Il compenso di prestazione professionale percepito dopo la cessazione dell’attività è imponibile ad iva?

Avola Giovanni 06/05/16
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Nell’esercizio della funzione nomofilattica sua propria, le SU risolvono il quesito posto loro innanzi   attraverso una disamina di quanto discende dalla disciplina comunitaria nonché da quella nazionale in tema di obbligazione tributaria e dei suoi diversi profili.

Secondo quanto disposto dagli artt. 1 e ss. d.p.r. 633/1972, in materia IVA l’obbligazione tributaria necessita, per la sua insorgenza, della ricorrenza di due presupposti: uno di natura soggettiva, ovvero il possesso della qualità di imprenditore o di quella di esercente arte o professione; l’altro di natura oggettiva, ovvero la realizzazione, nel territorio dello Stato, di operazioni di cessazioni di beni a titolo oneroso o di prestazioni di servizi verso corrispettivo.

Per quel che qui rileva, l’articolo 6 comma 3 d.p.r. 633/1972 pone una presunzione assoluta di corrispondenza tra la data della percezione del corrispettivo e quella di esecuzione della prestazione di servizi, presunzione questa che porta il giudice del gravame a ritenere non suscettibile d’imposta il compenso oggetto del contendere

Occorre tuttavia distinguere, sul piano concettuale, la nozione di imponibilità da quella di esigibilità dell’imposta.

In tal senso,  la dir. 2006/112/Ce distingue, agli artt. 62, 63 e 66, tre diversi momenti: quello del fatto generatore dell’imposta, ovvero l’evento da cui scaturisce l’obbligazione tributaria; quello dell’esigibilità dell’imposta, e cioè dell’attitudine attuale della medesima ad essere pretesa in riscossione dall’erario; e quello infine del pagamento della medesima. 

L’autonomia concettuale tra fatto generatore dell’imposta, al quale si riferisce l’imponibilità, da quello dell’esigibilità della medesima trova, sul piano sistematico, un ulteriore conferma nell’articolo 90 della citata direttiva: per il caso di mancata riscossione del corrispettivo, per inadempimento o risoluzione del contratto verificatosi successivamente all’operazione, la normativa comunitaria non dispone infatti per la rimozione dell’obbligazione tributaria, ma piuttosto per una rideterminazione della base imponibile.

Ma detta distinzione concettuale è altresì data per presupposta anche dallo stesso ordinamento nazionale, tanto che l’articolo 26 d.p.r. 633/1972, in completa assonanza con l’articolo 90 della dir. 2006/112/Ce, prevede che la mancata riscossione del corrispettivo non comporti il venir meno dell’obbligazione tributaria ma, anche in tal caso, incida sulla determinazione dell’imposta o della relativa base imponibile.

Data quindi questa autonomia concettuale, la disciplina comunitaria consente agli Stati Membri di determinare liberamente le condizioni di esigibilità dell’IVA, ferma tuttavia restando   l’inderogabilità di quanto stabilito in merito all’identificazione del fatto generatore dell’imposta.

Pertanto la presunzione posta dall’articolo 6 comma 3 va riferita, onde evitare contrasti con la normativa comunitaria, al momento dell’esigibilità dell’imposta e non a quello anteriore della sua insorgenza (in tal senso Corte di Giustizia 26 ottobre 1995 in causa C-144/94).

Del resto, la distinzione tra imponibilità ed esigibilità è diretta conseguenza del principio della capacità contributiva, nonché di quello della neutralità fiscale dell’IVA e, da ultimo, del  principio di effettività.

Sul primo versante, il combinato disposto degli artt. 3 e 53 della Costituzione impedisce di trattare in maniera diversa situazioni omogenee. Pertanto, il fatto generatore dell’imposta non può che ricollegarsi a dati oggettivi e insuscettibili di variazioni determinate da scelte casuali e soggettive.

Basterebbe quindi l’applicazione del summenzionato principio ai fini della risoluzione del caso di specie: i compensi di prestazioni conseguiti dopo la cessazione dell’attività devono infatti ritenersi assoggettati ad IVA posto che il relativo statuto impositivo risulta definito dalla contestuale ricorrenza, al manifestarsi del fatto generatore, dei presupposti oggettivi e soggettivi dell’imposta.

Ma detta soluzione risulta altresì necessaria alla luce del citato principio della neutralità fiscale dell’IVA, in forza del quale il tributo è destinato a gravare esclusivamente sull’operatore finale non potendo incidere sugli operatori economici che intervengono nei passaggi intermedi. Posta quindi l’applicazione della detrazione d’imposta applicata sugli acquisti a monte, il compenso in esame non può quindi che ritenersi assoggettato ad IVA.

Viene infine in rilievo il principio di effettività, in forza del quale l’applicazione della disciplina IVA non può essere condizionata da fattori puramente formali quali sono rispettivamente la dichiarazione di cessazione dell’attività e la dismissione della partita IVA.

Per tutti questi motivi, la Corte conclude nel senso dell’imponibilità ai fini IVA dei compensi percepiti anche successivamente alla cessazione dell’attività sottostante.

Sentenza collegata

611509-1.pdf 441kB

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Avola Giovanni

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