ufficio esperita nel giudizio civile veniva acquisita e di essa si teneva conto, in applicazione del principio del libero convincimento del giudice.

Tra l’altro, il metodo di calcolo utilizzato dal giudice non riguarda altro in sostanza che l’altezza misurata e il metodo utilizzato relativo agli “edifici di contorno” e alla media da rilevare, per i quali valgono le considerazioni sopra riportate.

8.Il rigetto dell’appello principale e dell’appello incidentale esime dalla esigenza di esaminare le censure assorbite in primo grado.

9.Per le considerazioni sopra svolte, gli appelli, principale e incidentale, vanno respinti, con conseguente conferma della appellata sentenza.

In considerazione della particolarità della vicenda controversa, sussistono giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese di giudizio del presente grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, così provvede:

respinge sia l’appello principale che quello incidentale, con conseguente conferma della appellata sentenza.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2013

Redazione