Competenza territoriale: per reati commessi dai senza fissa dimora si fa riferimento al luogo in cui ha sede l’ufficio del p.m. che ha iscritto la notizia di reato (Cass. pen. n. 47850/2012)

Redazione 10/12/12
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Svolgimento del processo

1. Il Tribunale del riesame di Roma, con ordinanza in data 12/6/2012, confermava il provvedimento del 23/05/2012 del G.I.P. del Tribunale di Velletri di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di C.M., indagato per i delitti di ricettazione e calunnia.

2. Propone ricorso per cassazione il difensore dell’indagato, deducendo:

1) inosservanza delle regole di cui all’art. 9 cod. proc. pen., comma 2, in ordine alla competenza territoriale del giudice titolare dell’azione cautelare. Il ricorrente osserva che il Tribunale, non essendo noto il luogo di consumazione della ricettazione, avrebbe dovuto adottare quello del luogo di residenza dell’indagato e non quello della sede dell’ufficio del pubblico ministero che per primo iscrisse la notizia di reato; contesta l’affermazione del Tribunale che il ricorrente avrebbe una residenza solo virtuale a Roma, trattandosi di residenza assegnata dal comune di Roma ai senza tetto, poichè tale residenza viene assegnata dal comune a coloro che, pur non avendo un’abitazione propria, sono presenti abitualmente sul territorio comunale; 2) insussistenza delle esigenze cautelari, trattandosi di provvedimento emesso due anni dopo il fatto addebitato e mentre l’indagato è in condizioni di detenzione per una sentenza passata in giudicato.

Motivi della decisione

4 Il ricorso è infondato e deve essere, pertanto, rigettato. Con riferimento al primo motivo relativo all’incompetenza del giudice che ha emesso la misura cautelare, se è pur vero che l’incompetenza per territorio può essere rilevata anche in sede di riesame (Sez. un., n. 12823 del 25/03/2010, *****, rv. 246273), va tuttavia osservato che quando debba prendersi in considerazione – qualora non sia noto il luogo di consumazione del reato – il criterio suppletivo di residenza, dimora o domicilio dell’indagato, occorre fare riferimento a criteri di effettività, a presidio del principio del giudice naturale precostituito per legge. Tutta la disciplina sulla competenza è, infatti, improntata alla ricerca di un collegamento effettivo che assicuri in modo rigoroso e non opinabile il rispetto della regola sulla corretta predeterminazione ed individuazione del giudice che ratione loci sarà chiamato a giudicare. Come ha ricordato la Corte costituzionale nella sentenza n. 168 del 2006, il predicato della “naturalità” enunciato dall’art. 25 Cost., “assume nel processo penale un carattere del tutto peculiare, in ragione della fisiologica allocazione di quel processo nel locus commisi delicti. Qualsiasi istituto processuale, quindi, che producesse … l’effetto di “distrarre il processo” dalla sua sede inciderebbe su un valore di elevato e specifico risalto per il processo penale, giacchè la celebrazione di quel processo in “quel luogo”, risponde ad esigenze di indubbio rilievo, tra le quali, non ultima va annoverata anche quella – più che tradizionale – per la quale il diritto e la giustizia devono riaffermarsi proprio nel luogo in cui sono stati violati”. Da qui il rigore con il quale devono essere riguardati tutti i criteri in forza dei quali viene stabilita la competenza per territorio. Una tale esigenza non può dirsi propria solo delle regole generali determinative della competenza, le quali “ancorano” il locus fori alla consumazione del reato, ma è comune anche a quelle suppletive ove il legislatore non manca di indicare criteri obiettivi, tra cui, in primis quello dell’ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione. Anche l’ultimo criterio residuale, ossia quello che attribuisce la competenza al giudice del luogo in cui ha sede l’ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall’art. 335 cod. proc. pen., soddisfa tale necessità, in quanto si osserva un criterio di ordine temporale legato al fatto per cui si procede in ragione dell’apprensione della notitia criminis. Al fine di evitare, pertanto, che l’osservanza del principio costituzionale sopra menzionato sia rimessa a componenti di carattere soggettivo o meramente formali, si è in modo condivisibile affermato che a nulla valgono le mere dichiarazioni dell’imputato circa il luogo di consumazione del reato, ove non siano sorrette da sicuri elementi di riscontro (Sez. 1, sentenza n. 43230 del 26/10/2010, rv. 249018); del pari si è escluso che assuma detta valenza l’eccepita residenza anagrafica se non accompagnata da elementi oggettivamente certi (Sez. 2, sentenza n. 45743 del 4/11/2008, rv. 242089). Ciò premesso, va osservato, quanto al caso di specie, che l’eccepita sussistenza di una “mera residenza anagrafica”, essenzialmente funzionale all’attivazione dei servizi sociali e dei correlativi istituti di solidarietà, quale quella rilasciata dal comune di Roma in ossequio alle previsioni del D.P.R. 20 maggio 1989, n. 223 (secondo cui i comuni si debbono attivare per la creazione di una speciale posizione anagrafica per le persone senza fissa dimora e che notoriamente annovera oltre 10.000 “residenti”), non può dirsi sufficiente, di per sè, a determinare l’individuazione del locus fori, laddove non sia supportata da elementi certi di effettivo collegamento tra l’indagato ed il luogo ove costui stabilmente risiede o dimora.

4.1. Del pari infondato e, in parte, inammissibile, è anche il secondo motivo di ricorso. Quanto alla dedotta assenza di attualità delle esigenze cautelari in ragione del tempo trascorso dalla commissione del reato, va osservato che sia il giudice della misura che il Tribunale del riesame hanno correttamente evidenziato gli indici dai quali si ricava l’immanenza di tale periculum, costituiti dalla spiccata pericolosità sociale del prevenuto, dall’abitualità e professionalità nel delinquere, dalla recente evasione dagli arresti domiciliari mentre si trovava in comunità e dal coinvolgimento in altri procedimenti penali pendenti. Quanto, poi, alla circostanza che l’indagato è detenuto, status che eliderebbe il pericolo di recidiva, va osservato che trattasi di motivo non dedotto nella richiesta di riesame dinanzi al Tribunale e, comunque, generico in quanto il ricorrente omette di specificare non solo il titolo della carcerazione ma neppure il quantum di pena inflitto, così precludendo a questa Corte di verificare l’attualità delle predette esigenze.

5. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che respinge il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione