Cartelloni pubblicitari: può essere negata l’autorizzazione all’installazione se arreca disturbo visivo agli utenti dell’autostrada con pericolo per la sicurezza (Cons. Stato n. 6044/2012)

Redazione 29/11/12
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FATTO e DIRITTO

1. La società Supermercati Cadoro installava presso la propria sede situata in Quarto d’Altino (VE), in prossimità dell’autostrada Venezia-Trieste, un’insegna d’esercizio, chiedendone l’autorizzazione in sanatoria alla società concessionaria Autovie Venete .

Con provvedimento del 30 settembre 1999, la concessionaria comunicava il proprio diniego alla predetta istanza motivandolo con il fatto che l’insegna rivestiva una “connotazione prettamente pubblicitaria” e, come tale, in contrasto con le previsioni di cui ai commi 1 e 7 dell’art. 23 del d.Lgs. n. 285 del 1992 (Codice della Strada), in quanto recava disturbo visivo agli utenti dell’autostrada e ne distraeva l’attenzione, con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione.

2. Con il ricorso n. 703 del 1999, proposto innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Friuli Venezia Giulia, la società Supermercati Cadoro chiedeva l’annullamento del provvedimento di diniego di autorizzazione all’installazione della insegna e del conseguente ordine di rimozione, emesso dal Direttore progettazione e lavori della società Autovie Venete, in data 30 settembre 1999.

3. Con la sentenza n. 1027 del 2005, il Tribunale adito respingeva il ricorso, rilevando, in particolare, che non poteva essere “legittimamente sostenuto che vi sia una sorta d’indiscriminato diritto ad ottenere l’autorizzazione ad installare un’insegna di esercizio in prossimità di un’autostrada”; che “il cosiddetto diritto all’insegna, quale ne sia l’estensione e quale la pertinenza al caso concreto, è condizionato al potere autoritativo dell’Amministrazione”; e che, infine, le valutazioni di merito addotte dall’Amministrazione a base del provvedimento di diniego potevano essere censurate soltanto per manifesta illogicità e per difetto di motivazione, resistendo, pertanto, alla censure dedotte in giudizio dalla ricorrente società “Supermercati Cadoro”.

4. Avverso detta sentenza, la società ricorrente in primo grado ha proposto appello (ricorso n. 1369 del 2007), deducendo:

4.1. Violazione dell’art. 3, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241, non essendo stati indicati nel provvedimento di diniego del 30 settembre 1999 né il termine né l’autorità cui ricorrere;

4.2. Violazione dell’art. 3, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241; violazione dell’art. 47, comma 1, del D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495 (Regolamento al Codice della Strada); violazione e falsa applicazione di legge; contraddittorietà ed eccesso di potere; carenza di motivazione.

Ad avviso dell’appellante, la società Autovie Venete, nel provvedimento di diniego, avrebbe erroneamente qualificato l’insegna, in base alla circolare dell’ANAS n. 41 del 1998, come mezzo avente “connotazione prettamente pubblicitaria” ed in quanto tale vietato dall’art. 23, commi 1 e 7, del d.lgs. n. 285 del 1992, mentre avrebbe dovuto qualificarla come insegna d’esercizio in base a quanto previsto dall’art. 47 del D.P.R. n. 495 del 1995.

E ciò nella considerazione che le motivazioni addotte dalla società Autovie Venete non sono sufficienti a qualificare l’insegna come pubblicitaria e, conseguentemente, per ritenere il diniego non adeguatamente motivato.

L’insegna d’esercizio, infatti, rappresenta il segno distintivo dell’azienda e dei locali dell’impresa, svolgendo una funzione di “collettore della clientela soprattutto per quegli imprenditori che, come nel caso di specie, ospitano gli utenti nei locali dell’impresa”.

Proprio in relazione alla particolarità del mezzo e della sua indispensabile funzione d’identificazione della sede dell’impresa – che peraltro consente di affermare “l’esistenza di un diritto giuridicamente tutelato all’uso della propria insegna ai sensi del combinato disposto degli articoli 2564 e 2568 del Cod. Civ.” – il Codice della Strada ed il relativo Regolamento di attuazione prevedono per l’insegna d’esercizio norme che derogano al regime previsto per gli altri mezzi pubblicitari.

Legittimamente, pertanto, quest’ultima avrebbe potuto essere installata, ai sensi dell’art. 47 del Regolamento al Codice della strada, nella sede “delle attività cui si riferisce o nelle pertinenze accessorie alla stessa” e, quindi, anche in prossimità di un’autostrada.

In conclusione, avrebbe errato il giudice di primo grado nel ritenere che l’appello fosse rivolto ad affermare “una sorta di indiscriminato diritto ad ottenere l’autorizzazione ad installare un’insegna d’esercizio”, essendo, viceversa, finalizzato a dimostrare che l’insegna d’esercizio, “caratterizzata da una funzione specifica e diversa da quella degli altri mezzi pubblicitari,” è assoggettata a norme specifiche che, derogando alle disposizioni che il Codice stesso prevede per gli altri mezzi pubblicitari, ne “consentono l’istallazione anche in prossimità di una autostrada”.

4.3. Violazione dell’art. 3, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241; violazione dell’art. 23, comma 7, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285: violazione e falsa applicazione di legge; contraddittorietà ed eccesso di potere; carenza di motivazione, disparità di trattamento, ingiustizia manifesta.

Ad avviso dell’appellante, la sentenza del Tar del Friuli Venezia Giulia sarebbe anche erronea nella parte in cui non contesta l’interpretazione che la società concessionaria ha dato del disposto dell’art. 23, comma 7, del Codice della strada – che non vieta l’istallazione delle insegne di servizio ma vieta qualsiasi forma pubblicitaria lungo le autostrade – ritenendo che l’insegna de qua rivestiva carattere prettamente pubblicitario e come tale la sua installazione doveva ritenersi vietata dall’art. 23, commi 1 e 7, del d.Lgs. n. 285 del 1992.

Il giudice di primo grado ha ritenuto che tale determinazione presentava le caratteristiche di una valutazione di merito e, quindi, non sindacabile se non per manifesta illogicità o difetto di motivazione, vizi che non sussisterebbero nel caso di specie.

L’appellante ha dedotto che, contrariamente a quanto affermato dal giudice di prime cure, la suddetta valutazione dovrebbe considerarsi erronea, poiché il divieto contenuto nell’art. 23, comma 7, sarebbe stato applicato ad una ipotesi da esso esclusa, essendovi per l’insegna d’esercizio una disciplina differente da quella stabilita per le ordinarie forme di pubblicità, in considerazione del fatto che essa costituisce lo strumento di cui si serve l’imprenditore per facilitare l’individuazione territoriale della propria attività economica.

Per motivare il diniego di autorizzazione in sanatoria, la società Autovie Venete ha interpretato restrittivamente la circolare dell’Anas n. 41 del 1998, che, tuttavia, non avrebbe avuto decisivo rilievo nella giurisprudenza formatasi in materia (il parere n. 1093 del 2001 del Consiglio di Stato si è espresso in senso favorevole all’annullamento di un diniego di autorizzazione, impugnato con ricorso straordinario al Capo dello Stato, che aveva ad oggetto un’insegna in vista dell’autostrada, ubicata all’interno della sede della società, non all’entrata dello stabilimento bensì su una parete esterna).

5. Si è costituita in giudizio la società Autovie Venete che, con memoria depositata in data 26 marzo 2007, ha contestato gli assunti avversari, chiedendo la reiezione dell’appello, con rifusione delle spese di lite.

Con memoria integrativa, depositata in data 24 luglio 2012, la società Supermercati ******* ha insistito nelle giù formulate conclusioni.

Con memoria integrativa, depositata in data 27 settembre 2012, la società Autovie Venete ha formulato alcune osservazioni integrative alla sua memoria di costituzione del 26 marzo 2007.

6. All’udienza del 12 ottobre 2012 la causa è stata trattenuta per la decisione.

7. Quanto al primo motivo d’appello, il Collegio osserva che la mancata indicazione del termine e dell’autorità cui ricorrere, per la pacifica giurisprudenza, non comporta l’illegittimità, bensì la mera irregolarità dell’atto impugnato.

Tale mancanza potrebbe giustificare un’impugnazione tardiva dell’atto medesimo, ipotesi questa che nella specie non rileva, non essendo contestata la tempestività del ricorso di primo grado.

8. Quanto al secondo ed al terzo motivo di appello, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto fra loro connessi, il Collegio osserva che, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, se è vero che l’iniziativa economica privata è libera, in base a quanto enunciato in linea di principio dall’art. 41 della Costituzione, è altrettanto vero che “essa non può svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza” e che la stessa norma di rango costituzionale demanda alla legge di “definire i programmi e i controlli per coordinarla a fini sociali”.

A tale finalità risponde l’art. 23 del Codice della Strada, che da un lato vieta la collocazione, “lungo le strade o in vista di esse”, di insegne e di ogni impianto pubblicitario che possa distrarre l’attenzione di chi le percorre, “con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione” e dall’altro ne sottopone l’installazione ad un provvedimento autorizzatorio, emesso dal competente ente gestore.

La formulazione dell’art. 23, in altri termini, indica chiaramente l’intento perseguito dal legislatore, che è quello di prevenire la collocazione sugli spazi destinati alla circolazione veicolare, così come sugli spazi a questi adiacenti, di fonti di captazione o disturbo dell’attenzione dei conducenti e di consequenziale sviamento della stessa dall’unica ed essenziale funzione al momento commessale, che è quella della guida del veicolo (cfr. Corte di Cassazione Civile, Sezione II, sentenza n. 4683 del 2009).

In tale quadro normativo e nel conseguente regime autorizzatorio rientra anche l’installazione delle insegne d’esercizio, che sono elencate fra i mezzi pubblicitari dagli artt. 47 e 53 del regolamento di esecuzione del codice della strada.

Di conseguenza non vi può essere dubbio alcuno che l’installazione di tali insegne sia soggetta a procedimento autorizzatorio e che l’autorizzazione possa essere negata quando, come nel caso de quo, a giudizio dell’ente gestore della strada (titolare dei relativi poteri pubblicistici) l’insegna rivesta carattere prettamente pubblicitario e, comunque, arrechi disturbo visivo agli utenti dell’autostrada, distraendone l’attenzione con conseguente pericolo per la circolazione.

Poco importa che l’insegna sia effettivamente tale sotto i vari profili rilevanti per il diritto commerciale: la legge consente all’ente gestore della strada di vietare la realizzazione a qualsiasi distanza (bastando che siano ‘a vista’) di manufatti di qualsiasi tipo che incidano sulla sicurezza della circolazione (e, corrispondentemente, consente di denegare il rilascio di autorizzazioni in sanatoria e di ordinare la rimozione degli impianti).

Neppure rileva che l’insegna rispetti i limi dimensionali massimi previsti dall’art. 48 del regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo Codice della strada (che ha fissato per le insegne d’esercizio ed ogni altro mezzo pubblicitario limiti dimensionali, 6 metri quadrati se installati fuori dai centri abitati e 20 metri quadrati se posti parallelamente al senso di marcia dei veicoli o in aderenza ai fabbricati).

In ogni caso, ovunque si trovi e qualunque siano le sue dimensioni, l’ente gestore della strada può constatare la pericolosità e vietare la realizzazione o il mantenimento del manufatto, con una valutazione basata su un potere di natura tecnico-discrezionale, sindacabile dunque solo per manifesta illogicità o per difetto di motivazione.

Nella specie, il diniego impugnato non è affetto da alcuno dei vizi dedotti dall’appellante ed è coerente con la normativa di settore

Per quanto riguarda il posizionamento dell’insegna rispetto alla ubicazione dell’esercizio commerciale, l’appellante ha dedotto che essa si troverebbe al lato dell’ingresso principale dell’edificio e di fronte all’area di parcheggio.

Al riguardo, rileva in punto di fatto il Collegio che la medesima insegna è indubbiamente visibile dall’autostrada: tale circostanza – in considerazione dell’effettivo stato dei luoghi – è stata valutata dall’ente nel senso della pericolosità dell’impianto ed è sufficiente per giustificare le conclusioni cui è giunto l’ente.

Per di più, l’insegna realizzata dall’appellante supera anche il limite massimo normativo astrattamente consentito dall’art. 48 del richiamato regolamento, raggiungendo una dimensione di 27,373 metri quadrati, e non è posta in aderenza al fabbricato.

Ne consegue che il provvedimento di diniego risulta pienamente giustificato dalle circostanze e che ben poteva essere seguito dall’ordine di rimozione.

9. L’appello, dunque, è da ritenersi infondato e va, pertanto, respinto.’

Le spese del secondo grado di giudizio seguono il principio della soccombenza e sono liquidate nella misura indicata nel dispositivo.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello (ricorso n. 1369/2007), come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte appellante al pagamento delle spese, dei diritti e degli onorari del secondo grado di lite, che quantifica in euro 5000,00, oltre gli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2012

Redazione