Bando di gara: interpretazione (Cons. stato, n. 4364/2013)

Redazione 02/09/13
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FATTO e DIRITTO

1. Con deliberazione n. 212 del 4.4.2012 la A.S.L. di Lecce ha indetto una procedura aperta per l’aggiudicazione della fornitura triennale di galenici, soluzioni infusionali, nutrizione parenterale, necessari alle strutture della medesima A.S.L.

 

2. La gara è stata suddivisa in lotti (c.d. voci), nel numero di 166, alcuni dei quali ulteriormente distinti in sottovoci (n. 69 e n. 73).

 

3. Il criterio di aggiudicazione prescelto in generale dalla stazione appaltante era quello del prezzo più basso, ad eccezione di alcune voci, tra le quali le voci n. 13, n. 69 e n. 73, aggiudicate con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

 

4. La voce n. 13 è stata aggiudicata a Baxter s.p.a.; il prodotto sub c) della voce n. 69 e quelli sub b) e c) della voce n. 73 sono stati aggiudicati a *************** s.p.a.; i prodotti sub a) e b) della voce n. 69 e quelli sub a) della voce n. 73 sono stati aggiudicati a Fresenius Kabi Italia s.r.l.

 

5. Avverso gli atti di gara e, in particolare, di aggiudicazione ha proposto ricorso avanti al T.A.R. Puglia, sezione staccata di Lecce, ********************* s.r.l., deducendone diversi vizi di illegittimità, e ne ha chiesto l’annullamento, con conseguente declaratoria di inefficacia dei contratti stipulati dalla A.S.L. con Baxter s.p.a. e *************** s.p.a. e, in ogni caso, con condanna dell’Amministrazione resistente al risarcimento del danno.

 

6. Si sono costituite nel giudizio di primo grado le controinteressate Baxter s.p.a. e *************** s.p.a., chiedendo la reiezione del ricorso avversario.

 

7. Il T.A.R. Puglia, sezione staccata di Lecce, con la sentenza n. 339 del 15.2.2013, ha respinto il ricorso proposto da ********************* s.p.a., compensando le spese del giudizio per la complessità delle questioni esaminate.

 

8. Avverso tale sentenza ha proposto appello Fresenius Kabi Italia s.p.a., formulando quattro distinti motivi disattesi dal primo giudice, e ne ha chiesto, previa sospensione in via cautelare, la riforma, con accoglimento delle domande proposte in prime cure.

 

9. Si è costituita nella presente fase di giudizio la sola appellata *************** s.p.a., chiedendo la reiezione dell’avversario gravame.

 

10. Nella camera di consiglio del 7.6.2013, fissata per l’esame dell’istanza incidentale di sospensione proposta dall’appellante, il Collegio, ritenuto di dover procedere alla sollecita definizione del merito, ha rinviato la causa alla pubblica udienza del 12.7.2013.

 

11. Alla pubblica udienza del 12.7.2013 il Collegio, uditi i difensori, ha trattenuto la causa in decisione.

 

12. L’appello va respinto.

 

13. Fresenius Kabi Italia s.p.a. ha inteso riproporre, anzitutto, un motivo di doglianza, di portata generale, che investe lo svolgimento della procedura per le voci nn. 69 e 73, in ordine alle quali la stazione appaltante ha dato corso a distinte gare e successive aggiudicazioni per ogni singola sottovoce nella quale si articolavano le citate voci.

 

14. Le voci nn. 69 e 73, come ricorda infatti la stessa appellante, sono voci composite, articolate ciascuna in 3 sottovoci in ragione della diversa volumetria della sacca di emulsione richiesta dalla stazione appaltante.

 

15. Fresenius Kabi Italia s.r.l. ha dedotto, in primo grado, e ripropone ora, tra i motivi di appello, il carattere unitario della competizione per complessiva voce, assumendo quindi che sia illegittimo l’espletamento, da parte della A.S.L., di distinte gare per le distinte sottovoci.

 

16. Il T.A.R. ha disatteso tale censura, fondando il proprio convincimento su due diversi, e concorrenti, ordini di ragioni.

 

16.1. Il primo, in sintesi, attiene alla mancata espressa previsione di una sanzione di esclusione dalla competizione per voce in presenza di una difformità del prodotto offerto dal concorrente rispetto ad una sola sottovoce.

 

16.2. Il secondo, invece, sottolinea la compressione della concorrenza alla quale darebbe luogo la tesi propugnata dall’odierna appellante, tesi eccessivamente restrittiva che, quindi, precluderebbe alle concorrenti di partecipare alla competizione per ogni singola sottovoce.

 

17. Avverso tali argomentazioni, espresse dal primo giudice, ********************* s.r.l. muove una critica di fondo, intesa a ribadire il preteso carattere unitario della competizione per le voci nn. 69 e 73.

 

17.1. In particolare, sostiene l’appellante, la legge di gara non si presterebbe a fraintendimenti sul carattere unitario della competizione per le voci nn. 69 e 73, sia pure entrambe articolate in sottovoci.

 

17.2. La ragione sarebbe da individuarsi nell’esigenza di garantire la continuità terapeutica nell’uso delle sacche.

 

17.3. Nei casi in cui la stazione appaltante ha inteso indire separate competizioni in ragione della diversa volumetria dei prodotti, sostiene ancora l’appellante, li ha inclusi in voci distinte, come ad esempio per le voci nn. 52, 53, 54, 61, 62, ecc.

 

17.4. Ciò implicherebbe la ritualità dell’esclusione del concorrente dalla competizione per l’intera voce del componente che non risponda singulatim anche solo per una singola sottovoce che la compone.

 

17.5. Non sarebbe quindi necessaria, secondo l’appellante, nemmeno una sanzione di esclusione ad hoc, posto che rientra nelle ordinarie e logiche implicazioni della lex specialis l’estromissione del concorrente che offra un pacchetto di prodotti non coerenti in toto con le prescrizioni di gara.

 

17.6. Risulterebbero pertanto ultronei e inconferenti i riferimenti del primo giudice ai principi della par condicio dei concorrenti e all’esigenza di tutela della concorrenza, che invece sarebbero compromessi proprio da un travisamento del dato letterale della legge di gara.

 

18. La tesi dell’appellante, pur suggestiva e sorretta da acute argomentazioni, non persuade.

 

18.1. Bene ha rilevato il T.A.R. che proprio in considerazione del fatto che non vi sia una espressa previsione, nella lex specialis, di esclusione dell’offerta per l’intera voce, nell’ipotesi di difformità del prodotto anche per una soltanto delle sottovoci, si deve ritenere che non vi sia alcun ostacolo a disporre l’aggiudicazione per singole sottovoci.

 

18.2. Il disciplinare di gara ha invero previsto, all’art. 2.1., che l’aggiudicazione sarebbe avvenuta per ciascuna voce di gara in favore del soggetto che avrebbe presentato l’offerta al prezzo più basso, ad eccezione di alcune voci, tra le quali la n. 69 e la n. 73, la cui aggiudicazione sarebbe avvenuta con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

 

18. Ora è vero, come sostiene l’appellante, che il disciplinare di gara fa riferimento solo all’aggiudicazione delle voci, che ammontano nel complesso a 166, senza mai menzionare le sottovoci, ma non può e deve nemmeno trascurarsi la natura composita delle voci n. 69 e n. 73, che comprendono più sacche di miscela nutrizionali, diversificate in relazione alla differente volumetria.

 

19. Non può essere precluso alla stazione appaltante, allora, procedere all’aggiudicazione frazionata della voce in relazione alle diverse tipologie di sacche, distinte per volumetria, laddove la voce, in realtà, sia composita e si articoli in sottovoci funzionalmente distinte, richiedendo da parte di ogni singolo concorrente la presentazione di tre distinte offerte, tecniche ed economiche, per ogni tipologia di prodotto che viene contemplato dalla stessa voce.

 

19.1. Si tratta, in buona sostanza, di un problema di interpretazione del bando.

 

Il problema, tuttavia, è stato posto e sollevato solo da Fresenius e solo a posteriori, nel momento cioè in cui l’esito della gara l’ha indotta ad escogitare una tesi strumentale per ottenere l’invalidazione in parte qua del procedimento e la sua rinnovazione.

 

Ed invero l’A.S.L., nel corso della gara, aveva mostrato chiaramente di trattare distintamente le singole sottovoci, come se si trattasse di altrettante voci autonome; lo ha fatto, ad esempio, quando in sede di chiarimenti resi prima della presentazione delle offerte ha precisato che solo con riferimento alla sottovoce b) della voce 69 avrebbe accettato una tolleranza di un +/- 20%.

 

19.2. Non appariva dunque dubbio, sin dall’inizio, che, nonostante taluni lotti fossero non fossero numerati come autonomi, ma fossero distinti con una sottonumerazione delle voci n. 69 e n. 73, i prodotti richiesti in esse potessero e, anzi, dovessero essere oggetto di distinte valutazioni e, quindi, aggiudicazioni.

 

20. E tanto si evince, del resto, dallo stesso comportamento delle concorrenti, inclusa la stessa Fresenius Kabi Italia s.r.l. (cfr. doc. 18 fasc. parte ricorrente in prime cure), che hanno presentato tutte, in ossequio a quanto richiesto dalla lex specialis, una offerta tecnica e, successivamente, economica con distinti prezzi in relazione alle tre diverse tipologie di sacche, mostrando di avere perfettamente inteso che – nonostante la formale unicità di numerazione delle voci n. 69 e n. 73 – le sottovoci identificassero altrettanti lotti, destinati a formare oggetto, come poi è regolarmente avvenuto, di una distinta valutazione e di una distinta aggiudicazione.

 

21. La scelta dell’ente appaltante di articolare in tal modo l’individuazione dei lotti di gara riflette, evidentemente scelte tecnico-discrezionali forse opinabili (come sono del resto tutte le scelte tecnico-discrezionali) ma certamente non tanto irragionevoli da dover essere giudicate illegittime. Semmai si richiedeva che il bando fosse chiaro sul punto, in modo da evitare incertezze ed equivoci nello svolgimento della gara; ma come si è visto la formulazione del bando era sufficientemente chiara e non ha dato luogo ad inconvenienti, a parte la capziosa argomentazione a posteriori della ricorrente Fresenius.

 

Il modus procedendi della stazione appaltante, nel procedere a distinte aggiudicazioni per le tre diverse tipologie di sacche, non appare allora né erroneo né contrario alle prescrizioni della lex specialis, ma anzi rispettoso, nella sostanza, della incontestabile diversità funzionale dei prodotti, pur accorpati in una singola voce, per loro natura destinati a soddisfare divergenti e (crescenti) esigenze terapeutiche, sicché il frazionamento del lotto in sublotti, con distinte valutazioni e aggiudicazioni per ognuno di essi, è conforme sia al contenuto sostanziale dell’appalto, per l’oggettiva diversità delle sacche, sia al principio della massima partecipazione in ordine a ciascuna di esse, senza che il giudizio sull’una influisca o condizioni il giudizio sull’altra.

 

22. Della sostanziale diversità delle singole sacche si mostra avvertita, del resto, la stessa appellante allorché, per giustificare l’inclusione delle tre sacche in un’unica voce, richiama – e non del tutto infondatamente – l’esigenza di garantire la continuità terapeutica del paziente nel caso in cui necessiti di ulteriori infusioni parenterali, che implichino il ricorso a sacche con volumetrie differenti (p. 9 del ricorso in appello).

 

23. Non vi è dubbio, infatti, che la richiesta, da parte della A.S.L., di distinte sacche con volumetria maggiore risponda proprio a tale esigenza di garantire un apporto nutrizionale via via più consistente al paziente che per accresciuti bisogni di apporto nutrizionale ne necessiti.

 

24. Ma questa esigenza non impone, come pretende l’appellante, che tutte e tre le diverse tipologie di sacca debbano essere aggiudicate allo stesso offerente per il sol fatto di essere accorpate in unica voce, se è vero, come è vero, che gli stessi concorrenti hanno interpretato, nelle loro offerte, la previsione della lex specialis quale, appunto, essa in effetti era e non poteva non essere e, cioè, la richiesta di tre distinte sacche di differente volumetria per distinte esigenze nutrizionali, con conseguente autonoma valutazione delle stesse.

 

25. E del resto, adottando l’interpretazione dell’appellante, tutte le esigenze sottese alla previsione della lex specialis sarebbero rimaste frustrate laddove nessuno dei concorrenti avesse offerto un prodotto adeguato per tutte le tipologie di sacche, mentre appare più ragionevole e rispondente a tali vitali esigenze di ordine sanitario, proprio per la indispensabilità della nutrizione parenterale, prima ancora che al non meno fondamentale principio del favor partecipationis richiamato dal primo giudice, ritenere, come ha fatto la stazione appaltante, che potesse essere ammessa a concorrere anche un’impresa che avesse presentato un’offerta adeguata per una o anche due delle tipologie di sacca, assicurando almeno in ordine ad una o due di esse la fornitura del prodotto, anziché per ipotesi escludere tutte le imprese che non avessero presentato tutte e tre le tipologie di sacche adeguate.

 

26. Non risulta per altro verso dimostrato l’assunto dell’appellante, che il principio di continuità terapeutica imporrebbe all’A.S.L. di servirsi del medesimo prodotto, fornito dalla stessa impresa, per evitare il rischio di emulsioni differenti nelle sacche di differente volumetria.

 

27. Come non ha mancato di osservare il giudice di prime cure, infatti, la continuità terapeutica, salva ovviamente diversa e specifica indicazione medica, ben può essere garantita, infatti, dall’impiego di sacche con volumi diversi, provenienti da produttori differenti, il cui contenuto nutrizionale è, peraltro, del tutto analogo.

 

28. Ne segue che, per tutti gli esposti motivi, il motivo di censura proposto dall’appellante, che ha un indubbio valore di presupposto logico preliminare rispetto a tutti gli altri, non può ritenersi condivisibile e deve essere disatteso.

 

29. Tanto premesso, a livello generale, sul carattere non unitario delle voci n. 69 e n. 73, per tutti i motivi sin qui esposti, il Collegio deve ora procedere alla disamina dei singoli motivi di censura concernenti l’aggiudicazione delle singole voci (o sottovoci).

 

30. L’appellante contesta, anzitutto, l’aggiudicazione delle sottovoci b) e c) della voce n. 73 a *************** s.p.a., lamentando la mancata doverosa estromissione dell’offerta presentata dall’aggiudicataria.

 

31. Fresenius Kabi Italia s.r.l. assume, in particolare, la difformità dei prodotti offerti da *************** s.p.a. rispetto alle prescrizioni di gara; deduce l’impossibilità di far ricorso ad un giudizio di equivalenza terapeutica in presenza di rigide prescrizioni previste dalla lex specialis e sostiene, in ogni caso, il carattere viziato del giudizio espresso dalla stazione appaltante.

 

32. Le critiche dell’appellante si focalizzano preliminarmente e prevalentemente sull’ammissione dell’offerta di *************** s.p.a., nonostante essa abbia presentato un prodotto, il NutriPeri Lipid, che ha un’osmolarità pari a 840 mOsm/L, superiore al limite di 800 mOsm/L imposto dalla stessa stazione appaltante.

 

32.1. Ad avviso di ********************* s.p.a., invece, la stazione appaltante avrebbe dovuto, sol per questo, escludere *************** s.p.a. dalla gara, non potendo sottrarsi all’autovincolo che essa stessa si era posta nella lex specialis.

 

33. Il T.A.R. ha respinto tale censura, ritenendo che nel caso di specie debbano trovare applicazione le norme che si rinvengono nella disposizione dell’art. 68, commi 2 e 4, del d. lgs. 163/2006, espressiva del più generale principio di equivalenza.

 

33.1. Il giudice di prime cure, proprio richiamando tale fondamentale principio, ha sottolineato, in punto di diritto, che le specifiche tecniche indicate nella lex specialis, relative al prodotto oggetto di gara, devono consentire pari accesso agli offerenti e non devono comportare la creazione di ostacoli ingiustificati all’apertura dei contratti pubblici alla più ampia concorrenza possibile.

 

33.2. La stazione appaltante, secondo quanto prevede appunto l’art. 68, comma 4, del d. lgs. 163/2006, non potrebbe così respingere un’offerta per il motivo che i prodotti e i servizi offerti non siano conformi alle specifiche di riferimento, se nell’offerta stessa è data prova, con qualsiasi mezzo appropriato, che le soluzioni proposte corrispondono in maniera equivalente ai requisiti richiesti dalle specifiche tecniche.

 

33.3. Tale previsione non è che il corollario del cennato principio di equivalenza, in virtù del quale non può essere escluso dalla gara l’operatore economico che offra un prodotto che, seppur non corrispondente ai requisiti di natura tecnica indicati dalla lex specialis, garantisce comunque la medesima prestazione e il medesimo risultato preteso dalla stazione appaltante.

 

33.4. Nel caso di specie, ha rilevato il primo giudice, *************** s.p.a. ha presentato, a corredo della propria offerta tecnica, diversi documenti scientifici, provenienti da fonti autorevoli e dotate di largo credito sul piano internazionale, come le Linee Guida europee ed americane, secondo le quali il limite massimo di osmolarità consentito, per un prodotto quale quello richiesto dalla stazione appaltante, è pari ad 850 mosm/L.

 

33.5. Il T.A.R. ne ha concluso che del tutto ragionevolmente la Commissione, ritenuta idonea la documentazione presentata al fine di dimostrare l’equivalenza dei prodotti in gara, ha ammesso il prodotto presentato da *************** s.p.a., anche tenendo conto del fatto che il prodotto NutriPeri Lipid ha ottenuto “analoga registrazione AIFA con stesse indicazioni terapeutiche e stessa classe ATC” rispetto alle altre due specialità in gara (deliberazione n. 1025 del 7.6.2012).

 

33.6. Il primo giudice non ha mancato di rilevare, a conclusione dell’iter logico seguito nella propria decisione, che l’art. 68, comma 4, del d. lgs. 163/2006 costituisce una norma imperativa, per la quale opera il principio di eterointegrazione, che trova applicazione indipendentemente dal mancato riferimento a tale norma nella lex specialis.

 

34. Proprio da tale ultimo e invero marginale accenno all’eterointegrazione prende le mosse e si sviluppa il motivo di critica più consistente e più radicale svolto dall’appellante, che contesta in punto di diritto l’applicazione dell’art. 68, comma 4, del d. lgs. 163/2006, in mancanza di un espresso riferimento della lex specialis al principio di equivalenza, sulla base del meccanismo dell’eterointegrazione precettiva.

 

34.1. Sostiene più in particolare ********************* s.r.l. che il ricorso all’eterointegrazione precettiva, con un modus operandi analogo a quello degli artt. 1339 e 1374 c.c., non si giustificherebbe in un caso, come quello qui disaminato, nel quale non si tratta di integrare un regolamento lacunoso, ma di inserire una clausola di equivalenza, non espressamente prevista dal bando e dal capitolato, per ampliare la sfera dei potenziali concorrenti ai fini dell’aggiudicazione.

 

34.2. Ammettere in questi casi un’eterointegrazione precettiva, sostiene in definitiva l’appellante (p. 16 del ricorso), finirebbe per pregiudicare la stessa riserva di amministrazione anche quando la stazione appaltante non ha inteso ammettere alla gara prodotti aventi caratteristiche equivalenti a quelle espressamente richieste.

 

35. L‘argomentazione difensiva dell’appellante, pur contenendo taluni elementi di verità, non appare tuttavia persuasiva.

 

35.1. Si può certo convenire in linea di principio con l’appellante quando essa sottolinea l’improprietà del riferimento al meccanismo dell’eterointegrazione precettiva al cospetto di un’ipotesi di applicazione del principio di equivalenza, sancito dall’art. 68, comma 4, del d. lgs. 163/2006.

 

35.2. Si tratta di due istituti differenti, aventi requisiti e, soprattutto, finalità non assimilabili, nemmeno in via analogica.

 

35.3. Il meccanismo dell’eterointegrazione ha origine e trova la sua collocazione sistematica e il suo terreno d’elezione nel diritto privato, che contempla, accanto alla fonte principale dell’autonomia contrattuale, la volontà delle parti, quelle che la più autorevole dottrina civilistica ha chiamato le cc.dd. fonti eteronome da individuarsi, secondo la definizione dell’art. 1374 c.c., nella legge o, in mancanza, negli usi e nell’equità.

 

35.4. L’autonomia privata, che certo assume un ruolo centrale e propulsivo in tutto il diritto delle obbligazioni e dei contratti, non è in altri termini fonte esclusiva e assoluta del regolamento negoziale, essendo pur essa soggetta ai limiti previsti dalla legge (e dalle altre fonti del diritto privato), sicché il regolamento negoziale, quale regola obiettiva del concreto assetto di interessi divisato dalle parti, è costituito e integrato anche da tutte quelle regole cogenti, esterne alla volontà dei contraenti ed eventualmente da questa difformi, dettate dalla legge o dalle altre fonti.

 

35.5. Tra queste regole quelle aventi natura imperativa sono capaci di imporsi alla volontà dei contraenti e di costituire parte del regolamento negoziale, anche sostituendosi alla diversa regolamentazione voluta dalle parti.

 

35.6. Opera, in questo senso e a questo fine, proprio il meccanismo di inserzione automatica delle clausole e delle condizioni imposte dalla legge, previsto dagli artt. 1319 e 1419 c.c., in luogo di quelle nulle, volute dalle parti, perché in contrasto con le norme imperative.

 

36. Ben diversa e non assimilabile a quella testé descritta, però, è l’ipotesi della c.d. clausola di equivalenza, la quale non è un principio che si imponga ab externo alla discrezionalità dell’amministrazione e ne integri, in funzione correttiva/sostitutiva, le regole autonomamente stabilite dalla stazione appaltante, ma al contrario un principio immanente alla stessa regola dell’evidenza pubblica e del suo immediato e fondamentale corollario, il favor partecipationis, presiedendo all’esercizio stesso della discrezionalità tecnica.

 

37. A questo Consiglio è noto quell’orientamento, seguito da alcuni giudici di primo grado (v., ex plurimis, T.A.R. Lombardia, Milano, 3.11.2011, n. 2633; T.A.R. Campania, Napoli, 11.1.2011, n. 116; T.A.R. Sicilia, Palermo, 15.3.2010, n. 2932), secondo il quale la clausola di equivalenza, in quanto avente pretesa natura di norma imperativa, dovrebbe trovare applicazione indipendentemente dall’espressa previsione della lex specialis, perché, anche se le norme destinate a disciplinare la gara hanno valore di lex specialis, le medesime devono essere integrate da quelle imperative ai sensi dell’art. 1339 c.c.

 

38. Di tale orientamento, come si evince chiaramente dalla lettura della sentenza impugnata, ha inteso fare applicazione anche il T.A.R. pugliese, che ha richiamato proprio parte della citata giurisprudenza.

 

39. Ritiene tuttavia questo Collegio che un simile orientamento presti il fianco ad insuperabili obiezioni sia sul piano dogmatico che su quello pratico, alcune delle quali ben messe in rilievo dall’appellante, e che debba essere rivisto e superato in una prospettiva più ampia e specifica del fenomeno amministrativo.

 

40. Questo Consiglio ha già sottolineato che, mentre l’art. 1339 c.c. assolve la funzione precipua di assicurare l’attuazione delle condizioni contrattuali previste in via inderogabile dalla legge, con il meccanismo dell’inserzione automatica delle clausole imperative in sostituzione di quelle difformi convenute dalle parti, e postula, dunque, la conclusione di un accordo negoziale il cui contenuto risulti parzialmente contrastante con quello imposto dal legislatore e sottratto, come tale, all’autonomia privata, il bando di gara si limita a regolare il procedimento di selezione del contraente e non contiene disposizioni in ordine alla misura dei diritti e degli obblighi nascenti dal contratto che sarà stipulato all’esito della procedura (Cons. St., sez. V, 5.10.2005, n. 5316).

 

41. Ne consegue che il principio dell’eterointegrazione negoziale, sancito dall’art. 1339 c.c., risulta assolutamente inapplicabile alla materia controversa anche in via analogica, in considerazione della diversità delle due situazioni (ubi eadem ratio, ibi eadem iuris dispositio).

 

42. Ancora questo Consiglio (cfr. Cons. St., sez. V, 10.1.2003, n. 35), in altra decisione, ha ribadito che nei riguardi del regolamento di gara, in definitiva, non risulta applicabile il principio dell’inserzione automatica di clausole imposte dalla legge, in quanto quest’ultima è giustificata solo dall’esigenza, inconfigurabile nella fase procedimentale di scelta del contraente della pubblica amministrazione, di prevedere un meccanismo che garantisca l’applicazione ai contratti già stipulati delle norme inderogabili che impongono il contenuto delle obbligazioni e dei diritti nascenti dall’accordo e la contestuale conservazione della validità e dell’efficacia di quest’ultimo.

 

43. Appare del resto, su un piano più generale, improprio ricorrere ad una categoria, come quella della norma imperativa, in un settore dell’ordinamento, quello amministrativo, e soprattutto in una fase pubblicistica, come quella della scelta del contraente, nel quale tutte le norme del diritto amministrativo sono imperative e cogenti per la p.a. (cfr., sul punto, Cons. St., sez. IV, 23.8.2010, n. 5902), al punto tale che un provvedimento o un atto della gara difforme dal paradigma normativo è, ipso iure, illegittimo e, come tale, annullabile.

 

44. È in via di principio quindi estranea al diritto amministrativo la differenza tra norme dispositive e norme imperative, diversamente da quanto accade nel diritto privato, dove alle parti viene riconosciuto, nella loro autonomia, il potere di derogare, entro certo limiti, alle previsioni della legge, tendenzialmente dispositive, salvo il limite delle norme imperative (e di altri fondamentali principi come l’ordine pubblico o il buon costume, art. 1343 c.c.).

 

45. E tanto si spiega per la ragione che, a differenza di quelle dettate dal diritto pubblico, secondo l’antico insegnamento ius publicum privatorum pactis derogari non potest, le norme del diritto privato, come la più attenta dottrina civilistica non ha mancato di rilevare, sono in linea di principio derogabili e “flessibili” per il massimo spazio lasciato all’autonomia dei privati, con il limite, appunto, di quelle imperative.

 

56. Nelle limitate ipotesi di norme privatistiche imperative l’atto di autonomia, che si ponga in contrasto con esse, è nullo (art. 1418, comma 3, c.c.), operando, se del caso, il meccanismo di inserzione automatica previsto dagli artt. 1339 e 1419 c.c.

 

57. L’ambito della discrezionalità della pubblica amministrazione è, al contrario, ben definito dai limiti posti dalle norme pubblicistiche, ai quali il pubblico potere non può derogare, neppure nel perseguimento di un interesse generale, poiché il fondamento e il limite di quel potere sta tutto e solo nella previsione della legge che, nell’attribuire il potere, lascia alla pubblica amministrazione la possibilità di curare quell’interesse, in concreto, nei rigidi ed invalicabili limiti, però, da essa prefissati.

 

58. Sbiadisce e perde di senso, dunque, la distinzione tra norme imperative e norme dispositive, propria del diritto privato, quando essa venga trasposta, per un malinteso senso delle simmetrie giuridiche o per un’artificiosa reductio ad unitatem dell’intero sistema giuridico, nel diritto amministrativo, dove la violazione della legge e, in particolar modo, delle regole dell’evidenza pubblica, da parte della p.a., è in linea di principio, fatte salve alcune limitate, recenti (e assai dibattute) eccezioni come quelle dei c.d. vizi non invalidanti (art. 21-octies, comma 2, della l. 241/90), ragione di annullabilità dell’atto.

 

59. Prova ne è la considerazione, ben messa in rilievo dalla più attenta dottrina e dalla costante giurisprudenza di questo Consiglio (v., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 15.3.2010, n. 1498) ed ora, del resto, consacrata anche nel dato positivo dall’art. 21-septies della l. 241/90, che nel diritto amministrativo non esiste la categoria delle c.d. nullità virtuali, ben nota al diritto civile (art. 1418, comma 3, c.c.), proprio perché, come è stato autorevolmente sottolineato, tutte le norme del diritto amministrativo sono, a ben riflettere, imperative per la p.a. e tutte le loro violazioni si traducono nell’annullabilità dell’atto, che è la categoria generale di invalidità nel diritto amministrativo, ben diversamente dal diritto privato, nel quale è invece la nullità la forma generale della patologia che colpisce l’atto negoziale difforme dallo schema normativo, laddove questo sia inderogabile per volontà del legislatore.

 

60. La nullità dell’atto è infatti, come afferma costantemente la giurisprudenza di questo Consiglio (v., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 2.11.2011, n. 5843), categoria residuale nel diritto amministrativo.

 

61. Bene è stato sottolineato, in questa prospettiva, che “le ipotesi astrattamente riconducibili alla nullità c. d. virtuale vanno ricondotte al vizio di violazione di legge, atteso che le norme riguardanti l’azione amministrativa, dato il loro carattere pubblicistico, sono sempre norme imperative e quindi non disponibili da parte dell’amministrazione” (Cons. St., sez. V, 15.3.2010, n. 1498).

 

62. Esse si convertono in cause di annullabilità del provvedimento, da farsi valere entro il breve termine di decadenza, a tutela della stabilità del provvedimento amministrativo

 

63. La distinzione tra norme derogabili e imperative, rilevante nel diritto privato al fine di accertare la validità del negozio giuridico, non trova, in altri termini, giustificazione e ingresso a quel fine nel diritto amministrativo, se non e al più, sotto diversa e non confrontabile angolazione concettuale, per distinguere, in senso ampio e metaforico, non certo tecnico, le disposizioni di legge che regolano la condotta dell’Amministrazione in modo da lasciarle un margine di scelta discrezionale nell’esercizio concreto del potere da quelle che la vincolano in modo così puntuale da non consentirle alcuna ulteriore valutazione.

 

64. Anche l’inosservanza di queste ultime, tuttavia, implica l’illegittimità dell’atto per violazione di legge e, quindi, la sua annullabilità, senza che possa in alcun modo configurarsi, in tali ipotesi e al di là, ovviamente, delle specifiche e tassative previsioni dell’art. 21-septies della l. 241/90, una più grave ipotesi di invalidità, paragonabile alla nullità, che impedisca al provvedimento di produrre i suoi effetti tipici (se non nel diverso caso dell’atto adottato in carenza di potere) e che autorizzi il giudice amministrativo a disapplicarlo.

 

65. “La violazione di una norma che regola l’azione dell’Amministrazione in modo da escludere qualsiasi scelta discrezionale nell’esercizio del relativo potere comporta, in definitiva, l’onere in capo al soggetto leso dal provvedimento così viziato di impugnarlo entro il termine perentorio al fine di farne accertare l’illegittimità e di ottenerne l’annullamento, non essendovi alcuna possibilità per il giudice amministrativo di sancirne l’inefficacia, prescindendo dalla sua rituale contestazione in giudizio” (Cons. St., sez. V, 10.1.2003, n. 35).

 

66. Alla luce di tali principi, dunque, è del tutto improprio e può assumere, al più, un valore meramente descrittivo, peraltro non scevro da equivoci, l’affermare che il principio di equivalenza, anche se non previsto dalla lex specialis, sia comunque una norma imperativa che, in virtù del principio di eterointegrazione, viene ad integrare le previsioni del bando o del capitolato.

 

67. Se con questa affermazione si vuole significare, infatti, che in un giudizio impugnatorio, avente ad oggetto gli atti di gara, il principio dell’equivalenza deve essere applicato dal giudice amministrativo, anche se e anzi proprio perché la p.a. non lo abbia espressamente previsto, e ciò per non creare ingiustificati ostacoli alla concorrenza, esso non è che un diverso – e, se si vuole, eccentrico rispetto alle tradizionali categorie pubblicistiche – modo di esprimere la necessità che, attraverso il sindacato giurisdizionale, si garantisca che la pubblica amministrazione, nella lex specialis, rispetti, per il principio di legalità del suo agire, la disposizione dell’art. 68, comma 2, del d. lgs. 163/2006, laddove esso prescrive, in nome del favor partecipationis, che “le specifiche tecniche devono consentire pari accesso agli offerenti e non devono comportare la creazione di ostacoli ingiustificati all’apertura dei contratti pubblici alla concorrenza”.

 

68. Ma allora il giudice non dovrà certo dichiarare la nullità della lex specialis per contrasto con tale affermata norma imperativa, al pari di quanto farebbe il giudice civile di fronte ad un contratto che violi una norma imperativa, con inserzione automatica della clausola di equivalenza ai sensi dell’art. 1339 c.c., bensì annullare, ove sia stata ritualmente impugnata, la clausola del bando che fissi specifiche tecniche restrittive in violazione di quanto previsto dall’art. 68, con conseguente illegittima esclusione del concorrente che abbia presentato un prodotto equivalente.

 

69. Il riferimento all’eterointegrazione rivela invece tutta la sua fallacia, invece, quando esso comporti l’inserzione automatica della clausola di equivalenza, con un meccanismo analogo a quello dell’art. 1339 c.c., nella lex specialis nell’ipotesi in cui la pubblica amministrazione, nell’esercizio della propria discrezionalità e senza creare ostacoli ingiustificati alla concorrenza, non si sia avvalsa della facoltà di cui al comma 3, lett. a), del d. lgs. 163/2006 e abbia inteso escludere il ricorso alla clausola di equivalenza, ritenendo necessario richiedere ben determinate e insurrogabili specifiche tecniche.

 

70. Imporre l’ammissione di prodotti equivalenti ai sensi dell’art. 68, comma 4, del d. lgs. 163/2006, anche quando la p.a. l’abbia consapevolmente esclusa nel legittimo esercizio del suo potere discrezionale, significa infatti violare, come correttamente sottolinea l’appellante, la riserva di amministrazione e l’ambito della discrezionalità a questa lasciata nel dettare la concreta regolamentazione della gara.

 

71. Appare quindi chiaro che il ricorso al concetto della norma imperativa e al meccanismo dell’eterointegrazione, oltre che improprio sul piano dogmatico, può essere causa di distorsioni, sul piano applicativo, in tutte le ipotesi in cui esso finisca per violare la discrezionalità della p.a. che sia stata esercitata nei limiti segnati dalla legge o comunque, anche quando essi siano stati superati dalla p.a. contra legem, per aggirare il termine decadenziale previsto per l’impugnazione degli atti amministrativi annullabili perché illegittimi.

 

72. In questo senso, e solo nel limite di questo senso, coglie nel segno, in abstracto, la censura mossa dall’appellante all’ingiustificato e, comunque, indiscriminato riferimento, da parte del primo giudice, al meccanismo della eterointegrazione.

 

73. Occorre più in generale guardarsi dal rischio, invero latente nell’applicazione, talvolta non ben ponderata, dei principi generali quali elementi capaci di unificare, connettere e completare i diversi ambiti dell’ordinamento giuridico, di trasporre nel diritto amministrativo istituti e categorie civilistiche laddove non vi sia effettivamente una lacuna legis da colmaree per il solo superficiale accostamento di fenomenologie giuridiche che, ad un’analisi attenta e rispettosa degli specifici profili disciplinatori, rispondono a principi e ad interessi ben diversi e in alcun modo assimilabili, nemmeno per via analogica, istituendo tra i due settori dell’ordinamento parallelismi, anche descrittivi, forieri di equivoci, di ibride soluzioni normative e di distorsioni interpretative.

 

74. Ciò, del resto, è reso manifesto dall’art. 2, comma 4, dello stesso codice degli appalti, che assoggetta l’attività contrattuale della p.a. alle disposizioni stabilite dal codice civile “per quanto non espressamente previsto nel presente codice” e, ancor più significativamente e in via generale, dall’art. 1, comma 1bis, della l. 241/1990, la quale precisa che solo nell’adozione di atti aventi natura non autoritativa – ciò che, nel presente caso, non è, vertendosi in tema di atti di gara – la pubblica amministrazione agisce secondo le norme del diritto privato, salvo che la legge disponga diversamente.

 

75. Orbene, tutto ciò considerato, deve qui rilevarsi che il primo giudice, anche se con l’improprio riferimento alla eterointegrazione della lex specialis, ha tuttavia fatto corretta applicazione dell’art. 68, commi 2 e 4, del d. lgs. 163/2006 in concreto e nel caso di specie.

 

76. Al riguardo non può ritenersi decisivo il fatto che la lex specialis non contenesse espressamente la clausola di equivalenza, come afferma l’appellante, in quanto la lex specialis non contemplava expressis verbis la menzione “o equivalente”, come invece richiede l’art. 68, comma 3, lett. a), ultimo periodo, del d. lgs. 163/2006.

 

76.1. L’appellante, infatti, fa leva su di un argomento meramente letterale, che tuttavia non tiene conto del sostanziale significato delle previsioni della lex specialis.

 

76.2. Dal solo fatto che il capitolato non contenga espressamente la clausola di equivalenza, anzitutto, non può logicamente inferirsi che la stazione appaltante abbia inteso escludere la possibilità di ammettere prodotti aventi caratteristiche equivalenti.

 

È la stessa ********************* s.r.l. a riconoscere, nell’atto di appello (p. 16), che la omessa previsione testuale della “clausola di equivalenza” è un dato equivoco, che può interpretarsi nell’uno come nell’altro senso.

 

76.3. Il giudice amministrativo ha allora il dovere, di fronte a tale equivocità, di interpretare le previsioni del bando alla stregua dei generali criteri ermeneutici che può desumere, questi sì, dalle regole del diritto civile, come afferma la costante giurisprudenza di questo Consiglio, e in particolare dalle norme in materia di interpretazione del contratto.

 

76.4. Come è noto infatti, per conforme giurisprudenza di questo Consiglio, l’interpretazione degli atti amministrativi, ivi compreso il bando di gara pubblica, soggiace alle stesse regole dettate dall’art. 1362 e ss. c.c. per l’interpretazione dei contratti, tra le quali assume carattere preminente quella collegata all’interpretazione letterale, in quanto compatibile con il provvedimento amministrativo, dovendo in ogni caso il giudice ricostruire l’intento dell’Amministrazione, ed il potere che essa ha inteso esercitare, in base al contenuto complessivo dell’atto (cd. interpretazione sistematica), tenendo conto del rapporto tra le premesse ed il suo dispositivo e del fatto che, secondo il criterio di interpretazione di buona fede ex art. 1366 c.c., gli effetti degli atti amministrativi devono essere individuati solo in base a ciò che il destinatario può ragionevolmente intendere, anche in ragione del principio costituzionale di buon andamento, che impone alla p.a. di operare in modo chiaro e lineare, tale da fornire ai cittadini regole di condotte certe e sicure, soprattutto quando da esse possano derivare conseguenze negative (v., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 16.1.2013, n. 238).

 

76.5. Un fondamentale canone che deve applicarsi al caso di specie, in particolare, è quello dell’art. 1367 c.c., quale espressione del più generale principio di conservazione degli atti giuridici anche in relazione ai bandi e alle procedure concorsuali (cfr., sul punto, Cons. St., sez. VI, 12.6.2008, n. 2909).

 

76.6. La clausola del bando deve essere compresa e interpretata, pertanto, magis ut valeat quam ut pereat.

 

76.7. Si impone allora una lettura della lex specialis che, in quanto ispirata al favor partecipationis, sia il più possibile rispettosa del principio posto dall’art. 68, comma 2, del d. lgs. 163/2006, evitando di dare alle prescrizioni del capitolato un significato eccessivamente e ingiustificatamente restrittivo della concorrenza.

 

76.8. Tale significato, del resto, è stato escluso dalla stessa stazione appaltante che, andando al di là di quanto aveva lasciato intendere in sede di chiarimenti, ha ammesso il prodotto di *************** s.p.a., proprio facendo applicazione di un principio, quello di equivalenza, incompatibile con una lettura rigida ed esclusivistica delle specifiche tecniche previste dalla lex specialis.

 

76.9. Anche il comportamento – per quanto non alieno anch’esso da ambiguità – della stazione appaltante nel corso della gara, nell’interpretare il significato del bando o del capitolato, non è certo di secondario rilievo alla stregua di un altro fondamentale canone ermeneutico, sempre di derivazione civilistica e desumibile dall’art. 1362, comma 2, c.c., quello dell’interpretazione complessiva anche alla luce del successivo comportamento delle parti, che deve orientare l’interprete nella comprensione e nell’applicazione delle regole di gara.

 

77. Né può tacersi che il contenuto e gli effetti di un provvedimento amministrativo devono essere individuati in base a ciò che ne può ragionevolmente intendere il destinatario, secondo il criterio ermeneutico di cui all’art. 1362 c.c. e, nel dubbio, sul significato delle espressioni adoperate, privilegiando il senso più conveniente alla natura ed all’oggetto del contratto, ai sensi dell’art. 1369 c.c., nonché quello maggiormente conforme a legge, come detto, e all’esigenza di massima partecipazione (Cons. St., sez. V, 18.1.2006, n. 113).

 

78. La mancata previsione testuale della clausola di equivalenza nella lex specialis, pertanto, è un dato, in sé, neutro, che deve essere apprezzato solo in accordo con il significato sostanziale che le specifiche tecniche hanno per lo svolgimento della gara.

 

79. Esso non è insuperabilmente ostativo all’applicazione dell’art. 68, comma 4, del d. lgs. 163/2006, se l’Amministrazione abbia inteso sostanzialmente applicare il generale principio del comma 2, nel caso di specie, e di fatto avvalersi della facoltà prevista dal comma 3, lett. a), pur senza farne esplicita menzione, ritenendo, nell’ambito della propria discrezionalità, che le specifiche tecniche richieste, per la natura dell’appalto o del prodotto richiesto, non abbiano carattere tassativo e infungibile.

 

80. Una lettura formalistica delle regole in materia, quale sembra quella propugnata dall’appellante sul punto, sembra trascurare il significato sostanziale che permea l’intera disciplina dell’evidenza pubblica e, in particolare, la disposizione dell’art. 68 e, cioè, non solo la massima partecipazione dei concorrenti, ma anche e soprattutto, attraverso questa, il conseguimento di un bene (prodotto o servizio), da parte della stazione appaltante, che tecnicamente soddisfi nel miglior modo possibile, proprio per la più ampia offerta consentita dal favor partecipationis, le esigenze della collettività che sono affidate alla cura dell’Amministrazione.

 

81. Riconoscere che vi possano essere prodotti aventi specifiche tecniche equivalenti a quello richiesto dall’Amministrazione e, quindi, capaci di soddisfare le esigenze che giustificano l’indizione della gara, ampliando la platea dei concorrenti, costituisce non solo corretta applicazione del favor partecipationis, ma anche e soprattutto legittimo esercizio della discrezionalità tecnica da parte dell’Amministrazione.

 

82. Tale essendo il significato della norma in questione, pertanto, non giova replicare, come fa l’appellante, che i concorrenti interessati a presentare prodotti equivalenti, di fronte all’omessa indicazione testuale della clausola di equivalenza nella lex specialis, avrebbero dovuto impugnare le regole di gara nel termine decadenziale, da sole o insieme con gli atti che ne determinano la effettivita lesività (esclusione dalla gara).

 

83. È ben evidente, infatti, che nel caso di specie non si tratta di sindacare l’esclusione dalla gara di prodotti non conformi alla legge di gara, bensì l’ammissione di prodotti equivalenti a quelli da essa richiesti, sicché non si vede in che modo gli interessati avrebbero potuto o dovuto immediatamente contestare una previsione del bando equivoca, quando poi essa è stata applicata e interpretata dalla stazione appaltante in loro favore e non in loro danno, ammettendoli alla competizione, senza che la sua potenziale lesività si sia tradotta in un concreto vulnus al loro interesse partecipativo.

 

84. Nemmeno può sostenersi che gli interessati avessero l’onere di impugnare, in via incidentale, la lex specialis, posto che, in un caso come quello presente, è dovere del giudice interpretare la norma del bando in senso conforme alle disposizioni, nazionali ed europeo, cercando di farne emergere, al di là della testuale equivocità o della letterale lacunosità, il più genuino e recondito senso orientato al rispetto dei principi e delle norme vigenti in materia.

 

85. Il precedente di questo Consiglio, sez. III, 18.1.2013, n. 293, invocato dall’appellante, non si attaglia al caso di specie, in quanto con tale arresto la Sezione si è limitata a ribadire il principio che non sussiste l’onere di immediata impugnazione delle clausole del bando di gara pubblica che non impediscano la partecipazione e comportino o manifestino un’efficacia lesiva solo a seguito dell’espletamento della gara e mediante l’applicazione che ne faccia l’Amministrazione.

 

86. Per esse vale, infatti, il principio secondo cui i bandi di gara, di concorso e le lettere di invito vanno impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi ad identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento ed a rendere attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell’interessato.

 

87. Ma, nel caso di specie, la previsione del capitolato, che per la sua formulazione letterale non pare essere indicativa di un’univoca e chiara volontà della stazione appaltante, non chiarendo se le specifiche tecniche avessero o meno un carattere esclusivo e non surrogabile, non può che interpretarsi nell’unico senso conforme alla previsione dell’art. 68 e alla normativa, europea e nazionale, che si ispira al principio della massima partecipazione.

 

88. Ne segue che la censura dell’appellante, volta a contestare anzitutto, in punto di diritto, l’applicazione dell’art. 68 del d. lgs. 163/2006, deve essere, seppur con le esposte precisazioni, respinta.

 

89. Tale censura non coglie nel segno nemmeno quando, in fatto, contesta il giudizio di equivalenza espresso dalla Commissione.

 

90. L’appellante non ha fornito convincenti elementi di prova circa l’asserita irrazionalità, illogicità e, dunque, illegittimità del giudizio di equivalenza espresso dalla Commissione giudicatrice nell’ammettere *************** s.p.a. alla gara, nonostante il suo prodotto presentasse un grado di osmolarità superiore al limite di 800 mOsm/l richiesto dal capitolato.

 

91. Occorre qui di nuovo rammentare, per il chiaro inquadramento della materia controversa, che la legge di gara richiedeva la presentazione di emulsioni di miscela ternaria con lipidi al 20% e con una osmolarità non superiore a 800 mOsm/l.

 

92. Tali prescrizioni, ha dedotto l’appellante, non sono state soddisfatte né da Baxter s.p.a., terza comunque in graduatoria, né da *************** s.p.a.

 

92.1. Baxter s.p.a. ha presentato emulsioni con metà della percentuale dei lipidi richiesti, mentre *************** s.p.a. ha offerto emulsioni con un’osmolarità pari a 840 mOsm/l.

 

92.2. Sostiene ********************* s.p.a. che vi fossero i presupposti per estromettere entrambe dalla competizione o in ogni caso, per quanto di interesse e dedotto nel presente giudizio di appello, per escludere *************** s.p.a. e per aggiudicare la fornitura alla medesima Fresenius.

 

93. È necessario in via preliminare e di estrema sintesi chiarire, per apprezzare in fatto il significato della censura, i concetti di nutrizione parenterale e di osmolarità.

 

93.1. La nutrizione artificiale è un complesso di procedure mediante le quali è possibile soddisfare i fabbisogni nutrizionali di pazienti che non sono in grado di alimentarsi sufficientemente per la via naturale.

 

93.2. Essa si differenzia in parenterale ed enterale.

 

93.3. Con la nutrizione parenterale, che sola rileva ai fini del presente giudizio, i nutrienti (acqua, glucosio, amminoacidi, lipidi, elettroliti, vitamine, oligoelementi), preparati dall’industria farmaceutica e adeguatamente miscelati, sono somministrati direttamente nella circolazione sanguigna attraverso una vena periferica o attraverso una vena centrale di grosso calibro, mediante l’impiego di cannule o cateteri venosi.

 

93.4. L’osmolarità è, a sua volta, una grandezza fisica che misura la concentrazione delle soluzioni usata in chimica e, in particolare, rappresenta il numero totale di molecole e di ioni presenti in un litro di soluzione.

 

93.5. È definita come il numero di osmoli per litro di soluzione, dove l’osmole è l’unità di misura del numero di particelle che contribuiscono alla pressione osmotica della soluzione.

 

93.6. Per il calcolo delle osmoli, e quindi dell’osmolarità, occorre considerare il grado di dissociazione che il soluto presenta.

 

93.7. Nell’ipotesi di pazienti per i quali si renda necessaria la nutrizione parenterale per vena periferica occorre scongiurare il rischio di flebiti croniche attraverso una concentrazione ridotta e, comunque, controllata dei nutrienti contenuti nelle sacche, con un limite di osmolarità pari, secondo le Linee guida europee ed americane e la letteratura medica più accreditata, a 800 -850 mOsm/l.

 

94. È sulla base di tale documentazione scientifica, prodotta dalla B. Braun Milano s.p.a. in sede di gara, che la stazione appaltante si è risolta, con una corretta applicazione delle regole scientifiche applicabili in subiecta materia e, quindi, nel legittimo esercizio della propria discrezionalità tecnica, ad ammettere il prodotto da essa presentato, ritenendo a ragione che avesse specifiche equivalenti a quelli richiesti dal bando.

 

95. Non vale ad infirmare tale giudizio il rilievo che, secondo un autore (************, Appunti di farmacia clinica, doc. 8 fasc. parte appellante) citato dall’appellante, il grado di osmolarità non dovrebbe essere superiore a 800 mOsm/l.

 

96. Le Linee guida e la letteratura medica prevalente, infatti, ritengono che il limite di osmolarità possa oscillare e attestarsi tra gli 800 mOsm/l e gli 850 mOsm/l senza che ciò comporti un sensibile aggravio del pericolo di flebiti e trombi per il paziente.

 

97. Secondo l’appellante, peraltro, la circostanza che i tempi di somministrazione del prodotto della *************** s.p.a. siano limitati a sette giorni sarebbe conseguenza del più elevato indice di osmolarità, sicché il prodotto da questa presentato non potrebbe essere ritenuto equivalente, come invece la stazione appaltante ha preteso fare, a quello di ********************* s.r.l.

 

98. L’assunto è destituito di fondamento.

 

98.1. È opportuno limitare il trattamento a pochi giorni perché, dopo tale periodo di tempo, le esigenze nutrizionali devono essere adeguate ai reali fabbisogni calorico-nutrizionali del paziente, che non possono essere sufficientemente garantiti tramite infusioni per vena periferica, ma debbono essere somministrati solo per vena centrale.

 

98.2. È infatti un dato scientifico acquisito alla letteratura medica in materia e ben noto alla stessa appellante, come si evidenzia negli stessi Appunti di farmacia clinica citati dall’appellante, che la nutrizione parenterale periferica non possa superare un certo e limitato numero di giorni (7 o 10), oltre i quali si rende necessario procedere alla nutrizione parenterale per vena centrale.

 

98.3. Come ha correttamente fatto rilevare la difesa di *************** s.p.a. nella propria memoria difensiva (p. 19), infatti, per i pazienti sottoposti a terapie nutrizionali il fabbisogno energetico si attesta, mediamente, su di un valore di 30-35 Kcal/kg peso corporeo al giorno.

 

98.4. Ciò significa che, ad esempio, per un paziente di 70 kg l’apporto calorico dovrebbe essere di circa 2100-2500 Kcal al giorno.

 

98.5. La sacca da 2500 ml della *************** s.p.a. garantisce un apporto calorico di 1910 kcal, quella presentata da ********************* s.r.l. un apporto di sole 1700 kcal.

 

98.6. Si tratta di dati circostanziati e specifici che nemmeno la stessa appellante, si badi, ha contestato.

 

99. Dal punto di vista nutrizionale, dunque, non è opportuno protrarre tali trattamenti per un periodo superiore ad un limitato numero di giorni né con il prodotto della *************** s.p.a. né con il prodotto di ********************* s.r.l., poiché nessuno di essi è in grado di garantire, oltre un tempo breve e, comunque, necessariamente limitato in termini medici, l’adeguata nutrizione del paziente.

 

100. L’indicazione dei setti giorni, quindi, attiene alle esigenze nutrizionali del paziente e non all’indice di osmolarità, tanto che nelle schede tecniche della *************** s.p.a. la “durata del trattamento” è posta in calce al paragrafo 4.2.1., denominato “Schema di dosaggio raccomandato” e recita testualmente “Per le indicazioni stabilite la durata del trattamento non deve superare i 7 giorni”.

 

101. Non vi è dunque alcun collegamento causale necessario, diversamente da quanto sostiene l’appellante, tra la durata del trattamento e l’indice di osmolarità, sicché la censura di ********************* s.p.a., anche per tale aspetto, appare infondata.

 

102. Tanto spiega anche perché siano infondate le censure mosse dall’appellante alla legge di gara nella parte in cui non ha assunto come criterio per la valutazione comparativa tecnica delle offerte il livello di osmolarità, siccome dato importante per apprezzare la qualità dei prodotti in gara.

 

103. Si tratta di censure che, oltre a sostituire inammissibilmente i criteri valutativi dell’appellante alla discrezionalità tecnica esercitata dalla stazione appaltante, non tengono conto proprio dei risultati della letteratura scientifica in materia che, nel fissare un limite oscillante tra gli 800 mOsm/l e gli 850 mOsm/l, ritengono che tale grado di osmolarità non sia pericoloso per il paziente, ma nulla dicono circa il contenuto nutrizionale delle soluzioni e sulla specificità dei nutrienti, che ha invece costituito il precipuo oggetto della valutazione dell’Amministrazione.

 

104. Sotto questo profilo il giudizio dell’Amministrazione non è stato censurato e non appare, invero, censurabile.

 

105. Tale articolato motivo, quindi, va nel suo complesso respinto.

 

106. Con un secondo motivo l’appellante censura l’aggiudicazione della sottovoce c) della voce n. 69 a *************** s.p.a., sostenendo che, per tale profilo, l’ingiustizia della impugnata sentenza sia manifesta, avendo pretermesso in toto di considerare anche gli apporti della perizia prodotta da ********************* s.p.a. a supporto della spettanza dell’intera voce in suo favore, anche facendo applicazione della comparazione, per l’aspetto economico, del valore prezzo/confezione anziché del valore prezzo/millilitro, come imposto dalla legge di gara.

 

106.1. Sostiene l’appellante, anzitutto, che *************** s.p.a. ha offerto per la sottovoce a) un prodotto non conforme, perché avente un maggior volume rispetto a quello richiesto dalla legge di gara, come ha riconosciuto la stessa Commissione giudicatrice nel verbale n. 2, senza tuttavia trarne le dovute conseguenze in termini di esclusione di *************** s.p.a. dall’intera voce.

 

107. Il ragionamento dell’appellante, tuttavia, si basa ancora una volta sull’assunto, di cui sopra si è trattato, che la voce n. 69, in quanto unitaria, postulasse una valutazione unitaria e non scindibile dei tre prodotti presentati per le tre singole sottovoci, sicché l’inadeguatezza anche di un solo prodotto avrebbe dovuto comportare, senza ulteriori apprezzamenti, l’esclusione della concorrente dall’intera voce.

 

108. ***** qui, a confutazione di tale assunto, richiamare nuovamente le considerazioni svolte supra, nei §§ 18-28, circa, invece, l’autonomia delle singole sottovoci ai fini della valutazione e dell’aggiudicazione dei prodotti presentati.

 

109. L’appellante sottolinea comunque, al di là di tale dato, che essa avrebbe ottenuto l’aggiudicazione della sottovoce c) se il computo dei conteggi eseguito dalla Commissione fosse stato corretto.

 

Fresenius Kabi Italia s.r.l., invocando al riguardo la retta applicazione della lex specialis, ha sostenuto che:

 

– la comparazione andava istituita per l’intera voce, deducendo e dimostrando in ogni caso, per completezza difensiva, la spettanza della singola sottovoce c) anche in presenza di distinte competizioni per ciascuna sottovoce;

 

– il prezzo da prendersi in esame, ai fini del raffronto tra le offerte, è il prezzo millilitro e non il prezzo per confezione/sacca;

 

– i punteggi, una volta individuata la offerta migliore (sia per la qualità – punteggio massimo 40, sia per l’offerta economica – punteggio massimo 60), dovevano poi essere attribuiti, come di norma e come previsto anche dalla legge di gara, in modo inversamente proporzionale alle altre offerte.

 

109.1. Deduce Fresenius Kabi Italia s.r.l. che tutte queste censure non sono state neppure esaminate dal primo giudice, benché essa abbia già avanti al T.A.R. prodotto, a supporto dell’attendibilità della reclamata aggiudicazione, la perizia del prof. ****************** (doc. 23 fasc. della ricorrente in primo grado), contenente il ricalcolo, a suo avviso corretto, dei punteggi, dai quali discenderebbe l’aggiudicazione, in proprio favore, anche della sottovoce c).

 

110. Il giudice di prime cure ha respinto l’assunto secondo il quale i prezzi delle sacche di prodotto avrebbero dovuto essere calcolati al millilitro e non per confezione unitaria.

 

110.1. Il T.A.R. pugliese ha motivato, sul punto, rilevando che proprio la previsione di un range di scostamento del +/- 10%, indicato nella lex specialis, denota che la scelta della stazione appaltante è stata quella di mettere a confronto i prezzi unitari delle confezioni, nel senso che l’Amministrazione ha ritenuto di poter valutare come equivalenti e, quindi, come fra loro paragonabili le sacche di diverso volume nei limiti del margine di tolleranza previsto.

 

110.2. Diversamente, se i prezzi fossero stati valutati al millilitro, non avrebbe avuto senso prevedere detto margine di scostamento.

 

111. Ritiene il Collegio di dover confermare la sostanziale correttezza del ragionamento seguito dal primo giudice sul punto, non sembrando cogliere nel segno la censura svolta dall’appellante, che lamenta l’errore logico nel quale sarebbe incorso il T.A.R. per non aver considerato che le offerte fuori range avrebbero dovuto essere escluse tout court e che per esse non si sarebbe nemmeno posto il problema di un confronto con le altre in gara.

 

112. In realtà la motivazione del giudice ha inteso correttamente evidenziare come proprio la circostanza che la stazione appaltante avesse ammesso un margine di tolleranza, consentendo di concorrere anche ad imprese che avevano presentato sacche leggermente inferiori o superiori per grandezza, dimostrasse che i prezzi delle sacche non avrebbero potuto essere calcolati al millilitro, proprio perché era ben possibile che concorressero sacche aventi, seppur di poco, diversa grandezza e, quindi, diversi millilitri.

 

113. Non si ravvede in tale ragionamento alcun vizio logico, posto che esso è basato su di una argomentazione induttiva coerente e lineare.

 

114. L’appellante ha inteso comunque sottolineare che, anche adottando tale criterio di comparazione prezzo/millimetro, come ritenuto dal primo giudice, essa avrebbe avuto diritto all’aggiudicazione della sottovoce c) sulla base dei calcoli effettuati dal Prof. Corielli.

 

115. Anche tale ulteriore assunto è infondato.

 

116. È la stessa ********************* s.r.l. a ricordare e riconoscere, nelle brevi note di replica depositate in vista della camera di consiglio del 7.6.2013 (pp. 5-6), che il prof. ******** ha effettuato tutti i suoi calcoli, anche differenziandoli in ragione dei plurimi criteri adottati, sulla base di un medesimo presupposto e, cioè, la valutazione globale del punteggio per l’intera voce, come – a suo giudizio – imporrebbe la legge di gara.

 

117. L’appellante dunque ammette che tutto il procedimento logico-matematico seguito dal consulente nell’elaborato peritale poggia sull’assunto del carattere unitario della voce n. 69, carattere che, invece, deve essere escluso per tutte le ragioni già ampiamente chiarite e qui, per dovere di sintesi, da intendersi richiamate.

 

118. Ne segue che anche tale assunto, fondandosi in realtà su di un presupposto erroneo, deve essere disatteso, non apparendo condivisibile il metodo di calcolo seguito nella perizia e, conseguentemente, il risultato finale al quale perviene.

 

119. La conclusione che se ne trae, pertanto, è che del tutto legittimamente la stazione appaltante ha attribuito il miglior punteggio e, quindi, aggiudicato la sottovoce c) del lotto n. 69 a *************** s.p.a.

 

120. Quanto sin qui esposto circa la correttezza di tale aggiudicazione a *************** s.p.a., prima classificata in graduatoria, esime il Collegio dall’esaminare le ulteriori censure rivolte dall’appellante contro l’ammissione di Baxter s.p.a. alla voce n. 69, atteso che, come ha già rilevato correttamente il primo giudice, quand’anche Baxter s.p.a., terza classificata, dovesse essere esclusa, ********************* s.r.l. non riuscirebbe ad ottenere l’aggiudicazione del sublotto c), rimanendo ancora e sempre seconda in graduatoria rispetto a *************** s.p.a.

 

121. Un ultimo motivo di censura, che ora e infine deve essere esaminato, concerne le censure mosse dall’odierna appellante contro l’aggiudicazione della voce n. 13 a Baxter Italia s.p.a.

 

121.1. Fresenius Kabi Italia s.r.l. lamenta che, in relazione ad alcuni specifici aspetti (assenza di tipizzazione, utilizzo in pazienti epatopatici, uso del prodotto in gravidanza, studi clinici in pediatria), la Commissione avrebbe assegnato punteggi troppo elevati a Baxter s.p.a. e troppo poco elevati alla stessa Fresenius Kabi Italia s.r.l. o che, addirittura, avrebbe dovuto escludere Baxter s.p.a. dalla competizione per insufficienza del punteggio tecnico minimo richiesto.

 

121.2. Sostiene insomma l’appellante che, se l’attribuzione del punteggio tecnico fosse stata razionale e ben ponderata, avrebbe conseguito l’aggiudicazione del lotto n. 13 o perché avrebbe dovuto conseguire un punteggio maggiore rispetto a quello di Baxter s.p.a. o perché, più radicalmente, quest’ultima avrebbe dovuto essere esclusa dalla competizione per insufficienza del punteggio minimo (19) da conseguire.

 

122. Anche tali censure, assai articolate e di notevole complessità tecnica, devono essere respinte, come ha ritenuto il giudice di prime cure, seppur sulla base di una motivazione non del tutto sufficiente ed esaustiva, essendosi questa limitata a scrutinare solo la contestata attribuzione del punteggio in relazione all’assenza di tipizzazione.

 

123. Giova premettere che i subcriteri qualitativi contemplati dal disciplinare di gara per l’attribuzione del punteggio, pari nel massimo a 30 e nel minimo a 19, erano i seguenti: assenza di tipizzazione (punti 10); assenza di effetti sulla coagulazione (punto 8); utilizzo in pazienti epatopatici (punti 6); uso in gravidanza (punti 6); studi clinici in pediatria pubblicati (punti 10).

 

124. Appare anzitutto corretto e, come si dirà, dirimente il rilievo, ben evidenziato dal T.A.R., che l’assegnazione dei punteggi è frutto di un giudizio tecnico-discrezionale, che può essere sindacato dal giudice solo ove ne ravvisi l’illogicità e/o l’irrazionalità manifesta.

 

125. È costante la giurisprudenza di questo Consiglio nell’affermare che gli apprezzamenti in ordine alla idoneità o alla inidoneità tecnica delle offerte dei vari partecipanti alla gara pubblica, in quanto espressione di un potere di natura tecnico-discrezionale a carattere complesso, sono sindacabili in sede giurisdizionale solo se affetti da macroscopici vizi logici, disparità di trattamento, errore manifesto, contraddittorietà ictu oculi rilevabile, rientrando tipicamente nel potere valutativo quello di ritenere migliore un’offerta rispetto ad un’altra (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 26.1.2012, n. 249).

 

126. Nessuna delle menzionate ipotesi pare al Collegio essersi concretizzata nel caso di specie.

 

127.1. Quanto al subcriterio della assenza di tipizzazione, anzitutto, occorre premettere che per tipizzazione, nel caso di specie, si intende l’esigenza di preventivo accertamento del gruppo sanguigno e la ricerca di anticorpi irregolari e per converso, per assenza di tipizzazione, si intende appunto l’affrancazione da esami del sangue propedeutici all’infusione.

 

127.2. In relazione a tale sottocriterio la Commissione ha attribuito 4 punti a Baxter s.p.a. e ben 10 punti all’odierna appellante.

 

128. Sostiene tuttavia ********************* s.p.a., non paga del punteggio massimo riconosciutole sul punto, che la Commissione avrebbe dovuto attribuire 0 punti a Baxter s.p.a., poiché il prodotto presentato da questa (PlasmaVolume Redibag) richiedeva, al par. 4.4 della “Avvertenze speciali e precauzioni di impiego”, che prima della somministrazione di grandi volumi contenenti amido idrossietilico dovesse essere prelevato un campione di sangue dal paziente per assicurare una corretta tipizzazione.

 

129. La censura non è condivisibile.

 

130. La previsione di un punteggio modulabile tra 0 e 10 dimostra, infatti, che l’assenza di tipizzazione non è subcriterio qualitativo che ammetta un’alternativa radicale secca, come sembra postulare, sul piano logico, la censura dell’appellante, sicché se ne dovrebbe concludere – come essa fa – che, se sono richiesti alcuni esami preventivi del sangue, il punteggio debba essere pari a 0, mentre se non sono richiesti il punteggio debba essere 10.

 

131. È ben possibile, infatti, che l’assenza di tipizzazione, e cioè la mancanza di un necessario controllo del sangue e di tutti gli altri esami clinici all’uopo preventivamente richiesti, sia più o meno marcata a seconda del numero e della tipologia di tali accertamenti.

 

132. Ora il giudizio della Commissione nei confronti del prodotto presentato da Baxter s.p.a., pur basso in quanto pari a 4, non è stato totalmente negativo, come vorrebbe l’appellante, perché la Commissione ha ritenuto che la necessità di tipizzazione, richiesta peraltro solo per grandi volumi contenenti amido idrossietilico, non fosse così accentuata e radicale da giustificare un punteggio nullo al pari, del resto, dell’eguale punteggio – 4 – conseguito per lo stesso subcriterio qualitativo anche dal prodotto presentato da *************** s.p.a.

 

133. La censura, pertanto, per la sua illogica e ingiustificata radicalità, che peraltro non trova rispondenza nei criteri di gara, non merita accoglimento.

 

134. Non coglie nel segno nemmeno la censura relativa all’attribuzione del punteggio relativo al subcriterio dei pazienti epatopatici.

 

135. Per quanto riguarda tale aspetto, infatti, la Commissione ha attribuito a tutte e tre le concorrenti un punteggio basso, pari a 4.

 

136. Lamenta l’appellante, in questa ipotesi, una ingiustificata e, comunque, irragionevole parità di valutazione tra il suo prodotto e quello di Baxter s.p.a., in quanto nel primo l’eventuale insorgenza di patologie epatiche severe suggerirebbe solo una particolare attenzione nell’impiego del prodotto, come si evince dalle avvertenze speciali e dalle precauzioni di impiego, mentre il secondo avrebbe, tra le proprie controindicazioni, proprio una grave compromissione della funzionalità epatica.

 

137. La censura non ha pregio perché anche il prodotto presentato da ********************* s.r.l., il Volulyte, nel riassunto delle caratteristiche del prodotto (doc. 15 fasc. parte appellante), richiede, tra le avvertenze speciali e le precauzioni di impiego (par. 4.4.), una particolare attenzione nei pazienti con patologie epatiche severe.

 

137.1. È evidente che entrambi i prodotti presentino, al di là della diversa formulazione del riassunto delle caratteristiche tecniche, aspetti di particolare criticità per soggetti già affetti da patologie epatiche severe o, comunque, da una seria compromissione delle funzionalità epatiche.

 

138. Non sembra allora né irragionevole né illogicamente parificatrice né erronea l’attribuzione di un medesimo punteggio a due prodotti che presentino analoghi rischi e impongano particolari cautele per la funzionalità epatica già compromessa da severe patologie del fegato.

 

139. Ad esito non diverso, per non diverse considerazioni, deve pervenirsi anche in ordine alla censura avente ad oggetto l’attribuzione del medesimo punteggio per il subcriterio dell’uso in gravidanza.

 

140. Anche in questo caso Fresenius Kabi Italia s.p.a. lamenta che l’attribuzione del medesimo punteggio, 2, al suo prodotto e a quello presentato da Baxter s.p.a. non si giustificherebbe in ragione del fatto che, come risulta dal riassunto delle caratteristiche tecniche di questo prodotto, il PlasmaVolume Redibag, prodotti ad esso analoghi avevano evidenziato, negli studi tossicologici sulla riproduzione negli animali, effetti embriotossici e teratogeni e che, comunque, questo prodotto avrebbe potuto avere effetti dannosi per il fatto, mentre il prodotto Volulyte di Fresenius non avrebbe palesato la stessa perniciosità di uso in gravidanza.

 

141. Si tratta di un assunto infondato perché, in realtà, l’attribuzione di un punteggio basso, pari a 2 punti, anche al Volulyte, si giustifica per la sua non dissimile pericolosità per il feto, al di là di eventuali effetti teratogeni negli animali (mai registrati, comunque, nelle donne), come sembra risultare dal par. 5.3. delle caratteristiche tecniche del prodotto (doc. 15 fasc. parte appellante), ove si legge che “sono stati osservati effetti embrioletali in conigli a 5g/Kg BW/die” e che nei ratti “l’iniezione in bolo di questa dose durante la gravidanza o l’allattamento ha ridotto il peso corporeo dei neonati e indotto ritardi nello sviluppo”.

 

142. Nemmeno in questo caso, pertanto, la valutazione della Commissione appare irragionevole o erronea, poiché il prodotto ha mostrato, negli studi condotti sugli animali, di essere potenzialmente rischioso.

 

143. Anche l’ultima censura, relativa al differente punteggio – 5 – conseguito dal PlasmaVolume Redibag di Baxter s.p.a. rispetto al punteggio nullo ottenuto dal prodotto Volulyte di ********************* s.p.a. in ordine al subcriterio dell’effettuazione di studi clinici in pediatria, è infondata e va respinta.

 

144. La Commissione, nell’esercizio della sua discrezionalità tecnica, ha evidentemente apprezzato, con valutazione scevra da palesi vizi di illogicità e travisamento dei fatti, gli studi e i dati clinici forniti da Baxter s.p.a. rispetto a quelli forniti da *********, ritenuti evidentemente di nessuna efficacia ai fini in questione.

 

145. In particolare, come risulta dall’attribuzione di eguale punteggio – 5 – anche al prodotto Tetraspan presentato da *************** s.p.a. e dall’analisi comparata del riassunto delle caratteristiche tecniche di tale prodotto (doc. 14 fasc. parte appellante), Commissione ha favorevolmente valorizzato la maggior accuratezza, nel dettaglio, degli studi clinici presentati – relativi a 41 e a 21 bambini – da Baxter s.p.a. e da *************** s.p.a., nel riassunto delle rispettive caratteristiche tecniche del PlasmaVolume e del Tetraspan, rispetto ai dati clinici più contenuti rappresentati da ********************* s.p.a.

 

146. Anche tale censura, quindi, va respinta, avendo la stazione appaltante legittimamente aggiudicato il lotto n. 13 alla Baxter s.p.a.

 

147. Conclusivamente, pertanto, l’appello deve essere respinto, meritando conferma, seppur per le articolate e particolari ragioni – (in parte) diverse da quelle del primo giudice – sin qui esposte, l’impugnata sentenza.

 

148. Proprio per la complessità e per la particolarità di tali ragioni, ai sensi dell’art. 26 c.p.a. e dell’art. 92, comma 2, c.p.c., ritiene il Collegio di poter compensare interamente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, confermando l’impugnata sentenza ai sensi e nei limiti di cui in motivazione.

Compensa interamente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 luglio 2013

Redazione