Avvocati che pagano l’ufficiale giudiziario per avere notifiche in tempi brevi: condotta censurabile sotto il profilo deontologico e penale (Cass. pen. n. 5049/2013)

Redazione 31/01/13
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Svolgimento del processo

1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli impugna la sentenza con la quale, all’esito dell’udienza preliminare, nei confronti di C.V., T.G., E. C. e G.M. è stato dichiarato non luogo a procedere per non avere commesso i fatti oggetto di imputazione.

A fronte della richiesta di rinvio a giudizio per i delitti di associazione a delinquere, corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, falso ideologico in atto pubblico e truffa aggravata non solo degli ufficiali giudiziari – i quali avevano ricevuto cinque Euro ad atto da notificare, in violazione della prescritta procedura di registrazione Unep e di successiva annotazione di avvenuta notifica – e del titolare di un agenzia d’affari il cui ruolo sarebbe stato quello di intermediario dell’illecita operazione nonchè degli avvocati i quali con periodicità versavano la somma anzidetta per accelerare i tempi di consegna senza il rispetto del proprio turno, il giudice preliminare ha disposto il giudizio solo a carico degli ufficiali giudiziari e del titolare dell’agenzia d’affari e non anche degli avvocati ****, T.G., E. C. e *****

Le ragioni di tale scelta possono sintetizzarsi nel fatto che, a differenza di quanto ipotizzato dal pubblico ministero, il vantaggio non avrebbe potuto essere quello di evitare il rispetto del criterio cronologico delle notifiche, bensì solo l’esigenza di ottenere la notificazione degli atti in tempi ragionevoli. Non vi sono, ad avviso del giudice preliminare, elementi che possano far intravvedere ulteriori vantaggi correlati alla reputazione che il professioniste avrebbe ottenuto con i propri clienti per la rapidità del perfezionamento delle pratiche, tenuto anche conto che il risparmio economico rispetto a cinque Euro versati all’ufficiale giudiziario sarebbe stato di all’incirca 80 centesimi.

In realtà, l’unico vantaggio sarebbe stato quello di evitare lunghe file sia in sede di rilascio che di restituzione dell’atto, poichè gli avvocati non avevano interesse alcuno a una notifica falsa o irregolare, vizio che avrebbe potuto essere eccepito dalla controparte. Mentre, il vantaggio per gli ufficiali giudiziari è stato quello, in parte emerso dall’indagine amministrativa svolta, non solo di incassare la differenza tra i cinque Euro e la somma dovuta, ma in alcuni casi di non provvedere proprio alla registrazione degli atti trattenendo per se le somme l’intera somma ricevuta.

In tale contesto, la condotta degli avvocati, ad avviso del giudice preliminare, sarebbe censurabile sotto il profilo disciplinare e sindacale, ma non assume alcun rilevo penale.

In definitiva, la complessiva vicenda non consente di ritenere la sussistenza di un preciso quadri probatorio tale da disporre il rinvio a giudizio; situazione non suscettibile di ulteriore modifica in sede dibattimentale.

2. Il Procuratore ricorrente deduce la contraddittorietà e illogicità della motivazione, sul presupposto che l’estromissione dei corruttori e il rinvio a giudizio dei corrotti rende del tutto ingiustificata la permanenza dell’ipotesi di corruzione.

Per il ricorrente, anche se il vantaggio degli avvocati fosse stato solo quello di evitare lunghe file e la consegna degli atti nell’ufficio notifiche, non avrebbe potuto essere messa in dubbio la sussistenza dell’ipotesi corruttiva.

Gli accertamenti del dirigente Unep dell’ufficio notifiche di Napoli hanno messo in rilevo la circostanza che l’ufficiale giudiziario P. ha abitualmente violato le disposizioni interne ricevendo atti e danaro per le notifiche direttamente dai collaboratori degli avvocati.

Il giudice dell’udienza preliminare ha accertato e verificato la sussistenza di tali irregolarità collegate al pagamento effettuato dagli avvocati; condotta, quest’ultima, la quale non potrebbe che integrare il delitto di corruzione.

Nel ricorso sono riportati integralmente gli atti di indagine e sono altresì descritte le irregolarità relative alla notifica di decreti ingiuntivi nei confronti della ASL NA (omissis) che avrebbe dovuto effettuare altro ufficiale giudiziario e non P..

La continuità degli illeciti, la rilevanza delle somme incassate e la sistematicità delle operazioni compiute renderebbero fondata l’ipotizzato reato associativo oltre che dei reati fine; impostazione complessiva condivisa dal giudice preliminare e inspiegabilmente, rileva il ricorrente, non tale da rappresentare elementi per il rinvio a giudizio.

3. La difesa di T.G. ha depositato memoria con la quale si ritiene corretta la conclusione raggiunta con la sentenza impugnata, poichè l’ampia attività investigativa non ha acquisiti elementi tali da configurare ipotesi di reato e, in ogni caso, idonee e sufficienti a integrare il delitto di corruzione. Le somme versate per ogni atto da notificare erano volte a ottenere un servizio pubblico, ma non favoritismi.

Non vi sono elementi tali da integrare il concorso nel delitto di falso, commesso su determinazione e istigazione di T.. I dati acquisiti dimostrano la regolarità del servizio richiesto e non realizzano alcuna delle ipotesi di reato oggetto di imputazione, meno che mai l’ipotesi di truffa.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato.

La regola decisoria per i diversi epiloghi dell’udienza preliminare in relazione ai casi che risultino allo stato degli atti aperti a soluzioni alternative è stata definita in termini oramai uniformi dalla giurisprudenza di legittimità.

Le Sezioni unite, in coerenza con le linee tracciate dal Giudice delle leggi, hanno affermato che, nonostante “… l’obiettivo arricchimento, qualitativo e quantitativo, dell’orizzonte prospettico del giudice, rispetto all’epilogo decisionale… e il radicale incremento dei poteri di cognizione e di decisione del giudice dell’udienza preliminare” non pare possa ritenersi mutata la struttura dell’udienza preliminare rispetto a quella originaria di momento di mero impulso processuale. Non è attribuito infatti al giudice “… il potere di giudicare in termini di anticipata verifica della innocenza-colpevolezza dell’imputato, poichè la valutazione critica di sufficienza, non contraddittorietà e comunque di idoneità degli elementi probatori, secondo il dato letterale del novellato art. 425 c.p.p., comma 3, è sempre in ogni caso diretta a determinare – all’esito di una delibazione di tipo prognostico, pur se divenuta oggi più stabile per la tendenziale completezza delle indagini – la sostenibilità dell’accusa in giudizio e, con essa, l’effettiva, potenziale, utilità del dibattimento in ordine alla regiudicanda” (Sez. un., 30 ottobre 2002, dep. 26 novembre 2002, n. 39915).

Regula iuris oramai uniforme è, dunque, quella che la L. 16 dicembre 1999, n. 479, art. 23, comma 1, che modifica l’art. 425 c.p.p., ha modificato in sostanza la regola di giudizio finale dell’udienza preliminare: le modifiche introdotte hanno posto in rilevo che l’udienza preliminare ha aspetti più significativi relativi al merito dell’azione penale, quale l’ampliamento dei poteri officiosi relativi alla integrazione probatoria ex art. 422 c.p.p.; mentre, non sono modificate le finalità cui l’udienza preliminare è preordinata: evitare dibattimenti inutili mediante una ragionevole e prevedibile prognosi, ma non formulare giudizi definitivi sulla colpevolezza o meno dell’imputato, precludendo il confronto dialettico della fase dibattimentale.

Il giudice dell’udienza preliminare, dunque, ha il potere di pronunziare la sentenza di non luogo a procedere non quando effettui un giudizio prognostico in esito al quale pervenga ad una valutazione di innocenza dell’imputato, bensì in tutti quei casi nei quali non vi sia una “prevedibile possibilità” che il dibattimento possa invece pervenire ad una diversa soluzione.

Non smentisce tale ricostruzione il testo del nuovo terzo comma dell’art. 425 c.p.p.. La regola di giudizio in esso enunciata – il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere “anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contradditori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio” – conferma infatti che il parametro non è l’innocenza, ma l’impossibilità di sostenere l’accusa in giudizio: l’insufficienza e la contraddittorietà degli elementi devono quindi avere caratteristiche tali da non poter essere ragionevolmente considerate superabili nel giudizio (Sez. 4, 8 novembre 2007, dep. 20 dicembre 2007, 47169; Sez. 4, 19 aprile 2007, dep. 9 luglio 2007; Sez. 6, 16 novembre 2001, dep. 19 dicembre 2001, n. 45275).

2. Gli argomenti sui quali la sentenza de qua è fondata non giustificano la decisione di definire il processo con una prognosi negativa circa ogni eventuale sviluppo in senso favorevole all’impostazione dell’accusa, tanto più se si consideri che i presunti “corrotti” sono stati rinviati a giudizio, mentre per i presunti “corruttori”, interessati “sistematicamente” a un rapida e “privilegiata” definizione della fase di avvio della procedura di notificazione, vi è stato inspiegabile giudizio “prognostico” favorevole di “non avere commesso il fatto”, nonostante il sinallagma corruttivo non avrebbe potuto che ipotizzarsi “perfezionato”.

Ad avviso del giudice dell’udienza preliminare, vi è una “lettura degli avvenimenti incerta ed equivoca”. Una valutazione ex actis che contraddice la prognosi formulata dell’inidoneità degli elementi a sostenere l’accusa in giudizio, sede in cui i dati e gli accadimenti “incerti” – incertezza, per la verità, poco coerente con gli elementi acquisiti che appaiono confermare, piuttosto che smentire, l’ipotizzata sistematicità degli illeciti oggetto dell’accusa – avrebbero dovuto essere risolti all’esito del metodo che contraddistingue le finalità cognitive proprie della fase giudizio.

Non pare, dunque, che il “risultato di prova” complessivo possa essere caratterizzato da “contraddizioni oggettive”, tali da non legittimare un giudizio di cognizione nel cui ambito verificare l’ipotizzato fenomeno “corruttivo” sistematico, alimentato da “corruttori e corrotti”.

Del resto, definire soltanto “suggestive” le ipotesi dell’accusa – relative a stabili e radicati accordi corruttivi, volti a trasformare una pubblica funzione in una gestione “privatistica” volta a contribuire a eludere la registrazione degli atti e il versamento del prescritto contributo Unep – appare non coerente con gli elementi acquisiti.

Ne discende che l’impostazione dell’accusa è stata valutata con superficialità tanto da contraddire le finalità delle richieste dagli artt. 424 o 425 c.p.p..

3. In conclusione, la sentenza impugnata va annullata con rinvio, per un nuovo esame, al Tribunale di Napoli cui, nel rispetto dei principi enunciati, spettano le scelte di merito sulla richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Napoli per nuovo giudizio.

Redazione