Cassazione: non basta il vizio di motivazione per ottenere l’assoluzione piena (Cass. pen., n. 41706/2013)

Redazione 09/10/13
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Svolgimento del processo

1. P.A. ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso la sentenza 17 maggio 2012 del G.U.P. del Tribunale di Sulmona che, nelle forme del rito abbreviato, ha assolto la ricorrente dal delitto ex art. 323 c.p. perchè il fatto non costituisce reato.

2. L’imputata, ammessa al rito abbreviato, è stata tratta a giudizio per il reato previsto dagli artt. 81 e 323 c.p., per avere, quale responsabile dell’ufficio delle entrate del comune di Sulmona, a far data dal 28/9/2000, nonchè quale delegata, tra l’altro, ai rapporti con il concessionario della riscossione, in posizione di perfetta autonomia, omesso di attivare la polizza fideiussoria n. (omissis), emessa dalle Assicurazioni Generali di Bari, per la copertura della somma di Euro 115.168, per il mancato riversamento delle riscossioni operate dal concessionario Gestor spa, relativamente al terzo trimestre 2007, per un importo di Euro 76.720,90, da eseguirsi entro il 20/10/2007, procurando intenzionalmente al predetto concessionario un ingiusto vantaggio patrimoniale, rappresentato dall’omesso versamento di alcune somme con pari danno economico per il comune di Sulmona, ed agendo in violazione: della Determinazione dirigenziale 289 del 28/9/2000 del dirigente della quarta ripartizione del comune di Sulmona in ordine ai provvedimenti da adottare in caso di mancato adempimento da parte del concessionario; dell’art. 6 del regolamento comunale e della L. n. 241 del 1990, art. 6 (“compiti del responsabile del procedimento” Nuove norme in materia di procedimento amministrativo).

Il fatto è stato consumato in (omissis).

3. Secondo la ricostruzione del giudice di merito risulta che, nonostante l’inadempimento della concessionaria per la riscossione dei tributi, l’imputata, nella sua qualità di funzionario, con la nota del 20/12/2007 aveva sollecitato il versamento del dovuto, ma senza attivare la procedura di escussione della garanzia fideiussoria.

4. Anche con la nota del 28 gennaio del 2008 il funzionario pretendeva il versamento del dovuto, ma non azionava la garanzia fideiussoria. Nè dalle indagini nè dalle allegazioni difensive risulta che l’imputata, sempre nella sua qualità, abbia dato notizia delle reiterate gravi inadempienze al Dirigente, al Commissario Straordinario, e al neo eletto sindaco. E’ emerso, invece, che la concessione era prorogata qualche mese prima che, con la richiamata nota del dicembre 2007, si pretendesse il pagamento delle somme dovute dalla Gestor.

5. Dalle indagini è emerso che la fideiussione è stata attivata dall’imputata solo nel mese di luglio.

6. Nella Determina del 28-9-2000 l’imputata risultava essere stata nominata quale responsabile del procedimento, con facoltà di gestire in autonomia il rapporto con la Gestor e, però, con esclusione di responsabilità circa l’adozione del provvedimento conclusivo.

7. In merito all’elemento materiale del reato, la difesa ha contestato la sussistenza della violazione di legge o di regolamento contenuta nel capo d’imputazione, la sussistenza della qualifica necessaria a contestare il reato proprio per il quale si procede e l’idoneità della condotta ad integrare la fattispecie, stante la presenza di un dirigente.

8. La sentenza impugnata, rispondendo al primo profilo di critica, ha rilevato che nella contestazione sono descritti in modo dettagliato dei riferimenti normativi pertinenti al fatto contestato, che consentono con immediatezza di individuare sia la norma di legge (L. n. 241 del 1990, art. 6) sia l’articolo del regolamento, disciplinante la fattispecie per la quale si procede, che si assume sia stato violato dall’imputata. La doglianza, pertanto, non merita accoglimento.

9. Riguardo agli altri due profili la gravata sentenza, richiamando la corrente giurisprudenza, ha ritenuto la sussistenza dell’elemento materiale del reato, poichè l’imputata ha svolto mansioni intermedie tra l’esame della pratica inerente la Gestor e i compiti precipui del Dirigente: nella specie l’imputata ha compiuto attività di istruttoria, sostanziantesi anche in quelle previste dal codice penale per la sussistenza della qualifica di pubblico ufficiale, che sarebbero state in seguito necessarie ad un provvedimento di decadenza o revoca della concessionaria: da ciò il rigetto di tutte le contrarie argomentazioni difensive.

10. Su tali premesse in punto di materialità della condotta, il G.U.P., dopo aver definito il comportamento dell’imputata come “particolarmente sciatto e superficiale” e “idoneo in concreto ad agevolare la produzione del danno all’ente locale”, ha ritenuto non raggiunta la prova dell’intensità di colpevolezza prevista dalla norma, nelle forme del dolo intenzionale, sottolineando anche che l’inoltro delle diffide ad adempiere, “sebbene dimostrino una non completa negligenza, attestano che l’imputata aveva di mira pur sempre la tutela della collettività”.

11. il G.U.P. infine ha precisato che la particolare posizione procedimentale, ricoperta dall’imputata, sebbene le affidava la gestione in via autonoma l’istruttoria dei rapporti con la Gestor, le imponeva, soprattutto in base alla normativa vigente (D.Lgs. n. 165 del 2001 e D.Lgs. n. 267 del 2000), di relazionarsi con il Dirigente, il quale avrebbe avuto l’ultima parola sul provvedimento.

12. In tale quadro, secondo il provvedimento impugnato, non risulta se la situazione della Gestor fosse costantemente monitorata e se l’imputata avesse certamente e puntualmente relazionato al Dirigente, nè è possibile stabilire quanto tempo sia passato tra il riscontro dell’inadempienza e la prima attivazione dell’imputata (cioè, quella del dicembre 2007).

13. In conclusione per il G.U.P., nella fattispecie, concorrono circostanze che non sono idonee a suffragare un “dolo intenzionale”, ma che al più dimostrano una colpa gravissima dell’imputata, la quale è stata particolarmente negligente nell’esecuzione delle mansioni e dei compiti che le erano stati affidati: da ciò l’assoluzione perchè il fatto non costituisce reato.

Motivi della decisione

1. Il ricorso, previa prospettazione dell’interesse al gravame, deduce inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 323 c.p. in relazione agli artt. 4 e 17 sulle funzioni e responsabilità dei dirigenti, giusta D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (richiamato per gli Enti Locali dal D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 88), nonchè del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 107 sulle funzioni e responsabilità della dirigenza, unitamente ad insufficienza e contraddittorietà della motivazione sul punto.

2. Con ulteriore sviluppo dello stesso motivo si evidenzia ancora violazione di legge per inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 5 (“responsabile del procedimento”) e art. 6 (“compiti del responsabile del procedimento”) L. n. 241 del 1990 (“nuove norme in materia di procedimento amministrativo”) ed illogicità della motivazione sul punto.

3. Sostiene il ricorso: a) preliminarmente l’interesse ad impugnare, attese le conseguenze di un giudicato pregiudizievole sia in ordine alla sussistenza del “fatto” che in ordine all’affermata “colpa” della ricorrente; b) la reiterazione dell’errore di diritto nel capo di imputazione laddove viene individuata la violazione di legge (quale elemento materiale del reato di abuso d’ufficio) nell’avere la ricorrente agito in violazione della Determina Dirigenziale n. 289 del 28.9.2000 del Dirigente della Quarta ripartizione, dell’art. 6 del Regolamento Comunale e della L. n. 241 del 1990, art. 6, ipotizzando dunque una violazione di norme c.d. “a cascata” a partire dalla violazione di una disposizione interna non avente carattere legislativo o regolamentare.

4. Ritiene la Corte condivisibile in linea generica la sussistenza dell’interesse ad impugnare della P..

Invero ricorre l’interesse all’impugnazione della sentenza di assoluzione, pronunciata con la formula “perchè il fatto non costituisce reato”, al fine di ottenere, per l’imputato, la più ampia formula liberatoria “perchè il fatto non sussiste”, considerato che, a parte le conseguenze di natura morale, l’interesse giuridico è da individuarsi nei diversi e più favorevoli effetti che l’art. 652, per i giudizi civili ed amministrativi e art. 653 c.p.p., per il giudizio disciplinare, connettono alla “insussistenza del fatto” (cass. pen. sez. 4, 46849/2011 Rv. 252150).

5. Tuttavia, una volta che in atti sia stata accertata l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato (che ha portato alla formula assolutoria lamentata) il ricorrente ha l’onere di addurre elementi evidenti che portino ad una soluzione più favorevole, ma non può lamentarsi del vizio di motivazione al riguardo.

Infatti questa Corte non potrebbe mai disporre un annullamento con rinvio, stante l’obbligo dell’immediata declaratoria delle cause di non punibilità che ricondurrebbe a pronunciare in questa sede il proscioglimento perchè il fatto non costituisce reato, epilogo decisorio che la ricorrente non impugna in sè, nè avrebbe interesse ad impugnare.

6. Ciò detto, la ricorrente si duole in primo luogo che nello stesso capo d’imputazione non sia stata individuata la violazione di una norma idonea a sensi dell’art. 323 c.p..

L’assunto peraltro è manifestamente infondato dato che nel capo d’imputazione sono state contestate anche le violazioni di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 6 in tema di “compiti del responsabile del procedimento” nell’ambito delle norme in materia di procedimento amministrativo, norme la cui trasgressione questa Corte ha già ritenuto idonee ad integrare la fattispecie dell’abuso d’ufficio (cfr. per le norme di principio, cass. pen. sez. 6, u.p. 14 giugno 2012 ********).

7. Le altre lamentele proposte porterebbero tutte ad un annullamento con rinvio della decisione impugnata perchè, in realtà, il ricorso prospetta una cattiva ricostruzione della vicenda, specie in relazione all’obbligo gravante o meno sulla ricorrente di porre in atto gli adempimenti in materia di fideiussione.

Ma queste critiche, come detto in premessa, non sono deducibili a fronte di una assoluzione perchè il fatto non costituisce reato.

8. In realtà l’impugnazione chiede a questa Corte che sia effettuato un nuovo accertamento penale per contrastare nelle sedi opportune il giudizio di responsabilità a suo carico.

9. Peraltro, avuto riguardo alla sentenza 142/13 del 5 giugno 2013 della Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Abruzzo (oggi depositata dalla parte civile e munita di formula esecutiva), risulta che l’imputata è stata condannata al risarcimento del danno nella misura di Euro 200 mila, prescindendo radicalmente dalla motivazione della decisione penale oggi impugnata.

In particolare il giudice amministrativo ha nella vicenda precisato:

a) che la P. “aveva competenza a deliberare in piena autonomia nel settore affidatole” ed era “responsabile a.p.o. con funzioni di incaricato con posizione organizzativa”;

b) che la stessa aveva l’obbligo di attivarsi “senza indugio” per l’escussione della fideiussione assicurativa, avvertendo nel contempo gli organi di vertice dell’Ente e l’ufficio legale, in modo formale, per le conseguenti iniziative;

c) che la “condotta attendista e dilatoria della convenuta ha cagionato il danno patrimoniale, determinato dall’inadempimento della concessionaria”.

10. Ne consegue, per quanto argomentato, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile.

Alla decisa inammissibilità deriva, ex art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma, in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo determinare in Euro 1000,00 (mille), nonchè a rifondere le spese sostenute dalla parte civile Comune di Sulmona che liquida in Euro 2.500,00, oltre i.v.a. e c.p.a..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende, nonchè a rifondere le spese sostenute dalla parte civile Comune di Sulmona che liquida in Euro 2.500,00, oltre i.v.a. e c.p.a..

Così deciso in Roma, il 27 settembre 2013.

Redazione