Comunione e condominio: il sottotetto è condominiale solo se si presta ad un uso comune (Cass. n. 12840/2012)

Redazione 23/07/12
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 20 marzo 2012, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.: “Con citazione notificata nel 2003, il sig. T.F. M. conveniva dinanzi al Tribunale di Monza la signora V. G. e la s.a.s. Olmo Quattro, aggiudicataria a seguito di procedura esecutiva promossa dalla creditrice s.p.a. Cariplo a carico dell’attore e dell’altra convenuta dell’unità immobiliare sita al 1^ piano dell’edificio di (omissis), e composta di tre locali e servizi con sovrastante sottotetto non abitabile e terrazzo, chiedendo l’accertamento della natura condominiale del sottotetto e della terrazza, sovrastanti l’appartamento oggetto dell’aggiudicazione, e della conseguente invalidità ed inefficacia del titolo traslativo della proprietà di tali porzioni condominiali.

Nella costituzione della sola convenuta s.a.s. Olmo Quattro (che, oltre ad opporsi all’accoglimento della formulata azione, proponeva, altresì, domanda riconvenzionale per l’ottenimento del risarcimento dei danni causati all’immobile successivamente all’aggiudicazione), il Tribunale adito, con sentenza n. 2962 del 2005, rigettava la domanda principale ed accoglieva quella riconvenzionale, condannando l’attore al risarcimento dei danni nella misura di Euro 2.000,00, oltre accessori ed al pagamento delle spese giudiziali. Interposto appello da parte del T. e nella resistenza della sola appellata s.a.s. Olmo Quattro, la Corte di appello di Milano, con sentenza n. 201 del 2010, rigettava il gravame e, nel confermare la sentenza impugnata, condannava l’appellante alla rifusione delle spese del grado.

Nei confronti della richiamata sentenza di appello (non notificata) ha proposto ricorso per cassazione (notificato il 25 marzo 2010 e depositato il 1 aprile 2010) il T.F.M., basato su due distinti motivi.

Si è costituita in questa fase con controricorso la sola intimata s.a.s. Olmo Quattro. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 491, 555, 569 e 586 c.p.c, nonchè degli artt. 2919, 2727, 1117 e 817 c.c., congiuntamente al vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi, con riferimento alla ritenuta inclusione – nella sentenza impugnata – del locale sottotetto tra le porzioni immobiliari prima pignorate e poi trasferite all’aggiudicataria e alla negata natura di bene di proprietà comune del locale sottotetto, erroneamente considerato pertinenza dell’alloggio sottostante.

Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 65 e 67 c.p.c., nonchè degli artt. 2727, 2729 e 2043 c.c., oltre che l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi, avuto riguardo all’accoglimento della domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni.

Rileva il relatore che entrambi i motivi svolti dal ricorrente possano ritenersi manifestamente infondati, con la conseguente definibilità del ricorso nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione anche all’art. 360 bis c.p.c., n. 1. Con riguardo alla prima doglianza va rilevato che la Corte territoriale, con motivazione adeguata e fondata su presupposti di fatto idoneamente acquisiti e valutati, ha verificato che il giudice di primo grado aveva univocamente accertato che l’immobile oggetto dell’aggiudicazione in favore della s.a.s. Olmo Quattro si estendeva anche all’annesso sovrastante sottotetto non abitabile e al pertinente terrazzo (come, del resto, rimasto appurato anche in sede di c.t.u. e dagli esiti della prova orale, in conseguenza della quale era stato riscontrato il collegamento interno tra l’appartamento ed il sottotetto tramite scala interna, senza che ad esso potessi accedersi attraverso altro ingresso) e tale era stato definito nel relativo decreto del giudice dell’esecuzione, senza che, peraltro, lo stesso sig. T. avesse, in sostanza, contestato tali risultanze. Conseguentemente, senza che sia incorsa nella denunciate violazioni di legge e compiendo un apprezzamento di fatto adeguatamente giustificato sul piano del percorso logico seguito (e, perciò, insindacabile nella presente sede di legittimità), la Corte meneghina ha appurato che, in assenza di appositi riscontri oggettivamente rilevabili dai titoli costitutivi di provenienza e risultando obiettivamente e concretamente esclusa ogni destinazione del sottotetto all’uso comune (in virtù delle effettive caratteristiche strutturali e funzionali), poteva giungersi alla conclusione di ritenere smentita la tesi dell’appellante che rivendicava la sussistenza di detta utilizzazione e, quindi, l’esclusione dell’appartenenza del vano sottotetto alla proprietà individuale oggetto dell’aggiudicazione. In tal senso, perciò, il giudice di appello si è uniformato all’orientamento assolutamente predominante di questa Corte (cfr, tra le tante, Cass. n. 6027 del 2000; Cass. n. 8968 del 2002 e, da ultimo, Cass. n. 17249 del 2011, ord.), secondo cui l’appartenenza del sottotetto di un edificio va determinata in base al titolo, in mancanza o nel silenzio del quale, non essendo esso compreso nei novero delle parti comuni dell’edificio essenziali per la sua esistenza o necessarie all’uso comune, la presunzione di comunione ex art. 1117 c.c., è applicabile solo nel caso in cui il vano, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, risulti oggettivamente destinato all’uso comune oppure all’esercizio di un servizio di interesse condominiale (condizione, questa, che la Corte territoriale ha escluso, essendo, invece, pervenuta, sulla scorta dei riscontri oggettivamente rilevati e valorizzati, alla conclusione dell’appartenenza all’immobile oggetto di aggiudicazione). Con riferimento alla seconda doglianza la Corte territoriale, con motivazione logica e sufficiente, ha dato conto dell’intervenuto accertamento (tramite le univoche risultanze della prova orale), fin dal giudizio di primo grado, che l’impianto elettrico riguardante l’immobile oggetto di pignoramento era perfettamente funzionante prima dell’aggiudicazione, mentre, successivamente all’emanazione del decreto di aggiudicazione e all’atto del rilascio eseguito con l’intervento dell’ufficiale giudiziario, era risultato danneggiato (con fili staccati ed asportati), imputando, in via presuntiva, la responsabilità per detta condotta al detentore dell’immobile anteriormente all’aggiudicazione stessa, non emergendo, peraltro, che, in sede di appello, fosse stata offerta prova contraria di tale circostanza ovvero che l’imputabilità di tale danno potesse essere ascritta a soggetti terzi (ivi compreso il custode, peraltro escusso in sede prova testimoniale, senza che, a suo carico, potesse ritenersi emergente una ipotesi propria di incapacità testimoniare). Del resto, è risaputo che in tema di prova presuntiva, è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice dei merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, sempre che la motivazione adottata appaia congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni (come nella specie). In virtù delle esposte argomentazioni, avendo la sentenza impugnata deciso le questioni di diritto dedotte con il ricorso in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte senza che siano stati offerti elementi per mutare il pregresso orientamento (cfr. Cass., S.U., ord., n. 19051/2010) ed essendo rimasta esclusa la configurazione dei dedotti vizi motivazionali, si deve ritenere, in definitiva, che sembrano emergere le condizioni, in relazione al disposto dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, per poter pervenire al possibile rigetto totale del proposto ricorso per sua manifesta infondatezza”.

Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, senza che, con la memoria depositata nell’interesse del ricorrente, si possa ritenere che siano stati aggiunti ulteriori argomenti illustrativi determinanti rispetto a quelli già sostanzialmente dedotti in ricorso con riferimento alla sentenza impugnata che, invece, come detto, è risultata logica ed adeguata in ordine agli affrontati aspetti di merito, oltre a conformarsi ai principi giurisprudenziali evidenziati nella suddetta relazione ex art. 380 bis c.p.c.;

ritenuto che, pertanto, il ricorso deve essere integralmente rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento, nei confronti della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo. Non occorre, invece, adottare, alcuna statuizione in punto spese in ordine al rapporto processuale tra il ricorrente e l’altra intimata V.G., che non ha svolto attività difensiva in questa fase.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori nella misura e sulle voci come per legge.

Redazione