Competenza del consiglio comunale (Cons. Stato, n. 5627/2013)

Redazione 26/11/13
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SENTENZA

sul ricorso in appello n. 8903 del 2010, proposto da
Cammelli s.n.c. e ****************, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, nonchè **********************, ****************, ***************** e ***************************, rappresentate e difese dagli avv.ti ****************** e **************, ed elettivamente domiciliate, unitamente ai difensori, presso ************ in Roma, via Laura Mantegazza n. 24, come da mandato a margine del ricorso introduttivo;

contro

Comune di Pistoia, in persona del sindaco legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. ******************, ed elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Roma, corso Vittorio Emanuele II n. 18, come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sezione prima, n. 1394 del giorno 11 maggio 2010;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Pistoia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 ottobre 2013 il Cons. ************** e uditi per le parti gli avvocati ************** e ******************;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso iscritto al n. 8903 del 2010, ******** s.n.c. e ****************, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, nonchè **********************, ****************, ***************** e *************************** propongono appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sezione prima, n. 1394 del giorno 11 maggio 2010 con la quale è stato dichiarato irricevibile il ricorso proposto contro il Comune di Pistoia per l’annullamento della deliberazione consiliare del comune di Pistoia n. 97 del 27.7.2007, non comunicata e successivamente conosciuta, di rigetto e di omessa approvazione definitiva del Piano di Recupero RU3 “Area ex industriale di Via Cammelli” presentato dalle parti ricorrenti in data 18.5.2006; ove occorra, della “Proposta di deliberazione del Consiglio Comunale” predisposta dal Dirigente del Servizio Urbanistica e Assetto del Territorio, prot. 30081 del 13.5.2009.
Dinanzi al giudice di prime cure, le parti ricorrenti impugnavano il provvedimento sopra indicato, con il quale era stata omessa la approvazione del piano di recupero RU3 del comune di Pistoia. In particolare lamentavano che, dopo una specifica conferenza di servizio, la proposta di delibera del consiglio comunale, già predisposta, era stata ridefinita autonomamente dal dirigente, senza contraddittorio alcuno e, sulla base delle relative integrazioni ed argomentazioni, era stata respinta dal Consiglio Comunale.
Nelle more, precisavano, il T.A.R. aveva accolto il ricorso avverso il silenzio, formulato dal ricorrente stesso, stante l’inerzia della amministrazione.
In diritto lamentavano l’erroneità dei presupposti, la carenza di istruttoria, il difetto di motivazione, la falsa violazione di legge sotto molteplici profili, l’elusione del giudicato, l’incompetenza, la contraddittorietà.
Costituitosi il Comune di Pistoia, il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva irricevibile il ricorso, sulla scorta della tardività della sua proposizione, come desunta dagli atti esibiti.
Contestando le statuizioni del primo giudice, le parti appellanti evidenziano l’errata ricostruzione in fatto ed in diritto operata dal giudice di prime cure, in relazione agli elementi di fatto su cui si è basata la pronuncia di tardività, riproponendo le proprie doglianze.
Nel giudizio di appello, si è costituito il Comune di Pistoia, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.
All’udienza del 30 novembre 2010, l’esame dell’istanza cautelare veniva rinviato al merito.
Alla pubblica udienza del giorno 8 ottobre 2013, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.

DIRITTO

1. – L’appello non è fondato e va respinto, sebbene la sentenza del T.A.R. debba essere riformata in relazione ai motivi di rigetto.
2. – In via preliminare, la Sezione osserva come sia del tutto erronea la pronuncia del primo giudice in relazione all’irricevibilità del ricorso proposto, come correttamente evidenziato dalle parti appellanti nei motivi primo (con cui si lamenta violazione di legge: art. 2699 e 2700 cod. civ. con riferimento agli artt. 221 e segg. c.p.c.; eccesso di potere: erroneità ed inesistenza dei presupposti; difetto di istruttoria e di motivazione) e secondo (con cui ci si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 21 l. 1034/1971; eccesso di potere: erroneità dei presupposti; carenza di istruttoria; difetto di motivazione), che possono essere qui esaminati congiuntamente.
La sentenza gravata ha ritenuto irricevibile il ricorso per tardività sulla base all’affermazione dell’amministrazione della conoscenza della delibera gravata per intervenuto accesso, in data 27 luglio 2009, e comunque per intervenuta pubblicazione della stessa sull’albo pretorio, a partire dal 30 luglio 2009, e in ogni caso per aver partecipato a una serie di incontri con i funzionari della stessa amministrazione, fatto questo documentato con atto fidefaciente reso dalla stessa amministrazione con il “provvedimento di diniego”.
Nessuna di tali argomentazioni può essere condivisa.
In merito all’intervenuto accesso, occorre evidenziare come agli atti emerga unicamente una istanza per conseguire copia della deliberazione gravata, presentata in data 29 ottobre 2009 (e quindi nei termini rispetto al ricorso successivamente notificato in data 10 dicembre 2009), e non quindi alla data indicata dal T.A.R. (peraltro, in data 30 ottobre 2009, il Comune rilasciava la copia richiesta).
In relazione all’intervenuta pubblicazione sull’albo pretorio, va evidenziato come la vicenda riguardi non un provvedimento di carattere generale, ma il diniego di approvazione di un piano proposto dalle parti interessati. Pertanto, la disciplina applicabile in concreto non è quella valevole per gli atti amministrativi coinvolgenti la generalità dei soggetti, ma quella degli atti a efficacia individuale, dove si applica il principio per cui chi eccepisce la tardività del ricorso deve dare rigorosa dimostrazione del fatto che il ricorrente ha conosciuto l’atto impugnato in un momento anteriore di almeno sessanta giorni rispetto alla notificazione del ricorso stesso (Consiglio di Stato , sez. VI, 23 giugno 2008, n. 3150), mentre nel caso in specie gli elementi a sostegno sono meramente presuntivi e dati da meri articoli giornalistici.
Infine, in relazione alla fidefacienza degli atti amministrativi esibiti, va notato come questi si sostanzino in una relazione resa dal dirigente del servizio urbanistico e assetto del territorio in data 8 gennaio 2010. Essa, pertanto, da un lato appare funzionale alle esigenze difensive del Comune, in vista della prossima udienza al T.A.R. fissata in data 13 gennaio 2010; dall’altro, non assume i caratteri dell’atto valevole fino a querela di falso, sia per la sua funzione, non di documentazione ma di prova, ma per l’assenza di contestualità tra fatti riscontrati e loro registrazione.
Conclusivamente, la pronuncia processuale del T.A.R. risulta assolutamente non condivisibile e, sotto tale profilo, da riformare.
3. – Il superamento della fase rescindente impone a questa Sezione di esaminare ancora, prima delle questioni di merito rimaste inesplorate davanti al T.A.R., le due eccezioni preliminari proposte del Comune. Afferma infatti il Comune di Pistoia che l’appello sarebbe divenuto improcedibile, attesa la sopravvenuta approvazione del Regolamento urbanistico, in data 10 marzo 2010, e quindi di uno strumento programmatorio che impedirebbe la realizzazione del piano proposto dalle parti. Per altro verso, evidenzia l’inammissibilità del ricorso in primo grado, atteso che le parti non avrebbero sottoposto a censura le ragioni di merito che fondavano il rigetto dell’approvazione.
3.1. – Entrambe le eccezioni non possono essere accolte.
In relazione al primo profilo, occorre ricordare come sia compito del giudice amministrativo procedere allo scrutinio delle ragioni di merito, anche nei casi di pronuncia di mero stampo processuale, quando l’illegittimità dell’atto impugnato possa essere posta alla base di una richiesta risarcitoria (come ora prevede l’art. 34 comma 3 del codice del processo amministrativo che dispone “. Quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”)
In relazione al secondo profilo, va osservato come le questioni di merito siano state invece esaminate nelle censure proposte, atteso che il sesto motivo di appello attiene proprio le ragioni sulle quali è stato fondato il rigetto della proposta.
4. – Superate le questioni preliminari, possono essere ora scrutinate le ragioni di merito, mai valutate in prime cure.
Con il terzo motivo di diritto, viene dedotto eccesso di potere per violazione dei presupposti, carenza di istruttoria, difetto di motivazione e incompetenza; nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 14 ter della legge n. 241 del 1990 con riferimento agli art. 7 e 21 quinquies della stessa legge e omessa comunicazione dell’avvio del procedimento. In concreto, gli appellanti lamentano che non potevano essere riaperti o revocati gli assensi già acquisiti in conferenza di servizi e quindi il Consiglio comunale non avrebbe potuto discostarsi dagli esiti di tale fase procedimentale.
La doglianza può peraltro essere esaminata unitamente al quinto motivo, dove si lamenta violazione a falsa applicazione degli art. 28 e 30 della legge n. 457 del 1978 sull’edilizia residenziale, con riferimento alla legge regionale Toscana n. 1 del 2005, nonché eccesso di potere per erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, incompetenza. Qui la censura mira a censurare il comportamento del Consiglio comunale, che avrebbe dovuto unicamente limitarsi ad approvare il piano, senza poter esaminare i profili tecnici.
4.1. – Gli assunti sono entrambi infondati.
Occorre rammentare come la competenza sulla pianificazione urbanistica sia di esclusiva competenza del Consiglio comunale, anche quando è chiamato a deliberare su una proposta del competente dirigente e anche se questa è stata istruita tramite conferenza di servizio. Infatti, se tale modulo procedimentale ha sicuramente valenza ostativa nel caso in cui la conclusione non sia stata favorevole al proponente (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 19 ottobre 2007, n. 5471; id., 14 aprile 2006, n. 2170), non ha invece alcuna forza cogente e predecisionale rispetto alle statuizioni del Consiglio comunale. È solo a questi, infatti, che l’art. 42, comma 2, lett. b) del D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 riconnette le attribuzioni in merito all’adozione di:
“programmi, relazioni previsionali e programmatiche, piani finanziari, programmi triennali e elenco annuale dei lavori pubblici, bilanci annuali e pluriennali e relative variazioni, rendiconto, piani territoriali ed urbanistici, programmi annuali e pluriennali per la loro attuazione, eventuali deroghe ad essi, pareri da rendere per dette materie”.
Deve quindi ribadirsi come, stante le competenza in ordine ai “piani territoriali ed urbanistici”, sia la legge stessa ad attribuire al solo al Consiglio comunale l’adozione di tali strumenti, sia generali che attuativi (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. VI, 20 gennaio 2003 n. 300), circostanza questa che rende infondata la censura proposta.
5. – Con il quarto motivo di diritto, viene dedotta la violazione del giudicato formatosi in relazione sulla sentenza del T.A.R. n. 1028 del 2006, con cui era stato accolto il ricorso avverso il silenzio dell’amministrazione in relazione all’approvazione del progetto presentato.
5.1. – La censura non ha pregio.
La sentenza de qua imponeva unicamente “al Comune di Pistoia di concludere il procedimento in oggetto entro il termine massimo di 120 giorni”, mentre non dettava, né poteva dettare, alcun obbligo in merito all’esito del procedimento.
La questione proposta è quindi infondata in diritto e in fatto.
6. – Con il sesto motivo di diritto, viene lamentato eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto di motivazione, contraddittorietà e illogicità manifesta. In concreto, si evidenzia come dal provvedimento emerga un quadro di assoluta indeterminatezza e incertezza sulle argomentazioni assunte a sostegno del diniego, e ciò specialmente in rapporto al ritenuto errato calcolo degli standard urbanistici (dove invece le parti appellanti assumono che questi fossero stati invece effettivamente rispettati), e sulla questione del ritenuto mancato raggiungimento dell’obiettivo previsto dal piano regolatore per eccessiva valorizzazione della funzione residenziale (dove parimenti le appellanti affermano di aver rispettato i criteri imposti dalla normativa urbanistica).
6.1. – La doglianza non può essere condivisa.
Osserva la Sezione come il tema del calcolo degli standard, dove la disciplina principale si rinviene ancora del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, si fondi su un rapporto tra dotazione minima, nelle sue diverse accezioni, e singolo abitante, insediato o da insediare.
Appare quindi corretta la scelta del Comune di valutare il rispetto del criterio tramite la previa determinazione del numero di abitanti destinati a fruire di tali standard, usando il criterio dell’ “abitante equivalente”, che è in fondo un rapporto di relazione, ottenuto dividendo la superficie utile residenziale ammissibile nel comparto per un coefficiente di 25 e la superficie utile ammissibile non residenziale per un coefficiente di 30 (ossia il primo aumentato di cinque).
Emerge invece che, nella relazione allegata alla proposta di variante, il criterio utilizzato sia stato quello più favorevole dell’ “abitante reale”, ossia quello in base al numero di quelli che sono insediati o si andranno ad insediare nelle varie zone di PRG, complessivamente minore e quindi idoneo a fare surrettiziamente apparire rispettato il parametro che, invece e correttamente, il Comune ha ritenuto non osservato.
Emerge quindi l’infondatezza della doglianza.
In merito alla seconda questione, occorre evidenziare come l’intervento, finalizzato alla realizzazione di un intervento residenziale pari a circa sessanta alloggi, si pone in evidente contrasto con l’obiettivo posto dalla scheda norma del PRG, che mira a “perseguire il rafforzamento della struttura urbana mediante nuove dotazioni di servizi e attrezzature, nonché l’inserimento di funzioni commerciali ed attività artigianali di piccole dimensione”. Di tali funzionalità emerge invece la carenza, mentre appare preponderante, se non esclusiva, la funzione residenziale, come correttamente notato dal Comune.
Anche tale profilo di censura non appare quindi condivisibile.
7. – L’appello va quindi respinto. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Sussistono peraltro motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali, determinati dalle oggettive difficoltà di accertamenti in fatto, idonee a incidere sulla esatta conoscibilità a priori delle rispettive ragioni delle parti (così da ultimo, Cassazione civile, sez. un., 30 luglio 2008 n. 20598).

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:
1. Respinge con diversa motivazione l’appello n. 8903 del 2010;
2. Compensa integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 8 ottobre 2013

Redazione