Cessione del contratto di leasing e foro del consumatore (Cass. n. 24799/2013)

Redazione 05/11/13
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Svolgimento del processo

1. Nel maggio del 1992 la società ************* s.r.l. stipulò, nella veste di utilizzatrice, un contratto di leasing con la società Mercedes Benz Finanziaria s.p.a. (che in seguito ha mutato ragione sociale in Mercedes Benz Financial Services Italia s.p.a.; d’ora innanzi, per brevità, “la Mercedes”), avente ad oggetto un autoveicolo.
La società utilizzatrice stipulò, in quell’occasione, anche un’assicurazione contro il rischio di furto del suddetto autoveicolo con la società Compagnia di Genova Assicurazioni s.p.a. (che in seguito mutò ragione sociale in RAS s.p.a. e quindi in Allianz s.p.a., e come tale d’ora innanzi sarà indicata). Il 28 dicembre dello stesso anno la società ************* s.r.l. cedette sia il contratto di leasing che quello di assicurazione al proprio amministratore, sig. G.O. .
2. Pochi giorni dopo la cessione (il 2 febbraio 1993) il veicolo oggetto del contratto di leasing venne rubato.
La società di assicurazione in conseguenza del furto pagò l’indennizzo parte alla Mercedes, alla quale una apposita clausola del contratto di assicurazione (c.d. “appendice di vincolo”) attribuiva il relativo diritto fino a soddisfazione del suo credito nei confronti dell’utilizzatore; ed offrì la parte restante al sig. G.O. .
3. Questi tuttavia, ritenendo che l’indennizzo offertogli fosse inferiore a quello dovuto, convenne dinanzi al Tribunale di Verona, sezione staccata di Soave, sia la Allianz, sia la Mercedes.
Nei confronti della società assicuratrice l’attore chiese la condanna al pagamento del maggior indennizzo che assumeva dovutogli; mentre nei confronti della società concedente chiese la condanna al risarcimento del danno da questa in tesi causatogli, per avere accettato dalla Allianz in virtù dell’appendice di vincolo un indennizzo sottostimato.
4. Il Tribunale di Verona dichiarò la propria incompetenza per territorio rispetto alla domanda proposta dall’attore nei confronti della Mercedes, a causa della previsione nel contratto di leasing d’una clausola derogatrice della competenza in favore del Tribunale di Roma.
Accolse, invece, la domanda di condanna nei confronti della Allianz, e quella di manleva da quest’ultima proposta nei confronti della Mercedes.
5. La sentenza venne impugnata dalla Allianz in via principale, e dalle altre parti in via incidentale.
La Corte d’appello di Venezia, per quanto in questa sede ancora rileva:
(a) accolse l’appello della Allianz, dichiarando prescritto il credito vantato dall’assicurato e rigettando di conseguenza la domanda di indennizzo da questi formulata;
(b) confermò la statuizione di incompetenza ratione loci del Tribunale di Verona rispetto alle domande del sig. O.G. ;
(c) dichiarò assorbite le altre domande.
6. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dal sig. G.O. per due motivi, articolati ciascuno in più profili.
Sia la Allianz che la Mercedes hanno resistito con controricorso.

Motivi della decisione

7. Il primo motivo di ricorso.
7.1. Con il primo motivo di ricorso il sig. O.G. lamenta l’erroneità della sentenza impugnata, nella parte in cui ha accolto l’eccezione di prescrizione del diritto all’indennizzo sollevata dalla Allianz.
Tale decisione sarebbe erronea sotto tre profili:
(a) per violazione dell’art. 167 c.p.c., in quanto l’esistenza di validi atti interruttivi della prescrizione non era mai stata contestata dalla Allianz nel giudizio di merito, o quanto meno lo era stata in modo generico ed insufficiente;
(b) per violazione dell’art. 2944 c.c., perché in ogni caso vi era stato riconoscimento del diritto da parte della Allianz;
(c) per contraddittorietà della motivazione, in quanto la Corte d’appello avrebbe da un lato accertato l’inesistenza di contestazioni, da parte dell’assicuratore, sulla questione dall’avvenuta spedizione di tempestivi atti interruttivi della prescrizione da parte dell’assicurato, e dall’altro accolto cionondimeno l’eccezione di prescrizione. Tutti e tre questi profili sono infondati, quando non inammissibili.
7.2. Primo profilo del primo motivo di ricorso.
Secondo il ricorrente, il giudice d’appello non avrebbe potuto dichiarare prescritto il suo diritto, perché la circostanza che la prescrizione fosse stata tempestivamente e debitamente interrotta era stata da lui allegata sin dall’atto di citazione, e non era mai stata contestata.
Spiega, a tal riguardo, il ricorrente, che nella sequela degli atti interruttivi della prescrizione inviati alla Allianz vi era effettivamente un vuoto di oltre un anno (termine prescrizionale applicabile ratione temporis al diritto all’indennizzo assicurativo), tra il 4.2.1997 ed il 18.11.1998.
Soggiunge, tuttavia, che in questo arco di tempo la prescrizione era stata comunque interrotta da una lettera, pervenuta alla Allianz il 7.1.1998: tale lettera non era in atti, ma la convenuta non aveva espressamente contestato di averla ricevuta: di qui l’erroneità della decisione.
7.2.1. Il motivo in esame è, in primo luogo, inammissibile, perché attraverso esso è prospettata in realtà una questione di fatto: tale è, infatti, la denuncia dell’erroneità della valutazione con cui il giudice di merito, interpretando la comparsa di risposta, reputi correttamente formulata una determinata eccezione.
Principio, quest’ultimo, ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione, quale contenuto della posizione processuale della parte, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, è funzione del giudice di merito, sindacabile solo per vizio di motivazione (ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 10182 del 03/05/2007).
7.2.2. Il primo profilo del primo motivo di ricorso del sig. **** è, in ogni caso, infondato, in quanto dimentico di alcuni consolidati principi in tema di riparto dell’onere della prova in materia di prescrizione.
Infatti, allorché nel medesimo giudizio si contrappongano l’eccezione di prescrizione e la controeccezione (o, più correttamente e secondo la tradizione storica, “replica”) di interruzione della prescrizione, al giudice di merito è demandato accertare in successione logica tre circostanze:
(a) se l’eccezione di prescrizione sia stata correttamente formulata;
(b) se la replica di tempestiva interruzione sia stata correttamente formulata e provata;
(c) se, pur mancando la prova dell’interruzione della prescrizione, possa ritenersi che il debitore abbia comunque prestato acquiescenza all’eccezione di interruzione della prescrizione.
Nel presente giudizio, il giudice di merito ha dato risposta positiva al primo quesito (ritenendo l’eccezione di prescrizione debitamente formulata), e negativa agli altri due (ritenendo non provata l’eccezione di interruzione, e contestata la ricezione dell’atto interruttivo oggetto di contesa). Ciascuna di tali statuizioni è conforme ai principi ripetutamente affermati, in tale materia, da questa Corte.
7.2.5. Corretta, in primo luogo, fu la qualificazione di completezza dell’eccezione di prescrizione, alla luce del principio secondo cui è sufficiente, ai fini della compiuta articolazione di essa, che il convenuto deduca l’inerzia del titolare del diritto e la volontà di profittare dell’effetto estintivo che deriva dal suo protrarsi (ex plurimis, Sez. 1, Sentenza n. 24828 del 24/11/2005; Sez. 3, Sentenza n. 9768 del 10/05/2005; Sez. U, Sentenza n. 10955 del 25/07/2002).
7.2.6. Corretta, altresì, fu l’esclusione dell’efficacia interruttiva del documento che l’odierno ricorrente assume avere spedito alla Allianz il 7.1.1998, perché non fu mai prodotto in causa: ed infatti il creditore cui venga eccepita la prescrizione ha l’onere di allegare e provare il compimento dell’atto interruttivo (ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 18250 del 12/08/2009; Sez. 5, Sentenza n. 14289 del 26/09/2003; Sez. 1, Sentenza n. 10137 del 12/07/2002; Sez. 2, Sentenza n. 9378 del 27/06/2002). Spetta di conseguenza, al creditore dimostrare di avere spedito un atto interruttivo, e non certo al debitore l’onere di provare di non averlo ricevuto (così, testualmente, già Sez. 3, Sentenza n. 5107 del 15/09/1981).
7.2.7. Ineccepibile, infine, fu la decisione di escludere che nel caso di specie vi fosse stata acquiescenza all’allegazione attorea di avere interrotto la prescrizione. Ciò per (almeno) tre ragioni:
(a) sia perché l’eccezione di prescrizione comporta di per sé l’implicita negazione della ricezione degli atti interruttivi, che deve, pertanto essere provata dal creditore; né ha il debitore l’onere di esaminare e confutare uno per uno tutti gli atti interruttivi che il creditore assume di avergli inviato (come già ritenuto da Sez. 2, Sentenza n. 7189 del 04/08/1997);
(b) sia perché l’operatività del principio di non contestazione delle risultanze di un documento presuppone un requisito minimo, e cioè che quel documento esista nel processo (così Sez. 3, Sentenza n. 13206 del 28/05/2013), mentre nel presente caso è pacifico il contrario, e cioè che l’attore mai produsse in giudizio l’atto col quale assume avere interrotto la prescrizione;
(c) sia, infine, perché la non contestazione alle allegazioni compiute ex adverso, per produrre il proprio effetto tipico di esonerare l’altra parte dalla prova dei fatti non contestati, deve essere compiuta nel giudizio, e non prima e fuori di esso (salva l’ipotesi, ovviamente, di confessione stragiudiziale).
Nel caso di specie, invece, il ricorrente pretenderebbe che debba ritenersi non contestata la ricezione dell’atto interruttivo della prescrizione, da parte della Allianz, per il solo fatto che di esso si fece menzione in una successiva raccomandata inviata al medesimo assicuratore, senza che questi nel ricevere il secondo scritto avesse osservato alcunché sulla mancata ricezione del precedente.
7.3. Secondo profilo del primo motivo di ricorso.
Secondo il ricorrente, il giudice d’appello non avrebbe potuto dichiarare prescritto il suo diritto, perché l’assicuratore, pagando comunque l’indennizzo nella misura che reputava corretta, aveva per ciò solo riconosciuto il diritto dell’assicurato, ai sensi dell’art. 2944 c.c.. Anche questa censura è infondata, per due ragioni.
La prima ragione è che il ricorrente non precisa quando avvenne il riconoscimento del debito da lui invocato. Tale precisazione sarebbe stata infatti indispensabile al fine di valutare la rilevanza della censura mossa alla sentenza della Corte d’appello, e quindi l’interesse a ricorrere ex art. 100 c.p.c.: è infatti evidente che, se la pretesa ricognizione di debito fosse avvenuta prima del 1997, il diritto all’indennizzo sarebbe comunque prescritto, giacché come s’è detto dopo quella data il creditore comunque rimase inerte per un periodo superiore all’anno.
La seconda e prevalente ragione è che con principio tanto unanime, quanto incontrastato, da molti anni questa Corte viene ripetendo che l’offerta od il pagamento parziale del debito “non propaga automaticamente il suo effetto interruttivo della prescrizione all’intera posta” creditoria (così Sez. 1, Sentenza n. 23746 del 16/11/2007; nello stesso senso, Sez. 3, Sentenza n. 3371 del 12/02/2010; Sez. 3, Sentenza n. 4324 del 23/02/2010; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 24555 del 02/12/2010; da segnalare che quest’ultimo provvedimento ha ritenuto il principio in esame “consolidato”, ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c.).
Ciò in quanto – secondo la prospettazione di autorevole dottrina – la ricognizione di debito, pur non essendo un negozio giuridico, presuppone comunque una volontà ricognitiva, incompatibile con la volontà di contestare l’esistenza del credito altrui: ed è sin troppo evidente che colui il quale si afferma debitore per una somma inferiore a quella pretesa dal creditore nega, per ciò solo, l’esistenza d’un debito ulteriore.
7.4. Terzo profilo del primo motivo di ricorso.
Il ricorrente allega, infine, che la sentenza impugnata sarebbe contraddittoria, per avere da un lato ammesso che la Allianz nulla obiettò circa l’esistenza dell’atto interruttivo della prescrizione allegato (ma non depositato) dall’assicurato, e dall’altro lato accolto ugualmente l’eccezione di prescrizione.
La censura, avendo ad oggetto un vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., nel testo vigente ratione temporis, avrebbe dovuto essere conclusa da un “momento di sintesi” nell’indicazione del fatto controverso, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (ex plurimis, da ultimo, Sez. 3, Sentenza n. 12248 del 20/05/2013). La mancanza di tale elemento rende il ricorso, sul punto, inammissibile.
8. Secondo motivo di ricorso.
8.1. Il secondo motivo di ricorso concerne la statuizione con cui la Corte d’appello ha negato la competenza per territorio del Tribunale di Verona a conoscere delle domande proposte dal sig. O.G. nei confronti della Mercedes, in virtù della clausola contenuta nel contratto di leasing che devolveva le controversie contrattuali tra le parti alla competenza esclusiva del Tribunale di Roma.
Il sig. G..O. ritiene tale decisione viziata sia da violazione di legge, ex art. 360, n. 3, c.p.c., che da carente motivazione, ex art. 360, n. 5, c.p.c..
La violazione di legge sussisterebbe perché:
(a) il ricorrente è un consumatore, e gli era di conseguenza inopponibile la clausola di deroga al foro del consumatore, ai sensi dell’art. 1469 bis c.c. (vigente all’epoca dei fatti), norma da applicarsi anche ai contratti stipulati anteriormente alla sua entrata in vigore;
(b) la Corte d’appello ha escluso che fosse stata acquisita la prova della qualità di “consumatore” in capo al sig. **** , nonostante mai nessuna delle altre parti avesse contestato la circostanza, e quindi in violazione dell’art. 112 c.p.c.;
(c) in ogni caso il sig. G..O. si era reso cessionario del contratto di leasing nella veste di consumatore, e di ciò la Corte d’appello aveva la prova presuntiva, desumibile dalle modalità di stipula del contratto e dallo scopo di esso;
(d) infine, la competenza del Tribunale di Verona doveva ritenersi comunque sussistente ai sensi dell’art. 1182, quarto comma, c.c., in quanto l’indennizzo dovuto dalla Allianz era di pronta liquidazione. La sentenza d’appello, poi, sarebbe ad avviso del ricorrente viziata da una motivazione estremamente “laconica”, là dove si è limitata ad affermare l’assenza della qualità di consumatore in capo al sig. G..O. .
Tutte le doglianze appena riassunte sono quale inammissibile, quale infondata.
8.2. L’allegazione secondo cui il foro elettivo concordato nel contratto di leasing sarebbe inopponibile al sig. **** , attesa la sua qualità di consumatore, è infondata perché non considera che l’odierno ricorrente non ha stipulato alcun contratto di leasing con la società Mercedes, ma si è reso cessionario del contratto con quest’ultima stipulato dalla società ************* s.r.l..
Nel caso di cessione del contratto, il contraente ceduto può opporre al cessionario tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre al cedente, ai sensi dell’art. 1409 c.c..
La cessione, infatti, realizza una vicenda circolatoria del contratto, che lascia immutate le posizioni dei contraenti originari, con tutti i rispettivi complessi di diritti, obblighi e facoltà.
La conclusione non può mutare per il solo fatto che il cessionario del contratto rivesta la qualità di consumatore, di cui invece difettava il contraente ceduto.
Ciò per varie ragioni.
In primo luogo, perché l’art. 1469 bis c.c., (vigente all’epoca della cessione, ed oggi trasfuso nell’art. 33 d. lgs. 5.9.2005 n. 206) prevedeva espressamente che la disciplina ivi prevista si applicasse al contratto “concluso” tra il consumatore ed il professionista, là dove, nel caso di cessione del contratto da un professionista ad un consumatore, il contraente ceduto non “conclude” alcun contratto col cessionario.
In secondo luogo perché, a seguire l’opposta opinione, si perverrebbe all’assurdo che il contraente ceduto dovrebbe rinunciare a far valere regole e clausole contrattuali lecitamente pattuite con la controparte originaria, e ciò per effetto della scelta di quest’ultima di cedere il contratto, scelta del tutto autonoma ed indipendente e sulla quale il ceduto non può in alcun modo interferire. Conclusione, quest’ultima, in evidente contrasto col tradizionale principio secondo res inter alios acta tertio neque nocet, neque prodest.
In terzo luogo, perché la disciplina dei contratti del consumatore è sottesa dalla ratio di prevenire abusi derivanti dalla contrattazione di massa, esigenza difficilmente sussistente nel caso di cessione ad un consumatore del singolo contratto già stipulato tra due professionisti, la quale non avviene né può avvenire di fatto su scala industriale.
In quarto luogo, perché le clausole del contratto oggetto della cessione sono, sia per il cedente che per il cessionario, ovviamente immodificabili (art. 1374 c.c.): pertanto, non potendo esse formare oggetto di trattativa al momento della cessione, nemmeno possono dar luogo ad approfittamento del ceduto nei confronti del cessionario.
In quinto luogo, quel che più rileva, perché la cessione del contratto è un’operazione “neutra”, la quale lascia immutate le posizioni e gli obblighi delle parti. Sicché, ad ammettere che il consumatore cessionario del contratto possa invocare nei confronti del ceduto le norme dettate per i contratti conclusi dal consumatore, si perverrebbe all’inaccettabile conclusione che la cessione avrebbe l’effetto di mutare contenuto e causa del contratto, ed il contraente ceduto pur avendo contrattato con un professionista (e, quindi, commisurato le proprie controprestazioni agli obblighi cui era tenuto nei confronti di questi) si troverebbe vincolato ad un contratto sostanzialmente diverso da quello a suo tempo stipulato.
8.3. L’allegazione secondo cui la Corte d’appello avrebbe pronunciato ultra petita nell’escludere che il sig. O.G. avesse provato la sua qualità di consumatore, è del pari infondata.
Una volta sollevata dalla Mercedes l’eccezione di incompetenza per territorio, era onere del sig. G..O. provare i fatti costitutivi della replica opposta a quella eccezione, vale a dire il possesso della qualità di consumatore. Dunque la corte d’appello, nel ritenere che tale qualità non fosse stata dimostrata, non ha affatto pronunciato ultra petita, ma si è limitata a rilevare come la replica del creditore all’eccezione di incompetenza territoriale formulata dal debitore non era stata provata. Le ulteriori allegazioni del ricorrente, secondo cui tale prova per contro era stata da lui debitamente fornita, pur se presentate come censura di una violazione di legge, sottendono in realtà la richiesta di una nuova valutazione, da parte della Corte di cassazione, degli elementi di fatto raccolti nel corso dell’istruzione, e sono come tali inammissibili.
8.4. L’allegazione secondo cui la sentenza d’appello, sul punto della mancanza di prova della qualità di consumatore in capo al sig. G..O. , sia inadeguatamente motivata, è inammissibile ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., perché non conclusa dalla chiara indicazione del “fatto controverso” in relazione al quale la motivazione si assume carente o contraddittoria.
8.5. La denunciata violazione dell’art. 1182, comma quarto, c.c., infine, è inammissibile per difetto di rilevanza.
È lo stesso ricorrente, infatti, ad allegare che il contratto di leasing che lo legava alla Mercedes prevedeva una clausola attributiva della competenza esclusiva al Tribunale di Roma per le controversie che fossero scaturite dal contratto.
La clausola che individua un foro esclusivo pattizio ha l’effetto di precludere il concorso di qualsiasi altro foro alternativo, come ripetutamente affermato da questa Corte (ex multis, Sez. 3, Ordinanza n. 14852 del 22/11/2001; Sez. 2, Sentenza n. 10449 del 01/08/2001; Sez. 1, Sentenza n. 3407 del 02/04/1998). Di conseguenza nulla rileva se l’obbligazione vantata dal sig. G..O. nei confronti della Mercedes fosse portable piuttosto che querable, posto che nell’uno, come nell’altro caso, la competenza del giudice del luogo dell’adempimento era stata pattiziamente esclusa in favore del Tribunale di Roma.
E ciò a tacere del fatto che il ricorrente, per invocare la competenza del giudice del luogo dove l’obbligazione deve essere adempiuta, si dilunga a sostenere la natura di valuta, invece che di valore, di una obbligazione – il pagamento dell’indennizzo assicurativo – diversa da quella da lui azionata nei confronti della Mercedes.
9. Le spese.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c..

P.Q.M.

la Corte di cassazione, visto l’art. 383, comma primo, c.p.c.:
-) rigetta il ricorso;
-) condanna G..O. alla rifusione nei confronti della Mercedes Benz Financial Services Italia s.p.a. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in Euro 3.700 (di cui 200 per spese);
-) condanna G..O. alla rifusione nei confronti della Allianz s.p.a. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in Euro 3.700 (di cui 200 per spese).

Redazione