Bancarotta fraudolenta per dissipazione da gioco d’azzardo: illogicità della sentenza di condanna (Cass. pen. n. 40195/2012)

Redazione 11/10/12
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Ritenuto in fatto

1. Con sentenza in data 3 febbraio 2011 la Corte d’Appello di Trieste, confermando la decisione assunta dal Tribunale di Udine, ha riconosciuto Bi.E. responsabile dei delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e bancarotta semplice documentale in relazione al fallimento della società «Euromedia s.n.c. di Bi.E. & C.», di cui era stato socio amministratore, e dell’impresa individuale Euromedia di Bo.E., della quale era stato socio occulto nonché del delitto di bancarotta fraudolenta documentale in relazione al fallimento della società «Rete Italia Servizi di Bo.E. & C. sas» di cui era stato amministratore di fatto: reati unificati nella previsione di cui all’art. 219, comma 2, n. 1) legge fall..
2. Ha proposto personalmente ricorso per cassazione l’imputato, affidandolo a un solo motivo Con esso ripropone l’assunto a tenore del quale egli aveva agito in condizioni di incapacità di intendere e di volere, in quanto condizionato dal vizio del gioco d’azzardo che lo aveva indotto a cospicue perdite patrimoniali in un breve arco temporale, lamenta che la Corte d’Appello abbia negato l’espletamento di un apposita perizia psichiatrica, sull’errato presupposto che non fosse dimostrato il suo assoggettamento al vizio del gioco, sebbene la prova testimoniale avesse confermato la circostanza.

Considerato in diritto

1. Il ricorso merita accoglimento, sussistendo un vizio di manifesta illogicità che inficia il costrutto argomentativo della sentenza impugnata.
2. Il capo d imputazione contestato ad Bi.E. – in concorso con Bo.E., la cui posizione e stata stralciata – conteneva, nel descrivere il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, un espresso ed inequivocabile riferimento alla destinazione al gioco d’azzardo dei fondi appartenuti alla società «Euromedia s.n.c. di Bi.E. & C.», nonché della società di fatto gestita sotto l’apparenza di una ditta individuale intestata al Bo.; proprio in virtù dell’ipotizzata dilapidazione dei beni sociali per il pagamento dei debiti di gioco la condotta illecita ipotizzata e stata inquadrata nella previsione normativa della «dissipazione» piuttosto che della «distrazione» alternativamente prevista dall’art. 216 legge fall..
2.1 Non risponde dunque, ai canoni della logica l’avere la Corte d’Appello confermato il giudizio di responsabilità del Bi. per il reato, così come ascrittogli, pur escludendo – per ritenuta mancanza di prova – che egli avesse «dissipato nelle case da gioco le risorse finanziarie delle società da lui amministrate fino a cagionarne il dissesto e il conseguente fallimento».
2.2 Se il giudice di secondo grado ha ritenuto, così come appare potersi desumere dal complessivo apparato motivazionale, che l’apprensione dei fondi delle società avesse avuto una finalità diversa dall’impiego nel gioco d’azzardo, e si fosse quindi connotata in modo da costituire non una dissipazione, ma una distrazione, la corretta statuizione da assumere non era la conferma del giudizio di colpevolezza in ordine al reato contestato, ma la trasmissione degli atti al pubblico ministero in ottemperanza al disposto dell’art. 521 cod. proc. pen.. Di contro la conferma della condanna, per la ritenuta sussistenza del fatto contestato nel capo d’imputazione, è incompatibile con la motivazione addotta – che esclude la dilapidazione dei fondi nel gioco d’azzardo – e non fornisce adeguata risposta alla richiesta di integrazione istruttoria, avanzata dalla difesa allo scopo di appurare se il vizio del gioco avesse determinato nel Bi. l’incapacità di autodeterminarsi.
3. La problematica inerente alla capacità di intendere e di volere dell’imputato, rimasta irrisolta nel giudizio di appello, è in tutta evidenza suscettibile di estendere la sua portata anche ai reati connessi di bancarotta – semplice e fraudolenta – documentale: onde la sentenza impugnata va annullata nella sua interezza con rinvio, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Trieste.

 

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Trieste, per nuovo giudizio.

Così deciso il 13 luglio 2012.

Redazione