Autoscioglimento del Consiglio comunale (Cons. Stato n. 6534/2012)

Redazione 19/12/12
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FATTO e DIRITTO

1. Il presente contenzioso riguarda la vicenda del c.d. “autoscioglimento” del Consiglio comunale di Isernia, provocato dalle dimissioni presentate da 17 consiglieri su 32, poco dopo la proclamazione degli eletti e prima della prima seduta del Consiglio comunale.

Hanno proposto ricorso in primo grado alcuni consiglieri, diversi dai dimissionari, ed altri elettori; essi hanno impugnato con il ricorso introduttivo il provvedimento del 14 giugno 2012 con il quale il Prefetto di Isernia ha disposto la sospensione degli organi elettivi del Comune e nominato un Commissario; con motivi aggiunti, hanno altresì impugnato il decreto del Presidente della Repubblica 17 luglio 2012 con il quale il Consiglio comunale è stato sciolto.

Il T.A.R. Molise, con sentenza 611/2012 decisa l’11 ottobre e depositata il 9 novembre 2012 ha accolto il ricorso e i relativi motivi aggiunti.

2. La sentenza è stata appellata dal Ministero dell’Interno, e, con separato atto, da alcuni degli originari resistenti. Gli appellati si sono costituiti come meglio indicato in epigrafe.

Alla odierna camera di consiglio cautelare, il Collegio, sentite le parti, ritiene di poter definire la controversia con sentenza immediata, riunendo i due appelli proposti contro la medesima sentenza.

3. Il quadro normativo nel quale si colloca la controversia appare chiaro ed esaustivo, e non dà spazio a dubbi interpretativi.

3.1. Esso è costituito essenzialmente dal testo unico enti locali (d.P.R. n. 267/2000 e s.m.) il cui art. 38, comma 4, dispone: «I consiglieri entrano in carica all’atto della proclamazione ovvero, in caso di surrogazione, non appena adottata dal consiglio la relativa deliberazione» mentre il comma 8 dispone: «Le dimissioni dalla carica di consigliere, indirizzate al rispettivo consiglio, devono essere presentate personalmente ed assunte immediatamente al protocollo dell’ente nell’ordine temporale di presentazione. Le dimissioni non presentate personalmente devono essere autenticate ed inoltrate al protocollo per il tramite di persona delegata con atto autenticato in data non anteriore a cinque giorni. Esse sono irrevocabili, non necessitano di presa d’atto e sono immediatamente efficaci. Il consiglio, entro e non oltre dieci giorni, deve procedere alla surroga dei consiglieri dimissionari, con separate deliberazioni, seguendo l’ordine di presentazione delle dimissioni quale risulta dal protocollo. Non si fa luogo alla surroga qualora, ricorrendone i presupposti, si debba procedere allo scioglimento del consiglio a norma dell’articolo 141».

3.2. L’art. 141 a sua volta dispone: «1. I consigli comunali e provinciali vengono sciolti con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno: (….) b) quando non possa essere assicurato il normale funzionamento degli organi e dei servizi per le seguenti cause: (….) 3) cessazione dalla carica per dimissioni contestuali, ovvero rese anche con atti separati purché contemporaneamente presentati al protocollo dell’ente, della metà più uno dei membri assegnati, non computando a tal fine il sindaco o il presidente della provincia».

3.3. Avuto riguardo a queste disposizioni, non sembrerebbe dubbio che in questo caso si siano compiutamente determinati i presupposti per lo scioglimento. Infatti sono state presentate ritualmente e contemporaneamente le dimissioni scritte di 17 consiglieri su 32; per quanto possa rilevare, è pacifico che in tal modo i dimissionari intendevano proprio provocare lo scioglimento del consiglio comunale.

Inoltre, secondo il chiaro dettato dell’art. 38, comma 8, le dimissioni così presentate, nel pieno rispetto dei requisiti di forma e di contemporaneità, erano “irrevocabili” e “immediatamente efficaci” senza bisogno di una “presa d’atto” da parte di chicchesia; essendo presentate simultaneamente dalla metà più uno dei consiglieri non si doveva (e non si poteva) procedere alla surroga dei dimissionari; e l’effetto giuridico più rilevante (vale a dire l’insorgere del potere-dovere degli organi dello Stato di procedere agli adempimenti del caso) si è determinato istantaneamente ed irreversibilmente. Si tratta di una scelta consapevole del legislatore, il quale ha voluto porre termine agli inconvenienti che spesso si verificavano in precedenza, quando le dimissioni in massa venivano presentate con la riserva di revocarle ove se ne verificassero le condizioni soi-disant politiche, il che dava luogo a lunghe stagioni di negoziati mentre la presa d’atto delle dimissioni veniva rinviata di volta in volta e l’attività del consiglio era di fatto paralizzata.

Su tutti i punti ora elencati non vi sono dubbi possibili e ciò appare sostanzialmente incontroverso.

4. Il T.A.R. Molise, tuttavia, è giunto a ritenere illegittimi i provvedimenti del Prefetto e del Governo, in base ad un’unica, peculiare circostanza di fatto: e cioè che le dimissioni dei 17 consiglieri sono state presentate, in questo caso, nell’intervallo di tempo fra la proclamazione degli eletti e la prima seduta del Consiglio comunale.

4.1. Conviene ricordare che i ricorrenti in primo grado avevano sostenuto che l’oggetto tipico e necessario della prima delibera del Consiglio comunale è la “convalida” degli eletti; costoro dunque non potrebbero considerarsi nella pienezza delle loro funzioni prima della “convalida” e non potrebbero neppure dimettersi efficacemente.

Questa tesi, così come formulata, è stata tacitamente disattesa dal T.A.R., e con ragione, perché l’istituto della “convalida” quale primo atto del nuovo Consiglio comunale apparteneva alla disciplina previgente, ma non è più previsto da quella attuale, che, in effetti, non contiene il termine “convalida”, e anzi dispone esplicitamente (art. 38, comma 4, citato sopra) che i consiglieri eletti entrano in carica (s’intende, con pienezza di poteri) all’atto della proclamazione.

4.2. E’ vero tuttavia che l’art. 41 del t.u. dispone: «Nella prima seduta il consiglio comunale e provinciale, prima di deliberare su qualsiasi altro oggetto, ancorché non sia stato prodotto alcun reclamo, deve esaminare la condizione degli eletti a norma del capo II Titolo III e dichiarare la ineleggibilità di essi quando sussista alcuna delle cause ivi previste, provvedendo secondo la procedura indicata dall’articolo 69».

L’esistenza di questa disposizione è sembrata sufficiente al T.A.R. (il quale pure, come si è detto, evita di riferirsi al concetto di “convalida”) per affermare che in attesta della verifica delle (eventuali) ineleggibilità le dimissioni finalizzate allo scioglimento non sono efficaci. Il T.A.R. a questo riguardo ha valorizzato il principio secondo cui la dichiarazione di ineleggibilità di un consigliere, ove dipendente da una situazione già in essere al momento della proclamazione, ha effetto retroattivo, sicché il consigliere dichiarato ineleggibile è come se non fosse mai stato in carica.

Pertanto, sempre secondo il T.A.R., sino a che non sia stato accertato che un determinato consigliere è esente da cause di ineleggibilità, egli non può contribuire a determinare la vita dell’ente locale con il voto o con altre manifestazioni di volontà (quali, appunto, le dimissioni finalizzate allo scioglimento) che presuppongono la pienezza dei poteri.

4.3. Giova sottolineare che in questo contesto il T.A.R. si è riferito all’eventuale ineleggibilità di taluno dei consiglieri come mera ipotesi: non ha cioè appurato, né ritenuto necessario appurare, se in concreto fra i dimissionari ve ne fosse taluno ineleggibile o quanto meno sospetto di ineleggibilità. In altre parole, la semplice pendenza della fase di verifica (non “convalida”) sarebbe sufficiente a sterilizzare le dimissioni di ogni singolo consigliere, o comunque a renderle inutili ai fini del c.d. autoscioglimento del Consiglio.

5. Questo Collegio ritiene di far propria l’obiezione avanzata dall’appellante Ministero dell’Interno, che è la seguente: dato e non concesso che il consigliere eletto, in attesa della “verifica”, si trovi sub condicione, trattasi di condizione risolutiva e non sospensiva.

Non si deve dire cioè che il consigliere non possa esprimere un valido voto, o dare le dimissioni finalizzate allo scioglimento, sino a che non sia stata dichiarata la inesistenza di cause di ineleggibilità; si deve dire, invece, che il consigliere è nella pienezza dei suoi poteri (incluso quello di concorrere a determinare lo scioglimento del consiglio con lo strumento delle dimissioni) sino a che non venga dichiarata la esistenza di una causa di ineleggibilità.

E’ vero che la dichiarazione di ineleggibilità può avere effetto retroattivo, ma ciò non rende ipso facto invalidi gli atti compiuti nel frattempo; si deve infatti applicare il principio del “funzionario di fatto” grazie al quale, in linea di massima, gli atti compiuti restano validi, a meno che non siano stati impugnati nelle forme e nei termini dovuti facendo valere proprio il vizio del difetto di titolo di chi ha agito come funzionario.

6. Che nelle more della verifica di cui all’art. 41 t.u. ogni singolo consigliere sia nella pienezza dei suoi poteri, e che la “verifica” di cui all’art. 41 (a differenza della vecchia “convalida”) non abbia effetti costitutivi (ma semmai demolitori nel caso si concluda con la dichiarazione di ineleggibilità) è comprovato non solo dalla chiara formulazione dell’art. 38, comma 4 («I consiglieri entrano in carica all’atto della proclamazione…») ma anche dalla considerazione che quell’atto potrebbe anche mancare.

Ed invero, il consiglio neoeletto è tenuto dalla legge a procedere, come primo atto, alla verifica delle ineleggibilità, ma non è detto che se tale adempimento viene omesso le eventuali deliberazioni siano, per ciò solo, inefficaci. Peraltro il Consiglio potrebbe anche procedere formalmente alla verifica, ma non avvedersi della eventuale causa di ineleggibilità di un consigliere; oppure potrebbe avvedersene ma, dopo discussione, deliberare che la supposta causa di ineleggibilità non è tale. Nondimeno, in ciascuna di dette eventualità resta esperibile l’azione popolare di ineleggibilità, davanti al giudice ordinario (art. 70, t.u. n. 267/2000).

Pertanto, se fosse vero che la possibilità (pur dedotta come mera ipotesi, come in questa vicenda di fatto) che un consigliere venga dichiarato ineleggibile, sia sufficiente a limitarlo nell’esercizio dei suoi poteri (tanto da rendere inefficaci le sue eventuali dimissioni finalizzate allo scioglimento), tale condizione di incertezza (e di limitazione) si prolungherebbe anche oltre la prima seduta del consiglio comunale, non potendosi escludere che la causa di ineleggibilità erroneamente trascurata o disattesa dal consiglio venga fatta valere in altra sede, sempre con effetto retroattivo.

7. In conclusione, i due appelli riuniti vanno accolti e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, va respinto il ricorso proposto in primo grado.

Considerata la natura della controversia, si ravvisano giusti motivi per compensare le spese dell’intero giudizio fra tutte le parti.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) riuniti gli appelli li accoglie e in riforma della sentenza appellata rigetta il ricorso proposto in primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2012

Redazione