Avvocato, onorari, procedimento per la liquidazione, camera di consiglio (Cass. n. 25942/2013)

Redazione 19/11/13
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Svolgimento del processo

Il dr. ****** ricorre per la cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., dell’ordinanza in data 7 giugno 2007, depos. in data 8.6.2007, con la quale l’adito Tribunale di Pisa, accogliendo in parte l’opposizione proposta dallo stesso L. avverso il decreto ingiuntivo n. 4767/06 rilasciato in favore dell’istante avv. B. a titolo di pagamento di compensi professionali, lo aveva condannato, ai sensi dell’art. 30 della legge 13 giugno 1942, n. 794,al pagamento della minor somma di Euro 10.949,98, oltre agli interessi legali dal 30.5.2006 al saldo. Il ricorrente deduce 6 mezzi con cui sostiene che nella fattispecie vi era stata da parte del tribunale un’erronea applicazione del rito speciale ex art. 30 e 29 L. n. 794/1942 essendo nel caso in esame applicabile il rito ordinario ; che il provvedimento doveva essere emesso da un organo collegiale e non dal giudice monocratico; che era stata del tutto omessa la motivazione circa la determinazione del quantum in base alle tariffa professionale; che erano stati violati i principio del giusto processo non essendo stato rispettato il principio del contraddicono da parte del giudice che aveva di sua iniziativa trasformato il rito da ordinario in speciale; che infine era errata la data di decorrenza degli interessi legali.
Resiste l’avv. B. con controricorso, instando preliminarmente per l’inammissibilità del ricorso stesso.

Motivi delle decisione

1 – Preliminarmente occorre rilevare che il controricorrente ha eccepito l’inammissibilità nella fattispecie, del ricorso straordinario ex art. 111 Cost., in quanto a suo avviso occorreva proporre appello, avendo l’ordinanza impugnata contenuto di sentenza. Il ricorrente invece invoca il principio secondo il quale la parte soccombente non può scegliere il mezzo d’impugnazione secondo una qualificazione del provvedimento diversa da quella espressamente data dal giudice che lo ha pronunciato.
Il Collegio ritiene di aderire a tale ultima tesi, in conformità con quanto ritenuto in proposito dalle S.U. (Cass. Sez. U, Sentenza n. 390 del 11/01/2011), secondo cui, al fine di individuare il regime impugnatorio del provvedimento – sentenza oppure ordinanza ex art. 30 della legge 13 giugno 1942, n. 794 – che ha deciso la controversia, assume rilevanza la forma adottata dal giudice, nel caso in cui – come nella fattispecie – la stessa “sia frutto di una consapevole scelta, che può essere anche implicita e desumibile dalle modalità con le quali si è in concreto svolto il relativo procedimento”. Deve dunque ritenersi ammissibile ricorso ex art. 111 Costituz. per l’ordinanza de qua, emessa a conclusione del rito speciale ex art. 30 L. n. 794/1942.
2 – Passando all’esame del ricorso, appare opportuno procedere in primis all’esame congiunto del 1^ e del 3^ motivo, che sono strettamente connessi.
Con il primo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. art. 30 della legge 13 giugno 1942, n. 794 e quindi l’erronea applicazione del rito speciale; si sostiene infatti che nella fattispecie non era applicabile il rito stesso in quanto il cliente non si era limitato a contrastare il quantum del compenso richiesto dal professionista, come era dimostrato dal fatto che, rispetto alle precedenti notule da questi trasmesse al primo, vi erano nuovi e maggiori compensi ovvero maggiori pretese del legale. L’attore-opponente aveva infatti chiesto al giudice di accertare “… la sussistenza di una causa limitativa del diritto dell’avv. B. di chiedere i compensi di cui si ingiungeva il pagamento col decreto de quo, nonché la verifica dell’effettività delle prestazioni di cui l’avv. B. chiedeva la retribuzione (diverse da quelle il cui compimento era indicato all’opponente con parcelle dell’08.06.2005)”.
Con il 3^ motivo si denunzia la violazione dell’art. 111 Cost. – violazione dei principi sul giusto processo – per avere il giudicante trasformato il rito senza il rispetto del principio del contraddittorio sulla questione. Il mezzo si conclude con il seguente quesito: “***** e/o costituisce falsa applicazione dei principi del giusto processo sanciti dall’art. 111 Cost., e in particolare del 2^ comma che impone il rispetto del contraddittorio, l’avere il Giudice…disposto la trasformazione del rito con lo stesso provvedimento decisorio, non consentendo all’attore-opponente che vi aveva interesse, lo svolgimento di alcuna attività difensiva, neppure quelle minime espressamente previste dalla legge n. 794 del 1942 agli artt. 28,29 e 30?”.
Ritiene il Collegio che entrambi i motivi non sono fondati.
Invero nel caso in esame non vi era chiara contestazione sulla sussistenza dell’incarico professionale e quindi del credito del professionista, ma solo sull’eccessività delle richieste rispetto alle precedenti notule inviate dall’avv. B. prima di attivare il contenzioso; né il cliente aveva avanzato al riguardo domande riconvenzionali. Il tribunale ha in proposito puntualmente rilevato che l’opponente si era limitato “a formulare eccezioni di tipo meramente formale, relative alla sottoscrizione del giudice ed a contestare la determinazione della misura del compenso spettante al professionista, senza ampliare il thema decidendum con la proposizione di domande o eccezioni riconvenzionali e senza contestare i presupposti stessi del diritto del patrono al compenso o l’effettiva esecuzione delle prestazioni”.
In effetti questa S.C. ha precisato che non è ammissibile il ricorso alla speciale procedura di cui agli artt. 28 e 29 della legge 13 giugno 1942, n. 794 ma solo nel caso in cui la controversia non abbia ad oggetto soltanto la determinazione della misura del compenso, “ma si estenda altresì ad altri oggetti d’accertamento e di decisione, quali i presupposti stessi del diritto al compenso, i limiti del mandato, la sussistenza di cause estintive o limitative della pretesa” (Cass. Sentenza n. 1666 del 03/02/2012 ), ipotesi questa da escludersi nel caso in esame.
Quanto alle doglianze sull’adozione della procedura speciale da parte del giudice, giova ricordare che, il giudizio di opposizione al procedimento di liquidazione deve svolgersi in ogni caso a norma degli artt. 29 e 30 della legge 13 giugno 1942, n. 794, e cioè essere deciso in camera di consiglio con ordinanza impugnabile solo ai sensi dell’art. 111 Cost. Si è altresì sottolineato come “nella descritta disciplina, che prevede una deroga al principio del doppio grado di giurisdizione, non sussistono profili di illegittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost., avuto riguardo al fatto che la Corte costituzionale, con le sentenze n. 22 del 1973 e n. 238 del 1976, ha già dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 28, 29 e 30 della citata legge n. 794 del 1942, in riferimento ai medesimi parametri, sul rilievo che la non impugnabilità del provvedimento conclusivo del procedimento per la liquidazione delle prestazioni giudiziali in materia civile rese dagli avvocati è stata razionalmente intesa negli stretti limiti della non appellabilità del medesimo provvedimento in quanto emanato nell’ambito della materia della liquidazione, e che detto regime, pur escludendo il doppio grado di cognizione di merito (oltretutto non riconosciuto dalla Costituzione quale necessaria garanzia del diritto di difesa), assicura comunque il valido esercizio di tale diritto attraverso l’esperibilità del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.” (Cass. 2, Sentenza n. 6225 del 15/03/2010).
3 – Con il 2^ motivo l’esponente denunzia la violazione dell’art. 30 della legge 13 giugno 1942, n. 794, 50 bis c.p.c. 737 e ss. cpc, e deduce che il tribunale doveva decidere sulla vertenza in composizione collegiale e non monocratica.
La doglianza è fondata.
Il procedimento per la liquidazione di onorari di avvocato ai sensi degli artt. 28, 29 e 30 della legge 13 giugno 1942, n. 794 si svolge in camera di consiglio per cui ai sensi dell’art. 50-bis, secondo comma, c.p.c. dev’essere trattato dal tribunale in composizione collegiale; tale norma infatti espressamente prevede una riserva di collegialità per i procedimenti in camera di consiglio disciplinati dagli artt. 737 e ss. c.p.c. In tal senso si espresse le S.U. secondo cui: “le controversie in tema di liquidazione dei compensi dovuti agli avvocati per l’opera prestata nei giudizi davanti al tribunale, ai sensi degli artt. 28, 29 e 30 della legge 13 giugno 1942, n. 794, rientrano fra quelle da trattare in composizione collegiale, in base alla riserva prevista per i procedimenti in camera di consiglio dall’art. 50-bis, secondo comma, c.p.c., come peraltro confermato dall’art. 14, secondo comma, del d. lgs. 1^ settembre 2011, n. 150, per i procedimenti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso”. (Cass. S.U. Sentenza n. 12609 del 20/07/2012; Cass. n. 4967 del 11/03/2004).
Dev’essere dunque accolto il 2^ motivo del ricorso, assorbiti i rimanenti motivi, con conseguente cassazione dell’ordinanza impugnata e con rinvio della causa, anche per le spese,al Tribunale di Pisa in composizione collegiale.

P.Q.M.

rigettata il 1^ ed il 3^ motivo del ricorso; accoglie il 2^ motivo, assorbiti gli altri; cassa l’ordinanza impugnata e rinvia la causa, anche spese di questo giudizio, al tribunale di Pisa in composizione collegiale.

Redazione