Competenza della giunta comunale: imposizione di un vincolo su un’area inquinata (Cons. Stato n. 4490/2013)

Redazione 11/09/13
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FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza in epigrafe, il T.a.r. per il Lazio, Sezione staccata di Latina, respingeva (a spese compensate) il ricorso n. 797 del 2003, proposto dalla s.r.l. Tecno ***** avverso la deliberazione della Giunta municipale del Comune di San Vittore del Lazio n. 97 del 27 novembre 2002, con la quale a carico del complesso industriale per la produzione di laterizi (con circostante terreno della superficie complessiva di mq. 73.510, sito in San Vittore del Lazio, alla Via Casilina sud, km 148,600, acquistato dalla società ricorrente in esito ad asta giudiziaria in forza di decreto di trasferimento del giudice delegato del Tribunale di Cassino del 24 febbraio 2003, per il fallimento della s.r.l. F.lli Musto) era stato apposto il vincolo previsto dall’art. 17, comma 10, d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), trattandosi di area considerata inquinata e soggetta ad obbligo di bonifica.
La società ricorrente aveva esposto che, dopo l’acquisto del compendio in questione, in data 31 marzo 2003 alcuni tecnici comunali, intervenuti per un sopralluogo, le avevano comunicato che la visita era stata effettuata in esecuzione di una delibera comunale inerente alla bonifica del bene acquistato, di cui la ricorrente, a seguito di espressa richiesta, aveva ricevuto dall’ente territoriale intimato una copia, venendo solo allora a conoscenza della circostanza che l’intero compendio acquistato era stato considerato area inquinata, e che il vincolo ex art. 17, comma 10, d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, era stato apposto in forza dell’impugnata delibera comunale, ossia in epoca antecedente alla celebrazione della predetta asta giudiziaria.
L’adito T.a.r., previa reiezione dell’eccezione di irricevibilità del ricorso per tardività – sul rilievo che la società ricorrente solo il 29 aprile 2003, a seguito di espressa richiesta al Comune, era venuta a conoscenza dell’impugnata delibera –, basava la pronuncia di rigetto sui seguenti rilievi:
– l’art. 17, comma 10, d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, applicabile ratione temporis alla fattispecie dedotta in giudizio, impone l’esecuzione di interventi di recupero ambientale, anche di natura emergenziale, al responsabile dell’inquinamento, che può non coincidere con il proprietario o con il gestore dell’area interessata;
– a carico del proprietario dell’area inquinata, non responsabile della contaminazione, non incombe alcun obbligo di porre in essere gli interventi ambientali in argomento, ma solo la facoltà di eseguirli al fine di evitare l’espropriazione del terreno interessato gravato da onere reale, al pari delle spese sostenute per gli interventi di recupero ambientale, assistite anche da privilegio speciale immobiliare;
– la normativa citata prevede infatti che, in caso di mancata esecuzione degli interventi in argomento da parte del responsabile dell’inquinamento, ovvero in caso di mancata individuazione del predetto, le opere di recupero ambientale vanno eseguite dall’Amministrazione competente, la quale potrà rivalersi sul soggetto responsabile anche esercitando, nel caso in cui la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei suddetti interventi;
– conseguentemente il proprietario, ove non sia responsabile della violazione, non ha l’obbligo di provvedere direttamente alla bonifica, ma solo l’onere di farlo, se intende evitare le conseguenze derivanti dai vincoli che gravano sull’area sub specie di onere reale e di privilegio speciale immobiliare;
– pertanto, il provvedimento di messa in sicurezza e bonifica ben può essere notificato al proprietario, al fine di renderlo edotto di tale onere (che egli ha facoltà di assolvere per liberare l’area dal relativo vincolo), ma non può imporre misure di bonifica senza un adeguato accertamento della responsabilità, o corresponsabilità, del proprietario per l’inquinamento del sito;
– tale conclusione è aderente al principio enunciato nell’ordinanza 112/2004 del Consiglio di Stato, di rigetto dell’appello cautelare proposto avverso l’ordinanza di rigetto dell’istanza cautelare in limine litis proposta dinanzi al T.a.r., secondo cui la procedura prevista dal menzionato art. 17 d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, è funzionale alla messa in sicurezza delle aree inquinanti con imposizione del vincolo dell’onere reale sulla stessa, rilevante anche nei confronti di una curatela fallimentare e degli acquirenti dei beni della massa;
– è da escludere la dedotta violazione degli artt. 7 e 8 l. 7 agosto 1990, n. 241 – per l’omessa comunicazione, alla società ricorrente, dell’avviso di avvio del procedimento diretto all’imposizione dell’onere reale –, attesa l’incontestata anteriorità dell’imposizione del vincolo alla procedura d’asta.
2. Avverso tale sentenza interponeva appello la ricorrente soccombente, deducendo i seguenti motivi:
a) “Violazione e falsa applicazione del d.lgs. 22/1997, in particolare dell’art. 17, nonché del DM n. 471/1999, in particolare dell’art. 8 – Omessa motivazione su punti decisivi della controversia – Erronea e/o lacunosa rappresentazione dei presupposti di fatto – Violazione dell’art. 337 c.p.c. e del giudicato civile”, per il difetto di una previa diffida al responsabile dell’inquinamento, per la mancata approvazione del progetto di bonifica ad iniziativa pubblica, costituente il presupposto per l’imposizione dell’onere reale, e per l’erroneo assoggettamento dell’onere reale sull’intero compendio, anziché sulla sola area contaminata, nonché, quanto all’ultimo profilo di censura, per la violazione del giudicato di cui alla sentenzainter partes del Tribunale ordinario di Cassino n. 581 del 28 agosto 2007, con la quale era stata accertata, in via incidentale, l’illegittimità della qui impugnata deliberazione comunale, in quanto il Comune non avrebbe fornito la prova di aver notificato la diffida in questione né al responsabile dell’abuso né alla curatela fallimentare;
b) la violazione degli artt. 7 e 8 l. n. 241/1990 e dei principi del giusto procedimento e la correlativa omessa pronuncia;
c) l’omessa pronuncia sulla censura d’incompetenza in capo alla Giunta comunale, rientrando l’emanazione delle diffide previste dal d.lgs. n. 22 del 1997 nell’ambito delle attribuzioni del dirigente del competente ufficio comunale.
L’appellante chiedeva dunque, in riforma dell’appellata sentenza, l’accoglimento del ricorso di primo grado.
3. Si costituiva in giudizio l’appellato Comune di San Vittore del Lazio, contestando la fondatezza dell’appello e chiedendone la reiezione.
4. All’udienza pubblica del 9 aprile 2013 la causa veniva trattenuta in decisione.
5. L’appello è infondato.
5.1. Va premesso che, in assenza di uno specifico motivo d’appello, dedotto in via principale o incidentale, non sono sindacabili in questa sede le statuizioni del giudice di primo grado, sulla assenza dell’obbligo del proprietario – non responsabile dell’inquinamento – di effettuare le opere di bonifica.
E’ pertanto irrilevante nel presente giudizio la questione di carattere generale (devoluta all’esame della Adunanza Plenaria) sull’ambito degli obblighi gravanti sul proprietario in quanto tale di un’area inquinata, in applicazione del diritto nazionale e dell’ordinamento della Unione Europea.
5.2. Ciò posto, destituito di fondamento è il primo motivo d’appello, di cui sopra sub 2.a).
In linea di diritto, si osserva che ai sensi degli artt. 17 d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e 8 d.m. 25 ottobre 1999, n. 471 – applicabili ratione temporis alla fattispecie dedotta in giudizio –, recanti criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, il coinvolgimento del proprietario del terreno (a prescindere dagli aspetti della sua responsabilità per il riscontrato inquinamento e del sostentamento delle spese di messa in sicurezza e di bonifica del sito, attraverso gli istituti dell’onere reale e del privilegio speciale immobiliare sulle aree) è volto a responsabilizzare, per effetto della ‘posizione’ rivestita, il soggetto che ha un particolare legame, di tipo dominicale, con le aree, al fine di ottenere un’ulteriore posizione di garanzia (qualora il responsabile non provveda o non sia individuabile), a salvaguardia del preminente interesse, di rilievo costituzionale, alla salubrità dell’ambiente.
Infatti, il soggetto che subentri nella proprietà o nel possesso del sito contaminato, pur se non è responsabile della violazione, succede anche negli obblighi connessi all’onere reale di cui all’art. 17, comma 10, d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, ed è tenuto a sostenere i costi connessi agli interventi di bonifica, se intende evitare le conseguenze dei vincoli previsti dal successivo comma 11, secondo cui le spese sostenute per detti interventi, realizzati d’ufficio dal Comune o dalla Regione – qualora i responsabili non provvedano o non siano individuabili –, sono assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime, esercitabile anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull’immobile (v., su tale ultimo punto, Cass. civ., sez. I, 21 ottobre 2011, n. 21887).
L’imposizione dell’onere presuppone la previa diffida del responsabile dell’inquinamento ad adottare i necessari interventi di messa in sicurezza d’emergenza, con ordinanza da notificare anche al proprietario dell’area (v. art. 8, commi 2 e 3, d.m. 5 febbraio 1997, n. 22), e lo svolgimento della procedura amministrativa volta ad accertare la contaminazione del suolo e ad imporre l’adozione degli interventi necessari, onerando il proprietario del relativo costo.
Orbene, nel caso di specie, contrariamente a quanto sostenuto dall’odierna appellante, risultano sussistenti i presupposti per l’imposizione del vincolo, in quanto:
– il provvedimento sindacale di cui alla nota n. 898 del 19 febbraio 2002, indirizzato all’amministratore unico della s.r.l. Latermusto, responsabile dell’inquinamento quale affittuaria del compendio industriale de quo, contiene l’espressa diffida ad eseguire i lavori di messa in sicurezza entro il termine di 15 giorni, e richiama l’ivi allegata nota dell’A.S.L. di Frosinone, che impone “l’adozione di tutti quei provvedimenti ritenuti atti alla effettiva messa in sicurezza del sito in questione, così come previsto dal D.M. 25 ottobre 1999, n. 471”, in tale modo rendendo i destinatari dell’atto edotti delle finalità e degli effetti dell’intimata diffida;
– tale diffida risulta essere stata comunicata anche alla curatela fallimentare dell’impresa proprietaria F.lli Musto;
– l’emanazione dell’impugnato provvedimento impositivo del vincolo (n. 97 del 27 novembre 2002) risulta, altresì, preceduta dalla redazione della relazione del tecnico comunale del 29 ottobre 2002, nella quale il costo della bonifica delle aree in questione (contaminate dalle sostanze di cromo, arsenico, piombo e cadmio) viene stimato, in via indicativa, nell’ammontare di euro 1.295.000,00.
A fronte di tali risultanze istruttorie documentali, attestanti la legittimità del procedimento che ha condotto all’emanazione dell’impugnato provvedimento impositivo del vincolo, nessuna influenza sul presente giudizio può assumere la sentenza del Tribunale ordinario di Cassino n. 581 del 28 agosto 2007, con la quale, previo accertamento incidentale dell’illegittimità della qui impugnata deliberazione comunale (sul rilievo che il Comune non avrebbe fornito la prova di aver notificato la diffida in questione né al responsabile dell’abuso né alla curatela fallimentare), era stata respinta la domanda di annullamento dell’aggiudicazione dell’immobile e del successivo decreto di trasferimento per pretesa vendita di aluid pro alio ed asserito vizio del consenso della società acquirente, proposta dalla Tecno Beton s.r.l. nei confronti della curatela fallimentare, in contraddittorio con il Comune di San Vittore del Lazio, chiamato in causa.
Infatti, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, di cui prende atto questo Collegio, il potere di disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo da parte del giudice civile non può essere esercitato nei giudizi, in cui sia parte la pubblica amministrazione, ma unicamente nei giudizi tra privati e nei soli casi in cui l’atto illegittimo venga in rilievo, non già come fondamento del diritto dedotto in giudizio, bensì come mero antecedente logico, sicché la questione venga a prospettarsi come pregiudiziale in senso tecnico (v. sul punto, ex plurimis, Cass. civ., Sez. I, 13 settembre 2006, n. 19659), e la disapplicazione dell’atto stesso, ai sensi dell’art. 5 l. 2248/1865, all. E, ove ne sia ritenuta la non conformità a legge, esplica efficacia ai soli fini della decisione della controversia civile e con effetti limitati a tale processo, giacché la cognizione incidentale dell’atto amministrativo ad opera del giudice ordinario, competente a deciderne su questione di diritto soggettivo, esclude che le parti abbiano il potere di trasformare tale questione in ‘causa pregiudiziale’ (ai sensi dell’art. 34 cod. proc. civ.), da decidersi con effetti di giudicato dal giudice competente (v., su tali principi, Cass., sez. lav., 5 marzo 2003, n. 3252).
Pertanto, a prescindere dall’erronea ed incompleta interpretazione e qualificazione degli atti procedimentali a monte dell’impugnato provvedimento, contenuta nell’invocata sentenza civile, quest’ultima giammai è idonea ed esplicare efficacia di giudicato esterno nel presente giudizio, con conseguente infondatezza del correlativo profilo di censura.
D’altra parte, dalla storia della giustizia amministrativa (e come fu già rilevato nel corso dei lavori preparatori della legge del 1889, a proposito della attribuzione della giurisdizione di merito alla allora istituenda Sez. IV del Consiglio di Stato, per l’esecuzione dei giudicati dei tribunali), emerge che la disapplicazione di un atto da parte del giudice civile non determina di per sé la caducazione dei suoi effetti.
Da ultimo, si osserva, che la funzione di garanzia reale assolta dall’onere reale e dal privilegio speciale immobiliare in esame (a tutela del credito alla restituzione delle spese di bonifica) esclude l’illegittimità dell’imposizione del vincolo sull’intero complesso industriale, anziché sulla sola area contaminata atomisticamente considerata, attesa l’unitarietà funzionale dell’oggetto della garanzia, da rapportare all’entità delle preventivate spese di bonifica.
5.3. Privo di pregio è il motivo d’appello sub 2.b).
In primo luogo, come correttamente rilevato nell’appellata sentenza, l’omessa comunicazione, alla società ricorrente, dell’avviso di avvio del procedimento diretto all’imposizione dell’onere reale è giustificata dall’incontestata anteriorità dell’imposizione del vincolo alla procedura d’asta (nella quale, peraltro, si è già tenuto conto, in sede di redazione della consulenza tecnica d’ufficio disposta dal giudice fallimentare, dell’assoggettamento di un’area contaminata di ca. 15.000 mq a sequestro penale).
La società neppure può fondatamente dolersi della mancata comunicazione ad altri soggetti, ostandovi l’art. 8, comma 4, della legge n. 241 del 1990.
In secondo luogo, la sopra rilevata ritualità della diffida al responsabile dell’inquinamento e della relativa comunicazione alla curatela fallimentare escludono la violazione dei dedotti vizi procedimentali, tenuto conto della specialità del procedimento in esame.
5.4. In parte inammissibile e in parte infondato è il motivo d’appello sub 2.c), avendo l’odierna appellante nel ricorso introduttivo di primo grado dedotto l’incompetenza della Giunta municipale esclusivamente in rapporto all’asserita competenza del Consiglio comunale, senza affermare la competenza dirigenziale, con conseguente violazione in parte qua del divieto dello ius novorum in appello, mentre, quanto ai rapporti tra organo esecutivo e organo consiliare del Comune, deve affermarsi la competenza del primo ad adottare il provvedimento di imposizione del vincolo, trattandosi di atto gestionale riservato all’organo esecutivo.
5.5. Esulano, invece, dall’ambito oggettivo della presente giudizio le vicende, amministrative e processuali, successive all’impugnato provvedimento impositivo del vincolo n. 97 del 27 novembre 2002 ed ininfluenti sul presente giudizio, avente ad oggetto esclusivo l’impugnazione di tale provvedimento.
6. Per le ragioni che precedono, l’appello in esame va respinto.
Tenuto conto di ogni circostanza connotante la presente controversia, si ravvisano i presupposti di legge per dichiarare le spese del presente grado di giudizio interamente compensate tra tutte le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (ricorso n. 3454 del 2010), lo respinge e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza; dichiara le spese del presente grado di giudizio interamente compensate tra tutte le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2013

Redazione