Commette reato di infedele patrocinio il legale che consiglia al proprio assistito la fraudolenta dichiarazione (Cass. pen. n. 6703/2012)

Redazione 20/02/12
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Svolgimento del processo

1. – Con la decisione in epigrafe indicata la Corte d’appello di Trento, sull’impugnazione del pubblico ministero, ha riformato, in parte, la sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale di Trento in data 22 dicembre 2008, e ha dichiarato Z.M. responsabile del reato di cui all’art. 380 c.p., comma 3, limitatamente alla contestazione sub b) del capo A) dell’imputazione, condannandolo ad un anno di reclusione ed Euro 516,00 di multa, con sospensione della pena e non menzione, nonchè al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile; inoltre, ha assolto l’imputato dalle restanti contestazioni relative al medesimo reato perchè i fatti non sussistono; ha, infine, confermato nel resto le assoluzioni di cui alla prima sentenza.

L’unico episodio di infedele patrocinio per il quale l’imputato è stato ritenuto colpevole riguarda, nella ricostruzione della sentenza d’appello, la condotta dello Z. che, quale difensore di fiducia di N.R., all’epoca imputato dei reati di bancarotta fraudolenta e frode fiscale, avrebbe consigliato al proprio cliente di presentare una dichiarazioni IVA non veritiera, relativa all’anno 2004, in questo modo istigandolo a commettere il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, condotta che configura per l’avvocato la violazione del dovere di correttezza di cui all’art. 36 del Codice Deontologico Forense e che nella specie ha cagionato un danno al cliente, integrando così la fattispecie di cui all’art. 380 c.p..

2. – Nell’interesse dell’imputato l’avvocato ************** ha presentato ricorso per cassazione.

Con il primo motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione, assumendo che i giudici di secondo grado abbiano sostanzialmente travisato il contenuto di alcune dichiarazioni presenti in atti, utilizzate a dimostrazione del consiglio illecito che Z. avrebbe dato al proprio cliente.

In particolare, si evidenzia la contraddittorietà della sentenza là dove richiama la dichiarazione resa dal commercialista R. per sostenere che l’imputato avrebbe impedito al N. di avvalersi dei consigli del suo commercialista: da tale dichiarazione, secondo il ricorrente, non emergerebbe nulla di tutto ciò, avendo il teste riferito solo di una “mancanza di rapporti” con l’avvocato Z.. Si rileva come anche dalle dichiarazioni imprecise e contraddittorie del N. non emerga la prova del consiglio illecito che l’avvocato Z. avrebbe suggerito al suo cliente. D’altra parte, si sottolinea come l’imputato abbia sempre negato di avere consigliatoci cliente di sottoscrivere la dichiarazione IVA. Sotto un altro profilo, il ricorrente denuncia la intrinseca contraddittorietà della motivazione che, mentre riconosce l’assoluta inattendibilità della parte civile in relazione ad una serie di episodi e circostanze, gli attribuisce credibilità con riferimento all’unico episodio del “consiglio illegale”, senza dare conto di tale evidente discrasia; analogo vizio motivazionale viene indicato in relazione a quella parte della sentenza in cui si riconosce la piena capacità, anche economica, di N. di poter adeguatamente e liberamente valutare e apprezzare il senso di una strategia difensiva, ad esempio contattando altri professionisti.

Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata per avere omesso ogni motivazione in ordine alla consapevolezza dell’imputato circa la falsità della dichiarazione IVA di cui avrebbe consigliato la sottoscrizione.

Inoltre, si assume che la sentenza, nel valutare la sola violazione formale del dovere professionale di cui all’art. 36 del Codice Deontologico Forense, non abbia correttamente interpretato l’art. 380 c.p.) che pretende comunque la lesione dell’interesse della parte assistita, la quale deve ricevere un nocumento dalla condotta del difensore. Peraltro, la sentenza non ha considerato che la condotta del patrocinatore è stata sempre condivisa pienamente dal cliente.

2.1. – In data 17 ottobre 2011 il ricorrente ha depositato motivi nuovi, in cui oltre a ribadire il contenuto del ricorso, ha dedotto l’erronea applicazione del giudizio di comparazione tra circostanze e il connesso vizio di motivazione; inoltre, ha denunciato la sentenza per omessa motivazione in ordine ai beni oggetto di sequestro (personal computers, notebooks e telefoni cellulari).

 

Motivi della decisione

3. – Le due sentenze di merito concordano sullo svolgimento dei fatti, anche se divergono sulla rilevanza da attribuire al “consiglio” professionale dato dall’imputato al cliente. Infatti, il consiglio di Z. fu nel senso di presentare la dichiarazione IVA per ***** 2004, continuando ad utilizzare fatture per operazioni inesistenti, per non rendere evidente l’infedeltà delle dichiarazioni precedenti e così evitare una sorta di “confessione” indiretta. A sostegno di tale tesi vengono indicate le dichiarazioni del commercialista R., le dichiarazioni di N. e quelle rese dallo stesso imputato. In particolare, è risultato che la dichiarazione IVA del 2004 venne inviata dal commercialista a N., mentre si trovava ristretto in carcere, e che successivamente venne approvata la spedizione informatica; inoltre, la persona offesa riferisce che su queste scelte influì il consiglio dell’imputato.

Rispetto a questa ricostruzione la difesa dell’imputato, con il primo motivo, tenta di offrire una diversa ricostruzione dei fatti e, per smontare la tesi accusatoria, assume il travisamento del contenuto di alcune dichiarazioni, tra cui quelle di R., di N. e dello stesso imputato. In particolare, si sostiene che il commercialista non avrebbe mai riferito di una decisione di Z. di impedire a N. di avvalersi dei suoi consigli, ma avrebbe fatto riferimento semmai ad ima “mancanza di rapporti” con lo stesso Z.; d’altra parte, si evidenziano le contraddizioni delle dichiarazioni di N.; infine, si sottolinea che Z. non avrebbe mai affermato di avere consigliato a N. di sottoscrivere la dichiarazione IVA. Invero, le contraddizioni evidenziate si rivelano inidonee a provare il travisamento denunciato. Le dichiarazioni rese da Z. hanno un contenuto difensivo, sicchè devono essere valutate nella consapevolezza che provengono da un imputato; le presunte contraddizioni contenute nelle affermazioni di N. e nelle dichiarazioni di R. non appaiono in grado di disarticolare le argomentazioni della sentenza di appello, anzi dalle dichiarazioni rese da quest’ultimo, allegate al ricorso, emerge una sua obiettiva emarginazione nella vicenda della dichiarazione IVA. Pertanto, deve escludersi la sussistenza del denunciato travisamento, in quanto la motivazione appare logica e coerente rispetto agli elementi probatori acquisiti e le rilevate contraddizioni riguardano aspetti secondari, non in grado di disarticolare la struttura argomentativa della sentenza.

4. – Esclusa la contraddittorietà della ricostruzione dei fatti come ritenuti in sentenza, resta da valutare se il “consiglio” dato dall’imputato al suo cliente possa integrare il reato di cui all’art. 380 c.p..

Non può accogliersi l’obiezione del ricorrente secondo cui la sentenza non avrebbe dimostrato la consapevolezza dell’imputato circa la falsità della dichiarazione IVA, in quanto lo stesso Z. era a conoscenza delle dichiarazioni infedeli presentate negli anni precedenti a cui quella del 2004 doveva allinearsi.

Deve considerarsi integrato il reato di infedele patrocinio in quanto l’obbligo dell’avvocato di difendere gli interessi della parte assistita, incontra il limite dell’osservanza della legge: lo stesso codice deontologico forense, prevede, all’art. 36, che l’assistenza dell’avvocato al proprio cliente deve essere condotta “nel miglior modo possibile”, ma nel limite del mandato ricevuto e “nell’osservanza della legge e dei principi deontologici”.

Sicchè è del tutto condivisibile la sentenza là dove riconosce che la condotta dell’imputato si è tradotta nell’istigazione a presentare una dichiarazione IVA non veritiera, che costituisce violazione del dovere di correttezza, previsto dalla norma deolontologica, e realizza inoltre il nocumento agli interessi della parte richiesto dalla norma incriminatrice, rappresentato dalla commissione del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2.

Nè vale ad escludere la sussistenza del reato il sostanziale consenso che N. ha dato al suo avvocato, sottoscrivendo la dichiarazione secondo le indicazioni di quest’ultimo. Infatti, il consenso deve ritenersi privo di rilevanza e inidoneo ad escludere il reato di cui all’art. 380 c.p., in quanto il criterio di valutazione della condotta del professionista non riguarda l’incarico ricevuto, ma il dovere professionale.

5. – Infine, devono ritenersi inammissibili i motivi nuovi con cui si censura la sentenza in relazione alla presunta erronea applicazione del giudizio di comparazione delle circostanze e al sequestro disposto, in quanto non appaiono inerenti ai temi specificati nei capi e punti della decisione investiti dall’impugnazione principale, mancando una connessione funzionale tra i motivi nuovi e quelli originari (Sez. 3^, 22.1.2004, n. 14776, ******).

Per i restanti motivi valgono le considerazioni svolte in rapporto al ricorso principale.

6. – In conclusione, la infondatezza dei motivi proposti determina il rigetto del ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione