Compenso per incarichi peritali collegiali (Cass. n. 20640/2013)

Redazione 09/09/13
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Fatto e diritto

Ritenuto che S..C. e D..G. , con atto depositato nella cancelleria del giudice a quo, hanno proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza in data 9 novembre 2009 con cui il Tribunale penale di Messina, giudicando in sede di rinvio, in parziale accoglimento dell’opposizione proposta ai sensi dell’art. 170 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), ha liquidato in Euro 47.966,16 ciascuno gli onorari per l’attività peritale da costoro espletata nell’ambito di un procedimento di prevenzione;
che, con ordinanza interlocutoria 8 giugno 2011, n. 12515, questa Corte – ritenendo di dover dare protezione alle aspettative della parte che ha confezionato il ricorso per cassazione confidando sulle regole processuali suggerite da un costante orientamento giurisprudenziale, poi superato da un revirement (Cass., Sez. Un., 3 settembre 2009, n. 19161) – ha assegnato alla parte ricorrente il termine perentorio di giorni sessanta dalla comunicazione del provvedimento di rimessioni in termini per proporre e notificare ricorso per cassazione secondo le forme del codice di procedura civile nonché il termine perentorio di giorni venti dalla notificazione per il deposito del ricorso nella cancelleria della Corte;
che, in esito alla disposta notifica, si è costituito, con controricorso, il Ministero dell’economia e delle finanze, mentre gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede;
che in prossimità dell’udienza i ricorrenti hanno depositato una memoria illustrativa.
Considerato che il controricorrente Ministero dell’economia e delle finanze ha eccepito, preliminarmente, che il ricorso è stato notificato ad essa Amministrazione, del tutto estranea alla questione, mentre non lo è stato alla diversa parte legittimata passivamente, il Ministero della giustizia, sul cui apposito bilancio afferiscono le spese della effettuata perizia, né all’Agenzia delle entrate;
che l’eccezione non può essere accolta;
che è bensì vero che questa Corte, a Sezioni Unite, ha stabilito (sentenza 29 maggio 2012, n. 8516) che nei procedimenti di liquidazione inerenti a giudizi civili e penali suscettibili di restare a carico dell’erario, quest’ultimo, identificato nel Ministero della giustizia, è parte necessaria, e che l’applicazione del suddetto principio dovrebbe portare a dichiarare la carenza di legittimazione passiva del Ministero dell’economia e delle finanze, ed a cassare il provvedimento impugnato, in quanto emesso in assenza di contraddittorio con la parte necessaria, appunto il Ministero della giustizia;
che, tuttavia, la scansione procedimentale verificatasi nella specie impedisce di applicare il suddetto principio;
che, invero, occorre premettere che avverso il decreto di liquidazione degli onorari pronunciato in data 11 marzo 2003 dal Tribunale di Messina in sede penale in favore dell’arch. G.D. e dei Dott. S..C. , Gi.Gi. e F..M. è stata proposta opposizione dall’arch. G. e dal ******** e la relativa ordinanza del Tribunale penale di Messina, emessa in data 14 novembre 2005, è stata annullata con rinvio dalla IV Sezione penale di questa Corte con sentenza n. 48258 del 29 dicembre 2008;
che proprio nella sede del giudizio di legittimità l’Avvocatura dello Stato, costituitasi per il Ministero dell’economia e delle finanze cui era stato notificato il ricorso, ha eccepito la propria carenza di legittimazione passiva, sul rilievo che questa spettava al Ministero della giustizia;
che la IV Sezione penale di questa Corte, con la citata sentenza, ha respinto l’eccezione, affermando che il Ministero dell’economia e delle finanze è “parte pubblica legittimata a resistere alla domanda di liquidazione dei compensi de quibus a mezzo dell’Avvocatura dello Stato sede di Roma, che rappresenta e difende ex lege il Ministero competente”;
che, pertanto, in questa sede, promossa una nuova impugnazione per cassazione avverso l’ordinanza pronunciata in sede di rinvio a seguito dell’annullamento disposto dalla Sezione penale di questa Corte, non è più possibile mettere in discussione né la legittimazione del Ministero evocato né l’integrità del contraddittorio, trattandosi di questioni ormai precluse (Cass., Sez. III, 7 gennaio 1980, n. 96; Cass., Sez. Lav., 3 luglio 1981, n. 4323; Cass., Sez. II, 21 aprile 1994, n. 3795; Cass., Sez. II, 11 febbraio 2000, n. 1536; Cass., Sez. Lav., 18 gennaio 2011, n. 1075);
che, passando allo scrutinio del merito del ricorso, con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 384, 392 e 394 cod. proc. civ., in relazione alla mancata applicazione dell’art. 6 della legge n. 319 del 1980 e dell’art. 53 del d.P.R. n. 115 del 2002 sull’importo globale degli onorari già liquidati dal Tribunale di Messina con il decreto dell’11 marzo 2003, sostenendosi che il giudice del rinvio avrebbe finito con il mantenere in vita una ripartizione diversificata degli onorari all’interno di un incarico collegiale, laddove il solo compito ad esso demandato “era quello di applicare il principio della collegialità dell’incarico e quindi di operare l’aumento previsto dall’art. 6 della legge n. 319 del 1980 sulle somme già liquidate al collegio dei periti per tutta la loro attività svolta”, essendogli preclusa “qualsiasi attività di rideterminazione dei compensi già liquidati”;
che con il secondo mezzo (violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.) ci si duole che il giudice del rinvio abbia attuato “un nuovo ed illegittimo calcolo dei compensi spettanti al collegio peritale entrando nel merito dell’attività espletata dagli stessi ricorrenti all’interno del collegio dei periti”, applicando “l’aumento del 40% su un importo complessivamente inferiore rispetto a quello già liquidato e riconosciuto come valido dal Tribunale di Messina in sede di liquidazione”;
che il terzo motivo lamenta la violazione del divieto di reformatio in peius;
che i tre motivi – i quali, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati;
che occorre premettere che, nel procedere alla liquidazione dei compensi dovuti ai consulenti per la perizia collegiale estimativa disposta nell’ambito di un procedimento di prevenzione, il Tribunale penale di Messina, con il decreto 11 marzo 2003, rilevò che il mandato era stato espletato per parti specifiche da ciascun perito singolarmente, in ragione della specifica e separata competenza professionale di ciascuno (contabile, fiscale e bancaria), per cui liquidò al Dott. C. la somma di Euro 11.203,09, all’arch. G. la somma di Euro 14.770,56, al Dott. Gi. l’importo di Euro 135.752,75 e al ******** la somma di Euro 154.565,22;
che l’impianto di questo provvedimento è stato sostanzialmente confermato dal Tribunale penale di Messina con l’ordinanza in data 15 novembre 2005, con cui sono state riconosciute, in aggiunta, al Dott. C. la somma di Euro 91,65 a titolo di spese documentate per fotocopie e all’arch. G. , sempre a titolo di spese, la somma di Euro 491,95;
che questa ordinanza è stata annullata dalla più volte citata sentenza n. 48258 del 2008 di questa Corte, la quale: (a) ha rilevato che poiché nel caso di nomina di più periti, la collegialità dell’incarico costituisce la regola, e va pertanto ravvisata a meno che nel testo del medesimo non siano contenute indicazioni espresse in senso contrario, a prescindere dal fatto che essa risulti da una esplicita enunciazione nel provvedimento con il quale viene conferito l’incarico, a maggior ragione “non è dato dubitare di tale collegialità quando (come nel caso qui in esame) non soltanto siano assenti, nell’atto di conferimento, indicazioni di segno opposto, ma addirittura la natura collegiale della disposta perizia venga nell’atto medesimo affermata”; (b) ha sottolineato che è errato considerare che una perizia collegiale sarebbe configurabile unicamente nei casi in cui sia formulato a più periti un unico quesito concernente un’unica specifica materia di competenza di tutti costoro, non essendolo, invece, nel caso di “incarico collegiale complesso” (conferito, pertanto, ad esperti appartenenti a diversi ordini professionali e dotati perciò di competenze settoriali diversificate); (c) ha riconosciuto che nella specie è applicabile l’aumento nella misura del 40% di cui all’art. 6 della legge n. 319 del 1980 (ora art. 53 del d.P.R. n. 115 del 2002) del compenso riconoscibile nel caso di perizia collegiale;
che, tanto premesso, occorre rilevare che la censura articolata dai ricorrenti muove dall’assunto secondo cui il giudice del rinvio avrebbe dovuto applicare l’aumento del 40% per ognuno dei componenti il collegio peritale escluso il primo (pari quindi nel caso in esame al 120%) sul totale dell’importo globalmente già liquidato dal Tribunale con decreto del 11 marzo 2003, pari ad Euro 316.219,63, e su detta somma ottenuta (Euro 695.841,56) effettuare una divisione per quattro per calcolare l’importo spettante a ciascuno dei ricorrenti;
che tale assunto è erroneo;
che questa Corte, con la richiamata sentenza rescindente, ha affermato che l’incarico peritale conferito dal Tribunale ha natura unitaria, indipendentemente dalle diverse competenze che erano state individuate come necessaria a espletarlo, e che pertanto è illegittima la liquidazione separata dei compensi a ciascuno dei componenti del collegio; laddove, se si procedesse alla somma degli onorari liquidati con il decreto del’11 marzo 2003 (applicandosi poi sul risultato l’aumento del 40% per ciascuno dei tre componenti ulteriori rispetto al primo) e alla divisione per quattro del relativo risultato, si continuerebbe a mantenere ferma, contro il dictum di questa Corte di legittimità, la scissione dell’unica perizia collegiale in plurime perizie singole; che, invece, poiché l’incarico in questione va considerato come unitario ed attribuito collegialmente a quattro periti, i quali, ciascuno secondo la rispettiva competenza, hanno concorso ad elaborare la consistenza e il valore del patrimonio del proposto e dei suoi familiari, correttamente il Tribunale di Messina, con l’ordinanza emessa in sede di rinvio, ha liquidato l’importo base (su cui poi calcolare la maggiorazione del 40% per ciascuno degli altri tre componenti del collegio) avendo riguardo al valore dei beni e delle altre utilità oggetto dell’accertamento determinato sulla base di elementi obiettivi risultanti dagli atti del processo, ed ha, a tal fine, avuto riguardo all’onorario riferito all’aspetto contabile, considerato – con logico e motivato apprezzamento – quello caratterizzante l’attività svolta dal collegio peritale;
che è da escludere che, cosi decidendo, si sia avuta una riduzione del compenso liquidato in favore degli odierni ricorrenti, essendo questa censura smentita per tabulas dal confronto tra il primo decreto di liquidazione, dove ad essi era stato riconosciuto l’importo, rispettivamente, di Euro 11.203,09 e di Euro 14.770,56, e l’ordinanza qui impugnata, che invece attribuisce a ciascuno la somma di Euro 47.966,16, che, evidentemente, è tale per effetto dell’applicazione non solo della maggiorazione del 40%, ma anche di (più favorevoli) criteri di liquidazione ancorati, già nell’individuazione dell’importo base, alla natura collegiale dell’attività peritale svolta;
che il quarto motivo lamenta il vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa l’ordinanza impugnata per il mancato riconoscimento del totale degli onorari di cui al punto “G” del decreto di liquidazione dell’11 marzo 2003 in materia contabile;
che la censura è fondata;
che il Tribunale, infatti, dopo avere, correttamente, rilevato che l’onorario da prendere in considerazione non può che essere quello che, nel decreto di liquidazione dell’11 marzo 2003, è riferito all’aspetto puramente contabile, ha omesso poi di spiegare, perché, mentre ha riconosciuto per intero la liquidazione relativamente al punto “A” del suddetto decreto, ha ripreso solo in parte la liquidazione di cui al punto “G” del medesimo decreto, a fronte del totale complessivo già riconosciuto per questa voce, pari a lire 265.853.984;
che per effetto dell’accoglimento del quarto mezzo resta assorbito l’esame del quinto motivo, con cui ci si duole della mancata applicazione degli interessi e della rivalutazione monetaria sugli importi spettanti ai ricorrenti;
che il ricorso è accolto limitatamente al quarto motivo, sotto il profilo del vizio di motivazione;
che, cassata l’ordinanza impugnata in relazione alla censura accolta, la causa va, pertanto, rinviata al Tribunale di Messina, che la deciderà in persona di diverso magistrato;
che il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi tre motivi di ricorso, accoglie il quarto e dichiara assorbito il quinto; cassa l’ordinanza impugnata limitatamente alla censura accolta e rinvia, la causa, anche per le spese, al Tribunale di Messina, in persona di diverso magistrato.

Redazione