Canoni dovuti per le concessioni demaniali (Cons. Stato, n. 3196/2013)

Redazione 10/06/13
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FATTO e DIRITTO

La società La Barca di P ***** e C., che gestisce nel Comune di Forte dei Marmi il ristorante La Barca, insistente su area demaniale marittima, chiede la riforma della sentenza con la quale il Tribunale amministrativo della Toscana ha accolto solo in parte il ricorso proposto avverso l’ordine di introito emesso il 31 dicembre 2007 dal Comune sulla base delle nuove modalità di calcolo del canone concessorio introdotte dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007).
I) Espone l’appellante che con concessione n. 81 del 23 febbraio 2005 il Comune le ha concesso di occupare “una zona demaniale marittima […] di metri quadrati 1.373 […] allo scopo di mantenervi un manufatto in muratura ad un piano adibito a ristorante denominato “La Barca”. Tale area era già stata oggetto di concessioni demaniali regolarmente rinnovate, da ultimo con la concessione numero 565 del 1999, in scadenza il 31 dicembre 2004; il relativo canone, quantificato ai sensi della legge 4 dicembre 1993, n. 494 e soggetto ad aggiornamento annuale secondo gli indici Istat in relazione ad opere non di proprietà demaniale, è sempre stato regolarmente corrisposto.
Con il provvedimento impugnato in primo grado il Comune ha comunicato l’importo del nuovo canone, calcolato ai sensi della suddetta legge finanziaria 2007, considerando il manufatto come “pertinenza demaniale marittima destinata ad attività commerciali, terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi”.
Tale provvedimento è stato impugnato dall’interessata davanti al Tribunale amministrativo della Toscana che, con la sentenza gravata, ha respinto il ricorso, sul presupposto del verificarsi automatico della devoluzione all’Ente pubblico delle opere edificate dal concessionario per effetto della scadenza della concessione dell’area demaniale marittima, anche se rinnovata e in assenza di un atto esplicito di acquisizione o incameramento. Inoltre, secondo il Tribunale amministrativo, l’applicazione dei nuovi coefficienti previsti dall’art. 1, comma 251, della suddetta legge finanziaria ha effetto con decorrenza dal 1° gennaio 2007 anche per le concessioni rilasciate o rinnovate prima di tale data, e non vi sarebbe errore nella data di decorrenza della rivalutazione della misura del canone.
A contestare la sentenza è diretto l’appello in esame, con il quale la ricorrente ribadisce le censure già avanzate in primo grado, in particolare per ciò che riguarda il mutamento della qualificazione di
parte del bene oggetto di concessione (da “opere di difficile rimozione” a “pertinenza demaniale”) e l’applicazione retroattiva della rivalutazione del canone secondo gli indici Istat.
Con ordinanza 1° febbraio 2013, n. 627 di questa Sezione, il Consiglio di Stato ha disposto incombenti istruttori, all’esito dei quali è emerso che la ricorrente dal 1983 sarebbe titolare di concessione quidicennale del terreno sul quale è edificato il manufatto di cui è causa (prima disciplinata con licenza annuale), da ultimo rinnovata con la concessione n. 565 del 1999, in scadenza il 31 dicembre 2004, e che con provvedimento n. 81 del 28 febbraio 2005 il Comune di Forte dei Marmi, in considerazione del rinnovo automatico previsto dalla legge 16 marzo 2001, n. 88 per le concessioni in scadenza alla suddetta data, ha nuovamente concesso fino al 31 dicembre 2010 alla società La Barca “di occupare una zona demaniale marittima […] di cui alla concessione citata in premessa […] allo scopo di mantenervi un manufatto in muratura ad un piano adibito a ristorante”, precisando il canone annuo di 1.400,97 euro e successivi aggiornamenti quale corrispettivo e “in riconoscimento della demanialità del bene concesso”. Tale concessione è stata automaticamente prorogata fino al 31 dicembre 2015 dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25.
II) Tema centrale della controversia è la qualificazione giuridica e il conseguente regime proprietario del manufatto, adibito a ristorante, di cui in premessa. Ogni altra questione sollevata con l’appello recede rispetto all’indagine circa la definizione del manufatto al fine della sua corretta riconduzione ad una corretta categoria tra quelle indicate dall’art. 1, comma 251 della citata legge. Il Comune ritiene sussisterne la titolarità demaniale, in quanto pertinenza, mentre la ricorrente ne afferma la sua piena proprietà (evidentemente in forza di un diritto reale di superficie, non contestando la natura demaniale dell’area di sedime).
Proprio in forza della questione centrale portata dal ricorso, appare di tutta evidenza la permanenza in capo alla ricorrente dell’interesse a coltivare l’impugnazione, posto che gli ulteriori ordini di introito, per gli anni successivi al 2007, sono meramente ripetitivi e applicativi della valutazione contestata, oggetto del provvedimento impugnato al quale va riportato, e intermante riferito, l’interesse dedotto in causa.
III) *****, all’esame dell’appello, ricordare che l’art. 1, comma 251 della legge finanziaria 2007, nel rideterminare la misura dei canoni dovuti per le concessioni demaniali, differenzia le opere insistenti sull’area demaniale in “impianti di facile rimozione”, “impianti di difficile rimozione” (secondo la distinzione già operata dal Codice della navigazione, r.d. 30 marzo 1942 , n. 327), ovvero “pertinenze”. Un primo evidente effetto ne consegue: non tutti i manufatti insistenti su aree demaniali partecipano della natura pubblica – e dell’inerente qualificazione demaniale della titolarità del sedime, poiché solo ad alcuni, nella stessa dizione della legge, appartiene la natura pertinenziale. Per gli altri (che la legge indica come impianti di difficile o non difficile rimozione:
definizione che appare inadatta a stabilire una differenza di categoria, dato che anche gli immobili pertinenziali possono essere, di per sé, rimovibili con facilità o con difficoltà) si deve allora riconoscere, per esclusione, la qualificazione di cose immobili di proprietà privata fino a tutta la durata della concessione, evidentemente in forza di un implicito diritto di superficie , così come sostenuto dall’appellante.
Tale conclusione è avvalorata dall’art. 49 del Codice della navigazione che, per le opere non amovibili, prevede, salvo che non sia diversamente stabilito nell’atto di concessione, l’acquisizione allo Stato solo al momento della cessazione della concessione “senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato”: E’ quindi solo con la cessazione del rapporto nascente dalla concessione che si verifica, con l’accessione al demanio, l’espansione all’impianto sovrastante della natura pubblica del suolo, e perciò, viene a sussistere il presupposto per la sua qualificazione funzionale come pertinenza demaniale.
IV) Applicando i suesposti principi al caso di specie, vale evidenziare come la concessione n. 565 del 1999, via via automaticamente prorogata ex lege, da ultimo con la concessione n. 128 del 2005 fino a tutto il 2015, come sopra si è detto, concerne l’uso di “una zona demaniale marittima”, ha cioè ad oggetto un’area, e il manufatto sovrastante realizzato dopo il rilascio della concessione, ne costituisce lo scopo, e non l’oggetto. Il manufatto, invero, nasce come proprietà privata superficiaria acquisita a titolo originario dal concessionario del sedime, sebbene il suo diritto sia di durata temporanea e pari a quella della concessione (cfr. Cass.,, Sez. trib., 30 giugno 2010, n. 15470). Come tale, del resto, è stato sempre considerato (“opera di non facile rimozione” e cioè, secondo l’imperfetta definizione della legge, non pertinenziale) nei provvedimenti determinativi del canone, fino al provvedimento impugnato in primo grado. Perché se ne verifichi il mutamento del titolo e della titolarità (e perciò l’assunzione quale elemento su cui parametrare l’entità del canone concessorio) è dunque necessaria la cessazione della concessione, evento al quale è collegato con effetto legale automatico, ma che non coincide con la semplice scadenza della concessione: effetto, questo, che non si è ancora verificato, essendo, come si è detto, la concessione del 2005 efficace fino a tutto il 2015.
Come questo Consiglio di Stato ha osservato, infatti, (sez. VI, 26 maggio 2010, n. 3348) il principio dell’accessione gratuita di cui al ricordato art. 49 Cod. nav. non trova applicazione quando il titolo concessorio è stato oggetto di rinnovo automatico prima della data di naturale scadenza della concessione -nel caso di specie, in forza di una espressa norma di legge- tanto da configurare il rinnovo stesso, al di là del nomen iuris, come una piena proroga dell’originario rapporto e senza soluzione di continuità.
Non essendosi, quindi, verificata la modificazione della titolarità della proprietà della cosa immobile (e quindi non essendosi avverata l’espansione della natura demaniale del sedime all’opera sovrastante), il manufatto in discorso avrebbe dovuto essere considerato dall’Amministrazione, ai fini della quantificazione del canone secondo i parametri introdotti dalla legge n. 196 del 2006, quale impianto di difficile rimozione e avrebbe comportato l’applicazione dei canoni tabellari di cui al suddetto art. 1, comma 251, lettera b), punto 1.3 alla sola area occupata data in concessione,.
Sotto il profilo considerato l’appello è, in conclusione, fondato. L’accoglimento del motivo comporta l’assorbimento della censura relativa alla mancata comunicazione dell’avvio del procedimento che ha condotto alla diversa qualificazione dei manufatti.
V) Poiché, peraltro, le censure proposte avverso la sentenza impugnata concernono anche altri punti, e poiché il provvedimento impugnato non si limita alla considerazione del manufatto, ma determina il canone dovuto anche con riferimento all’area scoperta o occupata da altri impianti, vale osservare che:
– contrariamente a quanto pretende l’appellante, l’applicazione dei canoni secondo la legge n. 196 del 2006 non riguarda solo le concessioni rilasciate o rinnovate a partire dal 1° gennaio 2007: come rileva il primo giudice, l’art. 1 comma 251 più volte richiamato prevede che i nuovi criteri di quantificazione si applichino a partire da tale data, ma non prevede, né implica, alcuna limitazione in relazione al momento di rilascio della concessione, limitazione che sarebbe, a ben vedere, ingiustificata sia rispetto al fine della norma, sia contraria alla parità di trattamento tra i concessionari;
– la rivalutazione dei canoni sulla base degli indici Istat maturati a decorrere dal 1994 non configura, come sostiene l’appellante, una non consentita applicazione retroattiva dell’art. 1 comma 251 della legge n. 296 del 2006, né una duplicazione del coefficiente: la norma citata, nel prevedere che a decorrere dal 1º gennaio 2007, si applicano gli importi rideterminati, “aggiornati degli indici ISTAT maturati alla stessa data”, espressamente comporta l’applicazione per l’avvenire e legittima, a questo riguardo, la quantificazione del canone nel senso fatto proprio dall’Amministrazione. Quanto alla pretesa duplicazione, vale la considerazione ritenuta dalla sentenza, nel senso che la norma in riferimento espressamente sostituisce la precedente disciplina dei canoni demaniali, prevista dal decreto legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, e quindi, nell’innovare il sistema, prevede l’aumento dei canoni attraverso un calcolo nel quale l’indice Istat, al di là del significato che gli è proprio, assume la funzione di moltiplicatore. Necessariamente, quindi, la sostituzione delle modalità di determinazione del canone ne impone l’applicazione (per l’avvenire, ma) con i criteri di calcolo introdotti dalla nuova disciplina, che pongono quale riferimento temporale il 1994.
VI) In conclusione, l’appello è fondato e deve essere accolto nei sensi e di cui sopra; in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado deve essere quindi accolto nei limiti conseguenti, con annullamento del provvedimento negli stessi limiti.
L’esito della causa e la particolarità delle questioni trattate giustificano la compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe indicato, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e, in riforma della sentenza impugnata, annulla conseguentemente il provvedimento oggetto del ricorso di primo grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2013

Redazione