Bancarotta fraudolenta: condannato il figlio prestanome del dominus (Cass. pen. n. 37305/2013)

Redazione 11/09/13
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Svolgimento del processo

1. M.E. è stato ritenuto responsabile, con sentenza 3-11- 2004 del Tribunale di Monza, confermata dalla Corte d’Appello di Milano in data 11-11-2011, dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, quale titolare dell’impresa individuale, dichiarata fallita il (omissis), Vetroplast di M.E., di fatto gestita dal padre ******, anch’egli raggiunto in primo grado da condanna, in secondo grado da pronuncia di improcedibilità per intervenuto decesso.

2. Il primo reato riguarda la distrazione di beni strumentali del valore di circa 100 milioni di lire e dell’importo di un mutuo ipotecario pari a 160 milioni di lire. Il secondo la tenuta dei libri e delle scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, allo scopo di conseguire un ingiusto profitto e di recare pregiudizio ai creditori.

3. La corte milanese, premesso che l’attuale ricorrente non si era mai ingerito nell’amministrazione dell’impresa, gestita dal padre, ne confermava l’affermazione di responsabilità sul rilievo che, non avendo assolto l’obbligo di vigilare sulla gestione nonostante l’anomalia rappresentata dal fatto di essere un prestanome per l’impossibilità del titolare di fatto di figurare formalmente, comportasse l’elevata probabilità del compimento di atti irregolari da parte del dominus, aveva accettato il rischio del compimento di atti di tal genere da parte di questi. Senza contare la sua diretta partecipazione, nella qualità, all’accensione del mutuo relativo alla somma contestata, tra le altre, quale oggetto di attività distrattiva.

4. Con il ricorso proposto dall’imputato tramite il difensore, avv. D. Figini, si deducevano tre doglianze.

5. Primo motivo: violazione delle norme incriminatrici e dell’art. 40 c.p.. in ordine alla bancarotta documentale. Per quanto, infatti, secondo giurisprudenza di questa corte, la c.d. testa di legno risponde di tale reato a titolo di omissione stante l’obbligo giuridico di tenere e conservare le scritture, nella specie non vi era prova che l’imputato, appena maggiorenne allorchè aveva assunto la veste di titolare dell’impresa, avesse potuto consapevolmente rappresentarsi che il padre avrebbe omesso la tenuta delle scritture allo scopo di frodare i creditori.

6. Secondo motivo: violazione della norma sulla bancarotta patrimoniale e dell’art. 40 cod. pen.. Non essendo applicabile all’amministratore “testa di legno” il principio per il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento legittima, in assenza di adeguata giustificazione, la presunzione della dolosa sottrazione, in quanto l’accettazione della carica non implica la consapevolezza di disegni criminosi da parte dell’amministratore di fatto (Cass. Rv. 19049/2010), sarebbe stato necessario accertare se il M., oltre ad aver accettato la carica, fosse stato consapevole della condotta distrattiva del padre o almeno ne avesse accettato il rischio.

7. Terzo motivo: mancata assunzione di prova decisiva e omessa motivazione sul punto. La corte territoriale aveva ritenuto superflua la prova testimoniale relativa all’incendio delle scritture contabili, mentre la chiesta rinnovazione del dibattimento aveva ad oggetto quella relativa all’incendio dei macchinari di cui era contestata la distrazione per un valore pari a cento milioni di lire, senza tener conto di quelli rinvenuti e smaltiti a seguito appunto dell’incendio.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e va disatteso.

2. La prima doglianza non ha fondamento alla stregua del consolidato orientamento di questa corte per il quale chi amministra solo formalmente l’impresa fallita essendo privo di reali poteri di gestione (c.d. testa di legno), risponde di bancarotta fraudolenta documentale in virtù dell’obbligo diretto e personale del titolare formale dell’impresa di tenere e conservare le scritture contabili, a fronte del quale l’eventuale convinzione che quello di fatto provveda all’incombente, nella specie sostenuta nel ricorso, è del tutto irrilevante.

3. Nè ha maggior spessore il secondo motivo inerente alla bancarotta fraudolenta patrimoniale. Infatti, pur essendo esatto che nei confronti dell’imprenditore meramente formale non può automaticamente operare la presunzione di responsabilità in caso di mancato reperimento, privo di giustificazione, di beni dei quali sia accertata la disponibilità prima della pronuncia di fallimento, tuttavia l’accettazione della titolarità dell’impresa rende il soggetto tenuto all’agire informato, secondo quanto tra l’altro imposto dalle norme del codice civile agli amministratori.

In linea con tale principio la corte milanese ha correttamente affermato che la responsabilità del M. nasceva dall’essere venuto meno ai doveri di vigilanza e controllo imposti a chi accetta di ricoprire la carica nella consapevolezza di possibili condotte illecite da parte del titolare di fatto -il padre giuridicamente impossibilitato a figurare come titolare dell’impresa-, e in particolare dall’omesso controllo sulla tenuta delle scritture contabili, controllo atto a prevenire il pericolo di distrazioni, con conseguente accettazione del relativo rischio (in conformità all’orientamento di questa corte espresso, tra le altre, dalla sentenza n. 38712/2008), essendo l’elemento soggettivo integrato anche dal dolo eventuale.

4. Non configura, infine, il vizio di mancata assunzione di prova decisiva il diniego di ammissione della prova testimoniale dell’incendio verificatosi nei locali dell’impresa. Anche se, infatti, la richiesta di rinnovazione del dibattimento fosse relativa alla distruzione non delle scritture contabili, ma dei beni strumentali dei quali era contestata la distrazione, essa sarebbe comunque generica ed esplorativa (essendo volta ad accertare, in prima battuta, se dei macchinari fossero stati smaltiti in quanto interessati dall’incendio), dunque non decisiva.

5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 14 maggio 20103.

Redazione