Censurato l’avvocato scorretto che induce in errore il legale di controparte per transigere la controversia (Cass. n. 529/2012)

Redazione 17/01/12
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Svolgimento del processo

1. – Con decisione depositata il 1 aprile 2009, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Vicenza irrogò la sanzione della censura all’avv. G.M. per essere venuta meno al dovere di correttezza, lealtà e colleganza, inducendo nell’avvocato D.N.M., rappresentante della controparte in una controversia successoria, l’erroneo convincimento che i tre libretti al portatore recanti somme che rappresentavano il credito litigioso ed erano vincolati all’esito della causa o della transazione fossero nella sua disponibilità, senza mai smentire la circostanza e giustificando di volta in volta la mancata restituzione con i più svariati argomenti, ed in tal modo impedendo all’avv. D.N. di attivarsi per il recupero della somma. L’avv. G. impugnò la decisione sulla base di tre motivi.

2. – Il Consiglio Nazionale Forense, con decisione depositata il 21 aprile 2011, ha rigettato il gravame, osservando che dalla documentazione acquisita, e, in particolare, dalle cinque missive inviate dall’avv. G. al collega D.N., emergeva la esattezza della valutazione del CO.A.: da esse, infatti, risultavano le diverse giustificazioni via via addotte per la mancata restituzione dei libretti, in nessun caso attinenti alla vera ragione, e cioè la mancata disponibilità degli stessi, mentre per la prima volta solo nella memoria difensiva presentata al CO.A., che le aveva contestato la mancata messa a disposizione del collega dei libretti, cinque mesi dopo l’inizio della citata corrispondenza, era stata affermata tale circostanza. Il comportamento dell’avv. G., determinato dalla volontà di indurre il collega in errore al fine di guadagnare tempo per studiare la propria strategia processuale e ritardare la realizzazione de diritto della controparte, non era giustificabile alla luce dello scopo della difesa degli interessi del cliente.

3. – Per la cassazione di tale decisione ricorre l’avv. G. sulla base di quattro motivi.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 56, in relazione al R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 38, nonchè dell’art. 22 del codice deontologico forense, del principio di ragionevolezza nell’ipotesi di illecito disciplinare ascritto all’incolpato, violazione degli artt. 622, 380 e 381 c.p., art. 88 c.p.c., e artt. 7, 8, 9, 12, 36 e 40 del citato codice deontologico, e sviamento di potere R.D.L. n. 1578 del 1933, ex art. 56 e art. 3 Cost.. Sarebbe affetta da irragionevolezza la sussunzione dello specifico comportamento contestato alla ricorrente nel precetto generale di cui al R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 38, che fa divieto di commettere fatti non conformi al decoro e alla dignità professionale. Si osserva al riguardo che rientra tra i doveri del difensore quello di non compiere atti che possono recare danno al proprio assistito: il diritto di difesa prevale sul rapporto di colleganza. Nè è rinvenibile nella disciplina del processo civile un obbligo per la parte e per il suo difensore di essere completo nelle allegazioni nè di avvantaggiare la controparte, salva la ricorrenza del dolo revocatorio: e ciò che è processualmente lecito non può essere deontologicamente scorretto.

2.1. – La censura non merita accoglimento.

2.2. – Posto che le previsioni del codice deontologico forense hanno la natura di fonte meramente integrativa dei precetti normativi e possono ispirarsi legittimamente a concetti diffusi e generalmente compresi dalla collettività, il Consiglio Nazionale Forense non è vincolato alla definizione dell’illecito quale scaturisce dal testo delle disposizioni del codice deontologico forense, essendo libero di individuare l’esatta configurazione della violazione tanto in clausole generali richiamanti il dovere di astensione da contegni lesivi del decoro e della dignità professionale, quanto in diverse norme deontologiche, o anche di ravvisare un fatto disciplinarmente rilevante in condotte atipiche non previste da dette norme (v., sul punto, Cass., S.U., sentt. 13/6/2011, n. 12903; 7/7/2009, n. 15852).

2.3. – Nella specie, il C.N.F. ha motivatamente ritenuto che, nella specie, l’avv. G. abbia manifestato la volontà di indurre il collega in errore con l’omissione voluta di una circostanza decisiva, quale la detenzione dei libretti in capo ad altri, e che ciò abbia costituisca comportamento strumentale per ritardare la realizzazione del diritto altrui facendo divenire il collega di controparte strumento inconsapevole della realizzazione del suo disegno dilatorio, ed ha ritenuto che tale comportamento, per la sua ambiguità, costituisca violazione di quei doveri di correttezza, lealtà e colleganza che sono ricompresi nel più ampio precetto di cui al R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 38, comma 1, e specificamente disciplinati dagli artt. 6 e 22 del codice deontologico.

3. – Con il secondo motivo si deduce la omessa e insufficiente motivazione su fatto controverso decisivo. La decisione del C.N.F. prescinde totalmente da fatti decisivi prospettati dall’attuale ricorrente, e, in particolare, dal fatto che la sentenza in relazione alla quale l’avv. D.N. pretendeva i libretti per l’incasso atteneva a domanda preliminare di riduzione per lesione di legittima e alla domanda di divisione di asse ereditario costituito da somma di danaro depositata in banca e rappresentata da tre libretti cointestati ai due eredi e vincolati all’esito del giudizio o transazione. Detta decisione era una sentenza parziale relativa alla prima fase dell’accertamento preliminare del contenuto del diritto del legittimario leso, cliente della ricorrente, e fino al momento della formazione del giudicato su di essa non si sarebbe potuto procedere alla fase della formazione delle quote nè a quella successiva dell’attribuzione delle stesse. Tali temi, che non sorreggevano, secondo la ricorrente, l’asserita doverosità di comunicare il luogo di conservazione dei libretti per consentire alla controparte di procedere esecutivamente, erano stati inutilmente rappresentati al CO.A. e, successivamente, al C.N.F., che, però, non li ha considerati. Mancherebbero, comunque, nella decisione impugnata i requisiti strutturali dell’argomentazione.

4.1. – Anche tale censura è infondata.

4.2. – Risulta, invero, inconferente il richiamo alla natura del giudizio divisorio ed alla fase in cui si colloca in esso la sentenza in relazione alla quale l’avv. D.N. chiedeva i libretti per l’incasso, atteso che la contestazione mossa alla attuale ricorrente era quella di un comportamento integrante un non lineare percorso difensivo, essendo le giustificazioni addotte a motivazione della indisponibilità ad un incontro finalizzate alla realizzazione del complessivo disegno volto a far permanere una situazione di ambiguità che inducesse il legale di controparte a confidare nella possibilità di raggiungere una definizione stragiudiziale della controversia.

5. – Con la terza doglianza si deduce error in procedendo, violazione dell’art. 112 c.p.c., violazione della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, nullità della sentenza. La decisione impugnata omette – si osserva nel ricorso – di pronunciarsi sulla terza censura, relativa alla errata determinazione dell’entità dell’offesa all’etica forense ed alla inadeguatezza della sanzione irrogata. Il C.N.F. avrebbe errato nei non delibare la proporzionalità della sanzione con riferimenti al caso concreto.

6. – Il motivo è infondato, sol che si consideri che la decisione del C.N.F. si sofferma specificamente sul punto della adeguatezza della sanzione irrogata, considerando equa quella della censura, avuto riguardo alla condotta ambigua e contraddittoria dell’incolpata, tra l’altro protratta nel tempo e dettata da un preciso disegno dilatorio.

7. – Con il quarto motivo, si lamenta la violazione del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 56 in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4, nonchè la violazione dell’art. 111 Cost., per la motivazione carente/inesistente con conseguente nullità della pronuncia per difetto di requisito di forma indispensabile. Si denuncia la carenza della esposizione dei motivi di fatto e di diritto della decisione, la quale sarebbe passata dalla enunciazione dei fatti di prova, costituiti dalle lettere della attuale ricorrente, al giudizio di responsabilità disciplinare senza esplicitare quali sarebbero le frasi che violano i doveri di colleganza ed il decoro professionale, quali le circostanze da cui inferire l’elemento soggettivo dell’illecito, quale il fine sotteso.

8.1. – La doglianza è destituita di fondamento.

8.2. – La decisione impugnata contiene una articolata e dettagliata descrizione dei fatti posti a suo fondamento, ed una puntigliosa ed analitica ricostruzione del percorso logico che ha indotto il C.N.F. a ravvisare nei fatti esposti la violazione contestata, alla luce del comportamento tenuto dalla incolpata e delle ragioni e finalità che lo avevano orientato.

9. – Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Non v’è luogo a provvedimenti sulle spese, non essendo stata svolta attività difensiva dagli intimati.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

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