Avvocati: l’attività stragiudiziale non entra a far parte del valore della causa (Cass. n. 14602/2012)

Redazione 22/08/12
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Svolgimento del processo

Con decreto ingiuntivo del 20/11/2002 il Tribunale di Monza intimava a M.R.S. di pagare all’avv. A.S. la somma di euro 9.950,83 per compenso e spese per l’attività professionale in causa civile pendente innanzi il Tribunale di Roma.
La S proponeva opposizione e con sentenza del 23/11/2009 il Tribunale revocava il decreto e rideterminava la somma dovuta per compenso e spese in euro 4.657,77 oltre accessori e interessi dalla domanda al saldo.
M.R.S. proponeva appello, lo S. proponeva appello incidentale al quale faceva seguito ulteriore appello incidentale della S.
In corso di causa decedeva l’avv. S. e si costituiva M.S., figlia ed erede.
La Corte di Appello di Milano con sentenza del 20/6/2008 dichiarava inammissibile l’appello incidentale della S e, in parziale riforma della sentenza appellata, accogliendo in parte l’appello incidentale di S., condannava la S. al pagamento della somma di euro 9.141,63 oltre interessi.
La Corte distrettuale rilevava: che le parti controvertevano sullo scaglione tariffario applicabile alle prestazioni giudiziali che, secondo il professionista, doveva essere individuato con riferimento ad un valore di lire 1.100.000.000, (pari al valore della casa coniugale venduta per realizzare lo scioglimento della comunione familiare a seguito di separazione) e non con riferimento al valore (58.300.000) della causa instaurata per la divisione dei residui mobili;
che il mandato conferito dalla S. allo S. avente ad oggetto la separazione personale dal marito, comprendeva tutti gli aspetti e le problematiche connesse alla separazione e anche lo scioglimento della comunione;
che, infatti, la S. aveva delegato allo S. le trattative e la formalizzazione della compravendita dalla quale la S. aveva ricavato la somma di lire 500.000.000, pari alla metà del prezzo dell’immobile;
che S. aveva svolto la suddetta attività (stragiudiziale e giudiziale) sulla base dell’accordo del 22/3/1995; che tuttavia le attività non esplicate davanti al giudice, ma strettamente connesse con quelle giudiziali, non possono essere considerate stragiudiziali, ma devono essere considerate giudiziali e devono essere considerate per la determinazione del valore della causa.
SMR ha proposto ricorso affidato a quattro motivi. Resiste con controricorso S. M. che deposita
memoria.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 57 e ss. (partic. 57, 60 e 62) RDL n. 1578/1933 (Ordinamento forense), degli artt. 5 e 6 della tariffa civile di cui al D.M. 585/1994 e degli artt. 10 e 12 c.p.c. essendo stato determinato il valore della controversia ai fini della liquidazione delle attività giudiziali con riferimento al valore di un bene che non aveva formato oggetto di alcuna domanda.
La ricorrente richiama il RDL n. 1578/1933 nella parte in cui rimanda alle tariffe professionali per la liquidazione dei diritti e degli onorari e l’art. 60 della dello stesso RDL per il quale per determinare il valore della controversia si ha riguardo a ciò che ha formato oggetto di vera contestazione e, infine, l’art. 6 della tariffa del 1994 per il quale il valore della controversia è determinato a norma dell’art. 10 c.p.c., ossia dalla domanda e l’art. 12 c.p.c. per il quale il valore delle cause per divisione si determina da quello della massa attiva da dividersi.
Il valore di lire 1.100 .000, individuato dalla Corte territoriale quale scaglione tariffario, secondo la ricorrente era errato e contrastante con le norme sopra richiamate perché l’immobile venduto per la suddetta cifra e posto a criterio di riferimento del valore, non era oggetto di alcuna delle domande delle parti, essendo in contestazione solo la divisione di un compendio immobiliare del valore stimato tra lire 48.880.000 e lire 58.830.000.
La ricorrente formula, quindi, il quesito di diritto per stabilire se, nel caso in cui un legale presenti per la liquidazione una parcella unitaria, comprendente sia attività stragiudiziale che attività giudiziale, il valore della causa per l’attività giudiziale debba essere determinato anche con riferimento al valore dell’immobile oggetto di attività stragiudiziale.
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce il vizio di motivazione in rapporto agli artt. 5 e 6 D.M. 585/1994 e agli artt. 10 e 12 c.p.c. in relazione alle modalità di determinazione del valore della controversia che non avrebbe potuto essere determinato con riferimento all’attività prestata per una vendita immobiliare avvenuta due anni prima dell’instaurazione del giudizio oggetto della richiesta di liquidazione; rileva anche la contraddittorietà della motivazione con la quale si conferma la prescrizione presuntiva per l’attività stragiudiziale (con conseguente presunzione
di pagamento) svolta per la vendita dell’appartamento e nello stesso tempo si attribuisce alla stessa attività natura di attività giudiziale per connessione; osserva che la vendita dell’ex casa coniugale si collega alla separazione consensuale e non alla causa di divisione del compendi mobiliare; formula i relativi quesiti riassumendo i contenuti delle proprie censure e domandando se sia corretta la propria ricostruzione che esclude il rapporto di connessione rilevante ai fini della individuazione dello scaglione tariffario applicabile o quella del giudice che ha affermato sussistere connessione rilevante.
2.1 I due motivi devono essere esaminati congiuntamente in quanto si risolvono nella unitaria censura, per violazione di norme e vizio di motivazione, della liquidazione di onorari e diritti in base ad uno scaglione tariffario eccedente rispetto a quello applicabile secondo il valore della causa da calcolarsi escludendo la rilevanza, ai fini dello scaglione applicabile per l’attività giudiziale, di prestazioni effettuate per anteriori attività stragiudiziali.
Occorre preliminarmente osservare in relazione alle eccezioni di inammissibilità dei motivi per inadeguatezza e non pertinenza di motivi, che i quesiti, pur articolati in più punti, sono congrui con le articolate problematiche poste dal ricorso e sufficientemente chiari in ordine all’individuazione della questione controversa.
I motivi sono fondati con riferimento al vizio di motivazione rapportato alla normativa in materia di liquidazione degli onorari per attività giudiziali che pone la regola generale per la quale il valore della causa si determina a norma del c.p.c. (art. 6 DM 585/1994 e DM 127/2004) che, a sua volta, all’art. 12 stabilisce che il valore delle cause di divisione si determina in base al valore della massa da dividere; nella specie è pacifico che la divisione giudiziale per la quale erano stati chiesti gli onorari per attività giudiziale aveva ad oggetto un giudizio di divisione di beni mobili essendo stata già sciolta (si afferma da almeno due anni) la comunione, non per via giudiziale, sull’immobile il cui valore è stato invece considerato per la determinazione dello scaglione tariffario.
Quanto allo scaglione applicabile, la Corte di appello in motivazione afferma che l’attività stragiudiziale espletata per la vendita di un immobile, pure oggetto di un unitario mandato che comprendeva tutti gli aspetti e le problematiche connesse alla separazione e anche lo scioglimento della comunione, può essere presa in considerazione per determinare il valore della causa di divisione di un compendio mobiliare iniziata due anni dopo quella vendita; tale motivazione, oltre ad essere priva di qualsiasi aggancio normativo, è del tutto illogica perché confonde il valore dei singoli, pur coordinati, incarichi professionali che potevano svolgersi in via giudiziale come in via stragiudiziale, con il valore della causa che, per definizione, non poteva essere comprensivo di un valore immobiliare totalmente estraneo rispetto alla causa e alla controversia in essa dedotta e definito due anni prima del suo inizio così che su quell’immobile e per quel valore la controversia non era neppure sorta.
La Corte territoriale ha richiamato giurisprudenza di questa Corte non pertinente alla fattispecie.
Questa Corte ha affermato che “devono considerarsi prestazioni giudiziali non soltanto quelle che consistono nel compimento di veri e propri atti processuali, ma anche quelle attività che si svolgono fuori del processo, purché strettamente dipendenti da un mandato relativo alla difesa e rappresentanza in giudizio cosicché possano ritenersi come preordinate allo svolgimento di attività propriamente processuali o ad essa complementari” (così in motivazione Cass. 8/11/2002 n. 15718, nella specie affermando che rientra fra le prestazioni giudiziali l’attività svolta dal difensore di una parte in giudizio per la conclusione di una transazione che ponga termine alla lite, ancorché la transazione stessa abbia luogo non sotto forma di conciliazione davanti al giudice, ma mediante negozio extraprocessuale alla quale quindi si applicano le disposizioni contenute nella tariffa per la liquidazione delle competenze dovute al difensore e quelle della relativa tariffa in materia giudiziale) .
Pertanto l’attività stragiudiziale può essere parcellata come attività giudiziale se strettamente dipendente da un mandato relativo alla difesa e rappresentanza in giudizio mentre il giudice di appello non ha motivato sull’esistenza di un mandato relativo ad una attività giudiziale di scioglimento dell’intera comunione dei beni e, quindi, comprensivo dello scioglimento dei beni immobili (nel quale assumerebbe rilevanza la vendita dell’immobile come momento di composizione della lite) e non solo dei beni mobili.
Ove non ricorrano i suddetti presupposti, l’attività stragiudiziale rimane attività stragiudiziale e il “valore” di riferimento per questa attività non può essere trasferito sul valore dell’attività giudiziale ai fini dell’individuazione dello scaglio tariffario per l’attività giudiziale.
Per tali ragioni i primi due motivi devono essere accolti e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.
3. Con il terzo motivo la ricorrente ha dedotto violazione degli artt. 112 e 324 c.p.c. e omessa motivazione per la mancata decurtazione dall’importo dovuto di somme conteggiate per c.p.a. e iva su compensi per voci dichiarate non dovute in quanto prescritte.
Con il quarto motivo la ricorrente ha dedotto la violazione del giudicato interno e l’omessa motivazione perché nel computo delle somme dovute al professionista il giudice di appello non ha detratto l’importo di euro 41,65 per iva e cpa che era stato detratto dal primo giudice in quanto erroneamente applicati alla voce marche (per lire 185,92) che era stata inserita tra le spese imponibili, mentre si trattava di spesa non imponibile.
Questi motivi restano assorbiti dalla cassazione della sentenza che comporta che il giudice di appello dovrà provvedere a rideterminare il dovuto operando le detrazioni del caso.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso ai sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.

Redazione