Click day: accolto il ricorso di illegittimità costituzionale presentato da Unindustria Bologna (Cass. n. 9026/2013)

Redazione 12/04/13
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Ordinanza

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La società SAMA spa ricorre contro l’Agenzia delle entrate per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo ha respinto il ricorso della contribuente avverso il provvedimento con cui il Centro Operativo di Pescara, ai sensi del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 29, convertito con la L. n. 2 del 2009, ha negato per “esaurimento delle risorse finanziarie” il nulla- osta alla fruizione del credito d’imposta L. n. 296 del 2006, ex art. 1, comma 280 e segg., richiesto dalla contribuente in relazione ai costi sostenuti per attività di ricerca e sviluppo avviate prima del 29 novembre 2008.

L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso, resistendo al ricorso e chiedendone il rigetto.

All’esito del deposito della relazione ex art. 380 bis c.p.c. – regolarmente comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti – la causa è stata discussa nell’adunanza del 14.3.13, per la quale la difesa erariale ha anche depositato memoria difensiva.

Per l’intelligenza del ricorso, fondato su sei motivi, è opportuno svolgere una breve premessa normativa.

La Legge Finanziaria 2007 n. 296 del 2006, art. 1, commi da 280 a 283, (abrogati per il disposto del D.L. n. 83 del 2012, art. 23, comma 7, convertito con la L. n. 134 del 2012, e del n. 42 del relativo Allegato 1, ma applicabili ratione temporis alla fattispecie in esame) avevano attribuito alle imprese – a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2006 e fino alla chiusura del periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2009 – un credito d’imposta, fruibile in compensazione nel modello F24, pari al 10% dei costi sostenuti per attività di ricerca e sviluppo; se i costi di ricerca e sviluppo si riferivano a contratti stipulati con università ed enti pubblici il credito di imposta era riconsciuto nella percentuale del 15%, poi aumentato al 40% dalla Legge Finanziaria 2008 n. 244 del 2007, art. 1, comma 66. I costi a cui si rapportava il diritto al credito di imposta non potevano superare, a mente del comma 281, l’importo di 15 milioni di Euro per ciascun periodo d’imposta (poi elevato a 50 milioni di Euro dalla Legge Finanziaria 2008 n. 244 del 2007, art. 1, comma 66). La legge non fissava alcun tetto globale alla erogazione dei crediti di imposta, nè prevedeva limiti di copertura del minor gettito fiscale derivante dalla relativa fruizione da parte dei contribuenti; conseguentemente, il singolo contribuente non era tenuto alla presentazione di alcuna istanza preventiva di ammissione al beneficio e poteva fruire del credito (nella misura risultante dall’applicazione della percentuale prevista dal comma 280 sul costo per ricerca e sviluppo effettivamente sostenuto, entro il tetto di cui al comma 281) con la mera indicazione del credito stesso nella dichiarazione dei redditi. Successivamente, con il D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 29, convertito in legge con la L. n. 2 del 2009 (c.d. decreto anticrisi, adottato nelP intento, enunciato nell’epigrafe, di “fronteggiare l’eccezionale situazione di crisi internazionale”, provvedendo, tra l’altro, a “potenziare le misure fiscali e finanziarie occorrenti per garantire il rispetto degli obiettivi fissati dal programma di stabilità e crescita approvato in sede Europea”), il legislatore, nel comma 1, ha esteso anche al credito di imposta di cui si tratta la disciplina sul monitoraggio dei crediti di imposta dettata dal D.L. 8 luglio 2002, n. 138, art. 5, commi 1 e 2, convertito in legge con la L. n. 178 del 2008, e conseguentemente, nel secondo comma, ha previsto un tetto massimo al credito di imposta fruibile da parte delle imprese, definendo i relativi i stanziamenti nel bilancio dello Stato (375,2 milioni di Euro per l’anno 2008, 533,6 milioni di Euro per l’anno 2009, 654 milioni di Euro per l’anno 2010 e 65,4 milioni di Euro per l’anno 2011).

La suddetta predeterminazione del tetto massimo dell’ammontare del credito d’imposta riconoscibile al sistema delle imprese – innovativa rispetto alla disciplina originariamente dettata dalla L. n. 296 del 2006 – presupponeva evidentemente l’individuazione di una procedura di selezione delle imprese destinate a fruire concretamente del credito di imposta rispetto a quelle destinate ad essere escluse da tale fruizione per il superamento del suddetto tetto, ossia per l’incapienza dello stanziamento fissato dalla legge nel bilancio statale. Tale procedura di selezione – dettata al dichiarato “fine di garantire congiuntamente la certezza delle strategie di investimento, i diritti quesiti, nonchè l’effettiva copertura finanziaria” – si rinviene nella seconda parte del comma 2, nonchè nel D.L. n. 185 del 2008, art. 29, comma 3.

Con tali disposizioni si stabiliva che, a decorre dall’anno 2009:

– per la fruizione del credito d’imposta le imprese dovessero inoltrare per via telematica all’Agenzia delle entrate un apposito formulario, valevole come “prenotazione dell’accesso alla fruizione del credito d’imposta”;

– la prenotazione del credito di imposta per le attività di ricerca avviate a partire dalla data di entrata in vigore del D.L. n. 185 del 2008 (emanato, pubblicato in Gazzetta Ufficiale ed entrato in vigore il 29.11.08) fosse “successiva” rispetto a quella relativa alle attività di ricerca avviate prima della anzidetta data;

– i formulari venissero acquisiti ed evasi dall’Agenzia delle entrate rispettandone rigorosamente l’ordine cronologico di arrivo;

– L’Agenzia delle entrate provvedesse, in via telematica e con procedura automatizzata, a rispondere alle imprese che avevano presentato il formulario, comunicando alle stesse, ove si trattasse di attività già avviate prima del 29.11.08, “esclusivamente un nulla-osta, ai soli fini della copertura finanziaria” e, ove invece si trattasse di attività avviate a partire dal 29.11.08, la certificazione dell’avvenuta presentazione del formulario, l’accoglimento della relativa prenotazione, nonchè, “nei successivi novanta giorni l’eventuale diniego, in ragione della capienza”.

Nel citato art. 29, comma 5, infine, si prevedeva che la procedura per la trasmissione telematica del menzionato formulario fosse attivata entro 30 giorni dalla data di adozione del provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate di approvazione del formulario medesimo.

In effetti, con prevedimento del 21 aprile 2009, il Direttore dell’Agenzia delle entrate ha stabilito che i formulari per i progetti d’investimento in attività di ricerca e sviluppo già avviati alla data del 28 novembre 2008 dovessero essere presentati, a pena di decadenza dal contributo, dalle ore 10:00 del 6 maggio 2009 (c.d. click day) alle ore 24:00 del 5 giugno 2009.

Giova ancor aggiungere che la capienza degli stanziamenti fu esaurita con i formulari pervenuti nei primi minuti successivi all’apertura della procedura di trasmissione telematica e numerose imprese furono escluse, al pari della odierna ricorrente, dalla fruizione del credito di imposta per costi sostenuti (e sostenendi) in relazione ad attività di ricerca avviate prima dell’entrata in vigore del decreto legge 185/08 (si veda pag. 21 del controricorso, ove la difesa dell’Agenzia delle entrate riferisce che furono emessi “in pochi secondi dall’apertura della procedura n. 29.394 atti, di cui 8.100 di accoglimento delle istanze”).

In concreto si vennero quindi a determinare, con riferimento ai crediti d’imposta per i costi relativi ad attività di ricerca avviate prima dell’entrata in vigore del decreto legge 185/08, le seguenti situazioni:

a) i crediti d’imposta maturati negli anni 2007 e 2008 e utilizzati in compensazione (mediante il modello F24) entro il 31 dicembre 2008 non furono toccati dal D.L. n. 185 del 1998, e rimasero validamente fruiti;

b) i crediti d’imposta maturati negli anni 2007, 2008 e 2009 che non erano stati utilizzati entro la data del 31 dicembre 2008 ma di cui era stata autorizzata la fruizione da parte dell’Agenzia delle Entrate sono pur essi rimasti validamente fruibili.

c) i credito d’imposta maturato negli anni 2007, 2008 e 2009 non utilizzati entro la data del 31 dicembre 2008 e di cui non era stata autorizzata la fruizione da parte dell’Agenzia delle Entrate per esaurimento dei fondi disponibili sono rimasti non fruibili. Per queste ultime situazioni la L. n. 191 del 2009, art. 2, comma 236, (finanziaria 2010) ha successivamente autorizzato un ulteriore stanziamento (poi ridotto dal D.L. n. 40 del 2010, art. 4, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 73 del 2010) le cui modalità di utilizzo sono state definite con decreto ministeriale del 4 marzo 2011; tale decreto ha autorizzato la fruizione del 47,53% dei crediti d’imposta relativi ad attività di ricerca avviate prima del 29.11.08, quali risultanti dai formulari presentati telematicamente che fossero stati denegati per esaurimento delle risorse disponibili.

Alla luce di tale ricostruzione della disciplina che ci occupa, si può passare all’esame dei motivi di ricorso della contribuente, non senza aver puntualizzato che:

– in linea di fatto, è pacifico che l’impugnato diniego di nulla – osta concerne un formulario nel quale la contribuente aveva richiesto di fruire del credito di imposta maturato in relazione ad attività di ricerca che dichiarava avviate anteriormente al 29 novembre 2008 (si vedi il controricorso dell’Agenzia delle entrate, paragrafo 2 del “FATTO”, primo cpv.);

– la Commissione Tributaria Regionale ha sostenuto che il D.L. n. 185 del 2008, non avrebbe eliso il diritto al credito di imposta attribuito dalla L. n. 296 del 2006, e già sorto in capo alla contribuente, ma si sarebbe limitato a porre un limite quantitativo alla fruizione di tale diritto, la quale risulterebbe “solo rinviata nel tempo, agli esercizi successivi al 2011, nell’ambito della capienza delle ulteriori somme che il Legislatore riterrà di stanziare infuturo” (pag. 9, par. 6.13, della sentenza gravata).

Col primo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente ripropone l’eccezione, ritenuta manifestamente infondata dalla Commissione Tributaria Regionale, di illegittimità costituzionale del D.L. n. 185 del 1929, art. 29, con riferimento agli artt. 3, 41, 97 e 117 Cost.. Col secondo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 5, si denuncia la contraddittorietà ed illogicità della motivazione in cui la Commissione Tributaria Regionale sarebbe incorsa riconoscendo contemporaneamente la sussistenza del diritto della contribuente al credito d’imposta e la legittimità del provvedimento dell’Ufficio che di tale diritto impedisce l’esercizio. Col terzo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, si censura la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 3, in cui la Commissione Tributaria Regionale sarebbe incorsa ritenendo applicabile retroattivamente la disciplina dettata dal D.L. n. 185 del 2008, art. 29.

Col quarto motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, si censura la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, e dei principi comunitari in tema di affidamento in cui la Commissione Tributaria Regionale sarebbe incorsa ritenendo il principio di affidamento applicabile solo nei confronti degli atti costituenti esercizio di potestà amministrativa della pubblica amministrazione e non anche nei confronti del legislatore.

Col quinto motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, si censura la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, e L. n. 241 del 1990, art. 3, in cui la Commissione Tributaria Regionale sarebbe incorsa ritenendo sufficientemente motivato l’impugnato provvedimento di diniego del nulla-osta.

Col sesto motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, si censura la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 2, e L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, in cui la Commissione Tributaria Regionale sarebbe incorsa ritenendo legittimo il provvedimento di diniego del nulla-osta nonostante che nel medesimo non fosse indicato il nominativo del responsabile del procedimento.

Con il primo mezzo la ricorrente ripropone in questa sede i dubbi di costituzionalità già sollevati davanti al giudice di merito e relativi alla conformità del D.L. n. 185 del 2008, art. 29, ai parametri di cui agli artt. 3, 41, 97 e 117 Cost..

La questione appare manifestamente infondata, con riferimento ai parametri fissati dagli artt. 41, 97 e 117 Cost..

Quanto agli articoli 41 e 97 della Costituzione, è sufficiente osservare che la disposizione in esame non impinge in alcun modo nè sulla libertà di iniziativa economica, nè sull’imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione.

L’art. 117 Cost., è poi evocato dalla ricorrente nella parte in cui, nel primo comma, assoggetta la potestà legislativa statale ai “vicoli derivanti dall’ordinamento comunitario”, tra i quali il vincolo di tutela della concorrenza; al riguardo la ricorrente sottolinea l’argomento letterale che lo stesso art. 117 Cost., riserva allo Stato, nel comma 2, lett. e), la legislazione esclusiva in materia non di “concorrenza”, bensì di “tutela della concorrenza”. L’argomento non appare concludente, in quanto la disposizione in esame non pregiudica in alcun modo la libertà di concorrenza. Anche con riferimento al parametro dell’art. 117 Cost., quindi, il sospetto di illegittimità costituzionale sollevato dalla ricorrente appare manifestamente infondato.

Non manifestamente infondato appare, invece, il sospetto di illegittimità costituzionale sollevato con riferimento all’art. 3 Cost.. Dal tenore letterale della n. 296 del 2006, art. 1, comma 280, (“A decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2006 e fino alla chiusura del periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2009, alle imprese è attribuito un credito d’imposta nella misura del 10 per cento dei costi sostenuti per attività di ricerca industriale e di sviluppo precompetitivo “) emerge infatti che il credito d’imposta per cui è causa entrava ope legis nel patrimonio dei contribuenti che sostenessero, entro l’arco temporale indicato dalla legge, costi per attività di ricerca industriale e di sviluppo precompetitivo, all’atto stesso del sostenimento di tali costi. Si trattava, dunque, di un diritto soggettivo perfetto, il cui fatto costitutivo è indicato dalla legge nel sostenimento di costi per attività di ricerca industriale e di sviluppo precompetitivo nei periodi di imposta in corso al 31 dicembre degli anni 2007,2008 e 2009.

Al riguardo, non appare persuasivo l’assunto della difesa erariale secondo il quale – nel tempo intercorrente tra la maturazione del credito di imposta (cioè il sostenimento dei costi da cui tale credito deriva) e l’utilizzo del medesimo in compensazione di debiti tributari, tramite il modello F24 – il credito stesso non sarebbe qualificabile come un diritto soggettivo pieno, bensì come un diritto condizionato alla sussistenza di copertura finanziaria. Tale assunto si fonda sul disposto del D.L. n. 138 del 2002, art. 5, convertito con la L. n. 178 del 2002, rubricato “monitoraggio dei crediti di imposta” ed il cui primo comma, come modificato dalla legge di conversione, recita: “i crediti di imposta previsti dalle vigenti disposizioni di legge sono integralmente confermati e, fermo restando quanto stabilito dagli artt. 10 e 11, possono essere fruiti entro i limiti degli oneri finanziari previsti in relazione alle disposizioni medesime. I soggetti interessati hanno diritto al credito di imposta fino all’esaurimento delle risorse finanziarie”.

Questa disposizione, tuttavia, non operava (fino all’entrata in vigore del decreto legge 185/08) per i crediti di imposta oggetto del presente giudizio, in quanto essa, emanata nel 2002, concerne i crediti “previsti dalle vigenti disposizioni”, ossia quelli previsti dalle disposizioni vigenti nel 2002; mentre i crediti di imposta oggetto del presente giudizio sono stati introdotti solo nel 2006, con la L. n. 269. Ciò è del resto reso palese dal rilievo che solo nel 2008, con il più volte citato D.L. n. 185 del 2008, art. 29, il legislatore ha esteso il principio del monitoraggio anche ai crediti di imposta oggetto del presente giudizio, fissando il relativo limite di copertura finanziaria (vedi il citato art. 29, comma 1: “Le disposizioni di cui al D.L. 8 luglio 2002, n. 138, art. 5, commi 1 e 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 2002, n. 178, sul monitoraggio dei crediti di imposta si applicano anche con riferimento a tutti i crediti di imposta vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto tenendo conto degli oneri finanziari previsti in relazione alle disposizioni medesime. In applicazione del principio di cui al presente comma, al credito di imposta per spese per attività di ricerca di cui alla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi da 280 a 283, si applicano le disposizioni di cui ai commi seguenti). Nè, sotto altro profilo, appare concludente la considerazione dell’Avvocatura Generale dello Stato secondo cui al principio del monitoraggio dei crediti di imposta fissato dal D.L. n. 138 del 2002, art. 5, dovrebbe attribuirsi natura di principio generale, attuativo dell’art. 81 Cost.. Indipendentemente dalla fondatezza di tale tesi, è infatti evidente che un principio generale di limitazione del diritto al credito di imposta “fino all’esaurimento delle risorse finanziarie” non potrebbe comunque operare quando, come è avvenuto con la L. n. 296 del 2006, la legge istitutiva del credito di imposta ometta la fissazione di limiti di copertura. Deve quindi ribadirsi che alla data del 29.11.08, giorno di entrata in vigore del decreto L. n. 185 del 2008, i contribuenti che avevano già sostenuto, a partire dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2007, costi per attività di ricerca industriale di sviluppo precompetitivo avevano maturato il diritto soggettivo perfetto al credito d’imposta nella percentuale di detti costi prevista dalla legge. Il D.L. n. 185 del 2008, art. 29, fissando un limite, prima inesistente, alle risorse disponibili per la copertura finanziaria del beneficio de quo, ha inciso sotto due profili sulla posizione dei contribuenti che, avendo già avviato attività di ricerca industriale e sviluppo precompetitivo, sono stati esclusi dalla fruizione del credito d’imposta; per costoro, infatti, la norma del 2008 ha, in primo luogo, abolito il diritto al credito di imposta già maturato in relazione ai costi già sostenuti e, in secondo luogo, abolito l’aspettativa al credito di imposta maturando in relazione ai costi da sostenere per attività già avviate. A questo proposito giova aggiungere che la tesi della Commissione Tributaria Regionale secondo cui il D.L. n. 185 del 2008, art. 29, non avrebbe eliso il diritto del contribuente al credito d’imposta maturato alla data del 29.11.08, ma ne avrebbe solo rinviata la fruizione nel tempo agli esercizi successivi al 2011, non può essere condivisa. Tale tesi riecheggia anche nella risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 100/E del 19.10.11, laddove si afferma che “Dall’esame della normativa istitutiva dell’agevolazione e del delineato quadro interpretativo si evince che per le attività di ricerca avviate prima del 29 novembre 2008 il diniego del predetto nulla-osta non impedisce la maturazione del credito di imposta ma inibisce l’utilizzo del credito di imposta maturate, nei termini in precedenza specificati, nei relativi periodi di imposta, a causa dell’esaurimento delle risorse disponibili, senza tuttavia escludere la possibilità di un futuro utilizzo in funzione delle disponibilità finanziarie eventualmente stanziate negli esercizi successivi”.

In proposito, osserva la Corte che l’assunto dell’Amministrazione finanziaria secondo cui il diniego di nulla osta non escluderebbe la possibilità che il credito di imposta (maturato e) denegato possa formare oggetto “di un futuro utilizzo in funzione delle disponibilità finanziarie eventualmente stanziate negli esercizi successivi” ha una portata esclusivamente metagiuridica. In termini giuridici, per contro, è ovvio che il diniego di nulla osta non esclude (e non si vede come potrebbe escludere) la possibilità che il legislatore, reintervenendo sulla materia, disponga, stanziando i necessari finanziamenti, la soddisfazione di quei crediti per i quali il nulla osta sia stato negato; ma è altrettando ovvio che, in assenza di ulteriori e futuribili interventi del legislatore, il diniego del nulla osta preclude, alla stregua del disposto del D.L. n. 185 del 2008, art. 29, la possibilità giuridica di soddisfare il credito d’imposta già maturato ed ha, quindi, efficacia estintiva di tale credito.

Quanto all’affermazione della Commissione Tributaria Regionale secondo cui il D.L. n. 185 del 2008, art. 29, non avrebbe estinto il diritto del contribuente al credito d’imposta maturato alla data del 29.11.08, ma ne avrebbe solo rinviato la fruizione agli esercizi successivi al 2011, essa risulta del tutto sfornita di fondamento normativo. Nella disciplina del 2008, infatti, non è contenuta alcuna disposizione che differisca agli esercizi successivi al 2011 la fruizione del credito di imposta dei contribuenti ai quali il nulla-osta a tale fruizione venga negato per esaurimento delle risorse finanziarie. E’ appena il caso di notare, in proposito, che la disposizione secondo la quale “la fruizione del credito di imposta è possibile nell’esercizio in corso ovvero, in caso di esaurimento delle risorse disponibili in funzione delle disponibilità finanziarie, negli esercizi successivi” – contenuta nella seconda parte dell’art. 29, comma 3, lett. a), in esame – si riferisce alla fruizione del credito d’imposta negli esercizi 2008, 2009, 2010 e 2011 (per ciascuno dei quali lo stesso art. 29, comma 2, prevede un apposito stanziamento di bilancio) e non agli esercizi successivi al 2011 (per i quali il decreto legge 185/2008 non prevede alcuno stanziamento). Il decreto L. n. 185 del 2008, in altri termini, non ha dettato, come erroneamente ritiene la Commissione Tributaria Regionale, una disciplina tendente a differire nel tempo il godimento dei diritti già sorti – o, altrimenti detto, una disciplina dell’esercizio del diritto che, ferma la relativa sussistenza, ne subordini l’esigibilità all’avveramento di eventi future ma certi – ma ha abolito tali diritti per tutti coloro che, in base alla procedura di selezione normativamente fissata, non rientrassero nella capienza finanziata del medesimo decreto legge. Di ciò offre decisiva conferma il rilievo che solo con la ulteriore e successiva legge n. 191/09 (finanziaria 2010 ) si è disposta, con apposito stanziamento di bilancio, una parziale soddisfazione – nella percentuale, come sopra accennato, del 47,53% – di tali crediti. I quali quindi hanno subito una falcidia del 52,47%, della quale nessuna norma di legge, ad oggi, prevede forme di futura reintegrazione; potendosi anzi sottolineare, sul piano storico- fattuale, che le disposizioni che dopo il 2010 hanno istituito ulteriori crediti di imposta per ricerca e sviluppo (D.L. n. 70 del 2011, art. 1, convertito con la L. n. 106 del 2011, e Legge di stabilità 2013 n. 228 del 2012, art. 1, commi 95 e 97) non hanno pù rifinanziato la fruizione dei crediti di imposta previsti dalla legge finanziaria 2006 per le attività di ricerca avviate prima del 29 novembre 2008.

La disciplina della D.L. n. 185 del 2008, art. 29, appare allora sospettabile di illegittimità costituzionale, con riferimento all’art. 3 Cost., nella parte in cui non salvaguarda i diritti e le aspettative al credito di imposta di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, commi da 280 a 283, sorti in relazione ad attività di ricerca avviate prima del 29.11.08.

Il contrasto tra la disciplina in esame ed il parametro di cui all’art. 3 Cost., appare ravvisabile sotto due distinti profili.

Sotto un primo profilo, per la violazione del principio di tutela dell’affidamento del cittadino nella certezza delle situazioni giuridiche.

La Corte Costituzionale ha infatti varie volte affermato che l’affidamento del cittadino sulla certezza delle situazioni giuridiche, quale essenziale elemento dello Stato di diritto, non può essere leso da disposizioni retroattive, le quali trasmodino in un regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi precedenti (si vedano le pronunce della Corte Costituzionale nn. 349/85, 155/90, 390/95, 111/98, 211/97, 416/99, 525/2000, 446/02, 364/07). Al riguardo si osserva che – se non possono ipotizzarsi limiti costituzionali alla potestà legislativa di eliminare o limitare un beneficio fiscale previsto dalla legge per determinate iniziative imprenditoriali, con riferimento alle attività successive all’entrata in vigore della norma aboliti va o limitativa – sembra potersi dubitare della conformità al canone della ragionevolezza di una disposizione ablativa di crediti di imposta già entrati nel patrimonio del contribuente, in quanto maturati in relazione a costi già sostenuti, e di aspettative di crediti di imposta maturandi in relazione a costi ancora da sostenere per il completamento di attività già avviate. Si deve infatti considerare, al riguardo, che nel calcolo di convenienza imprenditoriale posto alla base della decisione di sostenere detti costi il contribuente ha fatto legittimo affidamento sul risparmio fiscale agli stessi normativamente connesso e non appare ragionevole salvaguardare le esigenze di bilancio dello Stato scardinando la programmazione di bilancio delle imprese e, in generale, dei cittadini (sul punto vedi, in particolare, C. Cost. 211/97, citata, laddove chiarisce che “se il legislatore, nell’esercizio del suo potere discrezionale, può, a salvaguardia dell’equilibrio di bilancio, modificare la disciplina pensionistica fino al punto di ridurre il quantum del trattamento previsto, deve invece escludersi che, come è avvenuto nella fattispecie, possa addirittura eliminare retroattivamente una prestazione già conseguita”; si veda anche, sul tema delle modificazioni retroattive del quadro giuridico nel quale si sono formate scelte imprenditoriali, C. Cost. 156/07, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale di una norma di legge regionale che sacrificava “all’esito di una arbitraria ponderazione, la posizione di altri soggetti (nella specie Azienda Napoletana Mobilità s.p.a.), che, a distanza di un periodo di tempo considerevolmente ampio, avevano fatto giustificato affidamento nell’avvenuto consolidamento della situazione sostanziale nel frattempo creatasi”. Nè, per concludere sul punto, il dubbio di illegittimità costituzionale del D.L. n. 185 del 2008, art. 29, appare dissipato dal richiamo dell’Avvocatura Generale dello Stato alla giurisprudenza della Corte costituzionale sull’evoluzione della disciplina del credito d’imposta sui nuovi investimenti nelle aree svantaggiate individuate dalla Commissione CE (ordinanze nn. 124/06, 180/07, 185/09), attesa la sostanziale diversità tra l’intervento effettuato dal D.L. n. 138 del 2002, art. 10, e L. n. 289 del 2002, art. 62, sulla disciplina originariamente dettata dalla L. n. 388 del 2000, art. 8, per il credito d’imposta connesso a nuovi investimenti nelle aree svantaggiate (ben riepilogato nella sentenza di questa Corte n. 5324/12) e l’intervento effettuato dal D.L. 185/0802, art. 29, sulla disciplina dettata dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, commi da 280 a 283, per il credito d’imposta connesso ad investimenti in ricerca e sviluppo.

Nel caso, infatti, del credito d’imposta per nuovi investimenti nelle aree svantaggiate, le modifiche normative recate dal D.L. n. 138 del 2002, art. 10, – relative tanto ai presupposti sostanziali del diritto (la cui attribuzione è stata ristretta a determinati settori produttivi e nei limiti di tetti di copertura prefissati), quanto alle modalità procedimentali del relativo esercizio (che ha cessato di essere automatico, tramite esposizione del credito nella dichiarazione dei redditi, ed è stato subordinato al previo assenso dell’amministrazione, all’esito di apposita istanza del contribuente) – sono state introdotte nel rispetto dell’affidamento dei contribuenti nella certezza delle situazioni giuridiche pregresse (si veda il D.L. n. 138 del 2002, art. 10, comma 3, come modificato in sede di conversione: Le disposizioni di cui alle lettere a) e b) del comma 1, nonchè del comma 2, si applicano agli investimenti per cui, successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, risulta presentata l’istanza di cui alla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 8, comma 1 bis, e per i quali si verificano gli eventi di cui all’art. 75, comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, ovvero, per le prestazioni di servizi per le quali vengono previsti contrattualmente stati di avanzamento dei lavori, viene accettato il primo stato di avanzamento dei lavori. Per gli investimenti per i quali il contratto risulta concluso entro la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto si applicano le disposizioni vigenti precedentemente alle modifiche apportate con la medesima legge, anche se gli eventi di cui al citato art. 75, comma 2, ovvero l’accettazione del primo stato di avanzamento dei lavori si verificano successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto). Nessuna portata retroattiva può poi ascriversi alla successiva imposizione, recata dalla L. n. 289 del 2002, art. 62, di un obbligo informativo a carico sia delle imprese che avevano già conseguito in via automatica il diritto al contributo, sia di quelle che avevano conseguito tale diritto col previo assenso dell’amministrazione; come infatti precisato nell’ordinanza n. 124/2006 della Corte Costituzionale, la L. n. 289 del 2002, art. 62, “non dispone per il passato, ma fissa per il futuro un obbligo di comunicazione di dati a pena di decadenza dal contributo, a nulla rilevando che tale decadenza abbia ad oggetto un contributo già conseguito”. Viceversa, come sopra dimostrato, nel caso del credito di imposta sui costi sostenuti per attività di ricerca, la disciplina introdotta dal D.L. n. 185 del 2008, art. 29, ha abolito, per i contribuenti esclusi dalla fruizione del credito d’imposta per esaurimento delle risorse finanziarie, diritti e aspettative già maturati prima dell’entrata in vigore decreto legge.

Il secondo profilo in relazione al quale appare non manifestamente infondato il dubbio di illegittimità costituzionale, sempre con riferimento al parametro dell’art. 3 Cost., del D.L. n. 185 del 2008, art. 29, – nella parte in cui non salvaguarda i diritti e le aspettative sorti ai sensi della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 280 e segg., in relazione ad attività di ricerca avviate prima del 29.11.08 – lo si prospetta in linea subordinata rispetto al primo profilo (il quale, ove accolto, risulterebbe assorbente) e si incentra sulle caratteristiche della procedura fissata dalla legge per selezionare, nell’ambito della platea dei contribuenti che alla data del 29.11.08 avevano già avviato attività di ricerca e sviluppo precompetitivo, quelli destinati a fruire del credito. Tale procedura, dettata nella seconda parte del comma 2, nonchè nel D.L. n. 185 del 2008, art. 29, comma 3, si compendia nell’inoltro pervia telematica all’Agenzia delle entrate di un formulario valevole come prenotazione e nell’acquisizione ed evasione, da parte della predetta Agenzia, dei formulari alla stessa pervenuti, secondo l’ordine cronologico di arrivo. In proposito si osserva che – se in linea generale non può ritenersi irrazionale il ricorso al criterio selettivo, di antichissima tradizione, prior tempore potior jure – nel caso, quale quello in esame, in cui la selezione debba svolgersi tra una platea vastissima di concorrenti e si fondi sul momento di arrivo al destinatario di atti trasmessi per via telematica, tale criterio conduce a risultati completamente scollegati non solo dal merito delle ragioni di credito, ma anche dalla solerzia nell’esercizio delle stesse. La risultante di fattori quali la sproporzione tra risorse disponibili e domande, l’ampiezza del numero dei concorrenti, la velocità dei meccanismi di trasmissione informatica determina una selezione sostanzialmente casuale, che si esaurisce in un tempo brevissimo e produce risultati dipendenti prevalentemente dalla potenza e sofisticatezza delle apparecchiature informatiche di cui dispongono i singoli contribuenti o i professionisti che li assistono. Ciò determina una disparità di trattamento (in ordine alla fruizione del credito di imposta, ad alcuni concessa e ad altri negata) di situazioni eguali (di contribuenti tutti egualmente titolari di crediti di imposta derivanti da attività già avviate alla data del 29.11.08) in base ad un criterio di priorità cronologica che, per le sue concrete modalità di attuazione, non appare ragionevole (ed è stato abbandonato in sede di definizione delle modalità di utilizzo del rifinanziamento disposto dalla L. n. 191 del 2009, per le quali il D.M. 4 marzo 2011, ha fatto ragionevolmente ricorso ad un criterio tipicamente concorsuale, assegnando a ciascun contribuente una percentuale del proprio credito corrispondente al rapporto tra il totale delle risorse disponibili ed il totale delle prenotazioni da soddisfare). In definitiva, deve giudicarsi non manifestamente infondata, con riferimento all’art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal ricorrente nel primo motivo di ricorso, del D.L. n. 185 del 2008, art. 29, convertito in legge, con modificazioni, con la L. n. 2 del 2009, sotto i due seguenti profili;

– sotto il primo profilo, nella parte in cui la norma emergente dal disposto del comma 1 di detto articolo (“Le disposizioni di cui al D.L. 8 luglio 2002, n. 138, art. 5, commi 1 e 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 2002, n. 178, sul monitoraggio dei crediti di imposta si applicano anche con riferimento a tutti i crediti di imposta vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto tenendo conto degli oneri finanziari previsti in relazione alle disposizioni medesime. In applicazione del principio di cui al presente comma, al credito di imposta per spese per attività di ricerca di cui alla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi da 280 a 283, si applicano le disposizioni di cui ai commi seguenti”) non fa salvi i diritti e le aspettative sorti – ai sensi della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 280 e segg., – in relazione ad attività di ricerca avviate prima del 29.11.08;

– sotto il secondo profilo, subordinato al primo, nella parte in cui la norma emergente dal combinato disposto del comma 2, lett. “a” (“per le attività di ricerca che, sulla base di atti o documenti aventi data certa, risultano già avviate prima della data di entrata in vigore del presente decreto, i soggetti interessati inoltrano per via telematica alla Agenzia delle entrate, entro trenta giorni dalla data di attivazione della procedura di cui al comma 4, a pena di decadenza dal contributo, un apposito formulario approvato dal Direttore della predetta Agenzia; l’inoltro del formulario vale come prenotazione dell’accesso alla fruizione del credito d’imposta”) e del comma 3, primo periodo e prima parte della lettera “a” (“L’Agenzia delle entrate, sulla base dei dati rilevati dai formulari pervenuti, esaminati rispettandone rigorosamente l’ordine cronologico di arrivo, comunica telematicamente e con procedura automatizzata ai soggetti interessati: a) relativamente alle prenotazioni di cui al comma 2, lett. a), esclusivamente un nulla-osta ai soli fini della copertura finanziaria”) stabilisce un meccanismo di selezione dei soggetti autorizzati alla fruizione del credito i cui esiti risultano sostanzialmente casuali. Tanto premesso in punto di non manifesta infondatezza, è ora necessario, ai fini del giudizio di rilevanza della questione di legittimità costituzionale sopra prospettata, esaminare gli altri motivi di ricorso.

Il secondo motivo di ricorso – con il quale si denuncia la contraddittorietà ed illogicità della motivazione in cui la Commissione Tributaria Regionale sarebbe incorsa riconoscendo contemporaneamente la sussistenza del diritto della contribuente al credito d’imposta e la legittimità del provvedimento dell’Ufficio che di tale diritto impedisce la fruizione – è inammissibile, perchè la denunciata contraddittorietà ed illogicità della motivazione non riguarda alcun accertamento in fatto operato nella sentenza gravata, bensì un giudizio di diritto (sussistenza del diritto al credito d’imposta e, al contempo, legittimità della compressione del relativo esercizio), non censurabile con il mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il terzo motivo di ricorso – con il quale si censura la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 3, in cui la Commissione Tributaria Regionale sarebbe incorsa ritenendo applicabile retroattivamente la disciplina dettata dal D.L. n. 185 del 2008, art. 29, – è pur esso infondato, perchè questa Corte ha più volte avuto modo di chiarire che le norme di cui alla L. n. 212 del 2000 (c.d. Statuto del contribuente) – emanate in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost., e qualificate espressamente come principi generali dell’ordinamento tributario – pur essendo in taluni casi idonee a prescrivere specifici obblighi a carico dell’amministrazione finanziaria, e potendo costituire, in quanto espressione di principi già immanenti nell’ordinamento, criteri guida per il giudice nell’interpretazione delle norme tributarie, non hanno, tuttavia, rango superiore alla legge ordinaria. Con la conseguenza che tali disposizioni non possono in alcun caso fungere da norme parametro di costituzionalità, nè consentire la disapplicazione della norma tributaria in asserito contrasto con le norme stesse (cfr., ex plurimis, Cass. 8254/09, 8145/11). Ne discende che la legge ordinaria ben può derogare al principio di irretroattività sancito dall’art. 3 dello Statuto del contribuente – sempre salvo, naturalmente, il vaglio di legittimità costituzionale di tale deroga, alla stregua dell’art. 3 o delle altre disposizioni della Costituzione – purchè la retroattività sia espressamente prevista dalla norma derogatoria (Cass. 25722/09); dovendosi poi ulteriormente sottolineare che l’espressa previsione di retroattività – necessaria per poter derogare al principio stabilito dalla L. n. 212 del 2000, art. 3 – sussiste anche quando sia espressamente disposta una decorrenza anteriore della norma tributaria, che il legislatore intenda far operare retroattivamente, sebbene manchi un’espressa qualificazione della disposizione medesima come regola eccezionalmente retroattiva (cfr. Cass. 11141/11, Cass. 5853/12). Il quarto motivo di ricorso – con il quale si critica l’affermazione della sentenza gravata secondo la quale il principio di salvaguardia dell’affidamento del cittadino opererebbe solo nei confronti degli atti costituenti esercizio di potestà amministrativa della pubblica amministrazione e non anche nei confronti del legislatore – si articola su due censure, una relativa alla denunciata violazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, ed una relativa alla denunciata violazione dei principi comunitari in tema di affidamento. Anche tale motivo va disatteso.

Per quanto concerne la censura riferita alla L. n. 212 del 2000, art. 10, si osserva che la critica della ricorrente all’affermazione della Commissione Tributaria Regionale secondo la quale l’articolo 10 della legge n. 212/00 porrebbe un vincolo “alla discrezionalità dell’amministrazione finanziaria ma non anche alla potestà legislativa” merita condivisione, giacchè – come questa Corte ha chiarito nella sentenza 7080/04 – dall’esame delle disposizioni dettate dalla L. n. 212 del 2000, emerge che “la correttezza e la buonafede nei confronti del contribuente debbono essere osservate non solo dall’amministrazione finanziaria in fase applicativa, ma anche dallo stesso legislatore tributario all’atto dell’emanazione delle fonti normative, come emerge in particolare dall’art. 2 che detta i criteri di chiarezza e trasparenza che debbono essere osservati nelle disposizioni tributarie, e dallo stesso art. 3 sul divieto di attribuire ad esse efficacia retroattiva”. Ciò, tuttavia, non implica che il giudice possa disapplicare le norme di legge che ritenga contrastanti con i suddetti principi di correttezza e di buona fede nei confronti del contribuente e, pertanto, la decisione impugnata risulta conforme a diritto e l’erronea affermazione sopra trascritta è correggibile ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c.. Al riguardo si osserva che questa Corte ha più volte precisato che il principio della tutela del legittimo affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica trova la sua base costituzionale nel principio di eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge (art. 3 Cost.); che tale principio costituisce un elemento essenziale dello Stato di diritto, limitandone l’attività legislativa e amministrativa, ed è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico; che nell’ambito della materia tributaria detto principio è stato reso esplicito dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 1 (c.d. Statuto del contribuente); che questa disposizione, a differenza di altre di contenuto innovativo rispetto alla legislazione preesistente, è espressiva, ai sensi della stessa L. n. 212, art. 1, di principi generali, anche di rango costituzionale, già immanenti nel diritto e nell’ordinamento tributario; che quindi detta disposizione vincola l’interprete in forza del canone ermeneutico dell’interpretazione adeguatrice a Costituzione, ed è pertanto applicabile anche ai rapporti tributari sorti in epoca anteriore alla sua entrata in vigore (senti 17576/02, 21513/06, 4388/08). Il vincolo dell’interpretazione conforme, o adeguatrice, a Costituzione opera però pur sempre nell’ambito ermeneutico, ossia presuppone che un testo normativo si presti a diverse opzioni interpretative, delle quali una soltanto sia compatibile con la Costituzione, e, in tal caso, impone all’interprete la preferenza per tale opzione. Quando, invece, il significato di una disposizione sia univoco, il giudice non può disapplicarla per contrasto con la L. n. 212 del 2000, art. 10, restando aperta solo la possibilità di provocarne il vaglio di legittimità costituzionale da parte della Corte Costituzionale; vaglio in cui, peraltro, il parametro di costituzionalità non può essere rappresentato dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, (cfr., ancora, le già citate sentenze nn. 8254/09 e 8145/11).

Per quanto poi concerne la censura avente ad oggetto la dedotta violazione dei principi comunitari in materia di legittimo affidamento nella certezza delle situazioni giuridiche, va preliminarmente evidenziato che, non versandosi in tema di tributi armonizzati (IVA, accise, dazi doganali), la fattispecie non è direttamente regolata da fonti comunitarie. Ciò premesso, la censura va giudicata inammissibile per difetto di specificità ex art. 366 c.p.c., n. 4, (mancata indicazione delle norme di diritto su cui il motivo si fonda), non avendo il ricorrente dedotto la violazione di alcuna specifica disposizione di fonte comunitaria provvista di effetto diretto nell’ordinamento interno. E’ noto, infatti, che solo le norme della Unione Europea provviste di effetto diretto sono suscettibili di applicazione immediata nell’ordinamento nazionale (sul tema, da ultimo, Cass. 12367/12: “In base all’art. 11 Cost., e all’art. 117 Cost., comma 1, il giudice nazionale e, prima ancora, l’amministrazione, hanno il potere-dovere di dare immediata applicazione alle norme della Unione Europea provviste di effetto diretto, con i soli limiti derivanti dai principi fondamentali dell’assetto costituzionale dello Stato ovvero dei diritti inalienabili della persona, nel cui ambito resta ferma la possibilità del controllo di costituzionalità (cfr, per tutte, Corte cosi sentenze n. 183 del 1973 e n. 170 del 1984; ordinanza n. 536 del 1995 nonchè, da ultimo, sentenze n. 284 del 2007, n. 227 del 2010, n. 288 del 2010, n. 80 del 2011)”); per contro, le disposizioni comunitarie non provviste di effetto diretto non sono immediatamente applicabili ma possono fungere da parametro per un giudizio di costituzionalità ex art. 117, comma 1, quali “vincoli derivati dall’ordinamento comunitario” al legislatore nazionale; sempre che, comunque, la fattispecie presenti un collegamento con il diritto dell’Unione e non risulti regolata dalle sole norme nazionali; si veda, su quest’ultimo punto, punto, C. Cost. n. 349/07, ove si legge “la giurisprudenza è sì nel senso che i diritti fondamentali fanno parte integrante dei principi generali del diritto comunitario di cui il giudice comunitario assicura il rispetto, ispirandosi alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri ed in particolare alla Convenzione di Roma (da ultimo, su rinvio pregiudiziale della Corte Costituzionale belga, sentenza 26 giugno 2007, causa C-305/05, Ordini avvocati c. Consiglio, punto 29). Tuttavia, tali principi rilevano esclusivamente rispetto a fattispecie alle quali tale diritto sia applicabile: in primis gli atti comunitari, poi gli atti nazionali di attuazione di normative comunitarie, infine le deroghe nazionali a norme comunitarie asseritamente giustificate dal rispetto dei diritti fondamentali (sentenza 18 giugno 1991, C-260/89, ERT). La Corte di giustizia ha infatti precisato che non ha tale competenza nei confronti di normative che non entrano nel campo di applicazione del diritto comunitario (sentenza 4 ottobre 1991, C-159/90, Society far the Protection of Unborn Children Ireland; sentenza 29 maggio 1998, C-299/95, Kremzow): ipotesi che si verifica precisamente nel caso di specie. “; nello stesso senso, dopo l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, C.Cost. 80/11, dove, con riferimento al richiamo alla CEDU contenuto nell’articolo 6 del trattato sull’Unione (“i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”), si sottolinea che “si tratta di una disposizione che riprende lo schema del previgente paragrafo 2 dell’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea: evocando, con ciò, una forma di protezione preesistente al Trattato di Lisbona; dal che discende l’impossibilità, nelle materie cui non sia applicabile il diritto dell’Unione, di far derivare la riferibilità alla CEDU dell’art. 11 Cost. dalla qualificazione dei diritti fondamentali in essa riconosciuti come “principi generali” del diritto comunitario (oggi, del diritto dell’Unione). Va infine escluso che la Carta costituisca uno strumento di tutela dei diritti fondamentali oltre le competenze dell’Unione Europea; infatti presupposto di applicabilità della Carta di Nizza è che la fattispecie sottoposta all’esame del giudice sia disciplinata dal diritto Europeo e non già da sole norme nazionali prive di ogni legame con tale diritto”.

Il quinto motivo di ricorso – con cui si censura la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, e L. n. 241 del 1990, art. 3, in cui la Commissione Tributaria Regionale sarebbe incorsa ritenendo sufficiente la motivazione dell’impugnato provvedimento di diniego del nulla-osta – è inammissibile, giacchè l’apprezzamento della sufficienza della motivazione del provvedimento impugnato, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione degli atti dell’amministrazione finanziaria fissato dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, costituisce giudizio di fatto del giudice di merito, censurabile in questa sede solo con il mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il sesto motivo di ricorso attinge la statuizione con cui la sentenza gravata ha rigettato la doglianza del contribuente relativa alla mancata indicazione del nome del responsabile del procedimento nell’impugnato provvedimento di diniego di nulla-osta.

Tale statuizione si fonda su una duplice ratio decidendi.

In primo luogo la Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto che l’indicazione del responsabile del procedimento non fosse necessaria, giacchè, essendo la procedura di accertamento degli aventi diritto al nulla-osta gestita da un elaboratore elettronico, difetterebbe, nella specie, “alcun procedimento nell’ambito del quale il contribuente avrebbe potuto interloquire con un dipendente dell’amministrazione”.

In secondo luogo la Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto che, in ogni caso, il provvedimento di diniego del nulla-osta non potrebbe essere annullato per vizi formali, ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, trattandosi di atto a contenuto vincolato.

La ricorrente censura entrambe le argomentazioni del giudice territoriale, assumendo che la prima si porrebbe in contrasto con il disposto della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 2, e la seconda si porrebbe in contrasto con il disposto della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies. Quest’ultima censura è infondata, poichè, come esattamente rilevato dalla Commissione Tributaria Regionale, per il disposto della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, comma 2, l’impugnato diniego di nulla-osta non può essere annullato, in quanto si tratta di atto a contenuto normativamente vincolato, il cui contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Tale atto, infatti, non si fonda sull’esercizio di alcun potere discrezionale, bensì sulla rilevazione, operata dal sistema informatico dell’amministrazione, del fatto che, nel momento in cui il formulario del contribuente è pervenuto telematicamente all’Agenzia delle entrate, le risorse finanziarie stanziate dalla legge a copertura del beneficio fiscale erano già esaurite per effetto delle prenotazioni effettuate con i formulari prevenuti precedentemente.

Poichè la ratio decidendi legata alla non annullabilità del provvedimento impugnato ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, è autonomamente sufficiente per sorreggere la decisione della Commissione Tributaria Regionale sul punto, il rigetto della censura di violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, elimina l’interesse della ricorrente allo scrutinio della censura di violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 2; la quale ultima, pertanto, va giudicata inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse.

In definitiva, tutti i motivi di ricorso diversi dal primo appaiono da rigettare, in quanto la decisione della Commissione Tributaria Regionale di respingere le doglianze proposte dalla contribuente in ordine alla legittimità dell’impugnato diniego di nulla-osta va giudicata conforme alla legge.

La questione di legittimità costituzionale sopra prospettata si palesa dunque rilevante, in entrambi i profili in cui essa si articola, in quanto ai fini della decisione della causa è necessario fare applicazione delle norme dettate dal D.L. n. 185 del 2008, art. 29, nei commi 1, 2 lettera “a” e 3, primo periodo e prima parte della lettera “a”, e alla stregua di tali norme si dovrebbe respingere il ricorso della contribuente avverso l’impugnato diniego nulla-osta, ancorchè tale diniego si riferisca ad un credito di imposta sorto in relazione ad attività di ricerca avviate prima del 29.11.08.

Pertanto, ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, va sollevata la questione di legittimità costituzionale, con riferimento all’art. 3 Cost., del D.L. n. 185 del 2008, art. 29, convertito in legge, con modificazioni, con la L. n. 2 del 2009, sotto i due seguenti profili:

– sotto il primo profilo, nella parte in cui la norma emergente dal disposto del comma 1 di detto articolo (“Le disposizioni di cui al D.L. 8 luglio 2002, n. 138, art. 5, commi 1 e 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 2002, n. 178, sul monitoraggio dei crediti di imposta si applicano anche con riferimento a tutti i crediti di imposta vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto tenendo conto degli oneri finanziari previsti in relazione alle disposizioni medesime. In applicazione del principio di cui al presente comma, al credito di imposta per spese per attività di ricerca di cui alla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi da 280 a 283, si applicano le disposizioni di cui ai commi seguenti”) non fa salvi i diritti e le aspettative sorti – ai sensi della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 280 e segg., – in relazione ad attività di ricerca avviate prima del 29.11.08;

– sotto il secondo profilo, subordinato al primo, nella parte in cui la norma emergente dal combinato disposto del comma 2, lettera “a” (“per le attività di ricerca che, sulla base di atti o documenti aventi data certa, risultano già avviate prima della data di entrata in vigore del presente decreto, i soggetti interessati inoltrano per via telematica alla Agenzia delle entrate, entro trenta giorni dalla data di attivazione della procedura di cui al comma 4, a pena di decadenza dal contributo, un apposito formulario approvato dal Direttore della predetta Agenzia; l’inoltro del formulario vale come prenotazione dell’accesso alla fruizione del credito d’imposta”) e del comma 3, primo periodo, e prima parte della lettera “a” (“L’Agenzia delle entrate, sulla base dei dati rilevati dai formulari pervenuti, esaminati rispettandone rigorosamente l’ordine cronologico di arrivo, comunica telematicamente e con procedura automatizzata ai soggetti interessati: a) relativamente alle prenotazioni di cui al comma 2, lettera a), esclusivamente un nulla-osta ai soli fini della copertura finanziaria”) stabilisce un meccanismo di selezione dei soggetti autorizzati alla fruizione del credito i cui esiti risultano sostanzialmente casuali.

P.Q.M.

La Corte, visto la L. n. 87 del 1953, art. 23, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione all’art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale:

– del disposto del D.L. n. 185 del 2008, art. 29, comma 1, convertito in legge, con modificazioni, con la L. n. 2 del 2009, nella parte in cui non fa salvi i diritti e le aspettative sorti – ai sensi della L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 280 e segg., – in relazione ad attività di ricerca e sviluppo avviate prima del 29.11.08;

– del combinato disposto del comma 2, lett. a), e del comma 3, primo periodo e prima parte del D.L. n. 185 del 2008, medesimo art. 29, lett. a).

Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso.

Ordina che a cura della Cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al Procuratore ******** presso questa Corte ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere.

Così deciso in Roma, il 14 marzo 2013.

Redazione