Bilancio falso: sì al sequestro dei beni personali del presidente (Cass. pen. n. 35824/2012)

Redazione 19/09/12
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Svolgimento del processo

1. – Con ordinanza del 6 dicembre 2011, il Tribunale di Treviso, in sede di riesame, ha confermato il decreto di sequestro preventivo per equivalente emesso dal Gip dello stesso Tribunale il 4 novembre 2011, in relazione al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3, contestato all’indagato, perchè, nella sua qualità di presidente del consiglio di amministrazione di una società per azioni, al fine di evadere le imposte sul reddito e l’imposta sul valore aggiunto, di conseguire indebiti rimborsi e riconoscimenti di crediti di imposta, sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili e avvalendosi di mezzi fraudolenti, con una contabilità ufficiale totalmente inattendibile e con la creazione di una gestione parallela e occulta, indicava nelle dichiarazioni annuali per i periodi di imposta da 2004 – 2010 elementi attivi per un ammontare inferiore a quello reale.

2. – Avverso l’ordinanza l’imputato ha proposto, tramite i difensori, ricorso per cassazione, denunciando, con unico motivo di doglianza, il vizio di carenza di motivazione, sul rilievo che il Tribunale avrebbe ritenuto che l’IVA asseritamente non versata dall’erario corrispondesse a un profitto ottenuto dall’indagato, che poteva essere oggetto di sequestro preventivo per equivalente in vista della confisca. Lamenta il ricorrente che, secondo Tribunale, sarebbe da considerare profitto del reato assoggettabile a sequestro tutto ciò che il soggetto ha incassato in nero nei vari anni di imposta oggetto di contestazione, senza che vi sia un vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta del reato. Secondo la difesa, il profitto non corrisponderebbe all’intero importo delle somme incamerate a seguito delle operazioni economiche in nero, anche perchè le operazioni economiche oggetto di accertamento assumerebbe un valore neutro sotto il profilo dell’Iva, posto che quest’ultima non era stata in concreto mai incassata.
Motivi della decisione

3. – Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Dalla motivazione dell’ordinanza impugnata emerge che il Tribunale ha affermato che il profitto del reato consiste, nel caso di specie, nell’ammontare dell’IVA che avrebbe dovuto essere versata per le operazioni effettuate in nero. Dall’esame del fascicolo risulta, del resto, che la somma per la quale il sequestro per equivalente è stato disposto corrisponde proprio a tale ammontare e non – come prospettato dal ricorrente – all’intero ammontare delle operazioni in nero. Risulta, dunque, sussistente il presupposto per il sequestro preordinato alla confisca per equivalente di cui all’art. 322 ter cod. pen., in corrispondenza di un profitto del reato che appare – allo stato degli atti – sufficientemente determinato nel suo ammontare.

Nè merita considerazione l’affermazione della difesa secondo cui l’IVA non versata dalla società dell’indagato non corrisponderebbe a nessun concreto profitto per la società, non avendola questa mai incassata. Si tratta, infatti, di una mera, indimostrata asserzione che trova smentita nella stessa esistenza della contabilità in nero oggetto dell’imputazione e nell’indicazione di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello reale, riguardando la contestata evasione dell’IVA proprio tale ultimo, più elevato, ammontare. Deve, in altri termini, ribadirsi ciò che è ovvio in linea di principio:

e, cioè, che l’avere svolto operazioni in nero non esclude che per tali operazioni l’IVA sia comunque dovuta all’erario.

Ne consegue il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione