Cittadino tunisino respinto con provvedimento del Questore: sulla contestazione dello straniero dovrà decidere il giudice ordinario (Cass. n. 15115/2013)

Redazione 17/06/13
Scarica PDF Stampa

Svolgimento del processo

Il cittadino della Tunisia D.B. giunse in Italia sulle coste dell’isola di Lampedusa il 24.8.2011 e, dopo un periodo di accoglienza presso il centro dell’isola, con decreto 6.9.2011 adottato dal Questore di Agrigento ex art. 19 c. 2 d.lgs. 286 del 1998 venne respinto alla frontiera ed interinalmente trattenuto presso il CIE Brunelleschi di Torino.
D.B. con ricorso 5.11.2011 si oppose innanzi al Giudice di Pace di Agrigento a detto respingimento affermando, in via preliminare, la giurisdizione dell’adìto Giudice di Pace e nel merito contestando la legittimità del respingimento adottato dopo tredici giorni dalla identificazione dello straniero.
Il Giudice di Pace di Agrigento con decreto 25.11.2011, preliminarmente rilevato che non potevano essere concessi rinvii dell’udienza al fine di proporre regolamento preventivo, richiamati alcuni precedenti del giudice amministrativo che avevano evidenziato la discrezionalità della Amministrazione nell’adottare i decreti di respingimento, ha opinato in tal senso e pertanto declinato la propria giurisdizione.
Per la cassazione di tale decreto D.B. ha proposto ricorso notificando l’atto al Ministero dell’interno il 23.1.2012; l’Amministrazione non ha svolto difese.

Motivi della decisione

Ritiene il Collegio che il ricorso contenga condivisibili censure alla declinatoria di giurisdizione adottata dal giudice del merito e che, pertanto, affermata la giurisdizione erroneamente negata, vada cassato il decreto e vada disposto rinvio innanzi allo stesso giudice per l’esame della proposta opposizione.
Il ricorso, preso atto della assenza di una esplicita disciplina di impugnativa del decreto di respingimento ma della prevalente giurisprudenza che assegna al giudice ordinario tale cognizione, argomenta dalla lettura dell’art. 10 commi 1, 2, 4 del T.U. approvato con d.lgs. 286 del 1998, in particolare dalla disciplina del respingimento “differito” e dalla sua incidenza sulla libertà personale del respingendo per affermare la piena attrazione della sua contestazione nell’ambito della giurisdizione generale dei diritti soggettivi.
Osserva il Collegio che, come rilevato in ricorso, la disciplina dei respingimenti risultante dagli articoli 10 e 19 del d.lgs. 286 del 1998 non individua il giudice davanti al quale lo straniero può invocare la tutela delle proprie situazioni giuridiche soggettive. Diversamente, è noto, è stato ab origine operato per la individuazione nel Tribunale, poi nel Giudice di Pace, del giudice attributario della cognizione delle opposizioni ad espulsione dall’art. 13 c. 8 dello stesso T.U.
Ciò ha ingenerato una diversità di orientamenti tanto nella giurisprudenza amministrativa quanto in quella ordinaria.
Ed infatti, secondo un primo orientamento, le controversie relative ai respingimenti con accompagnamento alla frontiera adottati dal questore ai sensi dell’art. 10 c. 2 dei d.lgs. 286 del 1998 sono devolute al giudice ordinario avendo una omogeneità “contenutistica e funzionale” con i provvedimenti di espulsione, rispetto ai quali si pongono in un rapporto di species a genus sì chè dovrebbero ritenersi applicabili anche ai respingimenti l’art. 13 del T.U. sull’immigrazione (per la giurisprudenza amministrativa v. t.a.r Sicilia, 9 settembre 2010 n. 1036 – che trae argomento anche dal rapporto con la disciplina del diritto di asilo e, in generale, del diritto alla protezione umanitaria – e 17 marzo 2009, n. 510; t.a.r Campania, 3 luglio 2007, n. 6441; t.a.r. Calabria, 23 febbraio 2007, nn. 112 e 113; t.a.r. Sicilia, 7 novembre 2006, n. 2706; t.a.r. Calabria, 26 aprile 2006, n. 432; per la giurisprudenza ordinaria v. giud. pace Agrigento 8 luglio 2011, n. 478 e 26 settembre 2008, n. 555).
Altro orientamento radica in capo al giudice amministrativo l’impugnazione dell’atto di respingimento adottato dal questore, in ragione della sua natura di atto autoritativo, che lo ricondurrebbe naturaliter nella giurisdizione generale di legittimità ai sensi dell’art. 103 c. 1 Cost. (v. per la giurisprudenza amministrativa, Cons. Stato, parere 4 febbraio 2011, n. 571/11; t.a.r. Lombardia, 16 febbraio 2009, n. 1312, t.a.r. Friuli Venezia Giulia 29 gennaio 2007, n. 102; t.r.g.a. Bolzano, 23 settembre 2006, n. 119; t.a.r. Piemonte 19 luglio 2005, n. 2561; t.a.r. Lazio 28 maggio 2003, n. 4830; per la giurisprudenza ordinaria v. trib. Agrigento 26 marzo 2009; trib., Palermo 13 maggio 2005).
Ad avviso del Collegio deve ritenersi pienamente condivisibile l’opinione, fatta propria dal ricorso in disamina, che conduce ad affermare la giurisdizione del giudice ordinario non per effetto dell’applicazione analogica delle cennate disposizioni sull’opposizione alla espulsione bensì alla stregua di considerazioni desumibili dal sistema.
Non può, invero e certamente, farsi applicazione analogica dell’art. 13, c. 8 d.lgs. n. 286 del 1998, trattandosi di norma speciale che ha abrogato la previsione contenuta nell’art. 5, c. 3 del D.L. n. 416 del 1989, conv. in legge n. 39 del 1990: la norma abrogatrice, invero, superava la generale attribuzione al giudice amministrativo della giurisdizione sulle impugnazioni dei provvedimenti prefettizi di espulsione sulla base del rilievo, emergente dai lavori preparatori (in particolare dalla relazione al d.d.l., n. 3240) secondo cui la scelta a favore del giudice ordinario, veniva operata da un canto perché “il giudice ordinario, per struttura ed organizzazione diffuse sul territorio, appare in grado di operare entro i brevi termini previsti dalla legge” e dall’altro canto perché tale scelta non trovava “particolari ostacoli neppure dal punto di vista sistematico”: e si faceva significativo riferimento al fatto che l’ordinamento già conosceva altre ipotesi di attribuzione della giurisdizione ordinaria dei ricorsi avverso provvedimenti della pubblica amministrazione, in specie nel caso delle opposizioni ai provvedimenti di irrogazione di sanzioni amministrative.
Deve dunque, in raccordo con le premesse esigenze di mantenere ferma una coerenza di “sistema”, darsi atto che il provvedimento del questore diretto al respingimento incide su situazioni soggettive aventi consistenza di diritto soggettivo: l’atto è infatti correlato all’accertamento positivo di circostanze-presupposti di fatto esaustivamente individuate dalla legge (art. 10, c. 2 lett. a) e b) del d.lgs n. 286 del 1998), ed all’accertamento negativo della insussistenza dei presupposti per l’applicazione dalle disposizioni vigenti che disciplinano la protezione internazionale nelle sue forme del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ovvero che impongono l’adozione di misure di protezione solo temporanea per motivi umanitari (art. 10, c. 2 e 19, c. 1 d.lgs. n. 286 del 1998). E pertanto, in mancanza di norma derogatrice che assegni al giudice amministrativo la cognizione della impugnazione dei respingimenti, deve trovare applicazione il criterio generale secondo cui la giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto diritti soggettivi, proprio in ragione della inesistenza di margini di ponderazione di interessi in gioco da parte della Amministrazione, spetta al giudice ordinario.
Pare poi necessario aggiungere che il predetto accertamento negativo che costituisce requisito di legittimità del provvedimento di respingimento del questore, è diverso e indipendente dal procedimento di accertamento spettante alle commissioni territoriali: esso, perché svolto per la verifica del requisito di legittimità del provvedimento di respingimento del questore, non interferisce con le competenze demandate alle commissioni territoriali, alle quali, a seguito di presentazione dell’istanza dell’interessato spetta di accertare in via definitiva e previa adeguata istruttoria, anche officiosa, la sussistenza dei presupposti per la concessione dello status di rifugiato e delle altre misure di protezione internazionali. L’accertamento in discorso infatti si esprime in valutazioni necessariamente sommarie, stante l’intrinseca urgenza, e del tutto incidentali.
La appena formulata statuizione è del resto coerente con quanto questa Corte ha già avuto modo di rilevare, sia con riferimento alla situazione normativa vigente prima del 20 aprile 2005 (Cass. S.U. n. 19393 del 2009) sia con riguardo alla disciplina successiva all’entrata in vigore dell’art. 1 quater D.L. 30 n. 416 del 1989 (convertito in legge n. 39 del 1990), introdotto dall’art. 32, c. 1, lett. b), legge n. 189 del 2002 (Cass. S.U. n. 11535 del 2009), e cioè l’appartenenza alla giurisdizione ordinaria di tutte le controversie in materia di protezione internazionale, che comprendono le domande di tutela del diritto alla protezione umanitaria, del diritto allo status di rifugiato e del diritto costituzionale di asilo, aventi identica natura riconducibile alla categoria dei diritti umani fondamentali, che debbono essere riconosciuti allo straniero “comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato (art. 2, c. 1 d.lgs. n. 286 del 1998). E tali situazioni protette, in quanto coperte dalla garanzia apprestata dall’art. 2 Cost., non possono essere degradate a interessi legittimi per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo, a tal potere potendo essere rimesso solo l’accertamento dei presupposti di fatto che legittimano la protezione, facendo uso di una mera discrezionalità tecnica, essendo il bilanciamento degli interessi e delle situazioni costituzionalmente tutelate riservate al legislatore, fermo il rispetto delle convenzioni vigenti, e in particolare dell’art. 3 CEDU (in tal senso anche Cass. n. 3898 del 2011, 10636 del 2010, 26253 del 2009). Le ragioni appena illustrate trovano peraltro conferma nella recente sentenza 23 febbraio 2012 della Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo (Hirsi Jamaa e altri c. Italia), che, nel dichiarare illegittimi i respingimenti, effettuati in mare, verso la Libia, per violazione, tra l’altro, dell’art. 3 CEDU, ha affermato che “le difficoltà nella gestione dei flussi migratori non possono giustificare il ricorso, da parte degli Stati, a pratiche che sarebbero incompatibili con i loro obblighi derivanti da convenzioni”. E, in particolare che “L’Italia non è dispensata dal dovere di rispettare i propri obblighi derivanti dall’articolo 3 della Convenzione per il fatto che i ricorrenti avrebbero omesso di chiedere asilo o di esporre i rischi cui andavano incontro..”.
Da quanto esposto discende, in conclusione, ed in totale coincidenza con il decisum e con gli argomenti della appena pubblicata ordinanza, delle S.U n. 14502 del 2013, che debba essere cassato il decreto in accoglimento del ricorso e dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario: le parti dovrebbero essere rimesse davanti al tribunale territorialmente competente, non potendosi, come sopra detto, applicare analogicamente la speciale competenza del giudice di pace prevista dall’art. 13 c. 8 d.lgs. 286 del 1998 per l’impugnazione dei provvedimenti di espulsione e dovendosi dare corso alla generale e residuale attribuzione di competenza di cui all’art. 9 c.p.c. Ma a tale conclusione fa ostacolo la preclusione nella specie avveratasi per la mancata denunzia impugnatoria e per il mancato rilievo officioso – con la conseguenza per la quale devesi rinviare al Giudice di Pace di Agrigento il cui decreto viene in questa sede cassato.
La novità della questione consiglia di dichiarare irripetibili le spese.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso e dichiara la; giurisdizione del giudice ordinario, cassa il decreto impugnato contenente la declinatoria e rinvia innanzi al Giudice di Pace di Agrigento in persona di altro magistrato. Spese non ripetibili.

Redazione