Bancomat rubato: condanna per i ladri anche se la carta subito bloccata non consente di portare a termine l’acquisto (Cass. pen. n. 45901/2012)

Redazione 26/11/12
Scarica PDF Stampa

Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 12/4/2011, la Corte di appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale di Roma del 12/12/2006, che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva condannato ***** e P.C. alla pena di mesi otto di reclusione ed Euro. 220,00 di multa ciascuno per i reati di cui all’art. 110 c.p., D.L. n. 143d del 1991, art. 12.

1.1. La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello dal T. in punto di insussistenza del fatto ed in subordine di riduzione della pena inflitta previa qualificazione del fatto come reato tentato, concessione delle attenuanti generiche e dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4; respingeva altresì le censure mosse con l’atto di appello proposto da P.C. in tema di derubricazione del fatto in tentativo e concessione delle attenuanti generiche.

2. Avverso tale sentenza propongono separato ricorso gli imputati sollevando i seguenti motivi di gravame:

T.A..

2.1. mancanza di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e); rileva al riguardo che ricorreva l’ipotesi del reato impossibile ex art. 49 c.p., comma 2, in quanto si trattava di una carta bancomat bloccata con la quale era impossibile qualsiasi transazione; rileva in subordine che comunque il fatto doveva essere qualificato come delitto tentato, stante il mancato buon esito della transazione.

P.C..

2.2. mancanza di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione all’art. 129 c.p.p., per mancanza di una compiuta analisi del fatto contestato.

Motivi della decisione

3. Il ricorso proposto da T.A. deve essere rigettato per infondatezza dei motivi; quello proposto da P.A. è inammissibile, perchè privo della specificità, prescritta dall’art. 581 c.p.p., lett. c), in relazione all’art. 591 c.p.p., lett. c).

3.1. Segnatamente con riferimento al primo ricorso, rileva il Collegio che la Corte territoriale, nell’escludere la sussistenza di un’ipotesi di reato impossibile, ha fatto buon uso dei principi costantemente affermati da questa Corte regolatrice in tema di integrazione del reato di indebito utilizzo di carte di credito o di pagamento previsto dal D.L. n. 143 del 1991, art. 12, convertito nella L. n. 197 del 1991, oggi trasfuso nel D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 55, comma 9. In tal senso si è affermato che l’indebita utilizzazione a fini di profitto della carta di credito da parte di chi non ne sia titolare integra il reato di cui alla L. n. 143 del 1991, art. 12, indipendentemente dal conseguimento di un profitto o dal verificarsi di un danno, non essendo richiesto dalla norma che la transazione giunga a buon fine (sez. 1 n. 42888 del 26/10/004, Rv. 230117; sez. 5 n. 16572 del 20/4/2006, Rv. 234460).

Non risulta, pertanto, censurabile la decisione impugnata laddove si è ritenuto integrato il reato in argomento, essendo emerso che il ricorrente, unitamente al suo complice, aveva fatto uso di una tessera bancomat, rubata poco prima, per effettuare degli acquisti in un negozio, acquisti non portati a termine, in quanto la carta era risultata bloccata. Ben diversa è, invece, la fattispecie alla quale faceva riferimento la decisione citata nel ricorso (sez. 2 n. 37758 del 11/10/2005, Rv. 232265), la quale ha escluso l’integrazione del reato in argomento nel caso del possesso di una carta di credito denunciata come smarrita, la quale al momento dell’accertamento della detenzione risultava scaduta e non era stato accertato il possesso della stessa prima della data di scadenza; difatti in questa fattispecie, non assimilabile a quella oggetto del ricorso in esame, si è ritenuto che il documento fosse totalmente privo delle sue originarie caratteristiche di strumento finanziario e, come tale, non più idoneo ad assolvere alcuna funzione di credito o di prelievo di contante, stante la sua palese irricevibilità ed inefficacia.

Viceversa nel caso di specie la carta era appena stata rubata, risultava apparentemente valida a tutti gli effetti e la transazione non era andata a buon fine soltanto perchè il titolare aveva provveduto tempestivamente a richiedere il blocco della carta stessa;

quest’ultima circostanza appare al Collegio irrilevante ai fini dell’integrazione del reato, costruito dal legislatore come reato di pericolo presunto, per la cui integrazione è sufficiente il possesso dello strumento creditizio, già di per sè sufficiente a ledere il bene giuridico protetto dalla norma i neri mi natrice, che è la facoltà del titolare della carta di poterne disporre in modo esclusivo.

In conseguenza di quanto ora detto, neppure può essere censurata la motivazione della sentenza impugnata, laddove ha escluso che il fatto potesse essere qualificato come reato tentato, essendo irrilevante, ai fini della consumazione del reato, sulla base dell’indirizzo giurisprudenziale sopra riportato al quale il Collegio ritiene di dovere aderire, la circostanza che l’agente non abbia poi effettivamente conseguito il vantaggio preso di mira. E’ pur vero che altra decisione (sez. 5 n. 23429 del 31/1/2001, Rv. 218976), peraltro, isolata di questa Corte, pure citata dal ricorrente, ha ritenuto integrata l’ipotesi tentata nella condotta di colui che introduca una carta bancomat di provenienza illecita nello sportello automatico, allo scopo di prelevare denaro contante altrui, senza riuscire nell’intento per l’intervento della Polizia Giudiziaria. Ma detta affermazione si riferiva ad una fattispecie concreta ben diversa da quella oggetto del presente ricorso e cioè a quella del prelievo di denaro contante per mezzo della carta bancomat da uno sportello automatico; viceversa la sentenza impugnata si riferisce ad un acquisto di beni attraverso la carta bancomat analogamente a quanto avviene con qualsiasi altra carta di credito o di pagamento; in tale fattispecie concreta, sulla base dell’indirizzo prevalente di questa Corte alla quale il Collegio ritiene di dovere aderire (sez. 1 n. 2409 del 28/4/1998, Rv. 210674; sez. 1 n. 29179 del 15/5/2003, Rv. 225036), il reato deve considerarsi consumato, in quanto, in forza della formulazione della norma incriminatrice, la consumazione avviene attraverso la realizzazione della condotta tipica che è quella dell’indebito utilizzo, indipendente dal conseguimento del profitto.

4.3. Quanto al ricorso proposto da P.C., lo stesso è chiaramente inammissibile, per essere privo della specificità, prescritta dall’art. 581, lett. e), in relazione all’art. 591 c.p.p., lett. c); al riguardo questa Corte ha stabilito che “la mancanza nell’atto di impugnazione dei requisiti prescritti dall’art. 581 c.p.p. – compreso quello della specificità dei motivi – rende l’atto medesimo inidoneo ad introdurre il nuovo grado di giudizio ed a produrre, quindi, quegli effetti cui si ricollega la possibilità di emettere una pronuncia diversa dalla dichiarazione di inammissibilità” (Sez. 1 n. 5044 del 22/4/1997, Pace, Rv. 207648).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso del T. e dichiara inammissibile il ricorso del P.. Condanna entrambi i ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed il P. altresì della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Redazione