Comunicazione variazioni stato patrimoniale: l’obbligo non è retroattivo (Cass. pen., n. 41113/2013)

Redazione 04/10/13
Scarica PDF Stampa

Svolgimento del processo

1. G.D., con due distinti ricorsi, il primo, in data 26 aprile 2013, a mezzo dell’avv. *********** ed il secondo, personalmente, in data 1 giugno 2013, impugna l’ordinanza 15 aprile 2013 del Tribunale del riesame di Macerata che ha rigettato l’istanza di riesame contro il decreto di sequestro preventivo 21 marzo 2013 del G.I.P. presso il Tribunale di Macerata.

2. Il G.D. ha impugnato il decreto di sequestro preventivo adottato dal giudice per le indagini preliminari nell’ambito del procedimento penale n. 3606/12 RGNR, ove il ricorrente risulta indagato per il reato di cui all’art. 30, in relazione alla L. 30 settembre 1982, n. 646, art. 31, e al D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 30, poichè, quale condannato con sentenza del Tribunale di Brindisi, irrevocabile il 26 luglio 2009, per violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260 per attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, non comunicava al Nucleo di Polizia Tributaria, del luogo di dimora abituale, le variazioni nella entità e nella composizione del patrimonio, concernenti elementi di valore non inferiore agli Euro 10.329,84, nonchè ometteva di comunicare entro il 31 gennaio le variazioni intervenute nell’anno precedente concernenti elementi di valore non inferiore agli Euro 10.329,84 (fatto accertato a (omissis)).

3. Risulta agli atti che a seguito di un controllo eseguito della Guardia di Finanza di (omissis), è emerso che G., persona condannata dal Tribunale di Brindisi con sentenza irrevocabile (il 26 luglio 2009) per il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260 aveva omesso le comunicazioni prescritte, nonostante le variazioni patrimoniali succedutesi nel 2011, e riscontrate dal semplice esame dei registri pubblici; in particolare, risultavano posti in essere alcuni atti di vendita e di acquisto di motoveicoli e di autoveicoli, e constava altresì la concessione di una fideiussione per Euro 51 mila in favore della moglie.

4. Il prevenuto veniva iscritto nel registro degli indagati per il reato di cui al provvisorio capo d’imputazione contenente peraltro un errore materiale nell’indicazione, in centesimi, della soglia di rilevanza del fatto, che la legge pone a Euro 10.329,14 e non a Euro “10.329,84”.

5. Il G.I.P. su specifica richiesta del P.M., sottoponeva a sequestro preventivo un motociclo e le somme rinvenute nella disponibilità dell’indagato, fino a concorrenza del complessivo importo di Euro 52.000,00, a fronte della richiesta del P.M. di estendere il sequestro fino alla somma di Euro 103.000,00, parzialmente non accolta dal G.I.P. il quale ha escluso dal calcolo delle variazioni rilevanti la fideiussione, trattandosi di variazione solo eventuale e proiettata nel futuro.

6. In sede di riesame l’indagato ha prospettato diversi ordini di questioni:

a) in primo luogo, sì è sostenuto che gli obblighi di comunicazione previsti dalla L. n. 646 del 1982, art. 30 (come modificato dalla L. n. 136 del 2010) vanno inquadrati nella categoria, delle pene accessorie, partecipando quindi del relativo regime giuridico; con la conseguenza dell’estensione degli effetti della sospensione condizionale della pena concessa con la richiamata sentenza del Tribunale di Brindisi anche a tali obblighi;

b) sotto altro profilo, si è assunto che l’inclusione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260 nel “catalogo” dei reati previsti dall’art. 51 c.p.p., per i quali scattano gli obblighi di comunicazione, è avvenuta con la L. n. 136 del 2010 (pubblicata nella G.U. 196 del 23 agosto 2010), ciò comportando la retroattività della sanzione prevista dalla L. n. 646 del 1982, art. 31 in quanto il ricorrente, all’epoca del commesso reato, non sarebbe stato tenuto a tali obblighi;

c) in terzo luogo si è dedotta l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato, essendo esclusa la possibilità del dolo in re ipsa;

d) infine si è lamentata la sostanziale indeterminatezza della fattispecie penale laddove si escludono dagli obblighi di comunicazione i beni destinati al soddisfacimento dei bisogni quotidiani.

7. A fronte di tali censure il Tribunale, con la gravata ordinanza, ha osservato:

1) che nell’ambito del riesame la valutazione del “fumus” non può essere estesa fino a una penetrante ricostruzione degli indizi, in una prospettiva tipica del giudizio di colpevolezza, benchè non sia consentito al giudice limitarsi alla ricognizione dell’astratta configurabilità del reato;

2) che la tesi difensiva principale, la quale si basa sull’assunto secondo cui gli obblighi di comunicazione, previsti dalla norma incriminatrice, siano espressione di “pene accessorie” del medesimo reato presupposto, è inaccoglibile, considerato che la condotta sanzionata è del tutto autonoma rispetto al reato presupposto, in quanto costitutiva di un fatto di reato distinto, di cui è chiaro il collegamento alle esigenze di prevenzione postulate dalla L. n. 646 del 1982;

3) che quanto alla doglianza circa la presunta violazione dell’art. 2 c.p. per “lesione del principio di irretroattività” non avrebbe rilievo il fatto che all’epoca della commissione del reato presupposto non vigessero ancora, per le persone condannate per violazione del D.Lgs. n. 156 del 2006, art. 260 gli obblighi di comunicazione, previsti dalla L. n. 646 del 1982, art. 30 (successivamente introdotti con la L. n. 136 del 2010, art. 7, comma 1), lett. b) pubblicata nella G.U. 196 del 23 agosto 2010), poichè tali obblighi debbono essere adempiuti a far data dall’entrata in vigore della norma incriminatrice, è a tale momento cui occorre far riferimento, non a caso nella fattispecie si è tenuto conto esclusivamente dei movimenti del 2011;

4) che sulla presunta “carenza dell’elemento soggettivo”, occorre considerare che se risponde al vero che non può ricorrere in materia alcuna ipotesi di dolo in re ipsa (si cita in proposito cass. pen. sent. 34/2010), dall’altro lato è anche vero che un accertamento approfondito sul dolo non e possibile in sede cautelare, dovendosi peraltro tenere conto del fatto che non è richiesta la prova che l’autore del fatto abbia agito allo scopo specifico di occultare le informazioni dovute alla polizia tributaria e non può venire in alcuna considerazione l’ignoranza j circa gli obblighi comunicativi in questione, che sono imposti da norma integratrice del precetto penale (cfr. su questi aspetti Cass. 33590/2012);

5) che la norma non è censurabile sotto il profilo della “indeterminatezza”, laddove essa parrebbe non consentire l’individuazione oggettiva dei limiti del bisogno quotidiano, dovendosi al contrario osservare che la disposizione, facendo ricorso a una tecnica consolidata, offre all’interprete un parametro di sicura precisione e non suscettibile di incertezze interpretative, come va considerato ogni criterio che, legandosi a un ambito di esigenze temporalmente e funzionalmente abbastanza ristrette, non può consentire errori nell’isolare quei movimenti patrimoniali che, per loro incidenza economica e durevolezza nel tempo non possono essere ascritti ai bisogni puramente quotidiani, quand’anche con tale espressione si volessero intendere, in generale, esigenze correnti della vita, e non soltanto in termini puramente alimentari e di sopravvivenza in una prospettiva più ampia della dizione normativa.

Motivi della decisione

1. Nel ricorso dell’avv. ***********, con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, in ordine alla esclusione della natura accessoria degli obblighi derivanti dalla disposizione dell’art. 30, Legge citata.

Rileva la difesa del ricorrente:

a) che le disposizioni della L. n. 636 del 1982, artt. 30 e 31 hanno subito, in data 13 agosto 2010 in virtù della L. n. 136 del 2010, una sostanziale modifica legislativa che ha comportato l’inclusione anche della violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260 tra quei reati alla cui condanna consegue l’obbligo per il condannato di comunicare la variazione “nell’entità e nella composizione del patrimonio”;

b) che quando il G., quale legale rappresentante, all’epoca dei fatti di cui alla sentenza del Tribunale di Brindisi, della **********************, chiese ed ottenne l’applicazione di pena per la violazione di cui al D.Lgs. n. 132 del 2006, art. 260 la norma non prevedeva per lui alcun obbligo, posto che l’art. 30 si applicava soltanto nei confronti delle persone condannate per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen.: con la conseguenza che l’autore della violazione sanzionata D.Lgs. n. 132 del 2006, ex art. 260 non era tenuto ad alcuna comunicazione in quanto l’obbligo corrispondente era stato appunto normativamente stabilito in tempo successivo dalla L. n. 136 del 2010 pubblicata nella G.U. n. 196 del 23 agosto 2010;

c) che la tesi della Procura, fatta propria dal G.I.P. di Macerata, verrebbe ad attribuire rilevanza penale all’omissione di una comunicazione cui il condannato non era tenuto in relazione al combinato disposto dell’art. 2 cod. pen. : nè al momento della commissione del fatto, nè nel momento in cui ebbe a richiedere l’applicazione della pena (concessagli, con il beneficio della sospensione condizionale) e neanche, successivamente, quando la sentenza divenne irrevocabile (26 luglio 2009), tenuto conto che gli obblighi sono sopravvenuti in relazione alle successive variazioni del quadro sanzionatorio (L. n. 136 del 2010) che ha incluso, tra le persone con obblighi di comunicazione, di cui agli artt. 31 e 32 citati anche quelle condannate per condotte riconducibili alla violazione del D.Lgs. n. 132 del 2006.

2. Con un secondo motivo il difensore lamenta carenza di motivazione sulla richiesta di parziale revoca del sequestro considerato che alcune “variazioni nella composizione del reddito” non imponevano alcun obbligo di comunicazione non essendosi creata alcuna variazione della entità complessiva degli “elementi di valore.

3. Con un terzo motivo si prospetta violazione di legge in ordine ai beni sequestrati e da considerarsi invece come destinati al soddisfacimento di bisogni quotidiani.

4. Con un quarto motivo si evidenzia insussistenza del dolo del ritenuto illecito nonchè assenza di motivazione sul punto.

5. Nel ricorso presentato personalmente dal G. si lamenta nell’ordine:

a) con un primo motivo, che vi sia stata violazione di norma sostanziale e processuale, considerato: che all’atto della condanna, definita ex art. 444 cod. proc. pen., l’imputato aveva soppesato e non poteva che considerare le sole sanzioni previste dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260 tenuto conto che la L. n. 646 del 1982, art. 25 è stato modificato dalla successiva L. n. 136 del 1960 (in G.U. 23 agosto 2010 n. 136), con la conseguenza che la variazione introdotta, con l’obbligo di comunicazione, ha dato vita ad una nuova sanzione che deve rispettare la regola della irretroattività della norma penale sfavorevole.

6. Con un secondo motivo si lamenta carenza e contraddittorietà di motivazione sul punto dell’omessa argomentazione sulla sussistenza dell’elemento soggettivo.

7. Con un terzo motivo si prospetta ulteriore difetto di motivazione sulla sussistenza delle ritenute variazioni patrimoniali, trattandosi di beni mai usciti dal patrimonio del ricorrente.

8. Ritiene la Corte la fondatezza del primo motivo di doglianza dei due ricorsi.

Tuttavia, preliminarmente, va confermato l’assunto del Tribunale secondo cui la condotta omissiva, sanzionata dal combinato disposto della L. 13 settembre 1982, n. 646, artt. 30 e 31 (recante: “Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazione alle L. 27 dicembre 1956, n. 1423, L. 10 febbraio 1962, n. 57, e L. 31 maggio 1965, n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 14 settembre 1982, n. 253) e successive modificazioni costituisca l’espressione di “pene accessorie” del medesimo reato presupposto.

Trattasi invero di asserzione non condivisibile, dal momento che la condotta sanzionata, “violazione dell’obbligo di comunicazione di variazioni patrimoniali da parte di persone condannate per uno dei delitti indicati nel citato art. 30”, risulta assolutamente autonoma rispetto al reato presupposto, per cui vi è stata sentenza definitiva di condanna, in quanto condotta costitutiva di un fatto di reato distinto, collegato alle esigenze di prevenzione che hanno informato la L. n. 646 del 1982.

Questa Corte infatti ha già avuto modo di esprimersi sul punto, evidenziando: da un lato, la natura “sanzionatoria”, ovvero “pregiudizievole” (Sez. U, n. 7 del 20/04/1994, *****), o ancora configurabile alla stregua di una “conseguenza giuridica negativa” (Sez. U, n. 31 del 22/11/2000, *******), dell’imposizione di comunicare ogni variazione patrimoniale che consegue di diritto alla condanna per il delitto di associazione mafiosa, e, dall’altro, che detto obbligo risponde ad esigenze di tutela e ad interessi del tutto analoghi a quelli posti a base dell’incriminazione cui è riferita la condanna a tale fine rilevante (cfr. in termini: Sez. 1, Sentenza n. 45378 del 2011).

9. Così esclusa la profilata evenienza di una realtà di “pena accessoria” e sanzionata nei termini di cui all’art. 31 citato, va ora valutato il rispetto o meno del canone della irretroattività della norma sancito dall’art. 2 cod. pen. e dall’art. 25, comma 2 Carta costituzionale.

A tale effetto occorre considerare che, ricorrendo le condizioni dell’art. 30, il “termine di dieci anni” il quale decorre, nella vicenda, dalla sentenza definitiva di condanna (26 luglio 2009), è elemento costitutivo della fattispecie sanzionatoria, dal momento che esso integra e delimita l’ambito temporale “di sospetto e di attenzione” che il legislatore, nella sua discrezionalità tecnica, ha voluto precisare e definire, nell’ottica di un quadro dinamico ed aggiornato di controllo decennale sulle variazioni di rilievo (non inferiori ad Euro. 10.329,14), nell’entità e nella composizione del patrimonio, soltanto di quelle persone che abbiano commesso uno dei reati tassativamente indicati nel catalogo delle violazioni del suindicato art. 30.

In altre parole la condanna per il reato presupposto integra l’elemento normativo della fattispecie e, come tale, va verificato nella sua sussistenza al tempo dell’entrata in vigore della norma penale che la sanziona, nella vicenda, alla data del 7 settembre 2010.

10. Nel caso in esame, anche ipotizzata per il G., in linea teorica, la decorrenza degli obblighi a partire dal 26 luglio 2009, va precisato che, in relazione all’assetto normativo e sanzionatorio vigente a tale data, il condannato per il reato D.Lgs. n. 152 del 2006, ex art. 260 in quanto autore di una violazione, all’epoca non rientrante nelle previsioni dello schema dogmatico dell’art. 30, non poteva essere destinatario, in tempi successivi, degli obblighi comunicativi derivanti da normativa, sopravvenuta ed entrata in vigore il 7 settembre 2010, a distanza di oltre un anno dalla irrevocabilità della statuizione di responsabilità (L. n. 136 del 2010 pubblicata nella G.U. 196 del 23 agosto 2010).

11. In conclusione, ritiene il Collegio non configurabile il delitto di omessa comunicazione delle variazioni del proprio patrimonio, di cui alla L. n. 646 del 1982, art. 31 quando la condanna per il delitto, da cui ha tratto causa l’obbligo medesimo, concerna uno dei reati introdotti ex novo dalla L. n. 136 del 2010, art. 7, comma 1), lett. b), nonchè si tratti – come nella fattispecie – di reato presupposto commesso prima del 2009 e, quindi, in tempo antecedente all’entrata in vigore della L. 13 agosto 2010, n. 136 (Piano straordinario contro le mafie, nonchè delega al Governo in materia di normativa antimafia. – 10G0162 – in GU n. 196 del 23 agosto 2010 norma entrata in vigore il 7 settembre 2010), irrilevante essendo, in tale contesto, la circostanza che i beni e le disponibilità, oggetto dell’omessa comunicazione, siano entrati nel patrimonio del condannato per il delitto presupposto, in data successiva alla predetta normativa del 2010 (nella specie nell’anno 2011).

12. Da ciò consegue l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata, nonchè del decreto di sequestro preventivo adottato dal G.I.P. del Tribunale di Macerata in data 21 marzo 2013, disponendo la restituzione di quanto in sequestro all’avente diritto. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 625 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata nonchè il decreto di sequestro preventivo adottato dal G.I.P. del Tribunale di Macerata in data 21 marzo 2013 e dispone la restituzione di quanto in sequestro all’avente diritto. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 626 cod. proc. pen..

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2013.

Redazione