Coltivazione illecita di semi e piantine di marijuana (Cass. pen. n. 40060/2012)

Redazione 10/10/12
Scarica PDF Stampa

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del Tribunale di Verona del 17/11/2011, emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., veniva applicata all’imputato B. G. la pena di anni quattro di reclusione ed Euro 17.000 di multa, per il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 per la coltivazione illecita di 102 piantine di marijuana, nonchè per la detenzione di 343 semi della medesima sostanza (acc. in (omissis)).

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato personalmente lamentando la violazione di legge, in quanto essendo nel capo di imputazione contestata la recidiva reiterata, specifica infraquinquennale, il giudice non avrebbe dovuto ammettere, ai sensi del comma 1 bis dell’art. 444, il patteggiamento c.d. “allargato”.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è inammissibile.

Dispone l’art. 568 c.p.p., comma 4 che per proporre impugnazione è necessario avervi interesse.

Questa Corte di legittimità ha avuto modo di statuire in proposito che l’impugnazione, per essere ammissibile, deve tendere all’eliminazione della lesione di un diritto, non essendo prevista la possibilità di proporre un’impugnazione che miri unicamente all’esattezza giuridica della decisione, senza che ne consegua un vantaggio pratico per il ricorrente, o addirittura ne consegua un danno (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 47675 del 24/11/2011 Ud. (dep. 21/12/2011), Rv. 252183).

In un caso a analogo a quello per cui si procede questa Corte ha precisato che “L’ammissibilità del ricorso per cassazione dell’imputato contro la sentenza che, su richiesta delle parti, abbia applicato la pena della reclusione superiore a due anni in ordine ad un reato per il quale la legge esclude il cosiddetto patteggiamento “allargato” è condizionata alla ricorrenza di un interesse concreto e certo ad ottenere l’annullamento della sentenza patteggiata” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 38401 del 09/07/2008Ud. (dep. 09/10/2008) Rv. 241285).

Pertanto, non avendo l’imputato nel suo ricorso indicato un interesse specifico all’annullamento della sentenza, che rispetto al giudizio ordinario, ha comportato per lui rilevanti benefici premiali, si impone la declaratoria di inammissibilità del ricorso in carenza del requisito di cui all’art. 568 c.p.p., comma 4.

Segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.500,00.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500 alla Cassa delle ammende.

Redazione