Cartolarizzazione di immobili pubblici classificati di “pregio” (Cons. Stato n. 1261/2013)

Redazione 04/03/13
Scarica PDF Stampa

FATTO e DIRITTO

1.- Gli odierni ricorrenti per revocazione, qualificatisi già conduttori di appartamenti siti in immobili di proprietà dell’I.N.P.D.A.P. oggetto di una procedura di dismissione tramite cartolarizzazione, hanno chiesto, con il ricorso di primo grado, l’annullamento dell’atto con cui i suddetti immobili sono stati classificati “di pregio”, in quanto siti nel perimetro del centro storico della città di Bologna, e degli atti presupposti (decreto 1° aprile 2003 del Ministero dell’economia e delle finanze, nella parte in cui include tra gli immobili di pregio quelli occupati dai ricorrenti; decreto ministeriale 31 luglio 2002 che detta i criteri di individuazione degli immobili di pregio; le delibere del 17 aprile 2002 e 24 luglio 2002 con le quali l’Osservatorio del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali stabilisce i criteri per la definizione degli immobili di pregio anche ai fini dell’esercizio del diritto di prelazione ed opzione dei conduttori).

Il Tribunale amministrativo per l’Emilia-Romagna ha accolto il ricorso, ritenendo fondata la censura con la quale si contestava l’assunzione come criterio di delimitazione del centro storico, ai fini considerati, del parametro urbanistico del perimetro della zona A adottato dall’Osservatorio, in luogo di quello definito ai sensi della legge n. 382 del 1978 (sull’equo canone), perimetro, quest’ultimo, cui sono esterni gli immobili in cui sono situati gli appartamenti in questione.

2.- L’Inpdap ha proposto appello, che il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1953 del 2010 di cui è qui chiesta la revocazione, ha accolto, richiamando la posizione interpretativa già espressa dalla Sezione (in termini, Cons. Stato, VI, 10 settembre 2008, n. 4320) nel senso che la nozione di centro storico di cui alla legge n. 410 del 2001, art. 3, comma 13, doveva ricavarsi in base alla perimetrazione del PRG, come peraltro desumibile dallo stesso testo di legge, laddove esso faceva riferimento al potere individuativo dell’Osservatorio di concerto con l’Agenzia del Territorio.

3.- Con il presente ricorso per revocazione viene contestato un duplice errore revocatorio nel quale sarebbe incorso il Consiglio di Stato, consistente:

– nel non avere tenuto conto dell’eccezione, espressamente dedotta in appello dagli odierni ricorrenti per revocazione, di tardività del gravame;

– nel non aver esaminato i motivi assorbiti in primo grado e riproposti in appello con memoria depositata dagli allora appellati.

4.- Con ordinanza 24 gennaio 2012, n. 299 la Sezione ha ritenuto ammissibili entrambi i dedotti profili di vizio revocatorio e, pertanto, necessario procedere dapprima all’esame dell’eccezione di tardività dell’appello, che è stata disattesa, concedendosi il beneficio della rimessione in termini per errore scusabile, indi dei motivi assorbiti in primo grado e riproposti dagli appellati, in riferimento ai quali ha ritenuto necessario disporre, onerandone l’Inpdap, incombenti istruttori volti a verificare se gli immobili per cui è causa potessero o meno essere considerati in condizioni di degrado.

L’ordinanza predetta così pronuncia sul ricorso: “- lo accoglie per quanto riguarda le censure attinenti alla fase rescindente; – circa la fase rescissoria, respinge l’eccezione di tardività dell’appello n. 2125 del 2005 e mantiene fermo l’accoglimento dell’appello medesimo; – per l’esame delle censure assorbite in primo grado e riproposte in secondo grado, dispone l’incombente istruttorio di cui in motivazione”.

La richiesta istruttoria formulata nella motivazione della predetta ordinanza n. 299/2012 (relativa ad una “documentata relazione” che “dovrà precisare quali fossero le condizioni degli immobili al momento dell’emanazione dei provvedimenti impugnati in primo grado, in particolare allegando ogni atto che fu posto in essere, o fu acquisito, al riguardo nel corso del procedimento.”) è stata, a fronte di un adempimento solo parziale, col deposito avvenuto il 14 febbraio 2012 della chiesta relazione, reiterata con ordinanza 2 maggio 2012, n. 2505. In data 10 maggio 2012 sono state depositate le perizie di stima degli immobili redatte dall’Ufficio provinciale di Bologna dell’Agenzia del territorio corredate dai relativi allegati.

I ricorrenti hanno dimesso memorie, chiedendo disporsi consulenza tecnica d’ufficio per la valutazione dello stato degli immobili in questione ed il relativo valore commerciale all’epoca della dismissione “aggiornando la valutazione degli stessi in relazione anche ai recenti eventi sismici che hanno interessato ed interessano la zona”.

Anche il Ministero ha dimesso memoria, chiedendo la conferma della pronuncia di rigetto del ricorso originario anche con riferimento alle censure oggetto di esame in questa sede, indi il ricorso è stato posto in decisione all’udienza del 10 luglio 2012.

5.- Con i motivi rimasti assorbiti in primo grado, riproposti in appello ed ora da esaminare sono state contestate, in sintesi: a) la violazione dell’art. 7 l. 8 agosto 1990, n. 241; b) la violazione della circolare del Ministero del lavoro 27 gennaio 2000 n. 6; c) l’eccesso di potere sotto vari profili e la violazione dell’art. 3 d.l. 25 settembre 2001, n. 351, convertito in l. 23 novembre 2001, n. 410 assumendo che gli immobili occupati, pur avendo una delle caratteristiche di pregio previste (collocazione all’interno del centro storico) non rivestirebbero in concreto tale caratteristica per il loro stato di oggettivo degrado; d) lo sviamento di potere perché, visto l’onere economico, i conduttori aspiranti all’acquisto non sarebbero posti nelle condizioni di partecipare, a tutto vantaggio di cordate di imprenditori in possesso di risorse per partecipare alle vendite di lotti aggregati; e) illegittimità derivante dall’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 13, d.l. n. 351 del 2001 citato, in relazione all’art. 3 Cost..

Tali contestazioni risultano infondate.

5.1- Quanto all’addotta carenza di contraddittorio, ferma restando l’inapplicabilità riguardo agli atti di carattere generale dell’obbligo di comunicazione partecipativa, si rileva che nel ricorso di primo grado i ricorrenti hanno riferito di aver presentato sia manifestazioni di interesse all’acquisto, sia “raccomandata in data 5.2.2002 indirizzata all’Agenzia del Demanio, all’Agenzia del Territorio e all’Osservatorio sul Patrimonio immobiliare degli Enti previdenziali, ad evidenziare le caratteristiche dell’immobile stesso”, con ciò denotando il comunque conseguito raggiungimento dello scopo (appunto consentire di “cooperare con gli organismi preposti alla esatta e corretta individuazione delle caratteristiche” degli immobili, come indicato nel primo motivo) dell’avviso partecipativo. Si osserva, comunque, in riferimento all’art. 21 octies l. 7 agosto 1990, n. 241, che l’inclusione tra gli immobili di pregio degli edifici in questione è avvenuta, in doverosa applicazione del disposto dell’art. 3, comma 13, d.-l. n. 351 del 2001, in ragione della collocazione in centro storico degli stessi ed in mancanza, come tra breve si dirà, dei presupposti che consentono di eccepire alla regola dell’inclusione degli immobili ricadenti nei centri storici tra quelli di pregio.

5.2- Non persuade la non argomentata affermazione, di cui al secondo motivo, che l’interlocuzione (di cui si ipotizza la mancanza) con le organizzazioni sindacali costituisca “principio fondamentale”; non risulta quindi utilmente invocabile, nella specie, l’indicata circolare applicativa di normativa antecedente il citato d.l. n. 351 del 2001.

5.3- Ulteriore questione attiene alla possibilità di considerare “non di pregio”, con conseguente titolo alla riduzione del corrispettivo nella misura del 30% rispetto al valore di mercato, gli immobili in questione posti nel centro storico, in relazione alle addotte condizioni di degrado dei medesimi.

Al riguardo va rilevato, sul piano generale, che l’art. 3, comma 13 d.-l. n. 351 del 2001 stabilisce che “Si considerano comunque di pregio gli immobili situati nei centri storici urbani, ad eccezione di quelli individuati nei decreti di cui al comma 1, su proposta dell’Agenzia del territorio, che si trovino in stato di degrado e per i quali sono necessari interventi di restauro e di risanamento conservativo ovvero di ristrutturazione edilizia”.

Per escludere la caratteristica del pregio connesso alla collocazione in centro storico degli immobili da dismettere, è, dunque richiesta la compresenza di due elementi, costituiti dallo stato di degrado e dalla necessità di interventi di restauro, risanamento conservativo o di ristrutturazione edilizia, con la conseguenza che non vale ad integrare il presupposto per la riduzione del prezzo la sola situazione di vetustà o anche di fatiscenza in cui può versare l’immobile, che secondo l’id quod plerumque accidit può richiedere più o meno urgenti interventi di adeguamento degli impianti, di rifacimento degli intonaci interni e delle facciate ecc., non riconducibili alla tipologia più radicale degli interventi edilizi suddetti e che non precludono una sicura e dignitosa abitazione (cfr. Cons. Stato, VI, 10 settembre 2008, n. 4320 del 2008; v. anche Cons. Stato, VI, 10 maggio 2010, n. 2808; con riferimento alla nozione di degrado come implicante una situazione oggettiva del bene che lo rende inidoneo all’originaria destinazione ad uso abitativo per condizioni di igienicità, sicurezza e assetto strutturale cfr. Cons. Stato, VI, 5 giugno 2006, n. 3340).

Venendo al caso di specie, va innanzitutto disattesa, poiché superflua alla luce della documentazione acquisita, la richiesta di consulenza tecnica d’ufficio, tesa del resto ad introdurre quali elementi di giudizio circostanze recenti, ampiamente posteriori dall’epoca (anno 2002) di redazione della perizie di stima degli immobili in questione ed di adozione degli atti impugnati.

Dalla documentazione acquisita non emergono elementi che indichino la configurabilità del duplice presupposto del degrado e della necessità di interventi riconducibili alla tipologia di cui all’art. 3, lett. c) e d) d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

Quanto all’immobile di via Finelli, che la perizia descrive come un “moderno edifico costruito nei primi anni settanta”, con rivestimento in clinker ancora ben conservato, le schede tecniche-descrittive allegate alla perizia evidenziano caratteristiche “normali” degli impianti, “buona” manutenzione ordinaria e buone o normali caratteristiche intrinseche quanto a rifiniture, pavimentazione, atrio di ingresso, servizi; solo gli infissi sono definiti “scadenti”, riportando nella perizia che “sono quelli originali, con finestre in legno verniciato e vetri semidoppi a scarso coefficiente di isolamento, mentre la tapparelle in pvc sono in discreto stato”. La definizione di scadente, tanto più come precisata nella perizia, non corrisponde a quella di degradato. L’indicata negatività riguarda, inoltre, un singolo aspetto e non l’edificio nel suo complesso e la relativa rimozione non richiede opere eccedenti la tipologia manutentiva.

Per l’edificio di piazza Azzarita la scheda allegato 4 alla perizia di stima evidenzia “scadenti” infissi e manutenzione ordinaria; la descrizione dell’immobile riporta che “le fasce marcapiani e gli sporti dei terrazzini sono in cemento “a vista” che per vetustà, accompagnata da carenza di manutenzione, si presenta completamente ammalorato con evidenti distacchi di porzioni superficiali. Gli infissi sono ancora quelli originali in legno naturale, le finestre hanno semplici vetri semidoppi e non sono più a tenuta degli agenti atmosferici, mentre le tapparelle sono state sostituite con altre in p.v.c e versano in discreto stato. I pianerottoli e le scale in marmo Botticino e le pareti del vano scala si presentano lesionate con vistose setolature e crepe. Le lesioni, da imputarsi molto verosimilmente ai recenti lavori di realizzazione del parcheggio sotterraneo nella Piazza, sono presenti in tutti i piani dell’edificio e interessano altresì la quasi totalità degli alloggi. L’impianto ascensore, di tipo semiautomatico versa in cattive condizioni. L’edificio è dotato di impianto di riscaldamento centralizzato con C.T. all’interrato che necessita di lavori di manutenzione straordinaria, così come la rete idrica. Anche le colonne di scarico dei bagni presentano frequenti perdite che provocano infiltrazioni d’acqua con conseguenti danneggiamenti.” . In relazione a tali “mediocri condizioni di manutenzione e di conservazione” la perizia di stima individua un’apposita detrazione dal valore medio unitario rapportata alle “opere di manutenzione straordinaria necessarie per il restauro delle facciate, per l’eliminazione delle crepe diffuse su pavimenti pareti e soffitti ed inoltre per l’adeguamento e il ripristino degli impianti” (pag. 13).

Le pur numerose e complessive criticità evidenziate sono state, quindi, considerate dal redattore della perizia come ovviabili con opere di manutenzione straordinaria.

Ne consegue che dette condizioni oggettive non erano tali da inficiare lo status di immobile di pregio attribuito dall’art. 3, comma 13 d.-l. n. 351 del 2001, non necessitando di interventi del tipo richiesto dalla disposizione medesima (ossia gli interventi “maggiori” di restauro e risanamento conservativo o di ristrutturazione edilizia).

In ordine alle valutazioni tecniche, per consolidata giurisprudenza il sindacato di legittimità non può che limitarsi a verificare che l’attività posta in essere dall’amministrazione non palesi, secondo la documentazione in atti, manifesta illogicità o travisamento dei fatti; profili, questi, che non si rinvengono nella fattispecie in esame, considerato che anche la perizia di parte relativa all’immobile di piazza Azzarita dimessa il 7 marzo 2012 fa riferimento a “lavori urgenti di manutenzione straordinaria delle facciate” e che l’insieme delle deduzioni dei ricorrenti e delle indicazioni dei consulenti di parte (anche a prescindere da profili di ammissibilità dell’introduzione di nuova documentazione in sede giudizio di revocazione) sono tese ad esprimere una mera valutazione delle condizioni dell’edificio come più grave.

5.4.- Sfornita di prova è rimasta l’assertiva e generica censura di sviamento di potere.

5.5.- Manifestamente infondata è la questione di costituzionalità, per violazione dell’art. 3 Cost., dell’art. 3, comma 13 d.-l. n. 351 del 2001 di cui all’ultimo motivo, in quanto proprio con riferimento al discrimen rappresentato dallo stato di degrado dell’immobile il legislatore ha dimostrato di aver tenuto presente, ai fini differenziatori, gli elementi di possibile diversità attinenti gli immobili (e la posizione dei relativi locatari) ubicati in centro storico.

5.6.- Per le ragioni sopra esposte, il presente ricorso deve essere respinto, rescissoriamente confermandosi, anche in relazione alle censure ora considerate, la reiezione del ricorso di primo grado.

Le spese seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione n. 8169 del 2010 lo respinge e per l’effetto respinge il ricorso di primo grado.

Condanna i ricorrenti, in solido, a rifondere alle amministrazioni costituite le spese del giudizio che liquida in complessivi € 5.000,00 (cinquemila), di cui € 2.500,00 (duemilacinquecento) a favore dell’Inpdap (ora Inps) e € 2.500,00 (duemilacinquecento) a favore, in solido, del Ministero dell’economia e delle finanze, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell’Agenzia del Territorio, oltre i.v.a. e c.p.a..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 luglio 2012

Redazione