Cassazione: non deve essere riconosciuto il patteggiamento al violentatore efferato anche se risarcisce il danno (Cass. pen. n. 9176/2012)

Redazione 08/03/12
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Svolgimento del processo

Il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, con sentenza del 2/3/07, dichiarava S.O. colpevole del delitto di cui agli artt. 81 e 609 ter c.p. per essersi congiunto carnalmente, in più occasioni, con M.L., minore degli anni 14, e lo condannava alla pena di anni sei di reclusione, concesse le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante. La Corte di Appello di Napoli, chiamata a pronunciarsi sull’appello interposto dal prevenuto, con sentenza del 2/3/09, in parziale riforma del decisum del giudice di prime cure, riconosceva in favore del prevenuto l’attenuante del risarcimento del danno – ritenendo congrua e tempestiva la somma a titolo offerta – e rideterminava la pena in anni 5 di reclusione, con conferma nel resto.

Proponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputato, con i seguenti motivi: 1) violazione degli artt. 419, 178 e 438 c.p.p. – illegittimità costituzionale dell’art. 419 in relazione agli artt. 3 e 24 Cost.; 2) vizio di motivazione sull’asserito rilievo che la Corte di appello di Napoli avrebbe confermato acriticamente la sentenza resa dal primo giudice in ordine alla responsabilità dell’imputato, omettendo di valutare le censure mosse sul punto con il gravame; 3) la Corte territoriale, avendo ritenuto la sussistenza dell’attenuante del risarcimento del danno e, quindi, sostanzialmente corretta la qualificazione giuridica dei fatti e la comparazione delle circostanze, avrebbe dovuto, altresì, ritenere che effettivamente il procedimento avrebbe potuto essere definito davanti al Gup, prima, ed innanzi al Tribunale, poi, con l’applicazione della pena concordata richiesta dalle parti; 4) il giudice di seconde cure applicando l’attenuante del risarcimento del danno, ex art. 62 c.p., n. 6, non avrebbe operato un corretto giudizio di bilanciamento delle circostanze attenuanti rispetto all’aggravante, atteso che era stato indicato nel dispositivo un giudizio di mera equivalenza delle attenuanti rispetto all’aggravante, mentre nella motivazione della sentenza si faceva riferimento, invece, ad una conferma del giudizio di prevalenza ex art. 69 c.p., operato dai primi giudici, rideterminando la pena in anni cinque di reclusione che non poteva essere applicata se non con giudizio di prevalenza.

La Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, con sentenza dell’8 aprile 2010 riteneva fondati i motivi concernenti la denunciata violazione dell’art. 448 c.p.p. e 69 c.p.; al riguardo il ricorrente aveva dedotto che: a) la Corte di Appello non aveva tenuto conto nella propria valutazione che il Tribunale, alla udienza dibattimentale dell’8/10/04, aveva negato l’applicazione della pena concordata, sulla base del disconoscimento del risarcimento del danno, che era stato esattamente indicato dalle parti nella formulazione del patteggiamento in sede di udienza preliminare, poi riproposto all’apertura del dibattimento; b) il giudice di seconde cure, avendo considerato, invece, la sussistenza dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, e, quindi, sostanzialmente corretta la qualificazione giuridica dei fatti e la comparazione delle circostanze, avrebbe dovuto ritenere che, effettivamente, il procedimento poteva essere definito innanzi al Gup, prima, e al Tribunale, poi, con applicazione della pena concordata; c) la Corte di Appello, applicando la attenuante del risarcimento del danno non aveva operato un corretto giudizio di bilanciamento delle circostanze attenuanti rispetto alla aggravante, atteso che era stato indicato in dispositivo un giudizio di mera equivalenza delle prime rispetto alla predetta aggravante, contrariamente a quanto affermato nella parte motiva della sentenza, in cui si faceva riferimento ad una conferma del giudizio di prevalenza, ex art. 69 c.p., delle generiche, già operato dal primo giudice, rideterminando la pena in anni 5 di reclusione. La Terza Sezione penale di questa Corte riteneva dunque fondate tali ultime censure ed osservava quanto segue; 1) la Corte territoriale, in accoglimento del motivo subordinato, dedotto con l’atto di appello, aveva ritenuto di riconoscere in favore del prevenuto l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, considerando tempestiva la offerta e congrua la somma; quindi, nel confermare il giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sull’aggravante, operato dal Tribunale, aveva rideterminato la pena in anni 5 di reclusione; 2) ferma restando la prevalenza delle attenuanti riconosciute (ex art. 62 c.p., bis e art. 62 c.p., n. 6), non era però dato comprendere il modus operandi sviluppato dal decidente nel riquantificare la pena, posto che non era stato esplicitato come avevano inciso le attenuanti in argomento sulla determinazione di essa; 3) a giusta ragione, il ricorrente si era doluto del mancato accoglimento della istanza ex art. 444 c.p.p., in quanto il negozio pattizio sottoposto al vaglio del Gup e poi del Tribunale conteneva il riconoscimento delle attenuanti, successivamente applicate in sentenza di secondo grado, con la conseguenza che il processo avrebbe potuto definirsi nelle forme del rito premiale; 4) conclusivamente, la sentenza doveva, quindi, essere annullata con rinvio, limitatamente alla determinazione della pena, demandando al giudice ad quem di accertare se la motivazione con cui il Tribunale aveva rigettato la istanza ex art. 444 c.p.p. risultasse priva di giustificazione: in caso affermativo, lo stesso giudice avrebbe dovuto applicare la pena patteggiata; il ricorso doveva essere nel resto rigettato.

La Corte d’Appello di Napoli, in sede di rinvio, disattendeva preliminarmente la richiesta difensiva di applicazione della pena di anni tre di reclusione indicata dall’imputato con la richiesta di patteggiamento, muovendo dal rilievo della ritenuta inadeguatezza della pena stessa – nonostante il riconoscimento dell’attenuante del risarcimento del danno (in aggiunta alle attenuanti generiche già concesse con la sentenza di condanna in primo grado) – avuto riguardo alla gravità dei fatti addebitati, all’intensità del dolo ed al danno arrecato alla parte offesa: a tale ultimo riguardo, la Corte territoriale sottolineava che l’imputato aveva posto in essere “la odiosa e gravissima condotta ai danni di una ragazzina infraquattordicenne, in ciò coadiuvato dai genitori della ragazzina, abusando della stessa per circa cinque mesi, violando non solo la persona ma la psiche di una giovane donna, costretta a subire le attenzioni di un uomo che poteva essere suo nonno” (così testualmente a pag. 3 della sentenza). Sul piano sanzionatorio, la Corte di merito (ri)determinava la pena muovendo dalla pena base di anni cinque di reclusione, pari al minimo edittale, diminuita di mesi quattro di reclusione per ciascuna delle attenuanti concesse (quelle generiche e quella del risarcimento del danno), valutate con giudizio di prevalenza sull’aggravante contestata,ed aumentata infine di mesi sei di reclusione per la continuazione, e così per una pena finale di anni quattro e mesi quattro di reclusione. Ricorre per cassazione il S., per mezzo del difensore, denunciando violazione di legge e vizio motivazionale con censure che possono così sintetizzarsi: 1) avrebbe errato la Corte distrettuale nel non applicare fa pena oggetto della iniziale richiesta di patteggiamento, perchè ritenuta inadeguata per la gravità dei fatti, in quanto il Tribunale nel rigettare la richiesta di applicazione della pena concordata tra le parti aveva solo ritenuto insussistente l’attenuante del risarcimento del danno; ad avviso del ricorrente sul “negozio processuale” sarebbe intervenuto il “giudicato sostanziale” (pag. 2 del ricorso); 2) la Corte distrettuale avrebbe altresì errato nel non fornire alcuna motivazione circa l’applicazione della diminuzione per le attenuanti in misura ridotta e non nella loro massima estensione, nonchè relativamente all’entità dell’aumento di pena per la continuazione.

All’odierna udienza, nel corso della sua arringa, il difensore del S., avv. ****************, ha sostenuto che si sarebbe verificata una nullità di ordine generale – quanto alle modalità della vocatio in ius dell’imputato per l’udienza del 30/9/2011 dinanzi al Tribunale di S. Angelo dei Lombardi – rilevabile pertanto anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento: muovendo da tale rilievo, l’avv. ******* ha eccepito la nullità delle sentenze di primo e secondo grado, come da note scritte allegate al verbale di udienza.

 

Motivi della decisione

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per le ragioni di seguito indicate. Quanto alla eccezione di nullità sollevata dal difensore del S. all’odierna udienza, mette conto innanzi tutto precisare che il difensore stesso è incorso in un evidente errore materiale nell’indicazione della data dell’udienza in relazione alla quale vi sarebbe stata la lamentata nullità: è stata infatti indicata la data dell’udienza del 30 settembre 2011, dinanzi al Tribunale di S. Angelo dei Lombardi, ma ciò non è possibile dal momento che la stessa sentenza di annullamento con rinvio della Terza Sezione di questa Corte è anteriore rispetto a tale data, essendo stata pronunciata l’8 aprile 2010.

Fatta questa doverosa precisazione, va rilevata la manifesta infondatezza della tesi esposta dal difensore del S.. Qualsiasi nullità – anche di ordine generale – deve invero ritenersi ormai preclusa dal giudicato sulla responsabilità dell’imputato formatosi in conseguenza dell’annullamento con rinvio della sentenza di secondo grado, deciso dalla Terza Sezione penale di questa Corte limitatamente alla determinazione della pena: “Nel giudizio di rinvio non possono, ex art. 627 c.p.p., comma 4, dedursi nullità, ancorchè assolute, verificatesi nei giudizi precedenti; nè tali nullità possono essere dedotte quale motivo di nuovo ricorso per cassazione, ossia come mezzo di annullamento della sentenza del giudice di rinvio, poichè la sentenza di cassazione, inoppugnabile per dettato di legge, copre il dedotto e il deducibile, ivi comprese le eventuali nullità. A tal fine nessun rilievo svolge la circostanza che la sentenza della cassazione sia adottata – trattandosi di gravame avverso sentenza del giudice di appello avente natura meramente processuale – con la forma del “rigetto con trasmissione atti” al giudice di merito, anzichè nella forma dell’annullamento con rinvio, in quanto, in tal caso, il giudizio della cassazione è equiparabile a quello di natura schiettamente rescindente e idoneo a produrre l’effetto della preclusione sulle questioni di nullità, ancorchè assolute, verificatesi nei precedenti gradi di giudizio” (in termini, “ex plurimis”, Sez. 5, n. 4115 del 09/12/2009 Ud. – dep. 01/02/2010 – Rv. 246099). “Ad abundantiam”, giova ricordare che, nel caso di annullamento con rinvio disposto dalla Cassazione ai soli fini della rideterminazione della pena, il giudicato (progressivo) formatosi sull’accertamento del reato e della responsabilità dell’imputato, con la definitività della decisione su tali parti, impedisce addirittura l’applicazione di cause estintive sopravvenute all’annullamento parziale (Sez. Un., Attinà, RV. 207640; conf. Sez. 3, n. 15101/2010, RV. 246616). Manifestamente infondate sono anche le doglianze dedotte con il ricorso. Per quel che riguarda il primo motivo di censura, si osserva quanto segue: all’udienza preliminare il S. aveva chiesto l’applicazione della pena nella misura di mesi 16 e giorni 15 di reclusione ed il P.M. non aveva prestato il consenso. Successivamente, dinanzi al Tribunale, il S. aveva riproposto la richiesta di applicazione della pena nella misura di anni tre di reclusione (pena finale) e questa volta il P.M. aveva prestato il consenso: il Tribunale tuttavia aveva rigettato la richiesta ritenendo inadeguata la pena indicata dalle parti ed aveva sottolineato, ai fini della valutazione di inadeguatezza della pena come richiesta, non solo la insussistenza dell’attenuante del risarcimento del danno ma anche la gravità del fatto. Analoga richiesta di applicazione della pena era stata poi ancora riproposta, dinanzi al Tribunale ma in diversa composizione, all’udienza del 2 marzo 2007, ed anche in tale occasione il Tribunale aveva disatteso la richiesta così formulata rilevando la inadeguatezza della pena indicata, ribadendo, oltre alla ritenuta non applicabilità dell’attenuante del risarcimento del danno, anche la gravità del fatto nonostante il riconoscimento delle attenuanti generiche, queste concesse in considerazione dell’esistenza di un solo precedente a carico dell’imputato e della sua condotta successiva alla commissione del reato. Dunque, dopo una prima richiesta di applicazione della pena che aveva visto il mancato consenso del P.M., le ulteriori analoghe richieste erano state respinte in due occasioni dai giudici in primo grado anche per la gravità del fatto, e non solo per la ritenuta insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’attenuante del risarcimento dei danni. Stando così le cose, legittimamente, dunque, la Corte territoriale, chiamata dalla Cassazione a valutare se il rigetto della richiesta di applicazione della pena da parte del Tribunale poteva ritenersi giustificato, ha chiaramente considerato giustificata la decisione del Tribunale laddove detto giudice aveva valutato la pena richiesta come jnadeguata anche per la gravità del fatto e non solo per la ritenuta insussistenza dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6.

Valutazione poi fatta propria dalla stessa Corte distrettuale che, in sede di rinvio – dopo aver ricordato che anche in appello l’imputato ha diritto a vedersi applicare la riduzione della pena allorquando il giudice dell’impugnazione riconosce che la richiesta di applicazione della pena era fondata – ha anch’essa evidenziato la gravità del fatto sottolineando in particolare, come sopra ricordato nella parte narrativa, le modalità del fatto e la notevole differenza di età tra l’imputato e la parte lesa: ed al riguardo si tratta di apprezzamento di merito privo di qualsiasi connotazione di illogicità, e pertanto incensurabile in questa sede. Nè possono ravvisarsi connotazioni di illogicità, o incompatibilità, tra la concessione delle attenuanti generiche e la ritenuta gravità del fatto che aveva indotto il Tribunale a ritenere inadeguata la pena oggetto della richiesta del patteggiamento, trattandosi di valutazioni che operano su piani diversi: le attenuanti generiche sono finalizzate a meglio calibrare la pena in relazione alle circostanze oggettive e soggettive del reato, mentre altra cosa è l’entità della pena finale (pur determinata anche con il calcolo della diminuzione per le attenuanti generiche) oggetto della valutazione di adeguatezza da parte del giudice ai fini del patteggiamento.

Quanto all’entità delle diminuzioni per le attenuanti – oggetto del secondo motivo di ricorso – è appena il caso di ricordare che non è un diritto dell’imputato avere l’applicazione della diminuzione nella misura massima consentita: comunque anche al riguardo assume rilievo la valutazione della Corte d’Appello che ha considerato particolarmente riprovevole la condotta dell’imputato. Analogo discorso deve farsi per la continuazione: la stessa può comportare un aumento fino al triplo ed il giudice nel caso di specie si è mantenuto ben al di sotto di tale limite.

Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1000,00 (mille).

 

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Redazione