Cliente insoddisfatta del comportamento scorretto del proprio avvocato (Cass. pen. n. 26214/2013)

Redazione 14/06/13
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Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Roma, con sentenza del 31 maggio 2011, in riforma della sentenza del Giudice di pace di Roma dei 30 aprile 2010, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di C.R.M., C.R., C.A.M. e C.F., imputati dei delitto di Ingiurie in danno di P.M.G. perchè il fatto non sussiste.
Dal capo d’imputazione si evinceva come gli imputati, in una lettera inviata al proprio avvocato *******, si erano lamentati, in termini ritenuti ingiuriosi in prime cure, del suo operato nell’assistenza in una controversia civile.
2. Avverso tale sentenza ha propost:o ricorso per cassazione la parte civile, a mezzo dei proprio difensore munito di procura speciale, lamentando, quale unico sostanziale motivo una violazione di legge e una motivazione illogica in marito all’avvenuto proscioglimento degli imputati.

Considerato in diritto

1. Il ricorso non è meritevole di accoglimento.
2. Giova premettere, in punto dl diritto, come ribadito costantemente da questa Corte (v. a partire da Sez. VI 15 marzo 2006 n. 10951 fino di recente a Sez. V 6 ottobre 2009 n. 44914), pur dopo la nuova formulazione del suddetto articolo 606 cod. proc. pen., lett. e), novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, articolo 8, che il sindacato del Giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato debba essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia:
a) sia “effettiva” e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;
b) non sia “manifestamente illogica”, in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica;
c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute;
d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti dei processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per Cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.
Al Giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal Giudice di merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.
Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo Giudice dei fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai Giudici di merito rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal Giudice per giungere alla decisione.
3. Nella specie, questa volta in fatto e nei limiti del presente giudizio di legittimità di cui dianzi si è detto, deve osservarsi come l’impugnata sentenza abbia logicamente motivato sulla insussistenza dell’elemento oggettivo dell’offesa all’altrui onore.
Invero nella lettera inviata alla professionista i clienti si lamentavano, da un lato dell’esosità delle richieste economiche avanzate e d’altra parte si evidenziava un comportamento non corretto tanto da poter essere segnalato alla Procura della Repubblica e all’Ordine degli Avvocati.
È noto che la giurisprudenza in tema di ingiurie e relativa alla offensività della condotta affermi che la valenza offensiva di una determinata espressione, per essere esclusa o comunque scriminata con il riconoscimento di una causa di non punibilità, debba essere riferita al contesto nel quale sia stata pronunciata (v. di recente, Cass. Sez. V 30 giugno 2011 n. 32907).
Nello stesso senso vi sono pronunzie che dimostrano la necessità di calibrare la valenza e la portata di una espressione in relazione al momento e al contesto sia ambientale che relazionale in cui la stessa viene proferita (v. Cass. Sez. V 13 gennaio 2010 n. 17672).
A fronte dl tale inquadramento e definizione della vicenda, le censure della ricorrente si pongono come richiesta di diversa ricostruzione dell’occorso, previa evidenziazione degli antefatti tra le parti nell’ambito del procedimento civile nel quale gli animi si erano inacerbiti e che invece il Giudice del merito, con valutazione in punto di fatta, plausibile e sottratta a all’ulteriore sindacato delta Cassazione, ha giudicato, per la qualità delle espressioni utilizzate, per la situazione in cui sono state pronunciate, dirette a esprimere mera insoddisfazione per la tutela non ricevuta e, quindi, non lesive del decoro della professionista.
4. Il ricorso va, in conclusione, rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 17/5/2013.

Redazione