Colpevole di estorsione aggravata l’organizzazione camorristica che impone agli imprenditori l’assunzione dei propri affiliati (Cass. pen. n. 14049/2013)

Redazione 25/03/13
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il difensore di R.M. ha presentato ricorso avverso l’ordinanza 20.3.2012, con la quale il tribunale di Napoli ha confermato l’ordinanza emessa dal Gip del medesimo tribunale, applicativa della misura della custodia in carcere, in ordine al reato ex art. 629 c.p., comma 2, art. 628 c.p., comma 3, n. 1 e 3, L. n. 203 del 1991, art. 7.

L’imputazione a carico del R.M. – figlio di ***** e nipote di Ru.Mi., ritenuti al vertice di un clan camorristico – ha ad oggetto l’imposizione a N.M. di assumere, nel (omissis), D.P.S., nella S.p.a. ***********, gestita insieme al padre N.M.F..

Secondo il ricorrente, la motivazione dell’ordinanza è apparente, manifestamente illogica e gravemente travisante l’unico indizio esistente agli atti, ossia le dichiarazioni di N.M..

Questi non ha mai utilizzato espressioni che indicassero una limitazione della propria libertà di imprenditore nel selezionare e scegliere i propri dipendenti. Egli ha solo riferito la richiesta, proveniente dal R., di assumere il D.P., con mansioni di operaio presso lo stabilimento di Nola. Ugualmente il padre, Nu.Ma. ha parlato di una proposta di assumere persone alle loro dipendenze. L’ordinanza non tiene conto del contesto in cui la richiesta è avvenuta ( N. e R. si sono conosciuti in locali pubblici di (omissis)), dell’incensuratezza del R., all’epoca del fatto, dell’attuale protrarsi del rapporto di lavoro con il D.P.; della mancata incidenza sulla permanenza di questo rapporto dell’arresto, avvenuto, nel 2007 del R., per partecipazione ad associazione camorristica.

L’ordinanza è meritevole di annullamento, in quanto non ha tenuto conto delle specifiche argomentazioni difensive, contenute nella richiesta di riesame.

Altro rilievo critico riguarda la carente giustificazione della contestazione dell’aggravante ex L. n. 203 del 1991, art. 7.

Il ricorso non merita accoglimento.

La perfetta conformità della motivazione dell’ordinanza del giudice del riesame ai dati fattuali accertati dagli inquirenti, quale fonte di sufficiente base indiziaria, emerge dal quadro storico in cui la condotta dell’indagato è stata collocata, quadro storico costituito da una sentenza di condanna, emessa dal tribunale di Nola, il 31.5.2010, a carico dei massimi esponenti (tra cui R.P., padre del R.M.) di un’organizzazione camorristica, caratterizzata dalla spiccata proiezione vessatoria sull’attività imprenditoriale,svolta nel territorio di Nola. In questo quadro – aggiornato dagli inquirenti, nel procedimento in corso – compaiono come protagonisti, sia l’altro figlio del capo camorra, ***** – indagato con l’accusa di aver imposto l’assunzione di alcune persone, i cui nomi erano elencati in una “lista di collocamento”, consegnata all’imprenditore – sia l’attuale ricorrente R.M.. Gli elementi accusatori a suo carico sono costituiti dalle dichiarazioni delle seguenti fonti:

a) N.M., la cui credibilità è stata accuratamente vagliata e valutata positivamente dai giudici nella ricostruzione della anomala stipula del contratto di lavoro con D.P. e dell’altrettanto anomalo comportamento di indipendenza del nuovo assunto rispetto alla disciplina aziendale;

b) Nu.Ma., padre di M., che ha confermato la presenza nella propria impresa di lavoratori assunti per titoli preferenziali, di derivazione camorristica.

Gli inquirenti hanno così delineato il quadro di contropotere camorristico in cui è stata fondatamente collocata la genesi di intimidazione e coercizione del rapporto di lavoro instaurato con il D.P..

A fronte di questa descrizione della realtà, il ricorrente contrappone un clima di libertà, un contesto di rapporti conviviali, a sfondo turistico ( N.M. e R.M. si sono conosciuti e frequentati in locali di intrattenimento in (omissis) e nel corso delle vacanze estive, in (omissis)), da cui sarebbero gemmate la richiesta del secondo e le decisione del primo di assunzione del predetto lavoratore.

Il tribunale, sulla base di specifici elementi di fatto, inquadrati nella generale disciplina che guida la scelta e la selezione della forza lavoro, in questa zona dell’Italia Meridionale, ha confermato – in maniera fedele alle risultanze indiziarie e alla loro razionale interpretazione – l’ipotesi che i N. sono stati sottoposti a pressioni, che hanno limitato la libertà contrattuale nella composizione della forza di lavoro nella propria azienda.

L’apprezzamento del N.M. sulle capacità lavorative del D.P., che, dopo l’iniziale fase di anomia, ha dimostrato di essere capace di svolgere le mansioni richieste, non contraddice la tesi accusatoria: l’assoggettamento dei giovani meridionali alla situazione economica, politica e criminale, consolidata nel loro territorio, non è razionalmente incompatibile con il recupero della loro capacità di lavorare e di vivere nella legalità.

Da queste corrette premesse fattuali e storielle discende la correttezza della qualificazione della condotta del ricorrente come estorsione aggravata ex L. n. 203 del 1991, art. 7 :

– in quanto imposizione di un comportamento (l’assunzione di un protetto) funzionale a rafforzare la propria immagine di partecipe di un super potere, che è organizzato, al di fuori e contro le norme dello Stato; questa funzione di collocamento dei disoccupati rafforza l’organizzazione medesima agli occhi della cittadinanza, che ancor più diventa terreno di coltura e bersaglio passivo delle locali azioni delittuose;

– in quanto strumento di danno ingiusto per l’imprenditore, che è espropriato del proprio potere di organizzare al meglio l’azienda, di controllare capacità e disciplina dei dipendenti, di ottenere, nel rispetto delle norme giuridiche e sociali, il massimo dei risultati produttivi ed economici.

Quanto alle esigenze cautelari, è del tutto insindacabile la valutazione del tribunale del riesame, secondo cui è di tutta evidenza la fondatezza della prognosi negativa sui futuri comportamenti di chi abbia effettuato la scelta di vita, ravvisabile nel R.M., tanto più che l’aggravante rende adeguata, ai fini della prevenzione speciale, in via esclusiva la misura della custodia in carcere.

Il ricorso va rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria effettuerà le comunicazioni ex art. 94 disp. att. c.p.p..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2012.

Redazione