Circostanze del reato: la Cassazione annulla la sentenza limitatamente all’aggravante dei futili motivi (Cass. pen. n. 31454/2012)

Redazione 01/08/12
Scarica PDF Stampa

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 2 novembre 2010 la Corte di assise di appello di Milano ha confermato la sentenza emessa, all’esito di giudizio abbreviato, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale della stessa sede, in data 16 luglio 2009, con fa quale C.F. e C.D., rispettivamente padre e figlio, sono stati condannati alla pena di anni quindici e mesi quattro di reclusione, ciascuno, riconosciute le circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza alla aggravante e alle recidive contestate, per concorso nell’omicidio volontario del diciannovenne cittadino marocchino, G.A.S., detto A., aggredito dagli imputati, armati di un bastone e di un’asta metallica, con la quale C.D. colpì alla testa il G., provocandogli una ferita penetrante della volta cranica con lesioni encefaliche e meningocerebrali e shock emorragico irreversibile, da cui derivò la morte del G., in (omissis); delitto aggravato dai futili motivi, consistiti in una reazione eccezionalmente violenta e sproporzionata rispetto al comportamento della persona offesa, concretizzatosi nella mera sottrazione dal bar, gestito dagli imputati, di due confezioni di biscotti “*****” e di due barrette di cioccolato; e con la recidiva reiterata e specifica per C.F. e solo specifica per C.D.
La sentenza di appello ha confermato anche la condanna degli imputati per concorso nella contravvenzione di porto ingiustificato dell’asta metallica e del bastone utilizzati, sulla pubblica via, come strumenti per commettere il più grave delitto di omicidio, con l’unificazione dei reati contestati nella continuazione.
Sulla base delle risultanze istruttorie (dichiarazioni delle persone informate perché presenti sulla scena del delitto; esiti della consulenza collegiale, affidata a tre esperti in medicina legale, anatomopatologia e genetica; accertamenti tecnici sull’asta metallica costituente l’arma del delitto; videoriprese realizzate nella zona, teatro del fatto, dalle telecamere di sorveglianza dell’impresa F., ubicata nelle vicinanze, con isolamento delle immagini in vari fotogrammi; dichiarazioni degli imputati), la tragica vicenda è stata ricostruita da entrambi i giudici di merito nei seguenti termini. Verso le ore sei del mattino di domenica, (omissis) , G.A.S., reduce con alcuni amici e amiche da una notte trascorsa in discoteca, entrò con i compagni, R.S. e K.J., nel bar (omissis), sito in via (omissis), gestito da C.F. e dal figlio trentunenne dello stesso, C.D. I due C. avevano lavorato per tutta la notte, poiché, tre volte alla settimana, il giovedì, il venerdì e il sabato, esercitavano la vendita ambulante di panini, utilizzando il proprio furgone attrezzato. Allorché i tre giovani marocchini entrarono nel bar, i C. non erano presenti: il padre, F., era impegnato nella sistemazione del furgone utilizzato per il lavoro notturno, parcheggiato di fronte al locale a pochi metri di distanza; il figlio, D., era occupato nella parte più interna del bar ad allestirlo per il lavoro diurno (accensione della macchina per il caffè e del forno per il riscaldamento delle brioches).
Il G., il R. e il K., una volta entrati senza trovare nessuno, prelevarono da un espositore, sul banco, due confezioni di biscotti “*****” e due barrette di cioccolato e, quindi, uscirono dal bar.
I loro movimenti non sfuggirono all’attenzione di C.F., il quale, accortosi che i tre ragazzi portavano con sé qualcosa prelevata all’interno del suo locale, gridò al loro indirizzo, ma i giovani, che ridevano e scherzavano tra loro mentre iniziavano a consumare i biscotti appena appresi, risposero per le rime e continuarono il loro percorso, accelerando il passo. Il C., allora, dopo una breve consultazione con il figlio nel frattempo a lui riunitosi, sali sul furgone e, insieme, si diressero verso i giovani. Un volta raggiunti i ragazzi, i due C. scesero dal veicolo, impugnando il padre un bastone di legno, che non è stato rinvenuto, e il figlio l’asta metallica destinata alla chiusura della saracinesca del furgone, lunga circa un metro e dieci e recante ad una estremità una maniglia e all’altra un gancio di circa 7 centimetri, disposto perpendicolarmente rispetto all’asse metallico. Con i predetti strumenti e rivolgendosi ai giovani, apostrofati sprezzantemente come “negri” e con altri epiteti denigratori, i C. cominciarono a colpirti, distinguendosi nella prima fase come più attivo il padre, armato del bastone di legno. Il G. e i suoi amici reagirono, cercando tra i rifiuti strumenti coi quali contrastare gli antagonisti e gettarono contro i C. bottiglie di vetro vuote per allontanarli, battendo in terra la mazza di una scopa, pure rinvenuta tra i rifiuti, che subito si ruppe.
Nel corso dello scontro fisico e verbale, che si sviluppò attraverso alcune fasi, progressivamente inasprendosi, intervenne C. figlio e con l’asta metallica impugnata colpì sul capo il G., il quale si accasciò al suolo esanime e sanguinante dalla testa. Spaventato dagli effetti del colpo infetto (l’autore percepì come una piegatura del gancio dell’asta la sua penetrazione nella scatola cranica della vittima), C.D. abbandonò sul posto la sbarra e convinse il padre ad allontanarsi immediatamente dal luogo dello scontro. Il G., soccorso dagli amici tra cui il sopraggiunto K.D.B.M., nel frattempo munitosi di una mazza da baseball per dare man forte agli amici, fu trasportato in ospedale, dove cessò di vivere in sala operatoria a causa delle gravissime lesioni subite. I due C., rientrati a casa, furono identificati e arrestati poche ore dopo il fatto e ad essi fu applicata la misura della custodia cautelare in carcere per concorso in omicidio volontario.
Per quanto rileva in questa sede, entrambe le sentenze di merito hanno qualificato il fatto come omicidio volontario, poiché la presenza di ferite sul capo della vittima, recante i segni – secondo il consulente medico legale – di almeno tre colpi infetti da C.D. alla testa del G. di cui uno solo letale; il tipo di asta impiegata per colpire, idonea per le sue caratteristiche di peso, consistenza e conformazione, con specifico riguardo al gancio posizionato perpendicolarmente alla sua estremità, a costituire uno strumento micidiale; il contesto dell’azione contraddistinto dalla forte aggressività dei due C., impegnati in una spedizione punitiva contro gli avversari, definiti spregiativamente con riguardo al diverso colore della loro pelle; ebbene, tutti i predetti elementi consentivano, secondo i giudici territoriali, di ritenere provata l’esistenza della volontà omicida nella forma del dolo eventuale (previsione in concreto ovvero rappresentazione dell’evento mortale, con accettazione del relativo rischio).
Le sentenze di merito hanno, inoltre, escluso il concorso anomalo di C. padre nel delitto di omicidio materialmente commesso dal figlio, poiché entrambi gli imputati erano animati, fin dall’inizio, da volontà aggressiva nei confronti degli autori del furto in loro danno e li affrontarono armati di strumenti, di cui almeno uno potenzialmente micidiale, nella concreta previsione e correlativa accettazione del probabile rischio di una degenerazione dello scontro fisico, pur non essendo ispirati da un’originaria volontà omicida.
Quanto al trattamento sanzionatorio, i giudici di merito hanno riconosciuto la circostanza aggravante dei futili motivi per la vistosa sproporzione esistente tra la violenta reazione posta in essere dagli imputati con lesione mortale inferta al G. e il furto di biscotti e barrette di cioccolato, di irrisorio valore, appena prima consumato dalla vittima e dai suoi compagni all’interno del bar, banalità del furto di cui gli imputati erano consapevoli, avendo uno dei testimoni presenti, Z.H., udito C.F. apostrofare i giovani avventori come “sporchi negri, ladri di cioccolatini, vi ammazzo”. Sono state, in particolare, escluse dai giudici del doppio grado del processo di merito le circostanze attenuanti della provocazione e del concorso della persona offesa nella produzione dell’evento doloso: riguardo alla provocazione, è stata rilevata la vistosa inadeguatezza della reazione (spedizione armata punitiva) rispetto alla banale azione furtiva, sintomatica di una condotta aggressiva compiuta non già in preda ad un semplice stato d’ira, ma con sentimenti di vendetta mista ad odio, rafforzati dalla provenienza geografica degli avversati, come attestato dalle frasi sprezzanti rivolte dagli imputati ai giovani antagonisti: “Venite a rubare e poi scappate… ladri ritornate nei vostri paesi”; riguardo alla circostanza attenuante prevista dall’art. 62, comma primo, n. 5, c.p., si è osservato che la condotta della vittima non costituì concausa, ai sensi dell’art. 41 c.p., dell’evento letale sia sotto il profilo della causalità materiale, sia sotto il profilo della causalità psicologica.
Infine, il mancato giudizio di prevalenza delle pur riconosciute attenuanti generiche sulla ritenuta circostanza aggravante dei futili motivi e sulle contestate recidive è stato giustificato, per entrambi gli imputati, in ragione della particolare gravità della loro condotta prima, durante e dopo il fatto e dei rispettivi, anche specifici, precedenti penali.
2. Avverso la predetta sentenza hanno proposto un unico ricorso per cassazione entrambi gli imputati tramite il comune difensore, avvocato M. B. del foro di Milano, il quale, dopo aver stigmatizzato la tecnica redazionale della sentenza di appello per avere inserito nel corpo della decisione due pagine pertinenti a motivazione di altro fatto reato, oggetto di diverso processo, e per avere ridotto la replica alle censure difensive alle ultime cinque pagine, con testuale riproduzione del contenuto della prima sentenza e dei motivi di appello, deduce violazione di legge e vizio della motivazione in relazione ai seguenti punti della decisione: a) mancata riqualificazione del più grave fatto reato come omicidio preterintenzionale; b) omessa esclusione della circostanza aggravante dei futili motivi; c) mancato riconoscimento dell’attenuante della provocazione ex art. 62, n. 2, c.p.; d) illegittima negazione dell’attenuante del concorso del fatto doloso della persona offesa nella determinazione dell’evento, ex art. 62, n. 5, c.p.; e) omessa qualificazione della partecipazione di C.F. al fatto in termini di concorso anomalo, ai sensi dell’art. 116 c.p.; f) mancato giudizio di prevalenza, in favore di C.D., delle attenuanti generiche sulla contestata aggravante e recidiva.
2.1. Ad avviso dei ricorrenti, i dati scientifici e oggetti vi acquisiti al procedimento, uniti ai dati dichiarativi complessivamente e analiticamente considerati, non permetterebbero con certezza di comprovare la volontà omicida, seppure a titolo di dolo indiretto, in capo a C.D. , il quale si sarebbe limitato ad infliggere un solo colpo alla testa del G. con l’asta metallica (la tesi dei plurimi colpi infetti con le due estremità della sbarra, in rapidissima successione tra loro, supporrebbe abilità quasi da giocoliere nell’agente che avrebbe dovuto far ruotare l’asta su stessa), in una fase alquanto concitata dello scontro in cui tutti gli attori di esso erano in continuo movimento con conseguente difficoltà di una mira precisa e deliberatamente diretta a colpire sedi vitali; il fatto, pertanto, avrebbe dovuto essere qualificato come omicidio preterintenzionale.
2.2. L’aggravante dei futili motivi sarebbe smentita dall’azione furtiva commessa immediatamente prima dalla vittima e dai suoi amici, della cui pochezza gli imputati non potevano avere piena consapevolezza al momento della loro reazione, considerata l’ubicazione del bancone rispetto al punto di osservazione dall’esterno di C.F. e l’abitudine di C.D. di lasciare il borsello con l’incasso della notte (nella fattispecie di circa 500 Euro) sul banco di mescita del bar, donde il giustificato allarme degli imputati nel timore di essere stati derubati di una somma non irrilevante. I giudici di merito avrebbero riconosciuto e confermato la suddetta aggravante, condizionati dallo sfondo razziale attribuito alla vicenda, trasformando gli appellativi “sporchi negri” e simili attribuiti ai C., da manifestazione di una mentalità fortemente conservativa e gelosa della propria identità nella ritenuta aggravante dei futili motivi a carico degli stessi imputati, prescindendo dal concreto contesto di reciproca intolleranza e scambio di epiteti ingiuriosi da ambo le parti che caratterizzò la dinamica dell’intera vicenda.
2.3. La circostanza attenuante della provocazione sarebbe stata esclusa senza una puntuale analisi del fatto delittuoso, innescato dal furto e dalla successiva sfrontatezza dei giovani marocchini che provocò il successivo scontro, indebitamente trasformando la Corte di merito lo stato d’ira conseguente all’ingiusto fatto altrui in sentimenti di vendetta e di odio, che esulerebbero dalla provocazione, mentre la Corte di legittimità avrebbe riconosciuto la possibilità della loro compresenza, e ciò anche per l’oggetti va difficoltà di discernere nei singoli casi concreti i detti atteggiamenti emotivi.
2.4. La sussistenza della circostanza attenuante del fatto doloso della persona offesa, concorrente nella determinazione dell’evento, discenderebbe dalla corretta riqualificazione del fatto come omicidio preterintenzionale, tenuto conto dello scontro fisico volontariamente ingaggiato anche dai giovani marocchini contro i loro inseguitori.
2.5. Il concorso anomalo di C.F. nel delitto di omicidio sarebbe stato erroneamente escluso, poiché dalle riprese filmiche emergerebbe l’autonomia dell’azione del predetto imputato rispetto a quella del figlio, soprattutto nel momento dello scontro finale tra C.D. e il G., essendo C.F. , in quel frangente, impegnato a fronteggiare gli altri due giovani, e risultando del tutto indimostrata l’affermazione che sarebbe stato il padre ad armare il figlio con l’asta metallica che colpì mortalmente la vittima. Al contrario, C.D. prelevò autonomamente dal furgone la predetta sbarra e non fu mai incitato o istigato dal padre all’azione, il quale conseguentemente non poteva prevedere il tragico epilogo dello scontro nell’unica fase che vide più attivo il figlio, fino a quel punto dimostratosi meno aggressivo e in posizione più defilata rispetto al genitore.
2.6. La Corte di merito non avrebbe giustificato l’omesso giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche riconosciute a C.D. sulla contestata aggravante dei futili motivi e sulla recidiva specifica, considerato l’unico precedente penale dell’imputato, il suo collaborativo comportamento processuale come tale riconosciuto nella stessa sentenza, e il significativo sforzo risarcitorio compiuto nei confronti delle persone offese, destinatane della somma di Euro 100.000 a seguito della vendita dell’immobile di proprietà degli imputati.

Considerato in diritto

Premesso che la sentenza impugnata effettivamente contiene, come rilevato dai ricorrenti, due pagine pertinenti alla motivazione di diversa decisione, numerate come 21 bis e 22, senza che tale evidente errore materiale di collazione incida sulla completezza del discorso motivazionale attinente al presente processo, il ricorso deve ritenersi fondato nei limiti della ritenuta sussistenza della circostanza aggravante dei futili motivi e del conseguente trattamento sanzionatorio; nel resto va, invece, respinto.
1.1. Il primo motivo, che lamenta la mancata qualificazione del fatto come omicidio preterintenzionale, è infondato. La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che il criterio distintivo tra l’omicidio volontario e l’omicidio preterintenzionale risiede nell’elemento psicologico, nel senso che nell’ipotesi della preterintenzione la volontà dell’agente è diretta a percuotere o a ferire la vittima, con esclusione assoluta di ogni previsione dell’evento morte, mentre nell’omicidio volontario la volontà dell’agente è costituita dell’animus necandi, ossia dal dolo intenzionale, nelle gradazioni elaborate dalla giurisprudenza del dolo diretto, comprensivo di quello alternativo, e indiretto od eventuale, il cui accertamento è rimesso alla valutazione rigorosa di elementi oggettivi desunti dalle concrete modalità della condotta (Sez. I, n. 25239 del 20/05/2001, dep. 21/06/2001, Milid, Rv. 219433; Sez. I, n. 35369 del 4/07/2007, dep. 21/09/2007, *****, Rv. 237685; Sez. I, n. 30304 del 30/06/2009, dep. 21/07/2009, **********, Rv, 244743). Tra gli elementi oggettivi che rilevano per discriminare, nel fatto di omicidio, l’elemento psicologico della preterintezione da quello del dolo, vanno annoverati il tipo e la micidialità dello strumento offensivo, la reiterazione e la direzione dei colpi, la parte vitale del corpo presa di mira e quella concretamente attinta.
Nel caso in esame, i giudici di merito hanno correttamente apprezzato: a) l’elevata potenzialità lesiva dell’asta metallica, lunga un metro e dieci centimetri, terminante ad una estremità con un gancio di sette centimetri, disposto perpendicolarmente all’asse, che, nella fase più concitata dello scontro fisico tra gli imputati e i giovani marocchini, fu usata da C.D. per colpire il G.; b) la reiterazione dei colpi infetti con la detta asta alla vittima; c) la direzione dei colpi alla testa per la rilevata presenza di tre ferite al capo, di cui quella mortale determinante lo sfondamento della volta cranica per la penetrazione del gancio della sbarra, simile per conformazione ad un piccone, nella testa della giovane vittima.
Da tali oggettive modalità dell’azione per tipo di strumento utilizzato, direzione dei colpi e zona vitale attinta, i giudici di merito hanno coerentemente dedotto che la volontà degli imputati non fu diretta solo a percuotere gli antagonisti, con assoluta esclusione dell’evento letale, ma si rappresentò e accettò la possibilità concreta di uccidere come purtroppo verificatosi, donde la legittima qualificazione del fatto come omicidio volontario connotato dal dolo eventuale.
I rilievi del ricorrente circa l’unicità del colpo alla testa e l’illogicità di altri colpi nella medesima direzione i quali avrebbero imposto all’agente un’abilità quasi da giocoliere, posto che la sbarra fu utilizzata dalla parte del gancio solo nella produzione della ferita mortale mentre, secondo gli accertamenti medico legali, le altre lesioni furono prodotte con l’estremità opposta di essa sagomata a guisa di maniglia, risultano smentiti dai puntuali esiti della consulenza medico legale, richiamati nella sentenza impugnata, che segnalano almeno tre lesioni alla testa del G. infette con la predetta asta, individuate dall’esperto con i numeri 5, 6 e 8, di cui solo quest’ultima mortale. Né appare illogica l’attribuzione di esse all’impiego della sbarra da ambedue le sue estremità: quella terminante nel gancio perpendicolare di sette centimetri che sfondò il cranio del povero G. e penetrò in tutta la sua lunghezza all’Interno dell’encefalo; e quella avente forma di maniglia che determinò, secondo i rilievi del medico legale, le due ulteriori lesioni escoriative riscontrate sul capo della vittima. Va, infatti, considerato che lo scontro fisico tra gli imputati e i giovani ladri ebbe un suo sviluppo temporale, come si evince dalla puntuale ricostruzione operata dai giudici di merito, e non si esaurì nei pochi istanti che precedettero l’assestamento dell’ultimo, purtroppo fatale, colpo al giovane G.
I giudici di merito hanno, inoltre, adeguatamente valutato e coerentemente ritenuto irrilevanti, al fine della qualificazione del fatto come omicidio preterintenzionale, gli ulteriori rilievi difensivi in punto di impossibilità di stabilire il grado di violenza con il quale la vittima venne mortalmente colpita e l’esatta posizione in cui essa si trovava nel momento in cui fu ferita alla testa, sottolineando, da un lato, la micidialità dello strumento utilizzato come arma e la parte vitale da esso attinta come elementi sintomatici della rappresentazione e accettazione del rischio dell’evento mortale; e, dall’altro, la crescente aggressività della contesa anche per la reazione violenta dei giovani stranieri, che, esasperando gli animi e incrudelendo le modalità dello scontro, rese vieppiù concreta la possibilità di un suo esito letale.
Segue il rigetto della denuncia di violazione di legge e difetto motivazionale, dovendo ritenersi corretta, alla luce degli elementi come sopra rappresentati dai giudici di merito, la qualificazione del fatto come omicidio volontario anziché preterintenzionale.
1.2. Giova a questo punto esaminare, per esaurire i temi di censura attinenti alla corretta definizione del reato ascritto agli imputati, il sesto motivo di ricorso che lamenta l’omesso riconoscimento del concorso anomalo, ai sensi dell’art. 116 c.p., in favore di C.F. Secondo il ricorrente, i giudici di merito avrebbero travisato il materiale probatorio attribuendo a C.F. il pieno contributo materiale e morale all’azione mortale perpetrata dal solo figlio, poiché avrebbero omesso di considerare che C.D. agi in piena autonomia rispetto al padre, senza che il genitore gli fornisse l’asta metallica e senza ricevere dallo stesso, che pure si era segnalato, nella fase iniziale, come più attivo e aggressivo del figlio, nemmeno un incitamento verbale a colpire gli avversari. L’armamento leggero, consistente in un semplice bastone, di cui si era munito C.F. per percuotere i giovani ladruncoli, confermerebbe l’assoluta imprevedibilltà dell’evento più grave, derivato dall’autonoma scelta di C.D. di colpire con l’asta metallica di chiusura del furgone il giovane G. alla testa.
Il motivo è infondato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte il concorso cosiddetto anomalo, previsto dall’art. 116 c.p., è contraddistinto da due limiti negativi, uno soggettivo o psicologico e l’altro oggettivo o materiale: a) l’accertamento che l’evento diverso non sia stato voluto neppure sotto il profilo del dolo alternativo o eventuale e, dunque, che il reato più grave non sia stato già considerato come possibile conseguenza ulteriore o diversa della condotta criminosa concordata; b) l’accertamento della non atipicità dell’evento diverso, o più grave, rispetto a quello concordato, in modo che l’evento realizzato non sia conseguenza di circostanze eccezionali, imprevedibili e non ricollegabili all’azione criminosa, si da interrompere il nesso di causalità (Sez. VI, n. 20667 del 12/02/2008, dep. 22/05/2008, Scambia, Rv. 240060; Sez. VI, n. 6214 del 05/12/2011, dep. 16/02/2012, **********, Rv, 252405). Orbene, la ricostruzione della dinamica del fatto operata dai giudici di merito con motivazione adeguata e coerente, immune da vizi logici e giuridici e, come tale, insindacabile in questa sede, esclude, nel caso in esame, i limiti negativi di cui sopra. C.F. è, infatti, indicato come il vero motore della ritorsione nei confronti dei giovani stranieri: fu lui a vedere uscire i ragazzi dal bar; ad inveire una prima volta contro di loro; a chiamare il figlio e a concordare con lo stesso la spedizione punitiva, munendosi ciascuno di un’arma: il padre di un bastone e il figlio dell’asta metallica prelevata dallo stesso furgone guidato dal genitore, col quale raggiunsero i ragazzi. La condivisa volontà di punire i giovani antagonisti con strumenti contemporaneamente appresi, di cui l’asta metallica di elevata potenzialità lesiva sia per il suo peso e consistenza, sia per la peculiare conformazione a guisa di piccone ad una estremità, rese dunque concretamente prevedibile da parte di entrambi gli aggressori, anche per la pronta reazione delle vittime, una degenerazione dello scontro con esiti nefasti, che, pertanto, non si posero come eccezionali e atipici rispetto all’evento lesivo inizialmente concordato, ma furono oggetto di rappresentazione e conseguente accettazione del relativo rischio. Correttamente, dunque, i giudici di merito hanno attribuito a C.F. il pieno concorso, ai sensi dell’art. 110 c.p., insieme al figlio, C.D. , autore materiale del colpo fatate, nel delitto di omicidio di G.A.S..
1.3. Passando ai motivi attinenti al trattamento sanzionatorio, si reputa opportuno anteporre l’esame delle censure attinenti all’esclusione della provocazione e del concorso del fatto doloso della persona offesa all’esame della riconosciuta aggravante dei futili motivi che pure costituisce oggetto di impugnazione.
Va, subito, rilevata la manifesta infondatezza del motivo che lamenta il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 5, c.p., sul presupposto della riqualificazione del fatto come omicidio preterintenzionale, che è stata già esclusa con il rigetto del primo motivo di ricorso. La circostanza attenuante del concorso del fatto doloso della persona offesa richiede, infatti, ai fini della sua sussistenza, l’integrazione di un elemento materiale, quale è l’inserimento del comportamento della persona offesa nella serie delle cause determinatrici dell’evento, e di un elemento psichico, consistente nella volontà di concorrere a determinare lo stesso evento (Sez. I, n. 29938 del 14/07/2010, dep. 29/07/2010, **********, Rv. 248021). E, nel caso in esame, è evidente che nella reazione all’aggressione degli imputati da parte del G. , il quale, al termine dello scontro, finì ucciso da C.D., va ravvisata una condotta della vittima confliggente con quella degli aggressori, e, perciò, non costituente elemento della medesima serie causale di produzione dell’evento letale da lui subito, ma in rapporto di mera occasionante con esso. Segue l’inammissibilità della censura relativa al mancato riconoscimento della detta attenuante.
1.4. È, poi, infondato il motivo di ricorso che denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione per l’omessa affermazione della circostanza attenuante della provocazione. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, pur non essendo il concetto di adeguatezza e proporzione fra le opposte condotte elemento caratterizzante l’attenuante della provocazione di cui all’art. 62, comma primo, n. 2, c.p., tuttavia la medesima va negata ogni qualvolta la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui ed il reato commesso sia oggettivamente talmente grave e macroscopica da escludere uno o più degli elementi propri dell’attenuante medesima, come lo stato d’ira ovvero il nesso causale fra il fatto ingiusto e l’ira (Sez. I, n. 1305 del 15/11/1993, dep. 04/02/1994, ******, Rv. 197245; Sez. I, n. 30469 del 15/07/2010, dep. 30/07/2010, *******, Rv. 248375).
Orbene la sentenza impugnata, con adeguata e coerente motivazione, immune da vizi logici e giuridici, ha sottolineato l’assoluta sproporzione tra la sottrazione di due confezioni di biscotti “*****” e di due barrette di cioccolato, aventi modestissimo valore, da parte dei giovani marocchini, e la violenta reazione armata dei C., tale da elidere il nesso causale tra lo stato d’ira determinato dalla prima e la risposta oltremodo aggressiva degli imputati. Il fatto illecito in sé, per la sua modestia, non sarebbe stato sufficiente a scatenare la volontà di ritorsione degli imputati, la quale, per le modalità concrete della condotta attuata con l’inseguimento dei fuggitivi a bordo del furgone e l’immediata aggressione armata degli stessi, rivelò piuttosto, secondo la coerente valutazione dei giudici di merito, un’autonoma volontà di vendetta accesa dal contegno strafottente tenuto dai ragazzi e portata alle estreme conseguenze dalla considerazione della loro provenienza geografica. Gli ulteriori rilievi del ricorrente con riguardo alla reazione ingiuriosa e violenta anche dei giovani destinatari della spedizione punitiva valorizzano comportamenti successivi e reattivi all’aggressione intrapresa dai soli imputati e, perciò, non vanificano la rilevata assoluta sproporzione tra l’iniziale fatto ingiusto e la violenta reazione dei C.
1.5. Come si è anticipato, ritiene invece la Corte che sia fondato il motivo di ricorso che lamenta il vizio di motivazione in punto di ritenuta ricorrenza dei futili motivi. Il giudice di appello fonda il riconoscimento della detta aggravante sulla ritenuta consapevolezza, da parte degli imputati, di aver subito il solo furto di beni di valore irrisorio (biscotti e cioccolato) e non anche del borsello con l’incasso della notte di lavoro appena terminata, donde l’apprezzamento come “assoluta ed indiscussa” della futilità del motivo di contrarietà che determinò l’aggressione, confermata dal fatto che, nel corso dello scontro, i C. non chiesero la restituzione del borsello e C.F. si rivolse ai giovani antagonisti con le parole “sporchi negri, ladri di cioccolatini, vi ammazzo…”, secondo la testimonianza di uno degli amici della vittima, presente al fatto, H.Z. Tale motivazione, secondo il ricorrente, ridurrebbe la futilità del motivo alla mera proporzione tra l’entità dell’importo sottratto e l’intensità della reazione, postulando la non futilità di quest’ultima ove il bene appreso fosse stato di valore superiore e omettendo la valutazione dell’attendibilità dell’H., unico testimone ad attribuire le suddette parole al C., nel corso di una deposizione assunta dopo 14 giorni dal fatto; la ritenuta sussistenza dei futili motivi ignorerebbe, altresì, un complesso di altri elementi che spinsero gli imputati all’azione, finendo con l’identificare la suddetta aggravante nella stessa reazione dei C. al furto subito; lo sfondo razziale della vicenda, infine, nonostante l’insussistenza dell’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 3 d.l. n. 122 del 1993, conv. in legge n. 205 del 1993, correttamente non contestata, giacché il reato non fu commesso per finalità di odio razziale, avrebbe tuttavia influito sull’applicazione particolarmente rigorosa della circostanza dei futili motivi a rimarcare la gravità del fatto, impedendone la necessaria contestualizzazione.
Osserva la Corte che, in effetti, gli stessi giudici di merito annotano che la volontà degli imputati di reagire con la violenza al beffardo contegno tenuto dai giovani ladri, i quali, pur colti sul fatto, non avevano mostrato alcun turbamento e se n’erano andati scartando i dolciumi sottratti con irridente disinvoltura, avrebbe potuto essere valutata in termini di attenuata gravità, laddove il fatto si fosse verificato nelle immediate adiacenze del negozio, a pochi istanti dalla constatazione dei C. che un fatto ingiusto era stato consumato ai loro danni (v pag. 13 della sentenza di primo grado, richiamata e integralmente confermata da quella di appello). Tale annotazione, tuttavia, collide con la pur rappresentata circostanza che proprio la fuga dei giovani ladri, nonostante l’ammonizione loro rivolta da C.F., cui risposero volgarmente e ostentando un comportamento strafottente, indusse i contrariati derubati, danneggiati e beffati, all’inseguimento punitivo.
In altri passaggi motivazionali (pag. 14, ib.), il giudice di merito fa riferimento agli epiteti ingiuriosi scambiatisi tra le parti (apostrofati come “sporchi negri”, i giovani marocchini replicarono “bianchi di merda, italiani di merda” all’indirizzo dei loro avversari), e sottolinea le condizioni di stridente contrasto in cui versavano i protagonisti della tragica vicenda, allorché i loro destini casualmente si incrociarono alle sei del mattino dei (omissis): i C. avevano passato la notte in bianco al lavoro con il loro furgone attrezzato per la vendita di panini e bevande e si accingevano, senza soluzione di continuità, a proseguire tale attività nel bar; mentre i giovani stranieri vagavano spensieratamente per la città alla ricerca di un posto che ancora consentisse loro di tirare fino al mattino inoltrato. È, quindi, lo stesso giudice di merito, salvo dimenticarsene nell’esame della ritenuta ricorrenza dei futili motivi, ad affermare che, nel suddetto contesto, doveva essere valutata la percezione che C.F. poteva avere avuto dell’insignificante furto, della risposta strafottente dei ragazzi e del loro resistere con le parole e con i fatti all’aggressione posta in essere ai loro danni (pag. 17, ib.).
La ricognizione della futilità del movente, pertanto, non avrebbe dovuto essere sganciata dal contesto indicato nei predetti passaggi motivazionali, in cui si produsse la spinta degli imputati alla pur sproporzionata reazione violenta.
I giudici di merito, pur muovendo dalla corretta definizione del “motivo”, inteso come antecedente psichico della condotta ovvero impulso inducente il soggetto a delinquere, da qualificarsi “futile” quando la spinta al reato manca di quel minimo di consistenza che la coscienza collettiva esige per operare un collegamento accettabile sul piano logico con l’azione commessa, ne hanno tuttavia sanzionato l’esistenza, nel caso in esame, sulla base della mera sproporzione oggettiva tra l’azione furtiva di irrisorio valore e la reazione violenta e armata degli imputati, trascurando il criterio già indicato da questa Corte, secondo il quale il giudizio sulla futilità non può essere astrattamente riferito ad un comportamento medio difficilmente definibile, ma va ancorato a tutti gli elementi concreti della fattispecie, tenendo conto delle connotazioni culturali dei soggetti giudicati, nonché del contesto sociale in cui si verificò l’evento e dei fattori ambientali che possono aver condizionato la condotta criminosa (Sez. I, n. 4819 del 17/12/1998, dep. 16/04/1999, ******, Rv. 213378; Sez. 1, n. 26013 del 14/06/2007, dep. 05/07/2007, Vallelunga, Rv. 237336). La mancanza di tale esame, in concreto, di tutti gli elementi della vicenda al fine di verificare la sussistenza o meno della circostanza aggravante di cui all’art. 61, n. 1, c.p., a fronte di un fatto di furto comunque ingiusto, al di là del suo valore venale, subito dagli imputati, inficia la motivazione della sentenza sul punto, senza che la rilevata lacuna possa essere superata dalla contestuale esclusione della circostanza della provocazione. Non sussiste, invero, alcuna contraddittorietà tra l’eventuale negazione dell’aggravante del motivo futile e la rilevata insussistenza dell’attenuante della provocazione, in quanto la prima circostanza attiene ad una sfera strettamente soggettiva essendo indice di una particolare proclività a delinquere, mentre la seconda ha un risvolto oggettivo rapportato alla relazione intercorrente tra un comportamento altrui e quello del soggetto attivo del reato, facendo mancare il nesso causale tra l’uno e l’altro (Sez. I, n. 2877 del 13/01/1989, dep. 22/02/1989, *********, Rv. 180611).
Nel caso in esame, l’indagine omessa in funzione della vantazione di sussistenza o meno del futile motivo, è proprio quella attinente alla componente psichica soggettiva che indusse i C., persone di non elevata cultura, reduci da una pesante notte di lavoro e pronti a continuare la loro attività nel bar, a reagire, seppure del tutto sproporzionatamente sul piano oggettivo, al piccolo furto commesso ai loro danni dai giovani stranieri al culmine di una notte di pellegrinanti evasioni che li rese particolarmente disinibiti e scanzonati al cospetto degli affaticati e suscettibili derubati.
Discende l’annullamento della sentenza impugnata in parte qua, con rinvio per nuovo giudizio, sul punto, ai sensi dell’art. 623, comma 1, lett. c), c.p.p., ad altra sezione della Corte di assise di appello di Milano, la quale procederà a nuova valutazione dell’aggravante di cui all’art. 61, comma primo, n. 1, c.p., secondo i criteri suindicati.
1.6. La rivisitazione del trattamento sanzionatorio, implicata dal nuovo giudizio da compiersi in punto di futilità dei motivi, assorte l’ultimo motivo di gravame relativo al mancato giudizio di prevalenza, in favore del solo C.D. , delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche rispetto alla aggravante dei futili motivi, oggetto del presente annullamento, e alla contestata recidiva specifica.
2. In conclusione, la sentenza impugnata va annullata limitatamente all’aggravante del futile motivo e al conseguente trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio sui punti suddetti ad altra sezione della Corte di assise di appello di Milano, salvo il rigetto del ricorso nel resto.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla aggravante del futile motivo e al trattamento sanzionatorio.
Rinvia per nuovo esame sui punti ad altra sezione della Corte di assise di appello di Milano.
Rigetta il ricorso nel resto.

Redazione