Cessione di ramo d’azienda (Cass. n. 18195/2012)

Redazione 24/10/12
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Svolgimento del processo

Il curatore del fallimento della società ***************, con citazione notificata il 7 luglio 2004, chiedeva al Tribunale di Torino di revocare a mente dell’art. 67 comma 2 legge fall, l’atto di cessione del ramo d’azienda a rogito 27.6.2003 del notaio V. di Cagliari, stipulato tra la società fallita e la convenuta società A. s.p.a. in liquidazione e di condannare quest’ultima alla restituzione dell’azienda ovvero al pagamento del controvalore in Euro 8.000.000,00.
Nella contumacia della società A., il Tribunale con sentenza 26 ottobre 2005 accoglieva la domanda. La società soccombente impugnava la decisione innanzi alla Corte d’appello di Torino sulla base di unico motivo chiedendo che, per effetto della transazione novativa della lite intervenuta in data antecedente alla sua pubblicazione, la sentenza impugnata venisse dichiarata nulla o inefficace, ovvero che, in subordine, si dichiarasse cessata la materia del contendere essendosi estinto il rapporto controverso.
La Corte territoriale con sentenza n. 319 depositata il 5 marzo 2008 e notificata il 9 gennaio 2009, ha dichiarato inammissibile il gravame.
Avverso questa decisione la società A. ha infine proposto ricorso per cassazione in base a quattro, motivi resistiti dal curatore fallimentare con controricorso.

 

Motivi della decisione

Il primo motivo deduce violazione dell’art. 145, 160 e 101 c.p.c. per irregolare instaurazione del contraddittorio. Assume la nullità della notifica dell’atto introduttivo del giudizio in quanto non venne eseguita presso la sede della A. e venne altresì ritirata da tale C.A. , dipendente di un’altra società, segnatamente della società G., privo di legame, seppur occasionale, con essa destinataria dell’atto processuale.
Il resistente deduce inammissibilità ovvero infondatezza del motivo.
Il motivo è inammissibile perché introduce una questione nuova, non rappresentata nell’unico motivo dell’atto d’appello, col quale l’odierno ricorrente si limitò a sottoporre alla Corte adita gli effetti della transazione intervenuta con il curatore fallimentare. La questione non può essere proposta in questa sede in quanto il principio dell’assorbimento della invalidazione nella impugnazione, consacrato nell’art. 161 c.p.c. ne preclude la successiva proposizione col ricorso per cassazione (cfr. Cass. n. 20067/2011, n. 1359/99, n. 11827/959).
Col secondo motivo la ricorrente denuncia il vizio d’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Il rappresentato difetto risiederebbe nell’aver qualificato eccezione in senso stretto quella concernente l’intervenuta transazione novativa formulata con l’atto d’appello. L’eccezione, in quanto proposta non per estinguere o paralizzare la domanda, ma per sollecitare la pronuncia di cessazione della materia del contendere, rappresenterebbe eccezione in senso lato. Il quesito di diritto chiede se l’intervenuta transazione della lite ha comportato la cessazione della materia del contendere con conseguente rilevabilità in ogni stato e grado del processo.
Il motivo, secondo quanto del resto fondatamente eccepisce il resistente, è inammissibile. Denuncia infatti error in procedendo integrante violazione degli artt. 100, 112 e 345 c.p.c., erroneamente assumendo il vizio di motivazione ex art. 360, n. 5 cod. proc. civ. che presuppone la disamina della questione e la sua decisione (Cfr. Cass. n. 11844/2006, n. 7268/2012, n. 7871/2012), senza neppure esporre nel quesito la sintesi conclusiva che consentirebbe di individuare il fatto controverso cui si riferisce il deficit motivazionale, prescritta dal disposto dell’art. 366 bis c.p.c. (Cass. n. 4556/2009).
Il terzo motivo denuncia ancora il vizio di motivazione nonché violazione degli artt. 100, 112 e 345 c.p.c. Il denunciato errore di diritto si anniderebbe nell’aver qualificato eccezione in senso lato quella assunta a fondamento del motivo d’appello con cui, dedotta la sussistenza dell’intervenuta transazione, rilevabile d’ufficio, sarebbe stata omessa la motivazione in ordine all’idoneità della produzione documentale allegata a sostegno. Il quesito di diritto chiede se, rilevata la proponibilità dell’eccezione di avvenuta transazione, sub specie di sopravvenuta cessazione della materia del contendere, siano producibili per la prima volta in appello i documenti idonei a darne prova.
Il resistente chiede declaratoria d’inammissibilità ovvero il rigetto nel merito della censura. Il motivo è fondato.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte sono eccezioni in senso stretto sottratte al rilievo officioso “quelle per le quali la legge richiede espressamente che sia soltanto la parte a rilevare i fatti impeditivi, estintivi o modificativi, oltre quelle che corrispondono alla titolarità di un’azione costitutiva. Tutte le altre ragioni, invece, che possono portare al rigetto della domanda per difetto delle sue condizioni di fondatezza, o per la successiva caducazione del diritto con essa fatto valere, possono essere rilevate anche d’ufficio, come nel caso del fatto estintivo sopravvenuto che emerga dalle risultanze processuali ritualmente acquisite” (Cass. n. 421/2006, n. 4883/2006). La sopravvenuta transazione novativa tra le parti non rientra nel novero delle menzionate eccezioni, in quanto introduce una questione processuale idonea a chiudere la lite dichiarando la cessazione della materia del contendere sulla base di un fatto che non attiene al merito della controversia, e dunque non soggiace alle regole ed alle preclusioni che governano nei vari gradi di giudizio l’allegazione delle circostanze che ad esso si riferiscono (v. Cass. 4384/2003, n. 8086/2005). In presenza della deduzione di quel fatto sopravvenuto, introdotto in causa anche per la prima volta in sede impugnatoria non già per ottenere sentenza favorevole bensì per ottenere la declaratoria della cessazione del contendere, è dunque compito del giudice accertare anche d’ufficio il perdurare del contrasto tra le parti e la sopravvivenza del loro interesse alla definizione del giudizio. L’odierna ricorrente rassegnò le proprie conclusioni, secondo quanto da essa riferito e risulta altresì dal testo della decisione impugnata, limitandosi a chiedere la cessazione della materia del contendere sulla base del fatto sopravvenuto, senza insistere per l’accoglimento sulla base di quello stesso fatto delle sue ragioni, contrapposte a quelle fatte valere dall’attore appellato. La Corte del merito, ritenuta erroneamente inammissibile la deduzione in appello di quel fatto, cioè della transazione, si è sottratta alla doverosa verifica circa il suo perfezionamento, dunque circa la sua sussistenza, nonché all’apprezzamento circa la persistenza, alla stregua del suo contenuto negoziale, dell’interesse delle parti contendenti a coltivare la lite per ottenere rispettiva pronuncia favorevole nel merito.
Restano assorbite le restanti censure esposte nel quarto motivo, che denuncia ancora vizio di motivazione in ordine alla natura novativa della transazione.
Tanto premesso, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Torino che dovrà verificare il perfezionamento dell’asserita transazione, apprezzarne la natura e all’esito accertare se persista l’interesse delle parti alla definizione della controversia. Sarà suo compito inoltre liquidare le spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo ed il secondo motivo; accoglie il terzo e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese del presente giudizio di legittimità alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione.

Redazione