Ausiliari del giudice: liquidazione del compenso (Cass. n. 18070/2012)

Redazione 19/10/12
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Svolgimento del processo

1. – L’odierno ricorrente, ingegner V., impugna la decisione del Tribunale di Roma che ha accolto l’opposizione proposta da una delle parti avverso la liquidazione del compenso effettuato dal giudice della causa di divisione, nella quale il predetto ingegner V. era stato nominato come consulenze tecnico.

2. – Al riguardo la vicenda giudiziale si può riassumere come segue sulla base della decisione impugnata.

“All’ing. V. è stato affidato l’incarico di descrivere gli immobili in comunione, nonchè l’immobile di (omissis), indicandone il valore al momento dell’apertura della successione, il valore di ciascuna quota ed il valore del prelevamento cui ha diritto ciascun comunista sulla base delle disposizioni della sentenza in data 4/6/2002, nonchè l’incarico di accertare la situazione dei conti resi dalle parti e l’equo canone per gli immobili di cui sia controversa la locazione e per i quali non sia stato dichiarato ammontare del canone mensile, con rivalutazione Istat dei prelevamenti effettuati.

Circa il quesito relativo alla valutazione dei beni componenti la massa ereditaria oggetto del giudico la ricorrente ha lamentato che erroneamente era stato liquidato l’importo massimo della tariffa approvata con D.M. 30 maggio 2002, art. 13, in quanto il CTU era stato facilitato dai precedenti accertamenti G. la cui consulenza era stata rinnovata dal Giudice; che comunque non era dovuto il raddoppio del compenso applicato per l’immobile di (omissis), in quanto non si era trattato di prestazione di eccezionale importanza; che la stima effettuata era sommaria e pertanto l’onorario andava ridotto della metà e calcolato sul valore massimo di Euro 516.456,00. Il ricorrente ha rilevato inoltre che il compenso per la valutazione dell’equo canone richiesto per ogni unità immobiliare, le vacazioni e le spese liquidate erano eccessivi”.

3. – L’opposizione veniva accolta dal Tribunale, che escludeva potersi corrispondere un compenso distinto per ciascun immobile valutato, trattandosi di un unico quesito, tendente ad accertare il valore della massa ereditaria. Il calcolo del compenso doveva essere effettuato, ex art. 13, sul valore dell’intera massa con il limite fissato in Euro 516.456,90, applicandosi però i valori massimi per il numero di immobili stimati, per la mole di documenti esaminati e prodotti, per i sopralluoghi eseguiti, per i rilievi effettuati e per la qualità dell’opera, realizzata senza alcun riferimento all’attività svolta dal precedente c.t.u. Il Tribunale riteneva che l’importo così determinato, pari a Euro 2.271,76 doveva poi essere ridotto alla metà per essere la stima qualificabile come sommaria, perchè condotta con un criterio sintetico-comparativo. Il tribunale poi non riconosceva il raddoppio del compenso, L. n. 115 del 2002, ex art. 52, non trattandosi di prestazione eccezionale, tale dovendosi intendere quella che “pur non presentando aspetti di assoluta rarità, risulta aver impegnato il professionista in maniera massiva per importanza tecnico-scientifica, complessità e difficoltà”.

Quanto alla stima del valore locativo degli immobili, il tribunale riteneva che “il numero degli appartamenti, pari a 19, giustifica l’applicazione del massimo previsto dal D.M. 30 maggio 2002, art. 16, per complessivi Euro 970,42, non potendosi anche in tal caso liquidare un compenso per ogni singolo immobile, attesa l’unicità del quesito”. Escludeva poi il tribunale l’applicazione dei compensi a vacazione “perchè la L. n. 219 del 1980, art. 4, richiamato dal decreto ministeriale del 2002, dispone che gli onorari a tempo possono essere liquidati solo per le prestazioni non previste nelle tabelle allegate allo stesso decreto ministeriale del 2002”, essendo comunque “gli importi a percentuale comprensivi della relazione sui risultati dell’incarico espletato, della partecipazione all’udienze e di ogni altra attività concernenti quesiti ai sensi articolo 29”.

Quanto, infine, alle spese il tribunale escludeva quelle non autorizzate (utilizzo di collaboratore per la redazione dei rilievi planimetrici) e le altre prive di documentazione giustificativa, esaminandole in dettaglio e giungendo all’importo finale di Euro 1500,00, così liquidando il compenso dovuto in complessivi Euro 3191,30 oltre accessori rispetto all’importo liquidato dal giudice della causa ed ammontante ad Euro 20.918,87, di cui Euro 2415,53 per vacazioni, Euro 15.000 per onorari e 3467,44 per spese.

Il ricorrente articola sei motivi di ricorso. Resiste con controricorso e propone ricorso incidentale subordinato la signora D.P.G.. Resiste con controricorso al ricorso incidentale il ricorrente principale.

Motivi della decisione

I ricorsi, in quanto proposti avverso la medesima sentenza, vanno riuniti.

1. – I motivi del ricorso principale.

1.1 – Col primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.M. 30 maggio 2012, art. 13, nonchè vizio di motivazione. Lamenta il ricorrente che il tribunale ha liquidato un unico compenso per le diverse stime degli immobili effettuate, pur trattandosi di immobili molto diversi tra di loro (villini, magazzini, garages, azienda agricola, appartamenti ecc.), che si trovavano anche in località diverse da (omissis) ( (omissis)). Si trattava di stime che non potevano, quindi, giovarsi di operazioni ripetitive, ad eccezione dei 13 appartamenti dell’immobile in via delle (omissis), per i quali aveva chiesto un compenso con riguardo al valore risultante dal totale delle stime dei singoli appartamenti. Al riguardo richiama i principi affermati da questa Corte con sentenza n. 5608 del 2001. La contraddizione della motivazione risultava dalla stessa affermazione del giudice che aveva riconosciuto “la complessità, la laboriosità e diversità delle operazioni svolte”.

1.2. – Col secondo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.M. del 2002, art. 13, comma 2, per aver il Tribunale ridotto alla metà il compenso, non potendosi considerare “sommaria” la stima effettuata con criterio sintetico – comparativo. La stima “sommaria” è solo quella “a vista”, che “prescinde da quahivoglia parametro ed è basata esclusivamente sulla sensibilità e conoscenza del mercato dell’estimatore”, mentre “la stima sintetico-comparativa, invece, è l’esatto contrario in quanto è frutto di elaborazione dei dati ricavati scientificamente”.

1.3 – Col terzo motivo di ricorso patte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 319 del 1980, art. 5, nonchè vizi di motivazione. Lamenta il ricorrente il mancato raddoppio del compenso, L. n. 319 del 1980, ex art. 5, giustificato per aver il giudice escluso che si trattasse di prestazione di eccezionale importanza, complessità e difficoltà. Al riguardo il ricorrente, richiamando il precedente di questa Corte del 1996 n. 9761, rileva come lo stesso giudice della opposizione abbia riconosciuto un notevole impegno reso necessario dalla stima. Si trattava di prestazioni che avevano richiesto un impegno del consulente “in misura notevolmente massiva, per importanza tecnico-scientifica, complessità e difficoltà”.

1.4 – Col quarto motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.M. del 2002, art. 16. Lamenta il ricorrente che per la stima dell’equo canone di ben 13 appartamenti non si fosse tenuto conto che gli appartamenti in questione, pur trovandosi nella stessa palazzina, sono tra loro autonomi, di tagli e superfici diverse, di diverso stato di consistenza, di manutenzione e conservazione, dovendosi così escludere che si potesse liquidare l’importo dovuto come se si trattasse “di un solo appartamento distribuito su più piani”.

1.5 – Col quinto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 319 del 1980, art. 4. Lamenta il ricorrente la mancata liquidazione dei compensi a vacazione, per aver ritenuto il giudice che i compensi in questione (previsti dalla L. n. 319 del 1980, art. 4) sono liquidabili solo per le prestazioni non previste dalle tabelle. A giudizio del ricorrente il tribunale ha fornito della norma in questione una “interpretazione riduttiva”. Osserva che “le voci indicate dal c.t.u. nella richiesta di compenso a vacazione sono relative ad accessi in tribunale, accessi sui luoghi di causa ed incontro a studio con le parti, per studio atti di causa, per ricerche urbanistiche e catastali, per redazione e collazione della relazione peritale”. Tali operazioni rappresentano prestazioni diverse e distinte della stima degli immobili (art. 13) e dalla determinazione dell’equo canone (art. 16) e non possono ritenersi conglobati in esse, “per elementari principi di logica ed anche di equità”. L’art. 4, della legge citata esclude soltanto le operazioni di “base” che vanno eseguite e “non tutta l’attività straordinaria che al consulente è necessaria per assolvere l’incarico”.

1.6 – Col sesto motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della normativa in materia che riguarda il riconoscimento delle spese sostenute dal c.t.u. Lamenta il ricorrente che il giudice ha negato gran parte delle spese per le quali è stato chiesto il rimborso, ritenendo non autorizzato l’ausilio di altro prestatore d’opera e l’utilizzo del mezzo proprio. Al riguardo il ricorrente osserva “è innegabile… che un rilievo planimetrico non può essere effettuato da una sola persona ma vi è bisogno di almeno due persone” e che “per recarsi in luoghi lontani da quello di residenza per svolgere le operazioni peritali… è implicito che si utilizza il mezzo proprio per cui non è necessaria l’autorizzazione”.

2 – Occorre in primo luogo osservare quanto segue.

2.1. Il ricorrente fu nominato come CTU nel giudizio di divisione tra gli odierni intimati (giudizio che il ricorrente indica con il numero di ruolo generale 2777 del 1979).

2.2 – Egli fu nominato CTU, all’esito di un analogo incarico già espletato; gli fu conferito il quesito riportato in sintesi nel provvedimento oggi impugnato, dal quale comunque risulta che le attività richieste furono diverse e precisamente: a) descrivere gli immobili in comunione, nonchè l’immobile di via delle (omissis), dovendosi indicare il valore degli stessi all’apertura della successione; b) accertare il valore della massa all’apertura della successione; il valore della quota e il valore del prelevamento cui ha diritto ciascun comunista sulla base delle disposizioni della sentenza del 4 giugno 2002; c) accertare la situazione dei conti resi, precisando l’equo canone per alcuni degli immobili della divisione; d) precisare il valore dei prelevamenti alla data della successione e la loro rivalutazione Istat. Si tratta, all’evidenza, di una molteplicità di quesiti conferiti con un unico incarico, che richiedono attività diverse, per le quali occorreva ricercare, ai fini della liquidazione del compenso, quale norma del D.M. 2002, resti applicabile.

Espletato l’incarico, è stata presentata richiesta di liquidazione del compenso che, come affermano i controricorrenti (pagina 2 del controricorso) “è stata pedissequamente accettata dal giudice istruttore”, che liquidò un totale di Euro 20.918,87 di cui 2.415.05 per vacazioni, 15.000 per onorari e 3.467,44 per spese (vedi ricorso pagina 2).

Non è riportata la liquidazione effettuata dal giudice istruttore per le varie attività, ma dalle deduzioni delle parti (per come risultano esposte negli atti del giudizio di cassazione e riassunte nella decisione impugnata) si ricava che il compenso fu liquidato con riguardo alla stima degli immobili e con riguardo alla determinazione dell’equo canone, provvedendosi nel resto con vacazioni. Circa la stima degli immobili fu applicato il D.M. del 2002, art. 13, sulla base del compenso massimo previsto per scaglioni e ciò per ogni stima di immobile (considerando, però, il valore complessivo dell’immobile di via delle Vacche che risulterebbe composto di 13 appartamenti). L’importo così determinato è stato raddoppiato ai sensi dell’art. 52 del T.U. n. 115 del 2002, (vedi controricorso, punto b, pagina 3). Quanto alla determinazione del canone degli appartamenti di via (omissis), il giudice istruttore applicava il D.M. del 2002, art. 16, riconoscendo un compenso per ciascun immobile. Veniva poi riconosciuto il rimborso di spese richieste (tra cui trasferte con mezzo proprio e utilizzo di collaboratori per misurazioni e planimetrie). A seguito dell’opposizione proposta, la liquidazione del compenso, prima complessivamente ammontante a circa 21.000 Euro, fu ridotta a circa 4.000 Euro. Il giudice dell’opposizione ha fatto applicazione delle stesse norme utilizzate dal giudice istruttore e precisamente l’art. 13 per la stima degli immobili e l’art. 16 per la determinazione dell’equo canone. E’ giunto a conclusioni diverse, perchè ha ritenuto che, essendo stato proposto un unico quesito, tendente all’accertamento dell’intera massa ereditaria, in entrambi i casi non si dovesse tener conto del numero di immobili oggetto di valutazione e di determinazione dell’equo canone, influente questo elemento sulla sola determinazione dell’importo tra il minimo ed il massimo applicabile per ciascun scaglione.

In tal modo operando, il giudice dell’opposizione è giunto alla conclusione di attribuire per la stima degli immobili l’importo complessivo di Euro 2.271, ridotto alla metà, e quindi, 1135 Euro per essere la stima sommaria e con esclusione del raddoppio degli importi, applicando l’importo massimo degli onorari per ciascuno degli scaglioni previsti dall’articolo 13, senza ulteriori aggiunte.

Quanto alla determinazione del compenso per il conteggio dell’equo canone, il giudice anche qui riteneva che l’attività svolta doveva essere considerata in modo unitario, seppure riguardante 13 unità immobiliari, liquidando il compenso nella misura massima prevista dalla norma (Euro 970,42). La misura massima del compenso in entrambi i casi veniva riconosciuta in ragione del numero degli immobili per i quali l’attività era stata svolta. 3. Normativa applicabile.

3.1 – In materia di liquidazione degli onorari e delle spese dei CTU si sono nel tempo succedute varie normative (in particolare L. n. 319 del 1980, e successivi decreti di determinazione degli onorari), abrogate quasi integralmente (ad eccezione della L. del 1980, art. 4, quanto alla determinazione del compenso con vacazioni) dal TU sulle spese di giustizia che agli artt. da 49 a 57, compreso disciplinano ex novo la materia degli onorari, delle indennità e dei rimborsi spese spettanti agli ausiliari del giudice.

3.1.1 Al riguardo la normativa prevede, per quanto qui interessa, con riguardo ai compensi che a) “Agli ausiliari del magistrato spettano l’onorario, l’indennità di viaggio e di soggiorno, le spese di viaggio e il rimborso delle spese sostenute per l’adempimento dell’incarico” (art. 49, comma 1); che b) gli onorari sono fissi, variabili e a tempo (art. 49 comma 2); che c) “ha misura degli onorari fissi, variabili e a tempo, è stabilita mediante tabelle, approvate con decreto del Ministvo della giustizia…” (art. 50, comma 1); d) che “Le tabelle sono redatte con riferimento alle tariffe professionali esistenti, eventualmente concernenti materie analoghe, contemperate con la natura pubblicistica dell’incarico” (art. 50, comma 2); che e) “Nel determinare gli onorari variabili il magistrato deve tener conto delle difficoltà, della completezza e del pregio della prestazione fornita” (art. 51, comma 1); f) che “Per le prestazioni di eccezionale importanza, complessità e difficoltà gli onorari possono essere aumentati sino al doppio” (art. 52, comma 1).

3.1.2 – Con riguardo invece alle spese, g) che “Per l’indennità di viaggio e di soggiorno, si applica il trattamento previsto per i dipendenti statali.

L’incaricato è equiparato al dirìgente di seconda fascia del ruolo unico, di cui al D.Lgs. 30 marino 2001, n. 165, art. 15. E’ fatta salva l’eventuale maggiore indennità spettante all’incaricato dipendente pubblico” (art. 55, comma 1); h) che “le spese di viaggio, anche in mancanza di relativa documentazione, sono liquidate in base alle tariffe di prima classe sui servici di linea, esclusi quelli aerei” (art. 55, comma 2); i) che “Le spese di viaggio con mezzi aerei o con mezzi straordinari sono rimborsate se preventivamente autorizzate dal magistrato” (art. 55, comma 3); l) che quanto alle spese di adempimento dell’incarico, “Gli ausiliari del magistrato devono presentare una nota specifica delle spese sostenute per l’adempimento dell’incarico e allegare la corrispondente documentazione” (art. 56, comma 1); m) che “Il magistrato accerta le spese sostenute ed esclude dal rimborso quelle non necessarie” (art. 56, comma 2); n) che “Se gli ausiliari del magistrato sono stati autorizzati ad avvalersi di altri prestatori d’opera per attività strumentale rispetto ai quesiti posti con l’incarico, la relativa spesa è determinata sulla base delle tabelle di cui all’art. 50” (art. 56, comma 3).

Sempre quanto alle spese, il D.M. del 2002, art. 29, prevede che o) “Tutti gli onorari, ove non diversamente stabilito nelle presenti tabelle, sono comprensivi della relazione sui risultati dell’incarico espletato, della partecipazione alle udienze e di ogni altra attività concernente i quesiti”.

3.2 – Quanto agli onorari, il D.M. 30 maggio 2002, riprendendo nella sostanza il precedente D.P.R. del 1988, ha disciplinato i criteri e gli onorari applicabili, a seconda delle attività svolte dal consulente sulla base dell’incarico affidatogli.

Al riguardo, sempre per quanto rileva in questa sede, occorre osservare che: a) l’art. 1 del richiamato decreto prevede che “Per la determinazione degli onorari a percentuale si ha riguardo… per la consulenza tecnica al valore della controversia; se non è possibile applicare i criteri predetti gli onorari sono commisurati al tempo ritenuto necessario allo svolgimento dell’incarico e sono determinati in base alle vacazioni”; b) l’art. 13 prevede che “1. Per la perita o la consulenza tecnica in materia di estimo spetta al perito o al consulente tecnico un onorario a percentuale calcolato per scaglioni sull’importo stimato: fino a Euro 5.164,57, dall’1,0264% al 2,0685%;

da Euro 5.164,58 e fino a Euro 10.329,14, dallo 0,9316% all’1,8790%;

da Euro 10.329,15 e fino a Euro 25.822,84, dallo 0,8369% all’1,6895%;

da Euro 25.822,85 e fino a Euro 51.645,69, dallo 0,5684% all’1,1211%;

da Euro 51.645,70 e fino a Euro 103.291,38, dallo 0,3790% allo 0,7579%; da Euro 103.291,39 e fino a Euro 258.228,45, dallo 0,2842% allo 0,5684%;da Euro 258.228,46 fino e non oltre Euro 516.456,90, dallo 0,0474% allo 0,0947%.

2. Nel caso di stima sommaria spetta al perito o al consulente tecnico un onorario determinato ai sensi del comma precedente e ridotto alla metà; nel caso di semplice giudico di stima lo stesso è ridotto di due terzi.

3. E’ in ogni caso dovuto un compenso non inferiore a Euro 145,12″.

L’art. 16 prevede che: “Per la perita o la consulenza tecnica in materia di funzioni contabili amministrative di case e beni rustici, di curatele di aziende agrarie, di equo canone, di fitto di fondi urbani e rustici, di redazione di stima dei danni da incendio e grandine, di tabelle millesimali e riparto di spese condominiali spetta al perito o al consulente tecnico un onorario da un minimo di Euro 145,12 ad un massimo di Euro 970,42”.

4. Principi elaborati dalla Corte suprema.

La modifica nel tempo della normativa che regola la liquidazione degli onorari, delle indennità e delle spese per il CTU non ha riguardato sostanzialmente i principi ispiratori della disciplina, individuati in svariate pronunce di questa Corte e che risultano tuttora applicabili.

4.1 – Per quanto qui rileva, essi riguardano: a) la prevalenza della natura pubblicistica dell’incarico rispetto alla determinazione delle prestazioni con riguardo alle tariffe professionali, identiche, simili o analoghe, dovendosi ritenere che “il lavoro svolto dai consulenti tecnici d’ufficio non si presta a rientrare in uno schema che involga un necessario e logico confronto tra prestazioni e retribuzione e quindi un qualsiasi giudizio sull’adeguatezza e sufficienza di quest’ultima” (Corte Cost. 1970 n. 88, 1996 n. 41); b) la necessità di aver riguardo “all’accertamento richiesto dal giudice e non al tipo di indagini che il consulente ha svolto per pervenire a quell’accertamento” (Cass. 8298 del 01/09/1997 Rv.

507394); c) l’esigenza che l’attività svolta sia pertinente rispetto all’incarico conferito, tanto che nel caso contrario può perfino giungersi a negare il compenso (Cass. n. 7632 del 2006 – Rv. 588180, secondo la quale compete al giudice dell’opposizione la valutazione della “rispondenza dell’opera svolta dall’ausiliario ai quesiti postigli.

Ne consegue che, nel caso in cui tutto l’elaborato debba ritenersi fuori d’opera rispetto al quesito, al consulente non spetta alcun compenso”); d) la residualità del criterio di liquidazione degli onorari a vacazione, cui si può ricorrere, “anzichè quello a percentuale, non solo quando manca una specifica previsione della tariffa, ma altresì quando, in relazione alla natura dell’incarico ed al tipo di accertamento richiesti al giudice, non sia logicamente giustificata e possibile un’estensione analogica delle ipotesi tipiche di liquidazione secondo il criterio della percentuale. La decisione di liquidare gli onorari a tempo e non a percentuale è incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivata” (Cass. n. 17685 del 2010 rv. 614180); e) la necessità, anche in presenza di un unico incarico, di liquidare gli onorari sommando quelli relativi a ciascuno dei distinti accertamenti richiesti, riferibili a diverse materie (Cass. n. 7186 del 2007 – Rv. 596697);

f) la tendenziale onnicomprensività dell’onorario “sancito dal D.M. 30 maggio 2002, art. 29, riguarda le attività complementari ed accessorie che, pur non essendo specificamente previste in sede di conferimento dell’incarico, risultano tuttavia strumentali all’accertamento tecnico, e non trova applicazione in presenza di una pluralità di indagini non interdipendenti, che presuppongono necessariamente una pluralità di incarichi di natura differente, come nel caso di richiesta di rilievi topografici e planimetrici da un lato, e di attività di stima dei beni dall’altro che, in quanto previsti distintamente dagli artt. 12 e 13, comportano una liquidazione autonoma del compenso” (Cass. n. 7174 del 2010 – Rv. 612046).

4.2 – Quanto al riconoscimento delle spese sostenute, i principi affermati, e condivisi, riguardano la necessità a) dell’allegazione, ai sensi dell’art. 56 citato, della specifica nota, accompagnata dalla relativa documentazione (Cass. n. 3024 del 2011 – Rv. 616775);

b) della preventiva autorizzazione all’utilizzo di collaboratori.

Occorre osservare, infatti, che nella giurisprudenza formatasi vigente la L. n. 319 del 1980, art. 7, non si dubitava della necessità, ai fini di ottenere il relativo rimborso della spesa sostenuta, della preventiva autorizzazione del giudice per potersi awalere dell’ausilio di altri prestatori d’opera per l’attività strumentale rispetto ai quesiti oggetto dell’incarico (Cass. n. 7499 del 2006 – Rv. 589273). Al riguardo, la norma applicata (terzo comma della L. n. 319 del 1980, art. 7) era del seguente tenore: “Ove i periti e i consulenti tecnici siano stati autorizzati dal giudice ad avvalersi dello ausilio di altri prestatori d’opera per attività strumentale rispetto ai quesiti posti con l’incarico, la relativa spesa è determinata gradatamente, secondo i criteri stabiliti nella presente legge alla stregua delle tariffe vigenti o degli usi locali”, che, per quanto riguarda la necessità della preventiva autorizzazione, trova piena corrispondenza nell’art. 56, comma 3 su citato.

4.3 – Per quanto riguarda le spese di viaggio, tuttora la normativa (art. 55) richiama la disciplina applicabile ai dipendenti statali, riconoscendo anche in mancanza di documentazione, il rimborso delle tariffe di prima classe sui servizi di linea, escludendosi gli aerei, dovendosi invece autorizzare preventivamente le spese di viaggio “con mezzi aerei o con mezzi straordinari”, in tale ultima locuzione dovendosi ricomprendere anche l’uso dell’autoveicolo personale, per il quale, nella disciplina dei dipendenti statali, è necessaria la preventiva autorizzazione.

5. Tanto premesso in via generale, occorre rilevare che il ricorso principale, ai motivi 2, 3, 5 e 6 pone una serie di questioni che trovano agevole soluzione alla luce dei principi su richiamati e di orientamenti giurisprudenziali puntuali, che si condividono e che verranno indicati specificamente con riguardo alle varie doglianze, richiedendo invece un approfondimento le questioni poste col primo e col quarto motivo.

5.1 – Il primo motivo riguarda l’applicazione che il giudice dell’opposizione ha fatto del D.M. del 2002, art. 13, quanto alla stima degli immobili. Occorre rilevare che: non è in questione quale sia il corretto criterio di liquidazione del compenso nel caso in questione (si trattava di determinare l’importo della massa ereditaria da dividere), potendosi al riguardo valutare l’applicazione non già dell’art. 13, ma del D.M. del 2002, art. 3, utilizzabile “in materia di valutazione… di patrimoni”, che certamente avrebbe condotto ad una ben diversa liquidazione dell’onorario spettante, senza ovviamente tener conto delle singole stime ed anche applicando la prevista riduzione alla metà degli importi, posto che per l’ultimo scaglione la percentuale applicabile nel minimo e nel massimo è ben superiore all’analoga prevista dall’art. 13. In tal senso (quello della applicabilità dell’art. 3 in caso di divisione), si è espressa di recente questa sezione (Cass. n. 3024 del 2011 – Rv. 616774). Non vi è stata però alcuna impugnazione sul punto. Sicchè non resta che valutare, applicato il D.M. del 2002, art. 13, quale ne sia la corretta lettura.

5.1.1 – Al riguardo, occorre osservare che, nelle applicazioni che questa Corte ha fatto dell’art. 13, anche con riguardo al giudizio di divisione, risultano affermati entrambi i principi su indicati.

Infatti, il principio applicato dal giudice dell’opposizione (ed affermato proprio in un caso di divisione) ritiene che alla unicità dell’incarico segue anche l’unitarietà del compenso, da calcolarsi non già con riguardo ai vari accertamenti eseguiti, ma al valore complessivo così risultante. La massima ufficiale è la seguente “Ai fimi della determinazione giudicale del compenso dovuto al consulente tecnico di ufficio, un incarico avente ad oggetto la predisposzione di un progetto divisionale e, in funzione di tale risultato, la preventiva stima di un compendio immobiliare costituito da più beni, deve essere considerato non solo unitario, ma unico. Di conseguenza, il compenso deve essere unitario e deve essere calcolato sul coacervo del valore degli immobili, mentre la pluralità delle stime e delle operazioni occorse per il suo espletamento rileva soltanto ai fini della concreta liquidazione del “quantum”, nell’ambito dell’arco tra il minimo e il massimo fissato dalla legge”. (Cass. n. 9761 del 1997 – Rv. 508617). Tale orientamento risulta confermato dalle seguenti massime:

– “In tema di liquidazione degli onorati al consulente tecnico di ufficio, ai sensi della L. 8 luglio 1980, n. 319, artt. 2 e 5, applicabile “ratione temporis”, e dell’art. 13 delle Tabelle approvate con D.P.R. 27 luglio 1988, n. 352, con riferimento alle operazioni di estimo di immobili, la pluralità delle operazioni di valutazione affidate al consulente non esclude l’unicità dell’incarico e la conseguente unitarietà del compenso, ma rileva solo ai fini della determinazione giudiziale del compenso a percentuale, che deve essere stabilito con riferimento al valore complessivo degli immobili, con il limite massimo di Euro 516.456,90 (1 miliardo di lire) fissato dal suddetto art. 13″. (Cass. n. 126 del 2007 – Rv. 594665).

– “Ai fini della determinazione giudiziale del compenso dovuto al consulente tecnico di ufficio, un incarico avente ad oggetto una pluralità di quesiti deve essere considerato unico. Di conseguenza, il compenso deve essere unitario, mentre la pluralità delle valutazioni richieste può rilevare solo ai fini della determinazione giudiziale del compenso, che la lesse fissa tra una misura minima ed una massima”. (Cass. n. 3414 del 2006 – Rv. 587509).

– “Per la liquidazione del compenso al consulente tecnico, cui sia stato conferito l’incarico di procedere alla stima di più immobili, si deve determinare un unico compenso ricorrendo al sistema di liquidazione degli onorari a percentuale indicato dal D.P.R. n. 352 del 1988, e non determinare un compenso per ciascuna delle stime effettuate, in quanto la pluralità delle valutazoni effettuate dal c.t.u. non esclude l’unicità dell’incarico, e la conseguente unitarietà del compenso, ma rileva esclusivamente ai fimi della determinazione giudiziale dell’ammontare del compenso stesso, potendo costituire elemento di apprezzamento della complessità e del pregio dell’attività svolta dal professionista”. (Cass. n. 174 del 2003 – Rv. 559557).

– “In tema di liquidazione del compenso a periti e consulenti tecnici, la pluralità della valutazioni e degli accertamenti richiesti non esclude l’unicità dell’incarico e la conseguente unitarietà del compenso; pertanto, nell’ipotesi di consulenza consistente nella valutazione di un patrimonio nell’arco di alcuni anni, il compenso va determinato con riferimento ad un unico valore costituito dalla sommatoria dei valori riscontrati all’esito degli accertamenti esperiti”. (Cass. n. 8298 del 1997 – Rv. 507395).

Il principio richiamato dal ricorrente è quello affermato da Cass. 2001 n. 5608 (Rv. 545962), la cui massima è la seguente:

“La liquidazione del compenso del consulente tecnico d’ufficio, chiamato per determinare il valore di una serie di beni immobili, rientrante nella materia dell’estimo, deve attenersi al criterio desunto dall’art. 13 delle tabelle allegate al D.P.R. n. 352 del 1988, che fa riferimento all’importo stimato, diverso per scaglioni con il limite massimo di un miliardo. Va precisato, peraltro, che, nel caso di immobili aventi caratteristiche uguali o analoghe, per definire le quali il consulente debba effettuare operazioni ripetitive, l’importo stimato è quello che attiene alla stima cumulativa di detto insieme; in presenza, invece, di una pluralità di immobili molto diversi tra loro, l’importo stimato è quello corrispondente ad ogni singola stima di immobile che abbia autonome caratteristiche valutative. Pertanto, ogni importo stimato deve essere sempre contenuto nel limite del massimo scaglione di un miliardo di lire, salvo che, per i valori ad esso superiore, ove ne sussistano le condizioni, possa farsi ricorso all’applicazione della L. n. 319 del 1980, art. 5”.

Tale principio è confermato dalle seguenti massime:

– “In favore del consulente tecnico cui sia stato affidato l’incarico di procedere ad attività di estimo di più immobili si deve liquidare, alla stregua dell’art. 13 delle tabelle di cui al D.P.R. 27 luglio 1988, n. 352 – “ratione temporis” vigente – un compenso che faccia riferimento all’importo stimato diviso per scaglioni;

tuttavia, in caso di immobili aventi caratteristiche uguali o analoghe, l’importo stimato atterrà alla stima cumulativa dell’insieme, mentre, in caso di pluralità di immobili diversi tra loro, per ciascuno di essi dovrà procedersi ad un’autonoma determinazione, nel limite del massimo scaglione di un miliardo di lire”. (Cass. n. 6892 del 2009 – Rv. 607653).

– “In tema di compenso agli ausiliari del giudice, nell’ipotesi in cui l’incarico conferito al consulente tecnico d’ufficio in materia di estimo abbia ad oggetto la determinazione di una serie di beni immobili, la liquidazione del compenso deve attenersi al criterio desunto dall’art. 13 delle tabelle allegate al D.P.R. n. 352 del 1988, che fa riferimento all’importo stimato, diverso per scaglioni con il limite massimo di un miliardo. Peraltro, nel caso di immobili aventi caratteristiche uguali o analoghe, per definire le quali il consulente debba effettuare operazioni ripetitive, l’importo stimato è quello che attiene alla stima cumulativa di detto insieme; in presenza, invece, di una pluralità di immobili diversi tra loro, l’importo stimato è quello corrispondente ad ogni singola stima di immobile che abbia autonome caratteristiche valutative. Pertanto, ogni importo stimato deve essere sempre contenuto nel limite del massimo scaglione di un miliardo di lire, salvo che, per i valori ad esso superiore, ove ne sussistano le condizioni, possa farsi ricorso all’applicazione della L. n. 319 del 1980, art. 5”. (Cass. n. 7632 del 2006 – Rv. 588177).

5.1.2 Ritiene questo Collegio di aderire all’orientamento prospettato dal ricorrente, confermato anche dalle più recenti sentenze di questa Corte. Infatti, occorre considerare che, pur tenuto conto della natura pubblicistica dell’incarico, che giustifica l’inapplicabilità delle tariffe professionali, che costituiscono, però, il necessario punto di riferimento per l’elaborazione delle tabelle, l’opera del CTU deve pur sempre essere remunerata, in conformità ai criteri normativi, in modo tale da assicurare un ragionevole risultato economico in funzione del tempo e dell’impegno prestato. In tale prospettiva sono determinate ed aggiornate le relative tariffe, che vanno interpretate in modo da conseguire tale risultato. Sicchè, tornando all’applicazione dell’art. 13, ove pure l’interpretazione letterale di tale norma consenta di ritenere compatibili le due su riportate interpretazioni, a giudizio del Collegio va preferita quella delle due che risulti maggiormente in grado di raggiungere le finalità su indicate, attraverso un equilibrato contemperamento delle diverse esigenze. Specie se si tiene conto che, applicata restrittivamente, la norma in questione, prevedendo il tetto massimo di valore calcolabile nell’equivalente di un miliardo delle vecchie lire (tetto che non può essere superato, per giurisprudenza costante, anche costituzionale), finisce per remunerare nello stesso modo sia l’unica stima di un immobile che sia pari a tale valore che tutte le possibili stime di “n” immobili, per un valore complessivo anche considerevolmente superiore, non potendosi adeguatamente recuperare il notevole scostamento tra i compensi come calcolati nelle due ipotesi prospettate, neanche con un uso “orientato” della scelta della misura del compenso tra il minimo e il massimo previsti per scaglione. Per fare un esempio e con riguardo al caso oggi in esame, la stima di 13 immobili in Roma, facenti parte dello stesso stabile, nonchè la ulteriore stima di altri diversi immobili, di diverse tipologie e situati in città diverse, per un importo complessivo che ragionevolmente deve essere risultato ben superiore al miliardo delle vecchie lire, è stato remunerato con un totale di poco più di 1000 Euro (così ridotto l’importo per effetto della applicazione del successivo comma di cui si dirà oltre), con una media per stima intorno ai 50 Euro, importo questo che appare decisamente riduttivo non solo rispetto a quello che sarebbe derivato dall’applicazione delle tariffe professionali (il che, come si è detto, è giustificato dalla natura pubblicistica dell’incarico) ma anche in relazione ad una ragionevole compensazione del lavoro svolto. Su queste considerazioni sembra doversi ricercare la ragione per la quale la giurisprudenza più aperta ritiene che si debbano operare distinte liquidazioni per tipologia di immobile, individuando così, a sua volta, un limite, non penalizzante, del lavoro svolto alla pluralità delle liquidazioni.

In definitiva, quindi, il motivo di ricorso è fondato e va accolto, dovendosi confermare il seguente principio di diritto: “In tema di compenso agli ausiliari del giudice, nell’ipotesi in cui l’incarico conferito al consulente tecnico d’ufficio abbia ad oggetto la determinazione del valore di una serie di beni immobili, la liquidazione del compenso deve attenersi al criterio desunto dal D.M. Giustizia 30 maggio 2002, art. 13, che fa riferimento all’importo stimato, diverso per scaglioni con il limite massimo di Euro 516.456,90. Peraltro, nel caso di immobili aventi caratteristiche uguali o analoghe, per definire le quali il consulente debba effettuare operazioni ripetitive, l’importo stimato è quello che attiene alla stima cumulativa di detto insieme; in presenza, invece, di una pluralità di immobili diversi tra loro, l’importo stimato è quello corrispondente ad ogni singola stima di immobile che abbia autonome caratteristiche valutative. Pertanto, ogni importo stimato deve essere sempre contenuto nel limite del massimo scaglione di Euro516.456,90, salvo che, peri valori ad esso superiore, ove ne sussistano le condizioni, possa farsi ricorso all’applicazione dell’art. 52, comma 1 del T.U. delle spese di giustizia”.

5.2 – Il secondo motivo di ricorso riguarda l’applicazione operata dal giudice dell’opposizione dell’art. 13, comma 2. Come si è detto, il giudice ha ritenuto la stima “sommaria” ed ha applicato la riduzione prevista. Il ricorrente deduce errata applicazione della norma, ritenendo che non possa essere definita sommaria la stima operata, essendo invece tale quella a “vista”.

Al riguardo il giudice della opposizione ha chiarito le ragioni per le quali ha ritenuto che la stima, “condotta con criterio sintetico – comparativo, è qualificabile come sommaria. Infatti il CTU si e limitato a moltipllcare la superficie degli immobili per il valore unitario della zona dove sono ubicati (vedi pag. 22 dell’elaborato), applicando quindi un unico parametro valutativo, senza considerare coefficienti di adeguamento relativi all’intero edificio (vetustà, stato di manutenzione e degrado, caratteristiche costruttive) e dei vari appartamenti o locali (livello di piano, luminosità, immobile libero o locato ad equo canone ecc.)”. Parte ricorrente, nell’illustrare il motivo, non contesta che la stima sia avvenuta con l’utilizzo dei parametri indicati dal giudice, ma indica il contenuto del criterio sintetico-comparativo, concludendo che tale criterio esclude che si possa ritenere che, una volta adottato, si tratti di “stima sommaria”.

Al riguardo la norma applicata non richiama i criteri che vengono utilizzati per la stima in genere, che come è noto sono diversi e sono intimamente connessi alle finalità che la stima intende perseguire e possono ovviamente risultare più o meno complessi, anche in relazione agli accertamenti propedeutici da svolgere. La norma introduce un criterio di riduzione del compenso (della metà e di 2/3) in relazione al tipo di stima effettuata, distinguendo la stima “sommaria” dal “semplice giudizio di stima”.

Al riguardo le poche decisioni di questa Corte che si rinvengono sul punto, riguardano la materia della esecuzione, nella quale assume rilievo non solo la stima del valore, utile per la successiva vendita, ma anche la corretta e completa individuazione dell’immobile. Con riguardo a tali paramenti si è affermato che “Per la determinazione del compenso al consulente tecnico d’ufficio, cui sia stato conferito l’incarico di valutare beni agli effetti dell’espropriazione forcata, si deve ricorrere al sistema di liquidazione degli onorari a percentuale indicato dal D.P.R. n. 352 del 1988, tenendo conto del valore obiettivo dei beni, determinato in base al combinato disposto del D.P.R. cit., artt. 1 e 13; Cattività compiuta dall’esperto deve essere, in tal caso, di stima piena, e non sommaria, non dovendosi limitare a indicare il possibile prezzo di vendita, ma ricercare e descrivere gli elementi di identificazione degli immobili”. (Cass. n. 10670 del 2001 – Rv. 548750) Nella motivazione della sentenza si legge “L’attività compiuta dall’esperto, in questo caso, sarà di stima nel senso pieno del termine, perchè egli non si deve fermare ad indicare quello che è il possibile prezzo di vendita, ma deve cercare e descrivere gli elementi di identificazizone degli immobili, i quali sono gli unici ad essere tenuti presente da coloro che partecipano alle operazioni di vendita ed assicurano un buon fine della vendita. Si può, quindi, dire che, in generale, l’onorario dell’esperto in materia di espropriazione immobiliare e quello di stima piena e non di stima sommaria, la quale non presuppone la completezza dell’indagine prima indicata, e, meno che mai, di semplice giudizio di stima, il quale è quello reso oralmente o senza particolari approfondimenti”. Il Collegio ritiene di aderire a tale interpretazione della norma. In tal senso si deve ritenere che non vi sia stata nel caso in questione una “stima piena”, non solo perchè non risultano effettuate le specifiche indagini necessarie all’identificazione del bene (che non risultano nemmeno richieste dall’incarico posto, così ponendosi un problema in relazione alla eventuale pertinenza – e conseguente remunerabilità – di tali indagini), ma risultando non contestate, o comunque non articolate sul piano dell’autosufficienza, le argomentazioni del giudice della opposizione, che ha individuato una stima effettuata solo con riguardo ad alcuni dei possibili parametri di valutazione e, quindi, da questo punto di vista “sommaria”.

Il richiamo che il ricorrente fa alla stima “a vista” riguarda evidentemente, per come la descrive, il “semplice giudizio di stima”, reso senza particolari approfondimenti.

Il motivo è, quindi, infondato e va rigettato.

5.3 – Col terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione della L. n. 319 del 1980, art. 5, (recte dell’art. 52, T.U. del 2002), nonchè vizi di motivazione. Lamenta il ricorrente il mancato raddoppio del compenso, L. n. 319 del 1980, ex art. 5, giustificato per aver il giudice escluso che si trattasse di prestazione di eccezionale importanza, complessità e difficoltà. Al riguardo il ricorrente, richiamando il precedente di questa Corte del 1996 n. 9761, rileva come lo stesso giudice abbia riconosciuto un notevole impegno reso necessario dalla stima. Si trattava di prestazioni che avevano richiesto un impegno del consulente “in misura notevolmente massiva, per importanza tecnico-scientifica, complessità e difficoltà”.

Il motivo è infondato.

Al riguardo, la norma è chiara nel richiedere la sussistenza di specifici requisiti perchè si possa procedere ad aumentare il compenso fino al doppio. E la giurisprudenza di questa Corte sul punto ha chiarito, con orientamento condiviso da questo Collegio, che per l’applicazione di tale norma occorre, da un lato, che risultino specifici elementi che lo giustifichino (ulteriori e distinti da quelli che già consentono di applicare gli scaglioni nella misura massima) e, dall’altro, che il giudizio al riguardo operato dal giudice del merito è insindacabile se adeguatamente motivato. In tal senso Cass. n. 6414 del 2007 (Rv. 596824) e Cass. n. 12027 del 2010 (Rv. 612938).

Più specificamente si è affermato che “In tema di compenso agli ausiliari del giudice, ai sensi della L. n. 319 del 1980, art. 5, costituiscono prestazioni eccezionali per le quali è consentito l’aumento fino al doppio degli onorari previsti nelle tabelle, quelle prestazioni che, pur non presentando aspetti di unicità o, quanto meno, di assoluta rarità, risultino comunque avere impiegato l’ausiliare in misura notevolmente massiva, per importanza tecnico – scientifica, complessità e difficoltà. Pertanto, mentre l’ampiezza dell’incarico affidato all’ausiliare costituisce un elemento di giudizio nella determinazione degli onorari variabili tra il minimo e il massimo ai sensi della L. n. 319 del 1980, art. 2, (secondo cui il giudice deve al riguardo tenere conto della difficoltà dell’indagine, della completezza e del pregio della prestazione), ai fini dell’applicabilità della disposizione di cui all’art. 5 citato, occorre che il tasso di importanza e di difficoltà della prestazione, che le legge prescrive debba essere “eccezionale”, sia necessariamente maggiore rispetto a quello che deve essere compensato con l’attribuzione degli onorari nella misura massima. (Cass. 7632 del 2006 – Rv. 588178).

Nel caso in questione, il giudice della opposizione ha motivato l’esclusione del raddoppio del compenso, osservando “Non e possibile poi riconoscere il raddoppio del compenso ex art. 52, **** n. 115 del 2002, in quanto le prestazioni eccezionali indicate dalla norma sono quelle che, pur non presentando aspetti di assoluta rarità, risultano avere impegnato il professionista in maniera massiva per importanza tecnico scientifica, complessità e difficoltà (Cfr. Cass. Civ. n. 9761/97 e n. 5132/96). Ora nel caso di specie il professionista nella parcella in atti ha dedotto solo la difficoltà di reperire dati al 1978 per l’immobile sito al centro storico di Roma, ma tale difficoltà non emerge dalla relazione e dai suoi allegati, poichè a pag 37 dell’elaborato il CTU afferma di avere reperito il valore unitario, poi applicato a tutti indifferentemente gli immobili in (omissis) e pan a Euro 725/mq, in un volume dell’Ing. T., evidentemente reperito in una biblioteca. Non si ravvisano quindi i presupposti richiesti dalla norma cosi come sopra interpretata per concedere il richiesto raddoppio del compenso”.

A fronte di tale motivazione, che indica anche l’applicazione di condivisi principi di diritto, il ricorrente si limita a dedurre che l’incarico svolto lo aveva impegnato “in misura notevolmente massiva, per importanza tecnico-scientifica, complessità e difficoltà”, senza fornire specifici ulteriori elementi, idonei a giustificare tale affermazione, essendo pacifica la gravosità dell’incarico e la sua complessità, del resto riconosciuta dallo stesso giudice della opposizione e correttamente utilizzata per applicare gli onorari nella misura massima. Non sussiste, quindi, il vizio di motivazione dedotto e per il resto la valutazione del giudice, incensurabile in questa sede, appare coerente con i criteri al riguardo affermati da questa Corte e, come detto, condivisi dal Collegio.

5.4 – E’ invece fondato il quarto motivo di ricorso, che lamenta l’interpretazione restrittiva data dal giudice della opposizione all’art. 16. In effetti, come già detto per quanto riguarda l’art. 13, l’interpretazione letterale della norma consente due diverse conclusioni nel caso in cui con l’incarico si tratti di determinare l’equo canone per una pluralità di immobili, ripetendosi così più volte la stessa attività. E’ possibile, cioè, ritenere che l’incarico è unitario e determinare il compenso in ragione anche del numero delle attività svolte, giungendo ad un massimo di 970 Euro, oppure liquidare ciascuna attività di determinazione dell’equo canone, individuando l’onorario di ciascuna attività secondo i criteri dettati in via generale dall’art. 51 del T.U. (difficoltà, completezza e pregio dell’opera) e tenendo conto del complessivo risultato finale. Al riguardo basterà qui richiamare le considerazioni svolte per l’art. 13 ed osservare che la liquidazione in modo unitario, consentendo di giungere ad un massimo di 970 Euro, non consente di remunerare adeguatamente l’attività svolta tutte le volte che il numero degli immobili sia molto alto e le attività allo stesso tempo complesse. Nel caso in questione gli immobili da valutare erano, secondo il provvedimento impugnato 19 (ma da quanto risulterebbe dal ricorso 13) con la conseguenza che il liquidato per ogni attività svolta sarebbe pari (se si trattasse di 19 immobili) a circa 50 Euro. Anche a voler ritenere ripetitivi i parametri relativi allo stabile, non lo erano quelli relativi a ciascun immobile, per il quale era necessario, quanto meno, determinare la superficie da porre a base del calcolo secondo la normativa speciale.

Anche in questo caso si ritiene, quindi, che ben si possa procedere, nell’applicare l’art. 16 in caso di pluralità di attività, alla liquidazione di compensi per ciascuna attività svolta, applicando l’onorario tra il minimo e il massimo previsto in base ai parametri generali e valutando nel suo complesso il risultato dell’operazione, tenendo conto dell’incidenza delle attività ripetitive. In tal senso si è orientata questa Corte in materia di liquidazione di onorari per identiche prestazioni svolte dal CTU per la determinazione del tasso usurario praticato in diversi rapporti di conto corrente.

L’incarico era unitario, l’attività da svolgere la medesima, ma l’attività concreta riguardava diversi conti correnti (Cass. 18092 del 2002).

Al riguardo, quindi, il principio di diritto da applicare è il seguente: “In tema di compenso agli ausiliari del giudice, nell’ipotesi in cui l’incarico conferito al consulente tecnico d’ufficio abbia ad oggetto la determinazione dell’equo canone di una serie di beni immobili, la liquidazione del compenso deve attenersi al criterio desunto dal D.M. Giustizia 30 maggio 2002, art. 16, dovendosi liquidare un compenso (con riguardo ai limiti massimi e minimi contenuti nella norma) per ciascuno degli immobili per i quali si sia proceduto al calcolo dell’equo canone, tenendo in adeguato conto nella liquidazione del compenso in concreto,, nel caso di immobili aventi caratteristiche uguali o analoghe, delle operazioni ripetitive svolte e/o di quelle, che effettuate una volta, siano interamente riutilizzabili (come nel caso di determinazione dell’equo canone di più immobili all’interno di un unico complesso immobiliare)”.

5.5. – Col quinto motivo di ricorso, come si è detto, si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 319 del 1980, art. 4.

Lamenta il ricorrente la mancata liquidazione dei compensi a vacazione, per aver ritenuto il giudice che i compensi in questione (previsti dalla L. n. 319 del 1980, art. 4) sono liquidabili solo per le prestazioni non previste dalle tabelle. A giudizio del ricorrente il tribunale ha fornito della norma in questione una “interpretazione riduttiva”. Osserva che “le voci indicate dal c.t.u. nella richiesta di compenso a vacazione sono relative ad accessi in tribunale, accessi sui luoghi di causa ed incontro a studio con le parti, per studio atti ài causa, per ricerche urbanistiche e catastali, perredazione e collazione della relazione peritale”.

Tali operazioni rappresentano prestazioni diverse e distinte della stima degli immobili (art. 13) e dalla determinazione dell’equo canone (art. 16) e non possono ritenersi conglobati in esse, “per elementari principi di logica ed anche di equità”. L’art. 4, della legge citata esclude soltanto le operazioni di “base” che vanno eseguite e “non tutta l’attività straordinaria che al consulente è necessaria per assolvere l’incarico”.

Anche tale motivo è infondato.

Le ulteriori attività che il ricorrente richiede che vengano compensate separatamente sono esattamente quelle che l’art. 29, del D.M. 2002 ricomprende nello svolgimento dell’incarico. Al riguardo, tale norma prevede, come già detto, che “Tutti gli onorari, ove non diversamente stabilito nelle presenti tabelle, sono comprensivi della relazione sui risultati dell’incarico espletato, della partecipazione alle udienze e di ogni altra attività concernente i quesiti”. Le attività indicate sono certamente ricomprese in quelle descritte dall’art. 29, perchè strettamente connesse con l’espletamento dell’incarico. Una loro autonomia avrebbe potuto essere riconosciuta ai rilievi planimetrici e fotografici espletati, in quanto non ritenuti strettamente indispensabili per l’esecuzione dell’incarico, valutazione questa che compete al giudice del merito. Questa Corte ha, infatti, avuto occasione di affermare che la tendenziale omnicomprensività dell’onorario “sancito dal D.M. 30 maggio 2002, art. 29, riguarda le attività complementari ed accessorie che, pur non essendo specificamente previste in sede di conferimento dell’incarico, risultano tuttavia strumentali all’accertamento tecnico, e non trova applicazione in presenta di una pluralità di indagini non interdipendenti, che presuppongono necessariamente una pluralità di incarichi di natura differente, come nel caso di richiesta di rilievi topografici e planimetrici da un lato, e di attività di stima dei beni dall’altro che, in quanto previsti distintamente dagli artt. 12 e 13, comportano una liquidazione autonoma del compenso” (Cass. n. 7174 del 2010 – Rv. 612046). Ma sul punto la censura non riguarda tali attività, richiamate sotto il profilo delle spese di cui al sesto motivo.

5.6 – Infine anche il sesto motivo, per come è proposto, è infondato. Parte ricorrente deduce, infatti, violazione e falsa applicazione della normativa in materia che riguarda il riconoscimento delle spese sostenute dal c.t.u.. Lamenta il ricorrente che il giudice ha negato gran parte delle spese per le quali è stato chiesto il rimborso, ritenendo non autorizzato l’ausilio di altro prestatore d’opera e l’utilizzo del mezzo proprio.

Al riguardo il ricorrente osserva “è innegabile… che un rilievo planimetrico non può essere effettuato da una sola persona ma vi è bisogno di almeno due persone” e che “per recarsi in luoghi lontani da quello di residenza per svolgere le operazioni peritali… è implicito che si utiliza il mezzo proprio per cui non è necessaria l’autorizzazione”.

La censura difetta di specificità quanto alla indicazione delle norme che si assumono violate, ma è comunque agevole rilevarne l’infondatezza, richiamando quanto affermato, per la normativa applicabile, al punto 3.1.2 e cioè “Con riguardo invece alle spese, g) che Per l’indennità di viaggio e di soggiorno, si applica il trattamento previsto per i dipendenti statali. L’incaricato è equiparato al dirigente di seconda fascia del ruolo unico, di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 15. E’ fatta salva l’eventuale maggiore indennità spettante all’incaricato dipendente pubblico” (art. 55, comma 1); h) che “Le spese di viaggio, anche in mancanza di relativa documentazione, sono liquidate in base alle tariffe di prima classe sui servizi di linea, esclusi quelli aerei” (secondo comma art. 55); i) che “Le spese di maggio con mezzi aerei o con mezzi straordinari sono rimborsate se preventivamente autorizzate dal magistrato” (art. 55, comma 3); 1) che quanto alle spese di adempimento dell’incarico, “Gli ausiliari del magistrato devono presentare una nota specifica delle spese sostenute per l’adempimento dell’incarico e allegare la corrispondente documentazione” (art. 56, comma 1); m) che “Il magistrato accerta le spese sostenute ed esclude dal rimborso quelle non necessarie” (art. 56, comma 2); n) che “Se gli ausiliari del magistrato sono stati autorizzati ad avvalersi di altri prestatori d’opera per attinta strumentale rispetto ai quesiti posti con l’incarico, la relativa spesa è determinata sulla base delle tabelle di cui all’art. 50” (art. 56, comma 3).

Era necessaria l’autorizzazione per l’uso del mezzo proprio e per l’utilizzo di collaboratori. La decisione impugnata è quindi corretta sotto entrambi i profili denunciati.

6. Il ricorso incidentale.

Il ricorso incidentale è articolato in quattro motivi ed è subordinato all’accoglimento “dei motivi per il ricorso principale per i quali l’onorario dovrebbe essere liquidato per più prestazioni”. Col primo e col quarto motivo si osserva che, ove si ritenesse che la liquidazione dei compensi debba avvenire non nel suo complesso, ma con riguardo ai singoli immobili (o per tipologia di immobile) la scelta di operare l’applicazione degli onorari nella misura massima prevista dagli scaglioni, giustificata in relazione alla pluralità di attività svolte e unitariamente valutate, sarebbe operata in violazione di legge e risulterebbe contraddittoria. Si rileva col secondo motivo che non sussiste la difficoltà delle opera2ioni e col terzo che la liquidazione poteva scendere al di sotto dei minimi.

Il ricorso incidentale merita accoglimento per quanto di ragione, essendo venuta meno in concreto la ratio sulla base della quale il giudice della opposizione ha applicato gli onorari nella misura massima. La cassazione e il rinvio sul punto determineranno una nuova completa valutazione in concreto dell’attività svolta dal CTU secondo i criteri e i principi su indicati.

7. Va accolto il primo e il quarto motivo del ricorso principale e, per quanto di ragione, il ricorso incidentale subordinato. Vanno respinti gli altri motivi del ricorso principale. La sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti e la causa va rinviata per nuovo esame in punto liquidazione compensi D.M. del 2002, ex artt. 13 e 16, ad altro magistrato del Tribunale di Roma, che si atterrà ai principi di diritto su affermati e regolerà le spese dell’intero giudizio.

 

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il primo e il quarto motivo del ricorso principale e, per quanto di ragione, il ricorso incidentale subordinato. Rigetta gli altri motivi del ricorso principale. Cassa in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, ad altro magistrato del Tribunale di Roma.

Redazione