Compatibilità tra carica di amministratore e qualifica di lavoratore subordinato (Cass. n. 18414/2013)

Redazione 01/08/13
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Svolgimento del processo

Con sentenza n. 370/2010 del 7 aprile 2010 la Corte di appello, giudice del lavoro, di Firenze, confermava la decisione del Tribunale di Grosseto con la quale era stata rigettata la domanda avanzata da **** nei confronti della Falesia Società *************** e diretta a far accertare: a) che il ricorrente aveva ricevuto mandato nell’anno 1989 dai futuri soci della convenuta a costituire una società che si occupasse di acquicoltura e che aveva portato a compimento tale mandato giungendo alla costituzione della Falesia s.c.a.r.l. (domanda alla quale in corso di causa il P. aveva, poi, rinunciato); b) che, una volta costituita la società, aveva svolto per essa dal 10/8/1990 al 2/8/2003 attività di lavoro subordinato come dirigente di azienda agricola, riconducibili agli artt. 2, 3 e 7 dei c.c.n.l. per i dirigenti in agricoltura nel tempo applicabili con conseguente condanna della società al pagamento in suo favore delle differenze retributive quantificate in Euro 614.176,73. Riteneva la Corte territoriale che, pur non essendo in sè incompatibile lo svolgimento di un ruolo sociale (nella specie il ricorrente, nel periodo dal 1990 al 2003, era stato Presidente della cooperativa e del consiglio di amministrazione della stessa) con la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, non fossero emersi elementi deponenti nel senso dell’assoggettamento del P. alle vincolanti direttive datoriali espresse dagli organi sociali, tali non potendo considerarsi gli incarichi conferiti allo stesso (peraltro nella sua qualità di Presidente) dall’assemblea e che, al contrario, fosse risultato che, nel periodo dal 1990 al 1997, l’attività della quale il P. era stato incaricato (portare a compimento la realizzazione di un impianto di pescicoltura), ancorchè indispensabile, era stata necessariamente discontinua nel tempo richiedendo indispensabili passaggi amministrativi e comunque era stata portata avanti dal P. in virtù del rapporto di immedesimazione organica tra questi e la Falesia. Quanto al periodo successivo al 1997, la Corte fiorentina evidenziava che l’istruttoria svolta avesse dimostrato il ruolo centrate ed assolutamente predominate del P. nella gestione dell’attività di pescicoltura e quello assolutamente subalterno degli altri soci che faceva ritenere non venuta meno quella pregnante immedesimazione organica che aveva caratterizzato la fase precedente l’entrata in funzione dell’impianto, dovendo perciò escludersi la possibilità di configurare un coesistente rapporto di dipendenza gerarchica.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre P.B., affidandosi ad un unico motivo articolato in tre sottomotivi.

Resiste con controricorso la Falesia Società *************** (già Falesia S.c.a.r.l.).

Motivi della decisione

1. Con l’unico articolato motivo il ricorrente denuncia: “Violazione per omessa e falsa applicazione dell’art. 2095 cod. civ. nonchè degli artt. 2 e 7 del c.c.n.l. per i dirigenti del settore agricolo nonchè della L. n. 142 del 2001, art. 1 in relazione: -a) ai poteri di autonoma iniziativa e di ampia facoltà discrezionale riconosciuti nell’esercizio dell’attività lavorativa; – b) alla peculiarità della subordinazione del dirigente in questione nei confronti del datore alla luce della rilevanza strutturale che, in tale rapporto, ha l’elemento fiduciario; – c) alla rilevabilità di detta subordinazione da presupposti comportamentali e/o da documenti che ne riscontrano ed attestano la sussistenza”. Si duole il ricorrente della ritenuta non configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato dirigenziale nel settore agricolo e nell’ambito di una società cooperativa evidenziando che la Corte territoriale non ha adeguatamente considerato l’ampiezza dei poteri tipica del direttore (o dirigente) nè tenuto conto, ai fini della valutazione del vincolo di subordinazione, del ruolo autonomo di tale figura quale alter ego dell’imprenditore e, dunque, della non utilizzabilità degli ordinari criteri indicativi di tale vincolo, nè, infine, valutato gli esiti delle prove orali ed il contenuto della documentazione prodotta dal P. evidenzianti che questi aveva svolto -come direttore e non già come presidente della cooperativa – le attività per realizzare quegli obiettivi previsti dalla contrattazione collettiva (art. 7), entro il limite dell’indirizzo e dell’approvazione da parte degli organi sociali.

2. Il motivo è infondato.

Occorre preliminarmente rilevare che il ricorrente non censura il passaggio motivazionale con il quale la Corte territoriale, con riferimento al periodo 1990-1997, ha ritenuto, tra l’altro, condivisibili le argomentazioni del giudice di primo grado secondo il quale “dalle stesse allegazioni attorce – e dalle correlate richieste di prova – non è dato cogliere lo svolgimento da parte del ricorrente di una attività distinta da quella di gestione e direzione della società, con la quale egli appare, anche tenuto conto della documentazione in atti a sua firma, essersi totalmente identificato”.

Per il resto, si rileva innanzitutto che non sono specificati i criteri interpretativi del c.c.n.l. che risulterebbero violati nè viene indicato in che modo il ragionamento del Giudice del gravame si sarebbe discostato da tali criteri ed in quale specifico passaggio argomentativo la Corte territoriale avrebbe erroneamente ovvero falsamente applicato le sopra indicate norme di diritto, restando escluso che possa ritenersi ammissibile la censura consistente nella mera contrapposizione di un’interpretazione ritenuta più confacente alle aspettative della parte o più persuasiva di quella accolta nella sentenza impugnata così come la prospettazione di una diversa lettura degli atti del giudizio e la richiesta a questa Corte di legittimità di un non consentito accertamento fattuale sulle emergenze di causa (cfr., fra le tantissime, Cass. 3 luglio 2001, n. 8994; id. 28 aprile 2003, n. 6611; 3 agosto 2004, n. 14850; 23 agosto 2006, n. 18375).

Il ricorrente, peraltro, a fronte dei denunciati vizi di violazione di legge, in realtà lamenta una erronea valutazione degli atti di causa e delle risultanze istruttorie e, dunque, sostanzialmente carenze motivazionali senza che risulti espressamente formulata una censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

In ogni caso si osserva che la Corte territoriale si è attenuta ai principi di diritto che questa Corte ha fissato in materia.

Come è noto, infatti, per la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato fra colui che ha rivestito cariche sociali di una società di capitali (il P. risulta aver ricoperto il ruolo di Presidente dell’assemblea dei soci e di Presidente del consiglio di amministrazione della ****************, società cooperativa a responsabilità limitata, assimilabile, per quanto di interesse nel presente giudizio, ad una società di capitali) e la società stessa, è necessario che colui che intende far valere tale tipo di rapporto fornisca la prova della sussistenza del vincolo di subordinazione e cioè l’assoggettamento al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società nel suo complesso, nonostante le suddette cariche sociali (cfr. in tal senso Cass. 13 giugno 1996, n. 5418; id. 28 giugno 2004, n. 11978; 17 novembre 2004, n. 21759). E’ stato anche precisato che la qualità di amministratore (non unico) di una società di capitali è compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato della medesima ove sia accertata l’attribuzione di mansioni diverse dalle funzioni proprie della carica sociale rivestita (così Cass. 12 gennaio 2002, n. 329).

E’ stato, in particolare, sottolineato che condicio sine qua non risulta essere, l’individuazione di due distinti rapporti, carica sociale e posizione di lavoratore subordinato, per il cui riconoscimento, dovrà effettuarsi l’accertamento in concreto dello svolgimento di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale rivestita, tali da configurare due prestazioni ontologicamente differenti. Per il rapporto lavorativo subordinato occorre, inoltre, dimostrare l’esistenza del c.d. vincolo di subordinazione che, ex art. 2094 cod. civ., ne connota la fattispecie (“…perchè sia configurabile il rapporto di lavoro subordinato, è necessario che colui che intenda farlo valere … provi in modo certo il requisito della subordinazione, elemento tipico qualificante del rapporto, che deve consistere nel suo effettivo assoggettamento, nonostante egli rivesta la carica di amministratore, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società nel suo complesso” – così Cass. 24 maggio 2000, n. 6819-).

Coerentemente con detta impostazione, è stato, altresì, evidenziato che il rapporto organico che lega l’amministratore ad una società di capitali non esclude astrattamente la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato a contenuto dirigenziale tra il primo e la seconda. E’ necessario, peraltro, che la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro siano ricollegabili a una volontà della società distinta da quella del singolo amministratore e che colui che intende far valere il rapporto di lavoro subordinato provi in modo certo l’elemento tipico qualificante di esso, e cioè l’elemento della subordinazione, sia pure nelle forme peculiari compatibili con la natura dirigenziale delle mansioni esercitate. Di conseguenza non è configurabile un rapporto di lavoro subordinato quando l’amministratore della società sia unico e svolga da solo tutti i poteri di gestione, controllo, comando e disciplina (Cass. 22 dicembre 1983, n. 7562; id. 14 maggio 1991, n. 5358; 7 marzo 1996 n. 1793 e la recente 22 marzo 2013, n. 7312). Parimenti non è configurabile un rapporto di lavoro subordinato quando non sia provato il vincolo della subordinazione e, cioè l’assoggettamento della persona, sia pure membro del consiglio di amministrazione della società, al potere direttivo di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società nel suo complesso (Cass. 28 giugno 2004, n. 11978; id. 13 giugno 1996 n. 5418; 6 marzo 1987 n. 2386; 5 dicembre 1986, n. 7228; 11 ottobre 1984 n. 5097).

Dunque, con riguardo al rapporto di lavoro subordinato del dirigente che rivesta anche cariche sociali, è necessario accertare se il lavoro dallo stesso svolto risulti inquadrato all’interno di una specifica organizzazione aziendale ed assoggettato, anche in forma lieve o attenuata, alle direttive ed agli ordini nonchè ai controlli del datore di lavoro, purchè il lavoratore mantenga una effettiva autonomia decisionale. In tal caso la subordinazione potrà e dovrà altresì essere confermata dalla caratterizzazione delle mansioni (diverse dalle funzioni proprie della carica rivestita) allo stesso affidate – così Cass. 10 agosto 1999, n. 8574 -.

Anche nel caso del lavoro dirigenziale, come in genere per le prestazioni lavorative che abbiano particolari caratteristiche (per la loro natura creativa, intellettuale, professionale o, per l’appunto, dirigenziale) che non si prestino ad essere eseguite sotto la direzione del datore di lavoro o con una continuità regolare anche negli orari, il parametro distintivo della subordinazione deve essere necessariamente valutato o escluso mediante il ricorso a criteri ed. complementari o sussidiari, quali, ad esempio, la periodicità e predeterminazione della retribuzione, il coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo del datore di lavoro, l’assenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale e l’assenza di rischio in capo al lavoratore (v., tra le tante, Cass. 28 marzo 2003, n. 4770; id. 13 giugno 2003, n. 9492; 21 aprile 2005, n. 8307; 13 aprile 2012, n. 5886).

Peraltro l’accertamento, in concreto, dei suddetti elementi tipici così come quello della compatibilità dei diritti e doveri nascenti da un rapporto di lavoro subordinato con le funzioni di amministratore costituiscono un apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione immune da vizi logici (cfr. in tal senso la già citata Cass. 13 giugno 1996, n. 5418).

Tali essendo le premesse, nessuna delle censure del ricorrente appare giustificata avendo la Corte di merito fatto corretta applicazione degli indicati principi.

Così ha ritenuto, con accertamento di fatto incensurabile in questa sede di legittimità, che dalla lettura dei documenti depositati (ed in particolare dai verbali del consiglio di amministrazione e delle assemblee) e dalle espressioni in essi contenute non si ricavasse quel “rispondere dell’andamento dell’azienda al datore di lavoro o a chi per esso” di cui all’art. 2 del c.c.n.l. per i dirigenti del settore agricolo, norma alla quale il ricorrente fa specifico riferimento, non risultando in alcun modo l’esistenza di ordini, direttive trasmessi dai soci o dall’organo collegiale al Presidente del C.d.A. ed emergendo solo il conferimento di incarichi riconducigli alla carica di Presidente (significativa essendo, sul punto, la precisazione “oltretutto così accentratore e factotum come il P., come si evince dalla copiosa documentazione a sua firma, presente in atti”).

La Corte fiorentina ha, inoltre, evidenziato, puntualmente ricostruendo gli esiti della prova testimoniale, che quel ruolo di “piena immedesimazione organica” tra il “presidente-factotum” e la Falesia non era certo venuto meno nel periodo (successivo all’ottobre 1997) di entrata in funzione dell’impianto di pescicultura avendo il P. continuato a “gestire in maniera diretta e fortemente personalizzata” la cooperativa che “sentiva come una sua creatura”.

Peraltro la Corte territoriale ha significativamente posto in rilievo il fatto che da in nessuno dei capitoli di prova ed in nessun passaggio delle deposizioni testimoniali fosse dato cogliere la configurazione di un coesistente rapporto di dipendenza gerarchica del P. rispetto ai soci ed all’organo collegiale della cooperativa.

Il giudici di merito, dunque, hanno mostrato di avere ben rapportato alla realtà fattuale sottoposta al loro esame non solo i principi di diritto sopra enunciati ma anche le categorie individuate dall’art. 2095 cod. civ. ed i relativi tratti differenziali nonchè il contenuto della declaratoria contrattuale fissante specificamente le caratteristiche del dirigente del settore agricolo, caratteristiche, queste, da valutarsi, come correttamente effettuato, necessariamente in rapporto al pregnante ed incisivo ruolo sociale rivestito dal P..

Se è, infatti, indubbio che la qualifica di dirigente spetti al prestatore di lavoro che, come alter ego dell’imprenditore, sia preposto alla direzione dell’intera organizzazione aziendale o di una branca o settore autonomo di essa, e sia in concreto investito di attribuzioni che, per la loro ampiezza e per i poteri di iniziativa e di discrezionalità che comportano, gli consentano, sia pure nell’osservanza delle direttive programmatiche del datore di lavoro, di imprimere un indirizzo e un orientamento, con le corrispondenti responsabilità a elevato livello, al governo complessivo dell’azienda e alla scelta dei mezzi produttivi di essa (cfr. in tal senso Cass. 2 settembre 2003, n. 13191), laddove, come nella specie, non sussista alcuna formalizzazione di un contratto di lavoro subordinato di dirigente e risulti l’esercizio diretto (ed anzi predominate e fortemente personalizzato) della gestione della società in ragione del rapporto di immedesimazione organica, è evidentemente necessario, al fine di distinguere i due ruoli, un quid pluris (leggasi: caratterizzazione delle mansioni, pur in un contesto di ampi poteri di iniziativa e di discrezionalità; assoggettamento, ancorchè in forma attenuata, a direttive, ordini e controlli datoriali; coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo del datore di lavoro) che la Corte territoriale ha, in concreto e con un accertamento di fatto in questa sede non censurabile, escluso.

3. Sulla base delle esposte considerazioni, nelle quali tutte le altre eccezioni o obiezioni devono considerarsi assorbite, in conclusione, il ricorso va rigettato.

4. Per il criterio legale della soccombenza il ricorrente va condannato al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese processuali, liquidate come in dispositivo tenendo conto del nuovo sistema di liquidazione dei compensi agli avvocati di cui al D.M. 20 luglio 2012, n. 140 (che, all’art. 41 stabilisce che le disposizioni regolamentari introdotte si applicano alle liquidazioni successive all’entrata in vigore del Decreto stesso, avvenuta il 23 agosto 2012) ed avuto riguardo allo scaglione di riferimento della causa; considerati i parametri generali indicati nell’art. 4 del D.M. e delle tre fasi previste per il giudizio di cassazione (fase di studio, fase introduttiva e fase decisoria) nella allegata Tabella A.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 50,00 per esborsi ed Euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 26 aprile 2013.

Redazione