Avvocati: il rimborso delle spese generali trova nella legge titolo e misura. Non è necessario che il dispositivo della sentenza ne specifichi l’importo (Cass. n. 9315/2013)

Redazione 17/04/13
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Svolgimento del processo

La Corte di appello dell’Aquila, in parziale riforma della decisione 3 agosto 2006 del Tribunale di Lanciano, con sentenza del 3 agosto 2006 ha condannato la s.p.a. Banca popolare di Lanciano e Sulmona a restituire alla Curatela del fallimento della s.r.l. Leader fur Group (già s.r.l. Forniture industriali) la complessiva somma di Euro 12.136, 12, risultante dalla compensazione dei relativi crediti e debiti/nonchè a rifondere al Fallimento ed a G.P. ed M.A.R. le spese i entrambi i gradi del giudizio in ragione di due terzi, liquidati in complessivi Euro 8.000, oltre accessori di legge. Ha dichiarato interamente compensato tra le parti il restante terzo. Per la cassazione della sentenza il G. e la M. hanno proposto ricorso per due motivi. Il fallimento e la Banca popolare non hanno spiegato difese.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il G. e la M., deducendo violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha parzialmente compensato le spese processuali, invocando anzitutto l’orientamento giurisprudenziale che ritiene ammissibile tale motivo di ricorso tutte le volte in cui la motivazione del giudice di merito rivolta a giustificare la compensazione manchi del tutto ovvero sia incongrua, illogica o contraddittoria, e deducendo che nel caso ricorre proprio tale ultima fattispecie avuto riguardo all’esito della lite interamente sfavorevole alla Banca, al comportamento negligente della stessa, che aveva sollevato eccezioni del tutto infondate sulla quale infine non poteva che ricadere l’errore di calcolo in cui era incorso il Tribunale.

La doglianza è infondata.

E’ infatti vero che ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, pure nel testo applicabile “ratione temporis” prima della modifica introdotta dalla L. n. 263 del 2005, art. 2, comma 1, lett. a), la scelta di compensare le spese processuali è riservata al prudente, ma comunque motivato, apprezzamento del giudice di merito la cui statuizione può essere censurata in sede di legittimità quando siano illogiche o contraddittorie le ragioni poste alla base della motivazione, e tali da inficiare, per inconsistenza o erroneità, il processo decisionale.

Ma è pur vero che a tal fine, non è necessaria l’adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purchè, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito.

E nel caso la sentenza impugnata a giustificazione della parziale compensazione ha correttamente ricordato l’esito complessivo della lite, che contrariamente a quanto dedotto dai ricorrenti, non è stato affatto intermente favorevole al Fallimento: infatti se a quest’ultimo è stato riconosciuto il diritto alla restituzione degli interessi sul contratto di conto corrente, secondo la capitalizzazione trimestrale operata dalla Banca e la sostituzione a questi ultimi (L. 118.894.977) dei soli interessi legali (L. 23.870.301), l’Istituto di credito è risultato a sua volta titolare di un saldo creditorio pari a L. 71.525.862. Per cui è solo operando la compensazione tra le due opposte partite che si è determinata una differenza favorevole alla curatela, peraltro soltanto nel corso del giudizio, per avere la Corte Costituzionale con sentenza 425/200, come riconosciuto dagli stessi ricorrenti (pag. 4), dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342, art. 25, comma 3, nella parte riguardante le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti di c/c stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della Delib. Comitato Intermin. Cr. – emessa il 9 febbraio 2000 ed entrata in vigore il 22 aprile 2000.

La Corte ha infine evidenziato che la differenza in questione ha potuto essere determinata soltanto a seguito di ct. che ha dovuto ricostruire le singole partite di credito e debito del conto, gli interessi via via calcolati dalla Banca con il sistema poi risultato illegittimo, e quelli invece dovuti in base al tasso legale e che la complessità dei relativi calcoli ha indotto in errore pure il Tribunale, invece pervenuto ad un saldo creditorio a favore della Banca per cui anche detta circostanza è stata non irrazionalmente valorizzata dalla decisione impugnata. La quale, d’altra parte, ha operato la compensazione contestata (tenendo conto di tutti questi elementi) soltanto in minima parte corrispondente ad un terzo delle stesse, ed applicando nel resto il principio legale della soccombenza.

Infondato è infine il secondo motivo con cui i ricorrenti, deducendo altra violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., nonchè delle tariffe forense, si dolgono che la sentenza impugnata non abbia liquidato anche le spese forfettarie da essi richieste limitandosi ad utilizzare nel dispositivo la formula “oltre accessori i legge insuscettibile di poter essere eseguita.

Questa Corte ha ripetutamente confermato al riguardo: a) che ai sensi dell’art. 15 della tariffa forense (D.M. 5 ottobre 1994, n. 585) spetta all’avvocato il rimborso delle spese generali, nella misura del 10% degli importi liquidati a titolo di onorari e di diritti procuratori; b) che trattandosi di credito che consegue per legge, e del quale la misura è determinata per legge, la menzione e quantificazione che il giudice ne effettui in sentenza ha mera efficacia dichiarativa e non incide quindi sul diritto del procuratore di chiedere tale rimborso che nella legge già trova titolo e misura (così come debbono essere corrisposti per legge, anche se non ve ne sia espressa menzione nel dispositivo della sentenza, gli ulteriori accessori, quali il rimborso iva, contributo c.a.p. ecc.) che ugualmente la legge impone e quantifica (Cass. 4209/2010; 10997/2007; 8059/2007); c) che conseguentemente il rimborso in questione deve ritenersi compreso nella liquidazione degli onorari e dei diritti nella misura del 10% di tali importi, anche senza espressa menzione nel dispositivo della sentenza: perciò senza alcun interesse della parte a che la sentenza ne affermi la spettanza (Cass. 8512/2011; 23053/2009; 10416/2003).

Nessuna pronuncia va emessa in ordine alle spese del giudizio in quanto la B.P.L. cui l’esito è stato favorevole non ha spiegato difese.

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Redazione