Circolari ministeriali e studi del Consiglio nazionale del notariato: non hanno alcun valore normativo (Cons. Stato n. 2916/2013)

Redazione 28/05/13
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FATTO

Con ricorso iscritto al n. 8793 del 2010, ******** e ******** propongono appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria, sezione prima, n. 236 del giorno 8 aprile 2010, con la quale è stato respinto il ricorso proposto contro il Comune di Magione per l’annullamento del diniego del permesso di costruire del 20.10.2008 prot. n. 0028102, successivamente notificato, a firma del responsabile dell’Area urbanistica ed assetto del territorio del Comune di Magione; di tutti gli atti allo stesso presupposti conseguenti e/o connessi, ivi incluso, ove necessario, il parere della Commissione Edilizia comunale del 14.10.2008 menzionato nel provvedimento di diniego, ma di contenuto sconosciuto.

Dinanzi al giudice di prime cure, i ricorrenti, comproprietari di un fabbricato ubicato nel Comune di Magione, in via del Pozzino, catastalmente identificato al Fg. 28, map. 514, ricadente in zona B4 “residenziale”, attualmente adibito in parte ad uffici, in parte ad attività artigianale, e per la restante parte a magazzino, avevano impugnato il diniego di permesso di costruire (per la realizzazione, previa demolizione del preesistente fabbricato, di un edificio residenziale), di cui al provvedimento prot. n. 0028102 del 28 ottobre 2008 opposto dall’Amministrazione comunale sulla istanza del precedente 24 luglio.

Il diniego era motivato nella triplice considerazione che : «1) non risultano adeguati i posti auto rispetto al carico urbanistico (16 appartamenti) dell’edificio in progetto, in quanto risultano disponibili n. 5 posti auto interni e n. 11 posti auto esterni; 2) in luogo della sopraelevazione del muro di sostegno lungo via del Pozzino e via Nenni dovrà essere trovata altra soluzione progettuale che mantenga pressoché invariata l’altezza attuale del muro esistente; 3) lungo via P. Nenni e via del Pozzino dovrà essere realizzato un marciapiede di larghezza di mt. 1,50 con conseguente arretramento del muro esistente, così come dovrà essere prevista una idonea stondatura stradale tra l’incrocio di via del Pozzino con la strada di penetrazione privata a monte del lotto».

Deducevano a sostegno del ricorso i seguenti motivi di diritto :

1) Violazione del combinato disposto degli artt. 3 e 10 bis della legge n. 241 del 1990; omessa comunicazione del preavviso di diniego; difetto di motivazione e di istruttoria, nella considerazione che nella vicenda amministrativa in esame è mancata la comunicazione del preavviso di rigetto.

2) Violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990; difetto di motivazione e di istruttoria; difetto dei presupposti di fatto e di diritto; violazione dell’art. 12 del d.P.R. n. 380 del 2001; violazione dell’art. 41 sexies della legge n. 1150 del 1942; violazione dei principi di cui agli artt. 1 della legge n. 241 del 1990, 42 e 97 della Costituzione; eccesso di potere per illogicità manifesta.

Il rilascio del permesso di costruire è attività vincolata al rispetto della disciplina urbanistico-edilizia, come si desume dall’art. 12 del d.P.R. n. 380 del 2001. Ciò comporta che grava sull’Amministrazione un particolare onere motivazionale in ordine ai provvedimenti di diniego del permesso di costruire, che debbono espressamente indicare gli elementi ostativi al rilascio del titolo e le norme edilizie ed urbanistiche concretamente violate.

Nel provvedimento gravato non viene enucleata una sola norma ostativa al rilascio del permesso, essendo, al più, indicati profili che potrebbero giustificare la proposizione di prescrizioni al permesso stesso.

In particolare, con riguardo al primo motivo di diniego, concernente l’inadeguatezza dei posti auto rispetto al carico urbanistico, occorre considerare che ai sensi dell’art. 41 sexies della legge n. 1150 del 1942 il fabbisogno di aree a standard, calcolato in relazione al complessivo sviluppo volumetrico del fabbricato (pari a mc. 5634,50), è pari a mq. 563,45 (5634,50 diviso 10, uguale 563,45).

Tale dotazione risulta sovradimensionata in fase progettuale arrivando a mq. 807,00, localizzati per mq. 522,00 all’interno del fabbricato, e per mq. 285,00 all’esterno dello stesso, non risultando dunque legittimo il rilievo del Comune.

Anche il secondo motivo del diniego, relativo all’altezza del muro di sostegno, appare inidoneo ad essere assunto quale motivo ostativo al rilascio del permesso di costruire, trattandosi di muro preesistente, che, a tutto concedere, poteva essere oggetto di prescrizione.

Con riguardo, infine, al terzo motivo di diniego, relativo alla costruzione di un marciapiede con conseguente arretramento del muro esistente, lo stesso evidenzia una pretesa inesigibile, in quanto concretante una vera e propria espropriazione della proprietà privata, non motivata e non assistita dalla corresponsione di un indennizzo.

Nel corso del giudizio, dopo la costituzione del Comune di Magione, il T.A.R., con l’ordinanza 20 agosto 2009, n. 24, disponeva adempimenti istruttori, imponendo una verificazione tecnica in contraddittorio tra le parti al fine di accertare quale sia la superficie effettivamente utilizzabile a parcheggio.

Adempiuta l’ordinanza, il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva infondate le censure proposte, sottolineando la correttezza dell’operato della pubblica amministrazione, nella parte in cui aveva accertato l’effettiva insufficienza degli spazi destinati a parcheggio.

Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto ed in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo le proprie doglianze.

Nel giudizio di appello, si è costituito il Comune di Magione, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.

Alla pubblica udienza del 19 marzo 2013, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.

DIRITTO

1. – L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.

2. – Con il primo motivo di diritto, viene dedotta la violazione dell’art. 3 e dell’0art. 10 bis della legge sul procedimento, a proposito dell’omesso preavviso di rigetto dell’istanza. A parere degli appellanti, sarebbe irrilevante la circostanza della natura vincolata del provvedimento da emanare, atteso che i presupposti dello stesso, come evidenziato dalla circostanza che gli stessi sarebbero oggetto di contestazione, non sarebbero per nulla pacifici.

2.1. – La doglianza non ha pregio.

Come correttamente evidenziato dal primo giudice, il permesso di costruire ha carattere vincolato, in quanto, ai sensi dell’art. 12, comma 1, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 può essere negato solamente per contrasto con disposizioni di legge, di strumenti urbanistici o di regolamenti edilizi.

Pertanto, seguendo una linea del tutto pacifica in giurisprudenza, il T.A.R. ha evidenziato come, a norma dell’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990, non è annullabile l’atto adottato in violazione di norme sul procedimento qualora l’atto stesso, per la sua natura vincolata, non avrebbe potuto avere un contenuto diverso.

È pertanto corretta la decisione adottata dal primo giudice.

La riproposizione della doglianza in termini diversi in secondo grado, ossia mirante a evidenziare l’incertezza dei presupposti fattuali posti alla base della decisione, in disparte la questioneil tema della sua ammissibilità, non incide sulla questione in oggetto, atteso che la naturail carattere di provvedimento vincolato, ossia di provvedimento i cui contenuti non sono oggetto di scelta dell’amministrazione, ma discendono dalla predeterminazione normativa, non dipende dalla natura dei fatti oggetto di acquisizione istruttoria o dalla loro condivisione, ma dai poteri esercitati dall’amministrazione, dove viene azzerato il contenuto discrezionale. Infatti, il provvedimento vincolato è tale non in ragione di un’incontestata acquisizione di fatti, ma per l’assenza di un potere discrezionale di ponderazione degli interessi.

Pertanto, l’eventuale errata acquisizione può riverberarsi in un vizio di eccesso di potere, ma non può mai portare ad attribuire all’amministrazione un potere discrezionale che non gli è attribuito per legge e quindi a fondare un obbligo di preavviso ex art. 10 bis.

La doglianza è quindi del tutto inconferente.

3. – Con il secondo motivo di diritto, viene esaminata la doglianza centrale della vicenda in esame, ossia quella riguardante la sufficienza dei parcheggi predisposti in fase progettuale. Secondo la prospettazione delle parti appellanti, la sentenza avrebbe adottato un criterio restrittivo per la valutazione della congruità dell’area destinata a parcheggio, dove non ha computato, ma anzi sottratto dall’estensione disponibile, gli spazi necessari alla manovra e all’accesso dei veicoli.

3.1. – La doglianza non ha pregio e va respinta.

Vanno preliminarmente svolte alcune considerazioni in fatto.

Il Comune di Magione, qui appellato, nel motivare il diniego del permesso di costruire (per la realizzazione, previa demolizione del preesistente fabbricato, di un edificio residenziale) di cui al provvedimento prot. n. 0028102 in data 20 ottobre 2008, ha fondato la prima ragione della sua decisione nell’affermata inadeguatezza dei «posti auto rispetto al carico urbanistico (16 appartamenti) dell’edificio in progetto, in quanto risultano disponibili n. 5 posti auto interni e n. 11 posti auto esterni».

L’esistenza di tale inadeguatezza è stata contestata dai ricorrenti davanti al T.A.R. e il primo giudice, in via istruttoria, con ordinanza n. 24 del 20 agosto 2009, ha disposto una verificazione in contraddittorio, con la seguente motivazione, che sintetizza anche le posizioni opposte delle parti, come poi ripetute in secondo grado:

“Considerato, a questo riguardo, che, ad avviso dei ricorrenti, è pienamente rispettata dal progetto la prescrizione dell’art. 41 sexies della legge urbanistica fondamentale (legge 17 agosto 1942, n. 1150 e s.m.i.), a mente della quale «nelle nuove costruzioni … debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni 10 metri cubi di costruzione», in quanto il fabbisogno di aree a standard, in relazione al complessivo sviluppo volumetrico del fabbricato, sarebbe pari a mq. 563,45 (mc. 5643,50 diviso 10), mentre nel caso di specie ammonta a mq. 807,00, localizzati per mq. 522,00 all’interno del fabbricato, e per mq. 285,00 all’esterno dello stesso;

Considerato che, al contrario, secondo la prospettazione dell’Amministrazione resistente, lo spazio effettivamente destinato a posti auto sarebbe di mq. 263,64 (5 posti auto interni ed 11 esterni), a fronte del fabbisogno minimo di mq. 563,45, risultato cui si perviene scomputando le porzioni di superficie, pur nominalmente destinate a parcheggio, non fruibili a causa delle scelte progettuali, ed, in definitiva, a causa della struttura del fabbricato;

Ritenuto dunque che oggetto del contendere è la contestazione di uno spazio auto inadeguato per mq. 299,81, rispetto alle esigenze edilizie ed urbanistiche dell’insediamento, con conseguente asserita non soddisfazione del rapporto (pubblicistico) di pertinenzialità stabilito dalla legge fra immobili e posti auto;

Ritenuto che, stante tale divergenza di posizioni in ordine ad un elemento fattuale, quale è quello della dimensione della effettiva superficie destinata a parcheggio, occorre, ai fini del decidere, integrare l’istruttoria, disponendo una verificazione in contraddittorio tra le parti, al fine di accertare quale sia la superficie effettivamente utilizzabile come parcheggio, detratti gli spazi di accesso e manovra e detratte le porzioni che non sono utilizzabili, per forma o per le ridotte dimensioni, ovvero perché eccedenti un posto macchina standard, ma insufficienti per realizzarne un altro, ovvero infine per il difficile accesso;

Ritenuto che a tali fini si dovrà procedere nel seguente modo: si dovranno innanzi tutto stabilire le dimensioni convenzionali standard di un posto-macchina; si dovrà quindi verificare quanti posti macchina standard possano essere realizzati nell’intera superficie disponibile, tenuto conto delle dimensioni e dell’accessibilità; la superficie complessiva dei posti macchina standard così individuati costituirà la superficie destinata a parcheggio, ai fini di cui si discute;

Ritenuto che tale incombente istruttorio dovrà essere espletato nel termine di giorni sessanta dalla comunicazione in via amministrativa del presente provvedimento;

P.Q.M.

Dispone l’incombente istruttorio di cui in motivazione, nel termine ivi precisato”.

L’espletamento della detta verificazione portava alle seguenti conclusioni, come riassunte in sentenza:

“Facendo applicazione dei criteri indicati nell’ordinanza per determinare le dimensioni standard di un posto-macchina, la relazione tecnica ha concluso affermando che il totale dei posti macchina ammonta a mq. 237,50, inferiore ai mq. 563,45 occorrenti in aderenza alla normativa di cui all’art. 41 sexies della legge urbanistica fondamentale, nel testo novellato dalla legge 24 marzo 1989, n. 122, trovando dunque conferma l’assunto motivazionale del diniego, riposante sull’inadeguatezza degli standard minimi di parcheggio”.

Come emerge dalla ricostruzione della vicenda, il punto sensibile della questione è, in parte, l’esito della verificazione stessa, ma, con maggior rilievo, la circostanza che l’ordinanza istruttoria, indicando i criteri a cui ci si dovesse attenere, aveva previsto che questa mirasse ad accertare “quale sia la superficie effettivamente utilizzabile come parcheggio, detratti gli spazi di accesso e manovra e detratte le porzioni che non sono utilizzabili, per forma o per le ridotte dimensioni, ovvero perché eccedenti un posto macchina standard ma insufficienti per realizzarne un altro, ovvero infine per il difficile accesso”.

Gli appellanti affermano l’irragionevolezza e la contrarietà a legge di tale limitazione, sottolineando come la stessa sia contraddetta dall’art. 41 sexies della legge n. 1150 del 1942 e dalla circolare applicativa della stessa (Ministero dei lavori pubblici n. 3210 del 28 ottobre 1967), nonché dallo studio n. 293 del Consiglio nazionale del notariato del 14 settembre 1990.

In primo luogo, ritiene la Sezione di dover evidenziare come nessuno dei riferimenti evocati imponga una lettura della disposizione nel senso voluto dalle parti appellanti.

In disparte lo studio del Consiglio nazionale del notariato, che ha un interesse dottrinario, ma non ha alcun valore normativo (ed è anche abbastanza fonte di perplessità il fattoo che esso sia stato esibito in giudizio), va escluso parimenti che possa avere tale valore la circolare ministeriale (che, peraltro, in argomento si esprime in maniera molto netta, affermando che per spazi per parcheggi devono intendersi “gli spazi necessari tanto alla sosta quanto alla manovra ed all’accesso dei veicoli”), atteso che è pacifico in giurisprudenza che le circolari amministrative, in quanto atti di indirizzo interpretativo, non sono vincolanti per i soggetti estranei all’amministrazione, mentre per gli organi destinatari esse sono vincolanti solo se legittime, e ciò in quanto le circolari amministrative sono atti diretti agli organi ed uffici periferici ovvero sottordinati, e non hanno di per sé valore normativo o provvedimentale o, comunque, vincolante per i soggetti estranei all’amministrazione, ben potendo quindi essere disapplicate anche d’ufficio dal giudice investito dell’impugnazione dell’atto che ne fa applicazione (Consiglio di Stato, sez. V, 15 ottobre 2010 n. 7521; id., sez. IV, 21 giugno 2010, n. 3877).

L’unico elemento di valore normativo è quindi quello contenuto nella legge urbanistica, che tuttavia al citato art. 41 sexies prevede unicamente il quantum e la finalità di tali spazi, senza precisare il modus del calcolo delle aree. Si legge, infatti, nel citato articolo, come aggiunto dall’articolo 18 della legge 6 agosto 1967, n. 765 e successivamente sostituito dall’articolo 2 della legge 24 marzo 1989, n. 122:

“Nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse, debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni 10 metri cubi di costruzione”.

Se quindi non si rinviene nell’ordinamento un elemento cogente che possa permettere la scelta in favore di un’interpretazione piuttosto che di un’altra, esistono invero più decisioni di questo Consiglio che hanno sottolineato l’esistenza di uno stretto collegamento tra, da un lato, gli obblighi normativi che impongono la predisposizione di aree a servizio dei manufatti realizzati e, dall’altro, la concreta possibilità di fruizione di tali spazi. Si è così delineata una lettura orientata in senso teleologico delle disposizioni di tutela, specialmente in materia di standard urbanistici.

In tale ratio, si collocano decisioni che hanno negato la sufficienza di un parcheggio collocato in area non fruibile (e dove la fruibilità era collegata non a valutazioni normative ma fattuali, poiché il “terreno pertinenziale destinato a parcheggio deve ragionevolmente intendersi come condizione necessaria per la migliore fruizione del parcheggio medesimo da parte di tutti coloro che intendono comodamente accedervi con i propri mezzi di locomozione per poi uscire con i relativi acquisti più o meno ingombranti e/o pesanti da collocare su tali mezzi”, Consiglio di Stato, sez. V, 25 giugno 2010 n. 4059); oppure decisioni che hanno evidenziato i pericoli legati alla smaterializzazione degli standard (evidenziando come “la monetizzazione degli standard urbanistici non può essere considerata alla stregua di una vicenda di carattere unicamente patrimoniale e rilevante solo sul piano dei rapporti tra l’ente pubblico e il privato che realizzerà l’opera, e ciò perché, da un lato, così facendo si legittima la paradossale situazione di separare i commoda (sotto forma di entrata patrimoniale per il Comune) dagli incommoda (il peggioramento della qualità di vita degli appellanti) e dall’altro, si nega tutela giuridica agli interessi concretamente lesi degli abitanti dell’area”, Consiglio di Stato, sez. IV, 4 febbraio 2013 n. 644).

È pertanto sulla scorta di questa interpretazione della disciplina vigente che deve ritenersi fondata la decisione del giudice di prime cure, e quindi non per un’improbabile compatibilità con la circolare dell’allora Ministero dei Lavori Pubblici 28 ottobre 1967, n. 3210, come evidenziato dal T.A.R., quanto per la stretta connessione della sentenza con la ratio della legge, ratio che risulterebbe invece violata qualora la norma fosse intesa in senso meramente quantitativo, come voluto dalle parti appellanti.

Infatti, qualora si potessero individuare gli standard costruttivi in ragione del solo dato dimensionale, verrebbe conseguentemente posto in ombra il dato funzionale, ossia la destinazione concreta dell’area, come voluta dal legislatore. Soddisfacendo gli standard con la messa a disposizione di aree non utilizzabili in concreto (ossia, seguendo l’indicazione del T.A.R., utilizzando “le porzioni che non sono utilizzabili, per forma o per le ridotte dimensioni, ovvero perché eccedenti un posto macchina standard ma insufficienti per realizzarne un altro, ovvero infine per il difficile accesso”), la norma di garanzia verrebbe frustrata, atteso che il citato art. 41 sexsies della legge urbanistica non contempla un nudo dato quantitativo, ma un dato mirato ad uno scopo esplicito, atteso che essa impone dapprima la riserva di “appositi spazi per parcheggi”, provvedendo poi a quantificarla “in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni 10 metri cubi di costruzione”.

Il motivo di appello deve quindi essere respinto, stante la correttezza dell’iter motivazionale seguito dal giudice di prime cure.

4. – Il rigetto del motivo di appello avverso la ragione fondante della sentenza permette di non prendere in considerazione i motivi riproposti, già ritenuti assorbiti dal T.A.R., in quanto non permetterebbero agli appellanti di conseguire il risultato demolitorio invocato.

5. – Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

6. – L’appello va quindi respinto. Sussistono peraltro motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali, determinati dalla parziale novità della questione decisa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

1. Respinge l’appello n. 8793 del 2010;

2. Compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 19 marzo 2013

Redazione